Tasse da record, al 53,2% la pressione fiscale

 

Il 53,2% registrato dal solito ufficio studi della Confcommercio è un dato impressionante, da far rimanere senza parole. Non che non lo sapessimo, ma la valutazione della pressione fiscale sul Pil supera (abbondantemente) la soglia, già di per sé drammatica, del 50% raggiunta nei mesi scorsi. Ed ecco raggiunto, come se potessimo farcene un vanto, l’ambitissimo (si capirà l’ironia, suvvia…) primo posto della classifica Ocse per il carico fiscale. Secondo gli scientifici calcoli della Confcommercio, la cifra raggiunta si ottiene sommando al reale rapporto tasse/Pil (44,1%) la percentuale (in questo caso un altrettanto impressionante 17,3%) del settore «sommerso».

«Per liberare le ingenti risorse necessarie per far ripartire l’economia – ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio – bisogna realizzare subito una poderosa operazione: meno tasse e meno spesa pubblica, più riforme e più lavoro. Tagliare le tasse per favorire la crescita è un passaggio ineludibile».

E, intanto, noi paghiamo…

Lavoriamo 165 giorni all’anno solo per pagare le tasse

di Davide PASSONI

Probabilmente l’ineffabile sottosegretario Polillo quando ha affermato che per aiutare il Pil dell’Italia a crescere sarebbe bene che rinunciassimo a una settimana di ferie all’anno, forse non aveva letto il risultato di un interessante studio. In sostanza, secondo questo studio, i contribuenti italiani stanno già regalando allo Stato oltre tre settimane lavorative… per pagare le imposte.

Tanto per cambiare, il dato viene dall’Ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo il quale rispetto al 2002 fa i contribuenti italiani lavorano 17 giorni in più per pagare imposte, tasse e contributi. Nessun slancio di amor patrio né magia contabile, solo matematica: negli ultimi 10 anni le tasse sono aumentate progressivamente e, parallelamente, è cresciuto il numero di giorni necessari per pagarle. Se nel 2002 la pressione fiscale era pari al 40,5%, nel 2012 arriverà al 45,1%, ovvero il 4,6% in più. E, a voler essere precisi, dallo scorso anno a questo il numero di giorni è aumentato di 10, 3 dei quali li dobbiamo all’arrivo dell’Imu.

Se 10 anni fa il povero contribuente impiegava ben 148 giorni lavorativi per raggiungere il giorno della cosiddetta “liberazione fiscale”, oggi ce ne vogliono 165. per arrivare a queste cifre illuminanti, la Cgia ha esaminato il dato di previsione del Pil nazionale dividendolo per i 365 giorni dell’anno. Fatto questo semplice calcolo matematico per individuare una media giornaliera, è stato poi considerato il gettito di imposte, tasse e contributi versati allo Stato e il totale è stato suddiviso per il Pil giornaliero: risultato, il sospirato “tax freedom day“, che per il 2012 è arrivato lo scorso 14 giugno.

La ricetta della Cgia di Mestre per fermare questo scandalo è piuttosto semplice e intuitiva e anche noi, nel nostro piccolo osservatorio di Infoiva, la andiamo ripetendo da mesi. La sintetizza bene il segretario dell’associazione mestrina, Giuseppe Bortolussi: “Contraendo in maniera strutturale la spesa pubblica improduttiva possiamo ridurre anche le tasse. Per far questo è necessario riprendere in mano il federalismo fiscale che, a mio avviso, è l’unica strada percorribile per raggiungere questo obbiettivo. Infatti, le esperienze europee ci dicono che gli stati federali hanno un livello di tassazione ed una spesa pubblica minore, una macchina statale più snella ed efficiente ed un livello dei servizi offerti di alta qualità“.

Capito Polillo? Capito professori? Vi preghiamo, non chiedeteci anche le ferie (ammesso che si riescano a fare…). Come vedete, stiamo dando a voi e all’Italia già tanto, molto più di quanto meritiate. Abbiate la decenza e l’intelligenza di capirlo a volo.

Tasse e spesa pubblica, ecco lo Stato bulimico

di Davide PASSONI

Gli artigiani italiani si ritrovano in assemblea e lanciano una pesante accusa allo Stato obeso, sprecone e bulimico di tasse: la pressione fiscale “effettiva” in Italia è al 53,7%, la spesa pubblica aumenta di 2 milioni ogni ora, le imprese “bruciano” in burocrazia 23 miliardi all’anno e ogni azienda butta dalla finestra 86 giorni all’anno in pratiche amministrative anziché concentrarsi a fare fatturato. Questi i punti essenziali del j’accuse lanciato dal presidente di Confartigianato Giorgio Guerrini nella sua relazione all’assemblea di Confartigianato.

Negli ultimi 18 anni – ha rincarato la dose Guerrinisi sono succedute 5 proposte di riforma fiscale ma, contemporaneamente, il peso delle tasse è cresciuto di oltre 4 punti, passando dal 40,8% del Pil nel 1994 al 45,1% nel 2012. E, al netto dell’economia sommersa, la pressione fiscale effettiva è lievitata al 53,7%“.

Numeri impressionanti – prosegue Guerrini -: basti pensare che quest’anno il Pil cresce di 8 miliardi, le entrate fiscali di 46″. Senza contare che, sul costo del lavoro, il fisco “pesa per il 47,6%. Le imprese italiane ‘bruciano’ in burocrazia 23 miliardi l’anno, pari a 1 punto e mezzo di Pil. Ogni azienda spreca 86 giorni l’anno in pratiche amministrative e soltanto in questa legislatura sono state varate 222 norme fiscali ad alto tasso di complicazione, 1 ogni 6 giorni“. E tra il 2000 e il 2012, segnala ancora Guerrini, la spesa pubblica italiana è aumentata di 250 miliardi, “alla straordinaria velocità di crescita di oltre 2 milioni di euro all’ora“.

Ma ce lo possiamo ancora permettere, chiediamo? Ce lo possiamo ancora permettere in un momento nel quale l’economia reale, quella fatta dalle nostre imprese e dai nostri artigiani, è messa sotto scacco dall’economia delle Borse, capace di bruciare in pochi giorni patrimoni costruiti in anni e che punta a far cadere come le tessere di un domino tutti i Paesi eurodeboli, uno dopo l’altro? Con l’Italia prossima della lista?

Possiamo ancora permetterci di continuare a far crescere la spesa pubblica, fingere di non avere altra soluzione per il risanamento dei conti se non nuove tasse, lasciare nelle mani della Ragioneria Generale dello Stato la gestione di partite chiave come quelle della crescita, ben sapendo che finirà per tutelare gli interessi e fomentare l’ingordigia di quello Stato di cui è parte integrante e solida guardiana?

Possiamo ancora permetterci di non ascoltare il grido delle imprese e degli artigiani quando dicono: “I nostri imprenditori, le persone che noi rappresentiamo e che rappresentano il Paese che combatte ogni giorno per ripartire e riprendere a crescere, dicono che la misura è colma, che dobbiamo reagire con forza alla ‘sindrome del declino’ che sta pervadendo la nostra Italia“?

Sveglia governo! Se lo spread torna a sfiorare i 500 punti e se l’Italia entra in una recessione preoccupante non è colpa della Germania e della sua politica del rigore a senso unico. Primo colpevole è uno Stato che per anni ha finto che tutto andasse bene, mentre la mancata crescita dell’Italia è cominciata ben prima che scoppiasse la crisi; di uno Stato che non ha capito che per uscire dal pantano è lui il primo a dover tagliare tanto, subito e senza guardare in faccia nessuno; di uno Stato che se aumenta le tasse e poi scopre che mancano dei soldi dalle entrate fiscali previste deve capire che, forse, la gente comincia davvero a non avere più soldi per pagarle.

E allora siamo con Guerrini quando dice: “Fiducia: ecco ciò di cui abbiamo più bisogno. L’Italia ce la può fare a riagganciare la ripresa se istituzioni, politica, società, economia condivideranno coraggio e responsabilità. I piccoli imprenditori ce la stanno mettendo tutta“. Sì, siamo con lui. Ma ci sentiamo sempre più soli.