La benzina sale, i benzinai protestano. Ma quali le ragioni?

 

Le file ai distributori di benzina per i maxi sconti del weekend si preparano a diventare l’immagine simbolo di questa estate italiana, soffocata tra crisi, spread, agenzie di rating e poche, pochissime vacanze. Per il prossimo fine settimana, il 4 e 5 agosto, quello in cui si concentrerà molto probabilmente l’esodo vacanziero, i distributori di benzina avevano annunciato una serrata di protesta. 

Protesta revocata in seguito, grazie ad  “accordo raggiunto” tra gestori, governo e aziende petrolifere in un incontro, venerdì scorso, al Ministero dello Sviluppo economico. Anche se il verdetto finale è rimandato al prossimo giovedì, giorno nel quale le parti in causa si incontreranno nuovamente per fare il punto sulle decisione del Decreto Liberalizzazioni.

Ma quali sono le vere ragioni della protesta, sottoscritta dalle maggiori associazioni italiane di categoria, aib-Confesercenti, Fegica-Cisl e Figisc-Anisa Confcommercio?

Infoiva lo ha chiesto a Roberto Di Vincenzo, Presidente di Fegica, per cercare davvero di capire come funziona il mercato del petrolio e quali sono le cause reali della continua giostra dei prezzi del carburante, tra aumenti, sconti e rincari, che grava sulle tasche degli italiani.

Se ne è a lungo parlato sui giornali, ma se dovessimo spiegare in poche parole ai consumatori le ragioni dello sciopero delle pompe di benzina che avevate indetto per il 4 e 5 agosto?
E’ presto detto, evitando inutili tecnicismi. Le compagnie petrolifere intendono approfittare del momento di grave crisi del Paese e di “distrazione” della politica per “regolare i conti” con un’intera categoria che per loro rappresenta un costo e soprattutto l’unico possibile e reale elemento di potenziale concorrenza, se e quando dovessero finalmente tradursi nel concreto i contenuti del recente decreto liberalizzazioni che Governo e Parlamento hanno trasformato in legge. A questo scopo, i petrolieri ricorrono ad ogni mezzo, compreso quello di disattendere e violare apertamente anche le leggi che regolano l’attività del settore, rifiutandosi da anni di rinnovare gli accordi collettivi e tagliando unilateralmente fino al 70% i margini già esigui dei gestori. Mi limito a ricordare che i gestori avrebbero diritto ad un margine che mediamente vale meno di 4 centesimi al litro, vale a dire 1 euro ogni 50 che l’automobilista spende per fare rifornimento: una mancia, insomma.

Nonostante gli avvertimenti del Garante, avete continuato a far valere le vostre ragioni, trovando però una mediazione,  rinunciando in un primo momento, prima della revoca di venerdì, alla serrata del 3 agosto. Perché così tanta resistenza? Quali sono i vostri obiettivi?
Il Garante, lungi dal “bacchettare” i benzinai – come qualcuno ha cercato strumentalmente di far credere – ha tenuto a dire due cose importanti: da una parte, aveva confermato la piena legittimità della proclamazione dello sciopero per sabato 4 e domenica 5; dall’altra, ha spiegato che, nell’ambito delle prerogative della Commissione che prevedono un tentativo di “raffreddamento” delle vertenze, intende convocare i petrolieri e persino arrivare a multarli, se dovesse arrivare alla conclusione che lo sciopero fosse da addebitare alla responsabilità diretta di un loro comportamento fuori delle regole. Una vera rivoluzione rispetto al passato, che restituisce un pizzico di equilibrio rispetto ad un luogo comune , sciopero = disagio, che ormai evita qualsiasi approfondimento circa le ragioni vere e le reali responsabilità che portano a conflitti sociali di tale rilevanza. La pretesa di trasferire forzatamente sulla collettività altri 120.000 disoccupati, come sta cercando di fare l’industria petrolifera italiana, Eni in testa, non può essere accolta senza contrasto. E questo è il nostro primo obiettivo.

Quali sono le conseguenze delle sempre più competitive campagne sconto del weekend sul singolo gestore di una pompa di benzina?
La prima è il taglio, come già detto, del suo margine: le compagnie impongono ai gestori di rinunciare fino al 70% di quanto dovrebbero avere, se non vogliono essere tagliati fuori dalle “promozioni”. La seconda è vedere concentrate le vendite della settimana solo nei weekend: il totale dei volumi venduti continua a contrarsi, a causa della crisi e dei continui rialzi dei prezzi dei carburanti decisi dalle compagnie, ma trasferire le vendite nel fine settimana significa ridurre sensibilmente il ricavo unitario del gestore, a vantaggio delle aziende. La terza è rappresentata dalla sostituzione forzata di chi lavora sull’impianto (ad un costo ridicolo per il “sistema”) con la macchinetta del self: le compagnie, dopo aver alzato i prezzi, dicono di praticare gli “sconti” solo alla macchinetta del self, di fatto costringendo i consumatori a servirsi con quell’unica modalità di vendita e creando le condizioni per mandare a casa i lavoratori. Un effetto che si consoliderà soprattutto a settembre, dopo la fine delle iniziative di sconto.

Quali sono le ripercussioni delle campagne aggressive praticate dalle grande compagnie petrolifere sulle più piccole e le pompe no logo?
Sono volate parole grosse in queste settimane: dumping, comportamento predatorio, abuso di posizione dominante. Tutte accuse -lanciate dalle compagnie più piccole, dai retisti indipendenti e dalle stesse pompe bianche all’Eni- almeno credibili e, con ogni probabilità, fondate. Quando un mercato non è dominato, ma letteralmente governato da un unico soggetto -l’Eni- peraltro controllato dallo Stato, con il quale intrattiene innumerevoli occasioni di “scambio” (compresi i contratti all’estero per ragioni geopolitiche) e che gli garantisce il monopolio di mercati ricchissimi (il gas), queste sono conseguenze da mettere in conto. D’altra parte, finché il “leader del mercato” se la prendeva solo con i gestori o i consumatori alzando continuamente i prezzi, tutti gli altri soggetti hanno largamente beneficiato del “sistema Eni”. Ma quando si accetta supinamente che un sistema si muova non in funzione di regole oggettive e uguali per tutti, ma della “liberalità del principe”, si rischia di avere un pizzico meno di credibilità nel denunciare le storture. In ogni caso, benvenuti ai ritardatari.

Scontoni nel weekend e repentini rialzi dei prezzi del carburante in settimana. E’ un po’ come se gli italiani alla fine ‘pagassero’ il proprio sconto?
E’ la triste verità che abbiamo denunciato – allora da soli, oggi potendo contare su qualche “alleato” in più – fin dalla conferenza stampa di Scaroni di presentazione di “Riparti con Eni”. In realtà, il nostro Paese, la collettività, oltreché ciascun singolo cittadino e consumatore, si è già pagato, in anticipo e in mille modi diversi, molto più del valore degli “sconti” di questi weekend. Solo nei primi 3 mesi di quest’anno, le compagnie hanno rialzato 34 volte consecutivamente i prezzi dei carburanti: una volta ogni tre giorni! Il fatto è che siamo nelle mani di pochi soggetti che controllano indisturbati il rubinetto del prezzo dei carburanti, a cui viene consentito di mettere in fila gli italiani alle macchinette del self nei fine settimana -come se stessimo in tempo di guerra, con la tessera del razionamento del pane in mano- facendogli credere di dare loro un vantaggio. Ma la verità è che, se fosse applicato quello che nel decreto liberalizzazioni è solo appena abbozzato, vale a dire se fosse data ai gestori la possibilità di svincolarsi dalle compagnie e di rifornirsi sul libero mercato, gli automobilisti avrebbero immediatamente, su tutti gli impianti, anche sotto casa, tutti i giorni e senza rinunciare al servizio e all’assistenza, un prezzo stabilmente più basso di almeno 10 centesimi.

Esiste un tetto massimo al rialzo dei prezzi del carburante? Lo Stato come interviene in tal senso?
Il regime di “libero mercato” non consente l’imposizione di un tetto massimo alla fissazione dei prezzi. E quindi lo Stato non ha alcuno strumento di intervento diretto sul fenomeno. Può (e dovrebbe) dotare il sistema di regole certe che consentano di ottenere un mercato meno ingessato dalla prepotenza di pochi soggetti e quindi maggiore concorrenza, efficienza e prezzi più contenuti. Ad ogni modo, la nostra categoria, fin dal 2002, ha ottenuti accordi (gli stessi che le compagnie petrolifere non voglio rispettare e rinnovare) che impongono negozialmente un prezzo massimo di rivendita al pubblico. Un esempio virtuoso di contrattazione a cui non è stato dato particolare rilievo dall’informazione e che perciò viene ora aggirato dai petrolieri senza nessuno scandalo.

Veniamo alla questione dei “platts”, quotazione fissata virtualmente dalle agenzie internazionali di rating. Quanto incide sul prezzo finale del carburante?
Al 16 luglio scorso la famigerata quotazione platts, cioè il valore convenzionale dei carburanti finiti, era 0,601 euro al litro per la benzina -il 34,20% sul prezzo medio al pubblico- , e a quota 0,650 euro al litro per il gasolio  -il 39,44% sul prezzo medio al pubblico. Come si evince, se non ci fossero imposizioni fiscali sensibilmente differenti per ragioni politiche, la benzina costerebbe molto meno del gasolio. Ciò detto, però, quel che agli italiani andrebbe detto è che dietro la quotazione platts viene impunemente nascosta la vera e ingentissima rendita dei petrolieri. Mentre la rivista Forbes inserisce ben 8 compagnie petrolifere tra le 10 aziende più ricche del mondo, i petrolieri nostrani denunciano margini industriali da fame e ridicoli: il 5,06% sul prezzo della benzina e addirittura il 3,76% sul gasolio. Ci si può credere? La verità è che i loro veri margini sono proprio dentro la quotazione platts che fissano “virtualmente” loro stessi (sono tutti soci della rivista del gruppo Standard&Poors che fissa la quotazione) e che non un solo litro di carburante viene “scambiato” al prezzo platts. D’altra parte, è assolutamente incontrovertibile che, ancora oggi, il costo (tutto compreso) di estrazione del greggio varia tra i 2 e i 10 dollari al massimo al barile, mentre la quotazione sui mercati internazionali è stabilmente sopra i 100 dollari: nelle tasche di chi va la differenza?

Accise e Iva quanto pesano sul prezzo finale del carburante? Cosa potrebbe fare lo Stato Italiano per andare incontro ai consumatori?
Sempre al 16 luglio, le tasse pesano il 58,57% sul prezzo della benzina ed il 54,56% su quello del gasolio. Non c’è dubbio che sia una imposizione pesantissima e particolarmente odiosa perché pesa indiscriminatamente su tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito, e perché incide su un bene divenuto ormai essenziale alla vita quo diana di ciascuno. Allo stesso modo, va rilevato che questa imposizione concorre a “finanziare” una parte consistente della cosiddetta “spesa pubblica corrente” e che, se non fosse caricata sui carburanti, la collettività se la vedrebbe trasferita altrove. Fatte queste premesse, quel che appare davvero iniquo è che il Governo italiano, qualunque Governo, non trovi di meglio da fare che aumentare le accise dei carburanti, ogni qual volta abbia la necessità di “fare cassa”. Adoperare un intero settore produttivo e un prodotto essenziale come i carburanti alla stessa stregua di un bancomat, non è serio, oltreché profondamente ingiusto. Anche perché -nell’indifferenza della politica e nonostante lo “scontone”- i consumi continuano a far registrare un -8% abbondante nel primo semestre dell’anno.

La percezione è che ci sia una gran confusione tra i consumatori nel distinguere fra benzinai, petrolieri e compagnie petrolifere. Se volessimo fare un po’ di chiarezza?
Non c’è dubbio che, per tanto tempo, nella percezione comune si è fatto fatica a separare la “posizione” dei gestori da quella delle compagnie petrolifere. Un po’ come se si potesse ritenere che un banchiere e un bancario abbiano il medesimo grado di interesse nell’affare della banca. Una confusione di ruoli che comunque ha consentito proprio alle compagnie di defilarsi e di dissimulare le proprie responsabilità. Per un automobilista, del prezzo alto dei carburanti, è senz’altro più semplice incolpare il benzinaio che sembra sfilargli direttamente i soldi dal portafoglio. Oggi le cose sono un po’ diverse, c’è maggiore consapevolezza e affiora non raramente un certo spirito solidale tra consumatore e gestore, accumunati da uno stesso destino: essere vittima della lobby potente del petrolio.

Alessia CASIRAGHI

Istat: aumenta l’inflazione

L’inflazione schizza in alto: secondo le stime preliminari dell’Istat il tasso d’inflazione medio annuo per il 2011 è pari al 2,8%, in sensibile accelerazione rispetto all’1,5% del 2010. Si tratta del valore medio annuo più alto dal 2008, quando raggiunse + 3,3%.

L’inflazione registra nel mese di dicembre un aumento dello 0,4% rispetto al mese di novembre e un aumento del 3,3% rispetto a dicembre 2010, lo stesso valore annuo registrato a novembre.

A dicembre, spiega ancora l’Istat, si registrano forti rialzi congiunturali dei prezzi di tutti i carburanti: la benzina aumenta dell’1,9% su novembre, mentre il relativo tasso di crescita tendenziale scende al 15,8% (dal 16,6% di novembre). Il prezzo del gasolio per mezzi di trasporto segna, inoltre, un rialzo congiunturale del 5,6% e cresce su base annua del 24,3% (dal 21,1% di novembre): si tratta dell’aumento tendenziale maggiore dal luglio del 2008.

In calo, invece, il tasso di inflazione annuo della zona dell’euro nel mese di dicembre: si è attestato al 2,8%, rispetto al 3% di novembre secondo le stime flash di Eurostat.

Fonte: Confesercenti.it

Per il Presidente dell’Eni pagare cara la benzina ha effetti positivi

Secondo l’amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni, il caro benzina “non è solo uno svantaggio”, a ben guardare infatti rappresenterebbe un vantaggio su più fronti, primo tra tutti l’effetto positivo sull’ambiente e secondo in termini di risparmio “di una materia prima come il petrolio che un bel giorno finirà“.

Scaroni sostiene che “In Europa i carburanti sono tassati dal dopoguerra“. Come risultato un cittadino europeo più attento al risparmio di uno statunitense brucia ogni anno 11 barili di petrolio, contro 26 dei cittadini oltreoceano (dove non ci sono accise sui carburanti).

Secondo l’amministratore delegato di Eni, 80 dollari al barile potrebbero rappresentare una cifra ragionevole per permettere una giusta crescita economica, e garantire una buona competitività. Scaroni prosegue con le spiegazioni sugli aumenti (fino a 120 dollari il barile): l’aumento globale del consumo di petrolio (in particolare  paesi asiatici), il venir meno di qualche produzione (come in Libia), la speculazione di chi “vive le crisi internazionali come un’opportunità per rialzare i prezzi“.

Mirko Zago

Prezzi dei carburanti ancora in salita

Cattive notizie per la situazione dei prezzi dei carburanti: nei prossimi giorni fare il pieno di benzina tornerà a costare di più. Dopo giorni di tregua i prezzi, a causa della crisi libica, torneranno a salire nell’ordine di +1- 1,5 centesimi al litro. Ecco il commento di Luca Squeri presidente della Figisc Confcommercio sui dati dell’osservatorio sui prezzi dei carburanti: “Le quotazioni del greggio Brent sono arrivate ai 117 dollari/barile, la chiusura delle sessione del Platt’s di giovedi’ 31 ha fatto registrare movimentazioni in aumento nell’ordine di 1,0-1,5 centesimi/litro a seconda dei prodotti. Per i prossimi giorni l’aspettativa è che i prezzi aumentino nell’ordine di 1,0-1,5 centesimi/litro“.

Rispetto all’andamento internazionale il prezzo Italia e’ aumentato di +0,003 euro/litro per la benzina, ed e’ rimasto assolutamente stabile per il gasolio. Lo scarto tra variazioni internazionali e variazioni nazionali e’, dunque, per questa settimana pari a -0,005 euro/litro per la benzina, importo, cioè, che non è stato scaricato sul prezzo alla pompa, ed e’ pari a +0,010euro/litro per il gasolio, importo, cioè, che è stato scaricato in più sul prezzo alla pompa“.

Per gli automobilisti quindi non rimane che sperare in aumenti non troppo eccessivi, ridurre l’utilizzo dell’auto o rifornirsi ai cosiddetti distributori bianchi, quelle pompe di benzina di marchi non pubblicizzati che solitamente riscono ad abbattere leggermente il prezzo finale.

M. Z.