BCE aumenta nuovamente il costo del denaro: imprese e famiglie con problemi di liquidità

La Banca Centrale Europea ha comunicato il nuovo aumento del costo del denaro, ora sarà al 2,5%. Ecco cosa succederà e quali difficoltà potrebbero incontrare imprese e famiglie.

La BCE sceglie la strada del quarto aumento del costo del denaro in pochi mesi

Dal mese di luglio 2022 la BCE ha invertito la rotta della politica monetaria e ha deciso fermare il Quantitative Easing e di aumentare il costo del denaro più volte. Il primo rialzo è stato proprio a luglio ed è stato dello 0,5%, il secondo il 14 settembre ed è stato dello 0,75%, il terzo aumento di novembre è arrivato allo 0,75%. Si è quindi giunti al 2% che ha portato reazioni a catena su tutti i prodotti finanziari, ad esempio mutui e prestiti.

Dal mese di luglio ad oggi le rate dei mutui variabili sono aumentate in media di 180 euro e non è andata molto meglio a chi ha stipulato in questi mesi un mutuo a tasso fisso. Sebbene nuovi aumenti fossero già stati annunciati la maggior parte delle persone riteneva che gli stessi sarebbero ripartiti nel 2023, invece oggi a sorpresa la decisione della BCE di aumentare il costo del denaro di altri 0,50 punti percentuali portandolo così al 2,5%.

Cosa cambia per famiglie e imprese?

Avere il costo del denaro al 2,5% implica che le banche per avere liquidità da concedere devono scontare proprio tale prezzo ed è ovvio che quindi siano costrette ad offrire i loro prodotti a tassi più alti del 2,5%. Naturalmente i tassi di interessi proposti ai clienti finali (imprese e famiglie) sono calcolati  anche in base al rischio connesso al singolo finanziamento ecco perchéi prestiti al consumo, utilizzati ad esempio per acquistare l’auto rischiano di sfiorare il Taeg del 10%.

Di fatto questo ulteriore aumento rappresenta un grosso freno per l’economia e l’intento della BCE è proprio questo, cioè inibire i consumi e quindi la domanda, in questo modo è possibile tenere sotto controllo i prezzi dei prodotti e di riflesso l’inflazione. La BCE non è stato l’unica ad avere aumentato il costo del denaro, infatti l’impressione è che siano stati concordati i tempi tra le varie banche centrali: la Federal Reserve Statunitense ha portato il costo del denaro ad una forbice compresa tra 4,25- 4.5% e ha annunciato ulteriori aumenti nei prossimi mesi; sempre il 15 dicembre la Bank Of England ha stabilito un rialzo dello 0,5% portando così i tassi inglesi al 3,5%.

Un costo del denaro così elevato non si registrava dal 2008, inoltre non sono affatto esclusi nuovi aumenti.

Lagarde conferma: lo scudo antispread ci sarà. Effetti per imprese e famiglie

Al Forum annuale della Banca Centrale Europea Christine Lagarde, presisente della BCE, ha confermato: lo scudo antispread ci sarà per proteggere i Paesi maggiormente esposti al rischio di uno spread elevato.

Lagarde conferma: lo scudo antispread proteggerà i Paesi esposti

Il rialzo del costo del denaro, e quindi dei tassi di interesse generalmente applicati, è ormai una certezza. Prenderà il via tra pochi giorni, ma la Presidente della Banca Centrale Europea ci tiene a ribadire che non ci saranno rischi per i Paesi, come l’Italia, che hanno un elevato debito pubblico e che quindi rischiano un rialzo dello spread. La BCE ,al fine di contrastare un’esplosione nei differenziali di rendimento, adotterà anche misure flessibili per il reinvestimento di titoli in scadenza in obbligazioni dei Paesi maggiormente esposti. Le obbligazioni sono un modo per aumentare la liquidità dei Paesi e quindi si tratta di una sorta di quantitative easing mirato a tutela solo di specifiche situazioni a rischio.

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Parola d’ordine: contenere l’inflazione

Lagarde nelle dichiarazioni rilasciate all’apertura del Forum annuale della Banca Centrale Europea ha sottolineato che in questo momento la sfida più importante è contenere nei limiti l’inflazione. Secondo le previsioni per qualche tempo l’inflazione continuerà a viaggiare a ritmi sostenuti, per poi ricominciare una lenta discesa. I primi risultati dovrebbero esservi già alla fine del 2022 con un rallentamento della corsa.

Le tappe previste per il rialzo dei tassi di interesse sono già fissate, un primo rialzo di sarà a luglio 2022, mentre a settembre sarà presentato un percorso a tappe con ulteriori rialzi del costo del denaro. Lagarde ha dichiarato che il processo di normalizzazione della politica monetaria continuerà a ritmo sostenuto. Vista l’incertezza del periodo storico che tutti stiamo affrontando, non si può definire ex ante il ritmo con cui tale processo sarà portato avanti. Lo stesso sarà quindi caratterizzato da gradualità e opzionalità. Insomma si tratterà di una procedura abbastanza flessibile da consentire interventi costanti in caso di bisogno.

Ricordiamo che per 11 anni la politica monetaria europea è stata “pilotata o manipolata” attraverso misure volte a contenere il costo del denaro, aumentare la liquidità disponibile e di conseguenza favorire gli investimenti. Si tratta di politiche espansive applicate quando c’è necessità di crescita. Parlare di normalizzazione della politica monetaria vuol dire lasciare che la stessa segua le “naturali” leggi del mercato.

Come inciderà sulle famiglie e sulle imprese il rialzo dei tassi di interesse?

Naturalmente queste decisioni avranno riflessi nella vita quotidiana dei cittadini. In primo luogo con un sicuro aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti, si prevedono quindi maggiori difficoltà per famiglie e imprese che vogliono fare degli acquisti o degli investimenti importanti. Non solo, perché il rialzo dei tassi di interesse avrà effetti anche sui piccoli prestiti. Maggiori vantaggi vi sono invece per coloro che hanno dei risparmi da investire perché potranno avere rendimenti maggiori.

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Ricordiamo che il Forum della BCE si tiene in Portogallo, a Sintra e continuerà fino al 29 giugno 2022.

Boom richieste BTP Italia: l’inflazione non frena gli italiani che investono

I BTP Italia sono un successo e contro ogni aspettativa gli italiani investono: la povertà e l’inflazione non toccano tutti e questa è la dimostrazione tangibile.

Gli italiani continuano a dimostrarsi ottimi risparmiatori

Gli italiani sono un popolo di risparmiatori e a confermarlo sono i dati inerenti i capitali presenti nelle varie forme di risparmio, come il conto corrente, libretti di risparmio, ma anche altre forme di investimento tra cui quelle immobiliari. Sembra che questa tendenza sia stata poco lesa dalla lunga crisi economica iniziata nel 2008, proseguita per anni per poi tramutarsi in crisi Covid e, infine, in crisi Ucraina con prezzi alle stelle e inflazione galoppante.

Secondo gli ultimi dati rilevati da Bankitalia gli italiani nei soli conti corrente hanno accumulato oltre 10.000 miliardi di euro. Una somma non da poco e a confermare questi dati, che sono ufficiali, c’è anche la richiesta boom del BTP Italia. Naturalmente la ricchezza non è equamente distribuita, ma questo avviene in tutte le economie anche se in misura in parte differente.

Perché gli italiani investono in Btp Italia?

Il successo del BTP Italia non è un caso, infatti dopo anni in cui coloro che amano risparmiare e fare investimenti non particolarmente a rischio e “tradizionali”, cioè chi non è propenso all’acquisto di strumenti che sembrano rivoluzionari, come le criptovalute, hanno sofferto a causa del costo del denaro praticamente azzerato e quindi tassi di interesse inesistenti e ora dopo tanti anni possono riuscire a lucrare qualcosa sui sudati risparmi.

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La corsa è accelerata anche dal fatto che i BTP Italia in questa prima fase saranno prenotabili fino al 22 giugno con il rischio anche di una chiusura anticipata a causa delle troppe domande pervenute. Ricordiamo che il codice ISIN del titolo per questa prima fase di collocamento è IT0005496994. I BTP Italia possono essere sottoscritti in banca, all’ufficio postale oppure online.

Terminata la prima fase inizierà la seconda riservata però agli investitori istituzionali, cioè non privati.

Chiusa la fase del collocamento i BTP saranno collocati sul MOT, cioè il Mercato Telematico delle Obbligazioni e Titoli di Stato Italiano e i possessori in qualunque momento potranno venderli, ma per chi li detiene ci sono dei piccoli vantaggi che a breve vedremo.

Quali sono i guadagni previsti per il Btp Italia?

I Btp Italia collocati sul mercato il 20 giugno 2022 sono caratterizzati da un tasso di interesse dell’ 1,60%, si tratta però di un tasso cedolare minimo garantito, infatti la scadenza ufficiale è il 28 giugno 2030, con cedole corrisposte ogni 6 mesi insieme alla rivalutazione del capitale per effetto dell’inflazione dello stesso semestre.

Per coloro che sottoscrivono i BTP Italia ora , cioè nella fase di collocamento vi sarà un premio dell’1% ulteriore se detengono i BTP fino alla scadenza e uno 0,40% del capitale nominale per chi li detiene almeno 4 anni. Il taglio minimo acquistabile è di 1.000 euro.

Tali caratteristiche hanno fatto in modo che già il primo giorno la richiesta fosse molto elevata da parte degli investitori privati. Sono stati stipulati nel primo giorno 88.000 contratti con un capitale di 3,4 miliardi di euro.

Il successo è dovuto anche al fatto che la BCE ha annunciato lo studio di uno scudo anti-spread per tutelare i Paesi maggiormente esposti al rischio di aumento del differenziale a causa del debito pubblico elevato. In fondo dopo le prime reazioni negative all’annuncio dello stop al quantitative easing e dell’aumento del costo del denaro, lo spread è tornato abbondantemente sotto i 200 punti.

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Essendo inoltre un titolo agganciato all’inflazione che in questo anno è elevata, dovrebbe ridursi dal 2023, ma comunque con valore positivo, il BTP Italia rappresenta per chi ha qualche risparmio una buona occasione per avere dei frutti abbastanza buoni. Il taglio minimo piccolo aiuta soprattutto i piccoli investitori che non hanno grandi capitali da rischiare in altre tipologie di investimento.

Scudo anti-spread: cos’è e a cosa serve la misura annunciata dalla BCE?

Negli ultimi giorni sentiamo spesso parlare di scudo anti-spread, misura annunciata dalla BCE per proteggere i Paesi maggiormente esposti al rischio di uno spread elevato. In cosa consiste questo piano anti-spread?

Perché serve uno scudo anti-spread?

Sappiamo che lo spread è il differenziale tra i titoli di credito italiani a 10 anni quello dei titoli tedeschi. Quando i titoli di Stato di un Paese, in questo caso l’Italia, hanno un elevato rischio di insolvenza a causa della situazione politica ed economica, lo spread tende a salire. Di fatto in questa situazione i Titoli diventano poco appetibili. Gli stessi Titoli sono uno strumento utile agli investimenti e alla crescita economica, diventa quindi una sorta di cane che si morde la coda.

Negli anni passati un elevato spread dovuto alla situazione politica instabile ha richiesto molti sacrifici all’Italia, ecco perché quando gli italiani avvertono che lo spread sta per salire, o potrebbe salire, l’ansia sale. D’altronde non è mai stato del tutto chiaro se il livello dello spread in quegli anni saliva per la situazione politica o se ci sia stato un aumento “speculativo” e gestito da fonti esterne. Resta il fatto che dopo anni di relativa tranquillità, sembra di rivivere un vecchio incubo. Ricordiamo che quando aumenta lo spread, aumentano anche i tassi di interesse che l’Italia paga sul debito pubblico perché deve offrire interessi alti affinché qualcuno ritenga i titoli di Stato italiani “interessanti”.

Perché c’è il rischio di un nuovo aumento dello spread?

Ora si aggira di nuovo lo spettro dello spread che sale. Il motivo ufficiale è l’annuncio dell’aumento del costo del denaro da parte della BCE. A cui si aggiunge il termine del quantitative easing, cioè lo strumento attraverso il quale la BCE comprava il debito dei Paesi in difficoltà.

BCE: arriva l’annunciato aumento del tasso di interesse. Spread vola

C’è chi sostiene, come il Governatore della Banca d’Italia Visco, che uno spread sopra i 200 punti sia ingiustificato. Dovrebbe restare sotto i 150 punti. Di fatto sono in molti a temere che ci possa essere una forte ondata di aumenti. In realtà il rischio di aumento dello spread non coinvolge solo l’Italia, ma anche altri Paesi e in particolare Spagna, Grecia e Portogallo.

Per cercare di evitare questo rischio, la BCE ha annunciato l’intenzione di creare uno scudo antispread. Fin da ora è bene dire che non si conoscono i dettagli di questo strumento. Un piano antispread era stato già annunciato nel 2012 ma di fatto non fu necessario usarlo. Questo prevedeva in favore dei Paesi virtuosi, cioè impegnati con piani di pareggio di bilancio, l’uso di un fondo salva-Stati da usare nel caso in cui quegli stessi Paesi fossero oggetto di attacchi speculativi a causa dell’elevato debito pubblico.

Cosa prevede lo scudo anti-spread della BCE?

Nel comunicato reso noto nei giorni passati, la BCE ha parlato di “flessibilità nel reinvestimento dei rimborsi in scadenza nel portafoglio Pepp”, ma sono in molti ad avere dubbi sull’efficacia di questo strumento. Lo stesso comunicato però annuncia l’esistenza di un mandato ai comitati dell’Eurosistema insieme ai servizi della Bce di accelerare “completamento della progettazione di un nuovo strumento anti-frammentazione da portare all’esame del Consiglio direttivo”.

La maggior parte degli analisti ritiene che nel concreto il piano anti-spread sarà uno strumento che consente di acquistare debito pubblico dei Paesi in maggiori difficoltà. Lagarde ha annunciato che funzionarà in favore dei Paesi che avranno uno spread che cresce molto e in poco tempo. Ciò in deroga al principio generale secondo il quale i Titoli sono acquistati da Francoforte avendo come punto di riferimento le dimensioni di un’economia.

C’è anche chi ritiene che nella situazione attuale, sebbene l’Italia abbia un rating basso, non vi è un reale rischio di aumento del debito pubblico e questo perché l’inflazione porta le entrate dello Stato ad aumentare (tassazione sui consumi) e questo dovrebbe bastare a mantenere un certo equilibrio nei conti italiani. Naturalmente non mancano teorie inverse e che suggeriscono la necessità di avere sotto controllo l’inflazione e indurre una riduzione dei prezzi.

Tutti i limiti del Quantitative Easing

Quante sono le aziende italiane che, a oggi, hanno ancora problemi di liquidità a causa della stretta dei prestiti alle imprese da parte delle banche? Moltissime, e questo nonostante il famigerato Quantitative Easing – l’acquisto massiccio di titoli da parte della Bce per riportare il tasso di inflazione al 2% e far respirare l’economia – messo in opera dalla Banca Centrale Europea da quasi un anno, dal 9 marzo 2015.

I 60 miliardi al mese (oltre 713 miliardi da un anno a questa parte) acquistati dalla Bce sembrano dunque non bastare, come testimonia anche una ricerca dell’Ufficio Studi della Cgia sul Quantitative Easing i cui risultati a un anno dall’avvio sarebbero “deludenti”.

Dallo studio della Cgia emerge che, nonostante il Quantitative Easing, nell’ultimo anno il livello medio dei prezzi nell’Eurozona è aumentato solo dello 0,1% e i prestiti alle società non finanziarie (le imprese)sono calati dello 0,7%.

Entrando nel dettaglio dei vari Paesi, lo studio evidenzia gli scarsi effetti del Quantitative Easing anche in Paesi con prospettive di crescita più forti come Germania e in Francia, che registrano tassi di inflazione del +0,2% e del +0,1%.

Nel nostro Paese, nonostante l’acquisto da parte della Bce di oltre 87 miliardi di titoli di Stato italiani, l’inflazione nell’ultimo anno ha fatto segnare un +0,2% e i prestiti alle imprese un -2,3%. Per non parlare dei Paesi deflazione: Slovenia (-0,8% per i prezzi), Spagna e Lituania (-0,5%), Slovacchia (-0,4%) e Finlandia (-0,1%).

Al momento, insomma, la soglia del 2% ipotizzata dalla Bce rimane irraggiungibile e il Quantitative Easing si dimostra tutt’altro che efficace.

Prestiti alle imprese, a quando la ripresa?

Anche il mese di gennaio conferma che il momento difficile per i prestiti alle imprese e famiglie non è ancora passato. Secondo il Centro studi Unimpresa, da gennaio 2014 a gennaio 2015, le sofferenze bancarie (dati Bankitalia) sono aumentate del 15% arrivando a oltre 185 miliardi di euro (+25 miliardi).

Secondo l’osservatorio di Unimpresa, la maggior parte dei finanziamenti non rimborsati arriva dai prestiti alle imprese, per un totale di 131 miliardi, e anche le cosiddette imprese familiari risultano in forte difficoltà, con un totale di insoluto che tocca i 15 miliardi.

Unimpresa rileva però che, nello stesso periodo, le banche hanno diminuito i prestiti alle imprese e alle famiglie per complessivi 30 miliardi (pari a un calo del 2%), ma i prestiti alle imprese per il medio periodo sono cresciuti di 9 miliardi.

Secondo lo studio di Unimpresa, nell’anno in esame le sofferenze sono passate dai 160,4 miliardi di gennaio 2014 ai 185,4 di gennaio 2015 (+16,6%). Di queste, la quota delle imprese è aumentata di ben il 17,3%, da 112,3 a 131,7 miliardi, mentre per le imprese familiari la crescita è stata più contenuta ma sempre preoccupante: +11,08%, da 13,6 a 15,1 miliardi.

A fronte di queste sofferenze, la stretta al credito e i tagli ai prestiti alle imprese e alle famiglie è fisiologica: nell’ultimo anno sono calati di 2,5 miliardi al mese, per un totale, da gennaio 2014 a gennaio 2015, di -30,6 miliardi (da 1.439,6 a 1.409,1).

I prestiti alle imprese sono scesi di 27,4 miliardi e del 2,13% nell’ultimo anno; sono calati quelli a breve termine per 9,8 miliardi (-3,16%) e quelli di lungo periodo di 26,5 miliardi (-6,55%). In controtendenza quelli fino a 5 anni: +8,9 miliardi (+7,50%).

Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, non ha mancato di commentare questa situazione: “Quella del credito resta una situazione gravissima e di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni. Ci sono le risorse del quantitative easing della Bce e non vanno sprecate”.

Quantitative easing e prestiti alle imprese

Come era facile immaginare, il cosiddetto quantitative easing, ovvero il piano della Banca Centrale Europea per stampare moneta con cui acquistare titoli di stato dei Paesi dell’Eurozona in modo da dare loro una boccata d’ossigeno, ha fatto storcere il naso a qualcuno. Specialmente a chi, nel mondo della piccola impresa, rileva troppe storture tra le agevolazioni che le banche hanno nell’acquistare denaro e quanto, di questo denaro, arriva poi a imprese e famiglie.

Nello specifico, Sergio Silvestrini, Segretario Generale della Cna ha sottolineato che “l’avvio del quantitative easing, come nelle previsioni, ha già contribuito a far calare ulteriormente le quotazioni dell’euro. Di sicuro una buona notizia per l’Italia, purtroppo oscurata dall’arretramento della produzione industriale e da una nuova fiammata della stretta creditizia”.

L’Istat – ha proseguito – rileva che a gennaio la produzione industriale è calata del 2,2% rispetto allo stesso mese del 2014. E la Banca d’Italia ci informa che, sempre a gennaio, l’erogazione dei prestiti alle imprese nell’arco di un anno è diminuita del 2,8% contro il -2,6% di dicembre. Sappiamo bene, però, che le dinamiche economiche non vanno lette a intervalli tanto brevi e che la tendenza della produzione industriale rimane rialzista e il calo potrebbe essere solo un aggiustamento tecnico relativo alle scorte dopo due mesi di crescita”.

Quanto al credito – ha sottolineato ancora Silvestriniva rilevato, invece, come la gelata sui prestiti alle imprese e alle famiglie sia andata in totale controtendenza rispetto all’andamento della raccolta, cresciuta in un anno del 5%. Si conferma, quindi, anche a inizio 2015 la severità della stretta creditizia che negli ultimi otto anni ha sottratto alle imprese circa 100 miliardi di crediti. I continui innalzamenti dell’asticella da parte dell’autorità di controllo europee stanno penalizzando gravemente le imprese e vanno rimossi al più presto. E’ necessario, infatti, mettere le banche nelle condizioni di ridare ossigeno alle imprese e offrire nuova liquidità per investire e creare occupazione”. In barba al quantitative easing della Bce.