L’Italia importa prodotti alimentari da 140 Paesi

Quando si tratta di etichettatura alimentare, al fine di salvaguardare i prodotti venduti, occorrerebbe indicare sempre lo stabilimento di produzione, non solo perché è un dovere fornire informazioni sugli alimenti messi sul mercato, conformemente alla normativa europea emanata a garanzia della corretta e completa informazione al consumatore e della rintracciabilità dell’alimento da parte degli organi di controllo, ma anche a tutela della salute.
Inoltre, con l’aumento e la globalizzazione dei flussi di prodotti alimentari sui vari mercati, questa indicazione diventa ancora più rilevante.

A testimonianza di questo incremento, i dati che riguardano gli ultimi dodici mesi: da giugno 2016 a maggio 2017 l’import di prodotti per alimentazione umana è pari a 25.687 milioni di euro, pari all’1,5% del PIL.

L’Italia, nel dettaglio, importa prodotti da ben 140 Paesi, con una predilezione per Pesce, crostacei e molluschi lavorati e conservati da 91 Paesi, Carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne da 85 Paesi, Frutta e ortaggi lavorati e conservati da 84 Paesi, Oli e grassi vegetali e animali da 77 Paesi, Prodotti della lavorazione di granaglie, amidi e prodotti amidacei da 73 Paesi, Prodotti da forno e farinacei da 65 Paesi, Prodotti delle industrie lattiero-casearie da 36 Paesi.

Un quarto dell’import, il 25,4%, relativamente ai primi cinque mesi dell’anno, proviene da Paesi extra UE. In particolare la quota di import da Paesi extra UE per Pesce, crostacei e molluschi lavorati e conservati sale al 51,1%, per Oli e grassi vegetali e animali al 44,7% e per Frutta e ortaggi lavorati e conservati al 28,0%; quote più contenute per Prodotti della lavorazione di granaglie, amidi e prodotti amidacei con il 19,8%, Altri prodotti alimentari con il 16,2% e Carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne con l’11,3%, Prodotti da forno e farinacei con il 2,8% e Prodotti delle industrie lattiero-casearie con l’1,8%.

Vera MORETTI

Produzioni certificate: l’Italia è prima

Non ha eguali in Europa la crescita delle produzioni certificate che si registra in Italia, che rimane ben salda in testa a questa speciale classifica.

Rivela Istat che, rispetto alle 248 certificazioni rilevate al dicembre 2012, il Belpaese ne ha guadagnate altre 7, arrivando così a 255 denominazioni tra Dop, Igp e Stg.
L’eccellenza agroalimentare Made in Italy non teme rivali, poiché Francia e Spagna, anch’esse sul podio, sono molto lontane: i cugini d’oltralpe, infatti, sono fermi a 197 riconoscimenti, mentre gli iberici sono a quota 162.

Pensando alla crisi economica che sta interessando l’Italia, il segmento dei prodotti italiani certificati è fondamentale per rimanere a galla, e vanta un fatturato al consumo di 12 miliardi nel 2012, di cui un terzo legato alle esportazioni.

Nonostante i numeri siano più che incoraggianti, i margini di miglioramento ci sono: se, infatti, si potenziassero gli strumenti di promozione e di marketing si potrebbero portare alla luce altre Dop e Igp ancora sconosciute e intensificare la lotta alla contraffazione.

Ad oggi, infatti, il 97% del fatturato del comparto è appannaggio di venti prodotti, ovvero quelli più conosciuti, come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Aceto Balsamico di Modena, Mela Alto Adige, Prosciutto di Parma, Pecorino Romano, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana, Speck Alto Adige, Prosciutto San Daniele, Mela Val di Non, Toscano, Mortadella Bologna, Bresaola della Valtellina Igp e Taleggio.

Per questo, la Cia, Confederazione italiana agricoltori, sostiene che “ora bisogna lavorare per sviluppare le tante certificazioni meno conosciute ma suscettibili di forte crescita; e farlo organizzando le filiere, incrementando i Consorzi partecipati da tutte le componenti produttive, rafforzando le politiche di promozione in primis sulle vetrine internazionali“.

Tolleranza zero, infine, per gli imitatori dei nostri prodotti di punta, che compromettono il prestigio del sistema alimentare italiano, sia dentro, sia fuori dai confini nazionali: “Solo in Italia la contraffazione alimentare fattura più di un miliardo di euro, con 10 milioni di chili di cibi “tarocchi” sequestrati soltanto nel 2012. Per non parlare dei danni ancora maggiori provocati dall’Italian sounding nel mondo, un business illegale che “vale” 60 miliardi di euro l’anno“.

Vera MORETTI

L’Italia del gusto verso la Russia

L’Oriente rappresenta ormai la meta preferita del Made in Italy, poiché, in tempi di crisi, sono i mercati emergenti a dare le maggiori soddisfazioni e le uniche opportunità di guadagno ed espansione.

Per questo GEA, Società di Direzione Aziendale, e Italia del Gusto hanno deciso di puntare, dopo la conquista del mercato cinese, verso la Russia.
A conferma di ciò, si chiama Russia Business Incubator il secondo appuntamento fra le Aziende italiane del settore food e i principali referenti commerciali del Paese, che si terrà nella Sala dei 300 delle Fiere di Parma oggi, 5 giugno, e domani.

Due giornate molto intense vedranno insieme Italia del Gusto, il consorzio privato che include le migliori aziende italiane nel settore alimentare e vinicolo, e GEA Consulenti di Direzione, società che fin dalla fondazione del consorzio ne cura le attività di sviluppo strategico e commerciale, e già si prevede un grosso successo.

Luigi Consiglio, presidente di GEA, ha dichiarato: “Lo scorso luglio abbiamo lanciato questa formula innovativa del Country Business Incubator, una manifestazione dal profilo concreto e funzionale riguardo allo sviluppo del business nel Paese oggetto: una sorta di Fiera al contrario, dove non sono le Aziende che si presentano alla ricerca di Clienti ma sono gli importatori e i distributori del Paese che si propongono come partner commerciali. A meno di un anno dalla nascita del Business Incubator, siamo già al secondo appuntamento e oggi il progetto punta al mercato russo”.

All’evento partecipano operatori commerciali ed istituzionali russi, che potranno incontrare le aziende italiane del settore aderenti all’associazione Italia del Gusto, per instaurare partnership commerciali importanti.

Continua Consiglio: “La Russia oggi è forse l’unico Paese dei BRIC che rappresenta un mercato veramente concreto e non solo un’ipotesi futura per il segmento food italiano. Il valore delle nostre esportazioni di prodotti agroalimentari in Russia supera i 620 milioni di euro, e rappresenta quasi il doppio del valore delle esportazioni italiane in Cina. Non solo: le vendite del food made in Italy in Russia lo scorso anno hanno registrato un incremento del 7%. Il Business Incubator di quest’anno sarà dedicato a due aspetti peculiari del mercato: le numerose sfaccettature che questo presenta ed il ruolo delle operazioni straordinarie come modalità di ingresso sul mercato. I consumer insights in nostro possesso mostrano infatti come il mercato russo rispecchi la realtà di un Paese articolato e complesso, dove approcci di marketing anche non convenzionali, mirati a target precisi, ottengono risultati significativi, spesso con investimenti limitati”.

L’interesse per questo Paese è dovuto anche al suo mercato, particolarmente dinamico, tanto che, nel 2011, ha segnato un volume d’affari stimato intorno ai 311,5-340 miliardi di dollari e si prevede che raggiunga i 338-355 miliardi di dollari nel 2012.

Dopo un calo nel 2009, le importazioni sono di nuovo in aumento, pari a 39 miliardi di dollari (+16% rispetto al 2010) nel 2011 e nei primi otto mesi del 2012 hanno raggiunto circa 25 miliardi di dollari.
Sono andate molto bene anche le esportazioni italiane in Russia, che nel 2012 sono state pari a 10 miliardi di Euro, il 7,5% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il 2012 ha segnato il successo dei prodotti di agricoltura, pesca e silvicoltura, tanto da raggiungere un’esportazione pari a oltre 116 milioni di Euro (+11,6% rispetto al 2011). L‘esportazione dei prodotti alimentari in generale è stata pari a 354 milioni di Euro con un’incidenza del 3 5% sul totale export e un aumento rispetto al 2011 del 13,5%. L’esportazione di bevande ha subito invece una flessione del 9% con un totale di esportazione pari a circa 150 milioni di Euro.

Ma qual è il prodotto italiano più importato dai russi? Ad oggi, si conferma leader del mercato il vino fermo, tallonato però dallo spumante, che ha ormai superato di gran lunga quello francese, incidendo per oltre il 62% del totale delle esportazioni di questo prodotto verso la Russia.

L’Italia è protagonista anche quando si tratta di pasta e dal caffè tostato e un buon successo commerciale è inoltre riscontrato dall’olio di oliva, in cui siamo secondi dopo la Spagna.

Il vino regna anche nella fascia superiore, grazie ad una domanda sempre crescente di vino di qualità, che ha portato all’apertura di molti negozi specializzati, vere e proprie boutique del vino con un vasto assortimento di bottiglie di alta qualità.

Negli ultimi due anni ci sono stati significativi incrementi a valore delle esportazioni di frutta e verdura (33%), cacao (30%), derivati del latte (20%), pasta (14%), carne (11%), te e caffè (11%), olio (6%) e di bevande fermentate non distillate (6%).

A questo proposito, ha ancora dichiarato Luigi Consiglio: “Per incrementare l’export alimentare italiano, lo stimolo principale è quello di comprendere le ‘mille Russie’: il Paese infatti è enorme (conta ben 12 fusi orari), molto popolato, con tradizioni epopoli diversissimi. E’ inoltre un Paese con un mercato in crescita, in cui i posizionamenti praticabili (ovvero i cluster di clienti) sono molti, almeno 2-3 diversi per ogni azienda. Un altro stimolo importante è rappresentato invece dall’incrocio prodotti/canali: a Parma saranno presenti un numero consistente di retailer e di distributori che consentono di coprire tutte le opportunità. Canali diversi (retail, ma anche hotel e ristoranti) e prodotti diversi, dagli alimentari al vino, dal fresco all’ambiente”.

Vera MORETTI

Niente crisi per il vino

di Vera MORETTI

La crisi non passa dal vino: dopo un 2010 brillante, con esportazioni dei vini italiani che avevano portato ad un fatturato di 3,7 miliardi di euro, per un incremento del 9% rispetto all’anno precedente, anche il 2011 ha registrato risultati positivi, con un fatturato che si è assestato a 4 miliardi di euro e un ulteriore +14%.

I dati resi noti da Coldiretti, dunque, confermano che il vino rappresenta un vero e proprio traino per l’economia italiana, nonché un fiore all’occhiello del Made in Italy.

Si beve italiano soprattutto in Europa, meta dell’oltre 50% delle esportazioni, e se consideriamo la spietata concorrenza dei vini francesi, va da sé che si tratta di un risultato più che egregio.
I maggiori estimatori dei sapori italiani, anche quando si tratta di brindare, sono i tedeschi, in realtà dei veri aficionados di tutto ciò che arriva dal Belpaese.

A contribuire a queste annate positive c’è anche la Cina, che quest’anno, con un sorprendente +102%, è stata la vera protagonista del mercato, insieme alla Russia, la quale mantiene le sue richieste in costante crescita.

A “tenere banco” sono soprattutto i vini DOC, che rappresentano il 60% del totale, segno che il marchio di origine controllata viene preteso dalla maggioranza della nostra clientela estera. Per evitare cattiva pubblicità, nonché perdita di credibilità dei prodotti italiani, è sicuramente la condotta più giusta.

Allarme etichette bugiarde

Tre cartoni su quattro di latte Uht presenti nei nostri supermercati sono di importazione; la maggior parte dei prosciutti – due su tre – sono prodotti con cosce di animali di importazione, ad esclusione di quelli a denominazione di origine; metà delle nostre mozzarelle e dei nostri formaggi, non a denominazione di origine, non sono prodotti in Italia ed un terzo della nostra pasta, venduta nel nostro Paese, è fatta con grano saraceno. Eppure tutti vengono venduti come prodotti italiani. Sono solo alcuni esempi che danno un’idea di quanto sia esteso nel settore agroalimentare italiano – un settore d’oro, ricorda la Coldiretti, che in valore assoluto produce nel nostro paese circa 150 miliardi di euro di fatturato – il fenomeno della contraffazione.

I risultati emergono dal lavoro d’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, che ha approvato una relazione specifica sui reati nel settore agroalimentare, in questi giorni al vaglio dell’Aula di Montecitorio. Perchè dell’argomento se ne occupi il Parlamento con una commissione ad hoc è presto detto: i danni provocati da questo tipo di reati sono ingenti, per i produttori e per i consumatori. Nell’ultimo triennio – e a parlare chiaramente sono sempre i numeri – i reparti della Guardia di Finanza hanno sottoposto a sequestro oltre 3.700 tonnellate di merci e quasi 6 milioni e mezzo di litri di prodotti alimentari contraffatti o comunque recanti un’etichettatura ingannevole sull’origine o sulla qualità del prodotto. “Naturalmente si tratta non di prodotti di alta qualità – si precisa nella relazione del Parlamento -, ma comunque destinati ai nostri supermercati senza alcuna indicazione riferita all’origine o che ne caratterizzi la qualità”.

La cronaca, ancora meglio dei numeri, racconta la reale portata del fenomeno. A Salerno, ad esempio, sono stati sequestrati quasi 100 mila litri di olio destinati al mercato italiano e a quelli statunitense e canadese. Le bottiglie riportavano un’etichetta doppiamente ‘bugiarda’: non si trattava di olio extravergine di oliva nè, soprattutto, di olio italiano bensì spagnolo. Dell’immagine italiana si abusa anche quando si parla di formaggi: a giugno a Taranto sono state sequestrate oltre 24 tonnellate di formaggio proveniente da Amburgo e destianato al mercato libico, che riportava sull’etichetta la denominazione ‘mozzarella’, con il tricolore italiano e altri segni distintivi nazionali come gli scavi di Pompei. Contraffazioni a go go anche per i pomodori, specie per i San Marzano.

“Si tratta di un settore che merita particolare attenzione – fanno notare i commissari nella loro relazione – perché alcune statistiche indicano come l’importazione di pomodoro di origine extra Unione europea sia incrementata nell’ultimo anno del 187 per cento, con la conseguente possibilità di un crescente utilizzo fraudolento dell’alimento in produzioni dichiarate nazionali”. Non va meglio nel settore vinicolo, dove la contraffazione non ha risparmiato nemmeno vini di qualità come il Sassicaia e l’Amarone della Val Policella Docg. Dal 2007 al 2009 le bottiglie di finto Amarone vendute sono state circa 1.200.000, per un guadagno illecito di circa 2.500.000 euro.

Fonte: agenparl.it