Alitalia, la grande paura

 

Fino a qualche giorno fa la partita sembrava già chiusa, ma nelle ultime ore il passaggio di Alitalia nelle mani di Etihad Airways, la compagnia aerea di bandiera degli Emirati Arabi Uniti che ha sede ad Abu Dhabi, si è tremendamente complicata. Senza le necessarie garanzie sui fondi per la messa in sicurezza, «le parti non saranno nella posizione di concludere la transazione» si legge nelle mail ricevute dall’ad Gabriele Del Torchio e dal presidente Roberto Colaninno ieri.

«Una decisione finale sul contenzioso con Toto, la conferma di un accordo finale con i sindacati, la conferma di via libera preliminare della Ue relativamente agli aiuti di Stato o altrimenti che la Nuova Alitalia sarà garantita contro ogni reclamo» sono questi i punti fondamentali su cui James Hogan, ad della compagnia di Abu Dhabi, attende ancora risposte convincenti.

Gli accordi preliminari prevedevano una firma il 31 luglio, ma la ratifica, salvo sorprese dell’ultimissimo minuto, slitterà alle prime settimane di agosto. «Si sta giocando con il fuoco, che il tempo sia scaduto è noto a tutti e da tempo. E’ indispensabile che ci sia in questa ultima settimana una accelerazione che non è più evitabile – ha dichiarato Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Atlantia e socio al 7,44% di Alitalia -. I problemi sono a vario livello, ma devono essere risolti ad horas».

Nei giorni scorsi, giusto per non farsi mancare nulla, Poste Italiane non ha sottoscritto l’aumento di capitale da 250 milioni deciso da Alitalia per far fronte ai contenziosi e ai debiti pregressi: «Abbiamo lavorato nelle ultime settimane, sempre con grande spirito di collaborazione, per trovare una soluzione che sia in linea e soddisfi le logiche industriali, ma il tempo stringe» si legge in una nota ufficiale della società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia.

Il tempo per le trattative è agli sgoccioli… Così come la pazienza dei manager emiratini.

JM

Fallimenti e privatizzazioni, lo Stato ci prova…

Nel corso di questa nostra settimana dedicate alle imprese italiane in crisi e all’uso distorto delle procedure prefallimentari, abbiamo cercato di delineare meglio una situazione sempre più caotica e in alcuni casi drammatica. Abbiamo appurato come il ricorso al concordato preventivo sia spesso una scorciatoia per non rispettare gli impegni presi, soprattutto se non si raggiunge una percentuale di soddisfacimento dei creditori almeno del 25- 30%, ma come spesso accade il reale problema è la capacità di prevedere il futuro dell’azienda che accede al concordato e capirne il vero valore sul mercato.

Per evitare il drammatico fallimento di aziende storiche italiane, creature e proprietà dello Stato, negli ultimi anni la tendenza è stata quella di privatizzare quelle in oggettiva e irrimediabile difficoltà economica, ma in pochi casi l’imprenditoria nazionale ha saputo cogliere l’opportunità immensa del trasferimento di centinaia di imprese dalla proprietà pubblica alla mano privata. Inutile ricordare come gli affari migliori negli scorsi anni furono realizzati dalla famiglia Benetton, che in tre diverse tornate si aggiudicò Autostrade, Autogrill e Gs.

In questi giorni sul tavolo del consiglio dei ministri sono in ballo privatizzazioni per ben 12 miliardi di euro, partendo dalle cessioni di quote minoritarie di Cdp Reti, Stm, Enav, Fincantieri e successivamente anche del 3% dell’Eni (che da sola porterà 2 miliardi), che in parte andrebbero per la ricapitalizzazione della Cassa depositi e prestiti e alla riduzione del debito pubblico nel 2014. “Contiamo che tutto ciò possa possa dare risultati in tempi brevi, ma abbiamo intenzione di privatizzare anche altri soggetti per i quali sarà necessaria un’istruttoria di più lunga durata” ha dichiarato ieri il premier Letta. Ma la partita rimane complicatissima, trovare un compratore, che sia possibilmente quello giusto, non sembra propriamente un gioco da ragazzi…

Jacopo MARCHESANO