Italiani tartassati, i conti della Cgia

Mentre dal governo, nella persona del premier Matteo Renzi, arrivano annunci di tagli e abolizioni di tasse e imposte a partire dal 2016, c’è qualcuno che i conti su quante tasse pagano gli italiani li ha fatti in maniera seria, la Cgia. E, come spesso accade quanto la confederazione degli artigiani snocciola le sue cifre, le notizie non sono delle più rassicuranti.

Secondo la Cgia, infatti, gli italiani pagano in media ogni anno oltre 900 euro in più rispetto agli altri europei, 904 per la precisione. Siamo tra i più tartassati. L’Ufficio studi della Cgia ha confrontato la pressione fiscale dei principali Paesi Ue registrata nel 2014 e ha poi definito il differenziale di tassazione degli italiani rispetto ai contribuenti degli altri Paesi.

I dati elaborati dall’Ufficio studi della Cgia dicono che tra i principali Paesi dell’Unione presi in esame, la pressione fiscale più elevata è quella della Francia, dove il peso complessivo di imposte, tasse, tributi e contributi assomma al 47,8% del Pil. Dopo i cugini vengono i belgi con il 47,1%, gli svedesi (44,5%), gli austriaci (43,7%) e poi noi. Lo scorso anno la pressione fiscale in Italia è arrivata al 43,4% del Pil, quasi 3,5 punti in più rispetto alla media della Ue a 28 Paesi, dove era al 40%.

Nella propria comparazione, l’Ufficio studi della Cgia ha calcolato anche i maggiori o minori versamenti che ogni italiano sconta rispetto agli altri europei. Proprio da questo ha dedotto che, se la tassazione in Italia fosse nella media europea, ogni contribuente nel 2014 avrebbe risparmiato in media i 904 euro di cui sopra. Si tratta appunto di una media: in Italia, infatti, paghiamo mediamente 1.037 euro in più rispetto ai tedeschi, 1.409 euro rispetto agli olandesi, 1.701 euro in più rispetto ai portoghesi, 2.313 euro in più degli inglesi, 2.499 euro in più rispetto agli spagnoli e 3.323 euro in più rispetto agli irlandesi.

Un calcolo sulla pressione fiscale, quello elaborato dalla Cgia, che non tiene conto dell’effetto portato del cosiddetto “Bonus Renzi”. Se nel 2014 gli 80 euro destinati ai redditi medio-bassi dei lavoratori dipendenti sono costati alle casse dello Stato 6,6 miliardi, l’importo è stato contabilizzato come spesa aggiuntiva. Ragion per cui, se si ricalcola la pressione fiscale considerando anche questi 6,6 miliardi, la pressione fiscale cala al 43%. Un dato ancora del tutto “fuori mercato”.

Pressione fiscale e oppressione fiscale

Puntuale come la Quaresima, è arrivata la notizia che ogni anno purtroppo ci aspettiamo: nel 2014 in Italia è aumentata ancora la pressione fiscale. Addirittura nel quarto trimestre dello scorso anno è arrivata al 50,3%, in aumento dello 0,1% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente.

In tutto il 2014, la pressione fiscale italiana è stata pari al 43,5%, in aumento anche qui dello 0,1% rispetto al 2013. I dati sono stati diffusi dall’Istat che ha anche sottolineato come la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è diminuita dello 0,3% nel 2014 e il reddito disponibile è calato dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e aumentato dello 0,8% rispetto al corrispondente periodo del 2013.

E mentre sale la pressione fiscale e cala il reddito disponibile delle famiglie italiane, scende anche il loro potere d’acquisto: -0,5% nel quarto trimestre 2014, rispetto al trimestre precedente, anche se cresciuto dello 0,8% rispetto al quarto trimestre del 2013. E la ripresa? Sì, quella delle tasse…

Pressione fiscale e tax day, i conti della Cgia

Il 16 dicembre scorso è stata una data campale per i contribuenti italiani, che fra Imu, Tari, Tasi, ritenute Irpef e imposte varie hanno versato al fisco la bellezza di 44 miliardi di euro, avendo prova di quanto può essere pesante la pressione fiscale in Italia.

I conti li ha fatti meritoriamente, come sempre, la Cgia, che ha calcolato come il versamento dell’Iva abbia garantito l’importo più cospicuo, 16 miliardi di euro; dalle ritenute Irpef dei lavoratori dipendenti sono arrivati 12 miliardi, mentre l’ultima rata dell’Imu, è costata agli italiani 10,6 miliardi. La Tasi ha portato nelle casse dei Comuni 2,3 miliardi, la Tari 1,9, mentre il versamento dell’Irpef dei lavoratori autonomi ha portato al fisco 1 miliardo. Buone ultime l’imposta sostitutiva sulla rivalutazione del Tfr e le ritenute sui bonifici per le detrazioni Irpef, con 231 e 72 milioni di euro. E poi si parla di alleggerire la pressione fiscale

Secondo il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, questo vero tax day è arrivato in un periodo, quello di fine d’anno, molto delicato soprattutto per le aziende: oltre all’impegno con il fisco, in questi giorni devono corrispondere anche le tredicesime ai propri dipendenti. E con il perdurare della crisi, questo impegno economico rischia di diventare per molti imprenditori un vero e proprio stress test. Una pioggia di scadenze che potrebbe mettere in seria difficoltà molte famiglie e altrettante piccole imprese a causa della cronica mancanza di liquidità”.

Senza contare che, sempre la Cgia, ha stimato come per l’anno che si sta per chiudere, la pressione fiscale in Italia è prevista al 43,3%, un livello tra i più elevati d’Europa. “Ma la pressione fiscale reale – dice Bortolussi – vale a dire quella che grava sui contribuenti onesti, che si misura togliendo dal Pil nominale il “peso” dell’economia non osservata, si colloca appena sotto il 50%, attestandosi, secondo una nostra stima, al 49,5%: oltre 6 punti percentuali in più del dato ufficiale. Un carico fiscale spaventoso”. Una pressione fiscale “reale” che, conclude la Cgia, è giunta a questo risultato perché il Pil nazionale include anche la cifra imputabile all’economia sommersa prodotta dalle attività irregolari che, non essendo conosciute al fisco, non pagano né tasse né contributi.

Tasse sulle imprese, Italia da record

 

“La pressione fiscale sulle imprese italiane è superiore al 68%, è insostenibile – ha denunciato il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi rispetto alla media europea le nostre aziende registrano un carico di tasse e contributi pari addirittura al 24,4 punti in più”.

Dati da pelle d’oca quelli del segretario, soprattutto se confrontati con il 21,8 di scarto che ci separa dalle aziende Usa, con il 20,4 dalle aziende tedesche e con  “i 39,4 punti che scontiamo in più rispetto alle aziende canadesi e i 31,3 nei confronti di quelle del Regno Unito”.

Questi risultati sono un elaborazione di quelli pubblicati dalla Banca Mondiale Doing Business relativi al 2011, ma nel 2012 il quadro complessivo rischia di essere ancora peggiore: “E’ vero che è stata introdotta l’Ace ed è stato alleggerita l’Irap, ma con l’introduzione dell’Imu, il ritocco all’insù delle addizionali regionali Irpef, l’aumento delle accise sui carburanti e l’incremento dell’Iva, l’Italia rischia di ritrovarsi con un carico fiscale da mettere in ginocchio anche quei pochi imprenditori che non hanno ancora risentito della crisi”.

JM

Sicilia a rischio crollo?

Voci allarmanti, una lettera scritta di pugno dal Presidente del Consiglio e un susseguirsi si smentite e conferme. Tre gli attori in scena: Raffaele Lombardo, Presidente della Regione Sicilia, il presidente Mario Monti e Confindustria.

La Sicilia è davvero a rischio default?

Ci sono delle criticità, nessuno lo nega, ma il nostro debito è di circa 6 miliardi e pesa su un bilancio di 27 mld” sono le ultime dichiarazione del Presidente Lombardo, che ha confermato la presenza di “un’obiettiva crisi di liquidità nei conti della Regione”.

A fare i conti in tasca ai piccoli imprenditori ci ha provato Infoiva, grazie all’aiuto di Giuseppe CasconePresidente di CNA Sicilia (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della piccole e media impresa). A lui abbiamo chiesto quanto la gravità della situazione politica nella Regione, che ormai ha assunto proporzioni nazionali, incida sulla piccola e media imprenditoria e quali sono le reali difficoltà che un’azienda o un aspirante imprenditore sono costretti ad affrontare, per ‘fare impresa’ in una Regione ancora così ricca di contrasti e luci e ombre.

La piccola imprenditoria in Sicilia: quante sono le piccole imprese? In quali province sono maggiormente diffuse? Quali settori produttivi sono favoriti?
La piccola impresa è diffusa in maniera omogenea in tutte le 9 province siciliane e rappresenta l’asse portante del sistema produttivo, soprattutto oggi dopo il venir meno, nel nostro territorio, di una grande industria come la Fiat. Agricoltura, Artigianato e Commercio sono i settori in cui operano le oltre 300.000 imprese del territorio siciliano.

La Regione offre degli incentivi a chi decide di avviare una nuova attività in Sicilia?
Purtroppo oggi in Sicilia non c’è alcuna misura incentivante per le imprese Start Up.

Quali sono le maggiori difficoltà che un aspirante imprenditore deve affrontare nell’avviare la propria attività?
I giovani che vogliono intraprendere una nuova attività imprenditoriale devono combattere con la burocrazia per le autorizzazioni e con le banche per i finanziamenti necessari.

Negli ultimi giorni è balzata alle cronache la notizia di un possibile rischio default della Sicilia. Le cose stanno davvero così?
Non so se la Sicilia stia rischiando di fallire, quello che so è che migliaia di imprenditori siciliani sono in difficoltà soprattutto perché la Regione Sicilia non fa niente per il lavoro produttivo dentro le imprese.

A questo proposito, lo Stato ha reagito con l’immissione di 400 milioni di euro nelle case della Sicilia. Il problema della mancanza di liquidità quali conseguenze ha avuto sulla piccola imprenditoria? Quante imprese sono state costrette a chiudere?
Al 31 dicembre del 2011 le imprese artigiane iscritte agli albi camerali risultavano 5 000 in meno rispetto a qualche anno fa. Le conseguenze di un calo così profondo sono da riscontrarsi nella crisi economica e nell’ assoluta mancanza di iniziative da parte della Regione e dello Stato volte a contrastare la crisi.

Quanto la pressione fiscale (in questi giorni si parla di livelli record, pari al 55%) soffoca la piccola e media imprenditoria in Sicilia?
La pressione fiscale è molto più pesante in Sicilia che nel resto del Paese per l’inefficienza degli Enti locali e della Regione. Sulle imprese Siciliane si riversa il costo della macchina pubblica regionale e i costi della Sanità, l’Irap costa di più alle imprese siciliane che alle imprese del nord.

La conseguenza di una pressione fiscale così alta è l’evasione? Quanto è diffusa?
Il lavoro nero e l’evasione sono una piaga che affligge tutte e 9 le province siciliane. Si tratta di fenomeni che vanno contrastati, lo Stato deve intervenire, soprattutto in alcuni settori, come quello dei servizi alle persone.

Su cosa dovrebbe puntare la piccola imprenditoria siciliana in un momento di crisi così forte come quello che stiamo vivendo?
La preoccupazione dell’imprenditoria siciliana dovrebbe essere quella di puntare sui mercati interregionali e su processi e prodotti innovativi.

Che cosa potrebbe fare lo Stato per venire in soccorso delle piccole realtà imprenditoriali della vostra regione?
Lo Stato deve assicurare sicurezza alle imprese , liberalizzazioni, riduzione della spesa pubblica e quindi delle tasse e soprattutto sburocratizzazione di tutte le procedure.

La Sicilia ha la classe politica che si merita? Secondo noi no, secondo lei?
Ogni popolo ha la classe politica che si merita perché la sceglie con il proprio voto. E’ tempo che i siciliani scelgano di cambiare davvero, rinnovando e ringiovanendo la propria rappresentanza politica.

Alessia CASIRAGHI

Pressione fiscale da record: sale al 55%

Un pressione fiscale effettiva pari al 55%. L’Italia detiene il primato della pressione del Fisco più alto al mondo,  oltre che il più elevato della propria storia economica recente.

Se la pressione fiscale apparente nel 2012 si è stabilizzata su livelli pari al 45,2% del Pil, la pressione effettiva percepita sale però di ben 10 punti.  E’ quanto rileva il rapporto del Centro studi di Confcommercio ‘Sulle determinanti dell’economia sommersa’.

Il valore della pressione fiscale effettiva “non solo è il più elevato della nostra storia economica recente – precisa Confcommercio – ma costituisce un record mondiale assoluto”.

L’Italia si posiziona infatti in cima alla classifica con il 55%. seguita da Danimarca (48,6%), Francia (48,2%) e Svezia (48%). Il dato è invertito se si guarda alla pressione fiscale apparente: per l’Italia si attesta al 42,5%, è il Belpaese  questa volta è quinto dietro la Danimarca (47,4%), la Francia (46,3%), la Svezia (45,8%) e il Belgio (45,8%).

Come convivono dunque i due dati? Il problema reale per l’italia è il sommerso: se si guarda infatti al rapporto tra pressione fiscale e Pil al netto del sommerso, che vale il 17,5% del Prodotto interno lordo, allora la pressione fiscale effettiva in Italia sale al 55%. Un’incidenza estremamente elevato quello dell‘evasione fiscale in Italia:  l’imposta evasa ammonterebbe infatti a circa 154 miliardi di euro (il 55% di 280 miliardi di imponibile evaso). Anche in questo caso, un record mondiale per l’ Italia: il Belpaese è infatti  al primo posto al mondo davanti a Messico (12,1%) e Spagna (11,2%) per quanto riguarda l’evasione fiscale.