Pressione fiscale sulle imprese? Cala sì, ma…

Quando si tratta di tasse, siano esse per le imprese o per i cittadini, dall’Italia non arrivano mai buone notizie. E se, secondo rapporto Paying taxes 2016 elaborato da Banca Mondiale e Pwc su 189 Paesi e riferito al 2014, la pressione fiscale complessiva sulle imprese italiane è sceso lo scorso anno al 64,8%, questa percentuale rimane la più alta in Europa, dove la media del cosiddetto total tax rate (tasse sulle imprese + costo del lavoro) è del 40,6%. Un abisso.

Analizzando nel dettaglio le due voci che compongono il total tax rate si scopre che sulla pressione fiscale complessiva delle imprese pesa di più il costo del lavoro delle tasse in senso stretto: 43,4%.

Questo stando alla banca mondiale. Il ministero dell’Economia prova invece a leggere il dato da un’altra prospettiva, ricordando come la pressione fiscale sulle imprese sia scesa del 12% in 10 anni, arrivando appunto al 64,8% del 2014 dal 76,8% del 2004. Secondo il Mef, il rapporto della Banca Mondiale non tiene conto di molte delle riforme messe in opera dall’attuale governo, i cui effetti si vedranno solo a partire da quest’anno; fatto che, secondo i tecnici del ministero, potrà incidere positivamente sul posizionamento dell’Italia sui prossimi rapporti della Banca Mondiale.

Quali sono queste misure, a detta del ministero, virtuose nei confronti della pressione fiscale? Il Mef cita i maxiammortamenti, il taglio dell’Ires, il credito d’imposta e l’eliminazione della componente Irap dal costo del lavoro (già introdotta). Senza dimenticare, naturalmente, gli sgravi sui contributi per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.

Oltre a mettere il dito nella piaga della pressione fiscale che grava sulle imprese italiane, il rapporto Paying taxes 2016 ha fatto il conto anche di quante ore, ogni anno, le imprese italiane e straniere devono impiegare per far fronte agli adempimenti fiscali. Anche in questo caso, come in quello della pressione fiscale, non ci facciamo una bella figura: 269 ore all’anno per pagare le tasse, contro una media mondiale poco più bassa (261) ma una media europea drammaticamente minore: 173 ore.

Se poi guardiamo al numero di pagamenti che le imprese devono effettuare annualmente, possiamo consolarci guardando i 25,6 di media mondiale, un po’ meno gli 11,5 europei. Ma fino a che non si abbassa la pressione fiscale, c’è poco da festeggiare…

Pressione fiscale e tax day, i conti della Cgia

Il 16 dicembre scorso è stata una data campale per i contribuenti italiani, che fra Imu, Tari, Tasi, ritenute Irpef e imposte varie hanno versato al fisco la bellezza di 44 miliardi di euro, avendo prova di quanto può essere pesante la pressione fiscale in Italia.

I conti li ha fatti meritoriamente, come sempre, la Cgia, che ha calcolato come il versamento dell’Iva abbia garantito l’importo più cospicuo, 16 miliardi di euro; dalle ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti sono arrivati 12 miliardi, mentre l’ultima rata dell’Imu, è costata agli italiani 10,6 miliardi. La Tasi ha portato nelle casse dei Comuni 2,3 miliardi, la Tari 1,9, mentre il versamento dell’Irpef dei lavoratori autonomi ha portato al fisco 1 miliardo. Buone ultime l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del Tfr e le ritenute sui bonifici per le detrazioni Irpef, con 231 e 72 milioni di euro. E poi si parla di alleggerire la pressione fiscale

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, questo vero tax day è arrivato in un periodo, quello di fine d’anno, molto delicato soprattutto per le aziende: oltre all’impegno con il fisco, in questi giorni devono corrispondere anche le tredicesime ai propri dipendenti. E con il perdurare della crisi, questo impegno economico rischia di diventare per molti imprenditori un vero e proprio stress test. Una pioggia di scadenze che potrebbe mettere in seria difficoltà molte famiglie e altrettante piccole imprese a causa della cronica mancanza di liquidità”.

Senza contare che, sempre la Cgia, ha stimato come per l’anno che si sta per chiudere, la pressione fiscale in Italia è prevista al 43,3%, un livello tra i più elevati d’Europa. “Ma la pressione fiscale reale – dice Bortolussi – vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il “peso” dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50%, attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,5%: oltre 6 punti percentuali in più del dato ufficiale. Un carico fiscale spaventoso”. Una pressione fiscale “reale” che, conclude la Cgia, è giunta a questo risultato perché il Pil nazionale include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, non pagano né tasse né contributi.