Santi, navigatori e burocrati

All’ultima assemblea generale di Confartigianato il presidente Giorgio Merletti è stato chiaro: “Le imprese italiane corrono contromano e a occhi bendati e sembra si faccia di tutto per spingerci oltre confine per trovare condizioni normali per fare impresa: il fisco italiano tassa il 68,3% degli utili lordi d’impresa, in Svizzera appena il 30,2%“.

Un’accusa durissima e circonstanziata, basata su cifre reali. Secondo Merletti, chi dovrebbe determinare le sorti dell’Italia “non comprende che l’artigianato e le piccole imprese sono il cuore, le mani e l’intelligenza del made in Italy” e che tasse e burocrazia le stanno uccidendo.

Dall’inizio della legislatura tecnica a oggi, il Parlamento ha approvato ben 491 norme a contenuto fiscale, ciascuna corredata da decreti attuativi e circolari esplicative. Una zavorra che, secondo Merletti, “non possiamo più permetterci il lusso di indossare la maglia nera in Europa per la pressione fiscale e burocratica. Vorremmo cominciare a scalare la classifica. E non diteci che non ci sono risorse per cambiare le cose. Molti interventi si possono fare a costo zero. Però bisogna volerlo“.

Sul fronte della burocrazia, nell’ultimo anno le Pmi italiane hanno buttato in oneri amministrativi la bella cifra di 31 miliardi e l’ultimo anno e mezzo è stato particolarmente difficili per le imprese e per il Paese. Da metà novembre 2011 a giugno 2013 il numero delle aziende italiane è calato dell’1%, pari a circa 60mila imprese, 44mila delle quali artigiane per un calo pari al 3%. Un calo che, secondo Confartigianato, è legato a quello del Pil (-3,4%), del credito alle imprese (-6,4%) e inversamente proporzionale (guarda un po’…) all’incremento del debito pubblico (+6,4%).

Grandi alleate della burocrazia sono le tasse. Secondo un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato, nel 2013 gli italiani ne pagheranno 38 miliardi in più, vale a dire 639 euro di maggiori imposte pro capite, rispetto alla media dei cittadini dell’eurozona. Il divario tra Italia ed Europa è dato dall’aumento della pressione fiscale che quest’anno in Italia raggiungerà il 44,6% del Pil: 2,4 punti in più rispetto al 42,1% registrato nella media dei Paesi dell’eurozona. Ma c’è dell’altro. Secondo il rapporto, se si considera il mancato gettito dell’economia sommersa, la pressione fiscale effettiva sale al 53,4% del sempre peggio. Torniamo a dire: come si fa a fare impresa così?

La burocrazia si mangia 100 giorni di lavoro all’anno

In un mondo perfetto gli imprenditori dovrebbero lavorare, fare business, produrre ricchezza e benessere. Nel mondo e nel Paese imperfetto nel quale viviamo perdono tempo, un sacco di tempo, a sbrogliare pratiche burocratiche.

La conferma arriva da Coldiretti, che in un’analisi ha stimato come nelle aziende la burocrazia faccia perdere fino a 100 giorni di lavoro all’anno che vengono sottratte all’attività di impresa per l’innovazione e la ricerca di nuovi mercati, in un difficile momento di crisi.

Nell’analisi si evidenzia anche come la burocrazia rappresenti uno dei fattori indicati come principale ostacolo dai giovani che vogliono aprire una attività agricola. La situazione, secondo Coldiretti, è particolarmente grave, ad esempio, in uno dei settori simbolo del made in Italy come il vino dove, dalla produzione di uva fino all’imbottigliamento e vendita, le imprese devono assolvere a oltre 70 attività burocratiche e relazionarsi con 20 diversi soggetti: dal ministero delle Politiche agricole alle Regioni, dalle Province ai Comuni, fino ad Agea, Organismi pagatori regionali, Agenzia delle Dogane, Asl, Forestale, Ispettorato Centrale qualità e repressione frodi, Nac, Guardia di Finanza, Nas, Camere di Commercio, organismi di controllo, consorzi di tutela, laboratori di analisi. Giusto quattro gatti…

Secondo l’associazione, il peso della burocrazia è anche nella quantità di norme di settore del vino: sono oltre 1000, contenute in circa 4000 pagine di direttive, regolamenti, comunicazioni, note e decisioni del Consiglio e della Commissione europea, leggi, decreti, provvedimenti, note, circolari e delibere nazionali e regionali.

Il carico sovrumano rischia ora di gravare ancora di più sulle imprese, con la messa a regime del nuovo sistema di certificazione e controllo dei vini a Denominazione. Secondo Coldiretti, “dimezzare il tempo perso dalle imprese con la burocrazia, attuando misure per un rapido processo di digitalizzazione della PA, per il coordinamento delle competenze nazionali e regionali, per l’unificazione di tutti gli adempimenti burocratici nel fascicolo aziendale” è uno degli obiettivi principali da perseguire, come illustrato nel documento “L’Italia che vogliamo”, presentato a tutti i gruppi politici.

La burocrazia costa alle Pmi 7000 euro all’anno

Chiedete al primo imprenditore con cui vi capita parlare qual è la cosa che lo terrorizza di più nel suo lavoro… La risposta non potrà che essere: la burocrazia. Una guerra quotidiana con carte e scartoffie, con timbri e autorizzazioni che costa ogni anno alle Pmi 31 miliardi di euro, pari a 7000 euro ad azienda.

I conti li ha fatti l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, su dati della Presidenza del Consiglio dei Ministri aggiornati al 31 dicembre 2012. Rispetto agli anni scorsi le cifre crescono perché, come ha detto il segretario della Cgia mestrina Giuseppe Bortolussi, sono state scoperte nuove “sacche di burocrazia”. Negli ultimi anni il legislatore ha approvato una serie di misure per combattere queste sacche che, una volta a regime, dovrebbero far risparmiare alle imprese quasi 8,5 miliardi di euro.

La Cgia spera che con il nuovo decreto sulla semplificazione appena presentato il vantaggio economico possa diventare operativo in tempi brevi. Secondo Bortolussi, “31 miliardi di euro corrispondono a 2 punti di Pil circa: una cifra spaventosa. La burocrazia è diventata una tassa occulta che sta soffocando il mondo delle Pmi. Nonostante gli sforzi e qualche buon risultato ottenuto, i tempi rimangono troppo lunghi e il numero degli adempimenti richiesti continua ad essere eccessivo“.

Spacchettando i dati dello scandalo, il settore che incide di più sui bilanci delle aziende è quello del lavoro e della previdenza (9,9 miliardi di euro l’anno, 2.275 euro a impresa). Seguono i costi per le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (4,6 miliardi, 1.053 di euro per azienda), il settore dell’edilizia (4,4 miliardi, 1.016 di euro per azienda), l’area ambientale (3,4 miliardi, 781 di euro per azienda), gli adempimenti fiscali (2,7 miliardi, 632 di euro per azienda), la privacy (2,6 miliardi, 593 di euro per azienda), la prevenzione incendi (1,4 miliardi, 323 di euro per azienda), gli appalti (1,2 miliardi) e la tutela del paesaggio e dei beni culturali (0,6 miliardi, 142 di euro per azienda).

Come pretendiamo che i nostri imprenditori riescano a fare business se sono presi da questo gorgo di superficialità?

Burocrazia, il mostro occulto che stritola le imprese italiane

di Davide PASSONI

Che fare impresa in Italia non sia una vocazione ma un martirio è risaputo. Mercato interno bloccato, fiscalità folle, banche che da tempo hanno smesso di essere partner per diventare avversari sono solo alcuni degli ostacoli con i quali l’imprenditore deve lottare ogni giorno.

Ma c’è un mostro che, più di tutti questi messi insieme, spaventa chi fa impresa e fa desistere sul nascere dal diventare imprenditore chi vuole mettersi in proprio: è la burocrazia. Chili e pile di carta per ottenere un’autorizzazione, file e uffici infiniti per avere un timbro, mesi passati ad aspettare invano per poter avere l’ok a costruire un capannone o ad ampliare l’esistente.

I numeri parlano chiaro: la burocrazia costa alle imprese italiane 31 miliardi all’anno. In un momento nel quale di soldi non ce n’è, buttare via in questo modo i pochi che ancora circolano è una bestemmia per chi fa impresa.

Tutto il gran parlare che si fa di digitalizzazione delle pratiche, utilizzo dell’online a scapito della carta, autorizzazioni telematiche per tagliare tempi e costi si riduce, quando va bene, a uno zerovirgola di casi in cui qualcosa funziona e in un novantanovevirgola nei quali siamo alle prese con faldoni e pile di carte bollate da età della pietra.

Questa settimana Infoiva cercherà di capire perché zavorre come queste ancora stanno ai piedi dell’Italia che vuole crescere ma non può. Perché se certi adempimenti burocratici per le imprese sono surreali, gli imprenditori sono invece persone serie e concrete che non vogliono morire di burocrazia. O almeno ci provano.