Pensioni anticipate usuranti, nuove disposizioni Inps su domanda e requisiti

Al via le domande di uscita per le pensioni anticipate dei lavoratori usuranti. I soggetti che sono impiegati in attività faticose potranno presentare domanda di prepensionamento entro il 1° maggio 2022 per il riconoscimento dei requisiti. La maturazione dei requisiti deve avvenire tra il 1° gennaio 2023 e il 31 dicembre 2023. Sulle pensioni degli usuranti è intervenuta l’Inps con il messaggio numero 1201 del 16 marzo 2022.

Pensioni usuranti, i riferimenti Inps e normativi del prepensionamento

Il messaggio dell’Inps ricorda ai lavoratori usuranti i termini per la presentazione delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente pesanti e faticosi entro il 1° maggio prossimo per i soggetti che maturino i requisiti di uscita per l’accesso al trattamento pensionistico dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023. Il decreto legislativo di riferimento è il numero 67 del 21 aprile 2011, modificato dalla legge numero 232 dell’11 dicembre 2016.

Pensioni anticipate dei lavoratori usuranti, requisiti agevolati di uscita fino al 2026

I termini di scadenza delle pensioni usuranti riguardano pertanto i lavoratori che abbiano svolto o che stiano ancora svolgendo attività particolarmente faticose e pesanti. I requisiti di prepensionamento sono riferiti alle condizioni agevolate degli anni dal 2016 al 2026. Infatti, tali requisiti rimarranno immutati per tutto il decennio, senza subire adeguamenti in aumento dettati dall’aspettativa di vita.

Pensioni usuranti, quale procedura seguire per l’uscita anticipata?

La procedura che i lavoratori devono seguire per arrivare alla pensione anticipata come usuranti prevede il necessario riconoscimento da parte dell’Inps dei requisiti richiesti. A questo proposito, è necessario che il lavoratore presenti domanda alla sede Inps competente entro il 1° maggio 2022 per le uscite previste per tutto il prossimo anno, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2023. L’Inps dispone il controllo dei requisiti richiesti per quanto riguarda l’età, i contributi e la quota raggiunta dal lavoratore.

Cosa avviene se non si presenta domanda di uscita per le pensioni degli usuranti nei termini di scadenza?

Nel caso in cui il lavoratore non presenti la domanda di uscita con la pensione degli usuranti entro il 1° maggio 2022, si ha il differimento della decorrenza del trattamento pensionistici. Tale differimento è per:

  • un mese se il ritardo è limitato a un mese;
  • di due mesi se il ritardo risulta superiore a un mese e inferiore a 3 mesi;
  • di tre mesi se il ritardo è di 3 mesi oppure oltre.

Cosa avviene se la domanda di pensione usuranti viene accolta?

Se l’Inps accoglie la domanda della pensione dei lavoratori usuranti, ovvero se riconosce i requisiti utili per andare in prepensionamento con questa formula, al lavoratore viene comunicata la prima decorrenza utile per il trattamento pensionistico. In caso di non accoglimento dei requisiti utili, l’Inps procede con il rigetto della richiesta. Per entrambi gli esiti, inoltre, la comunicazione dell’Inps avviene anche in rapporto ai fondi pubblici disponibili.

Pensioni usuranti, c’è bisogno di una seconda domanda dopo l’accoglimento dei requisiti di uscita

È opportuno precisare che, dopo la prima domanda da presentare entro il 1° maggio 2022 di verifica dei requisiti di uscita, il lavoratore dovrà presentare una seconda domanda. Si tratta della domanda di pensione vera e propria. La seconda domanda è necessaria perché verranno richiesti ulteriori condizioni. Ad esempio, la cessazione del rapporto di lavoro presso il datore al quale il lavoratore risulti dipendente.

Requisiti di uscita delle pensioni usuranti: lavoratori impiegati in mansioni della linea catena o conducenti di veicoli per il trasporto collettivo

Nella sua circolare, l’Inps fornisce informazioni sui requisiti di uscita per le pensioni usuranti da dimostrare nella domanda da presentare entro il 1° maggio 2022. In particolare, per i lavoratori impiegati nelle mansioni particolarmente usuranti che maturino i requisiti tra il 1° gennaio 2023 e il 31 dicembre 2023, per gli addetti alla linea catena e per i conducenti di veicoli per il servizio pubblico di trasporto collettivo è necessario aver maturato:

  • l’anzianità contributiva di almeno 35 anni;
  • l’età minima di 61 anni e sette mesi se lavoratori dipendenti;
  • la quota considerata come somma tra età e anzianità contributiva pari ad almeno 97,6 per i lavoratori dipendenti;
  • l’età minima di 61 anni e sette mesi se lavoratori autonomi;
  • la quota minima di 98,6 per i lavoratori autonomi.

Pensioni usuranti per i lavoratori notturni a turni

La pensione come lavoratori usuranti può essere richiesta anche da chi svolge lavoro notturno a turni. In particolare bisogna considerare il numero dei giorni di lavoro se sono pari o superiori a 78 durante l’anno. I lavoratori che rientrano in questa situazione e che maturino i requisiti tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2023, possono andare in pensione con i requisiti degli usuranti. In tal caso è necessario far riferimento agli stessi requisiti di uscita e delle quote dei lavori particolarmente usuranti o della linea catena o dei conducenti dei veicoli per il trasporto collettivo.

Pensioni usuranti per i lavoratori che svolgano lavori notturni e a turni tra i 64 e i 71 giorni all’anno

Per i lavoratori che svolgono lavori a turni e notturni per un numero di giornate tra i 64 e i 71 all’anno, i requisiti di uscita per le pensioni usuranti sono i seguenti:

  • la maturazione del trattamento di pensione dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023;
  • l’anzianità minima dei contributi richiesti è di 35 anni;
  • per i lavoratori dipendenti il minimo del requisito anagrafico è di 63 anni e sette mesi;
  • la quota minima da raggiungere (come somma tra età e anzianità contributiva) per i lavoratori dipendenti è pari a 99,6;
  • l’età minima dei lavoratori autonomi è di 64 anni e sette mesi;
  • la quota da raggiungere per i lavoratori autonomi è pari a 100,6.

Pensioni usuranti per i lavoratori notturni e a turni da 72 a 77 giorni all’anno: i requisiti richiesti

Per i lavoratori che maturino i requisiti delle pensioni usuranti dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023 che abbiano un numero di giorni lavorativi notturni da 72 a 77 all’anno, i parametri da dimostrare sono:

  • l’anzianità minima dei contributi richiesti è di 35 anni;
  • per i lavoratori dipendenti il minimo del requisito anagrafico è di 62 anni e sette mesi;
  • la quota minima da raggiungere (come somma tra età e anzianità contributiva) per i lavoratori dipendenti è pari a 98,6;
  • l’età minima dei lavoratori autonomi è di 63 anni e sette mesi;
  • la quota da raggiungere per i lavoratori autonomi è pari a 99,6.

 

TFR e divorzio: quando l’ex coniuge ha diritto a una quota?

Il TFR, o liquidazione, è l’agognato Trattamento di Fine Rapporto molto agognato dai lavoratori e versato al termine del rapporto di lavoro, anche se può ora essere liquidato in busta paga su scelta del lavoratore. Ciò che molti non sanno è che ci sono diversi casi in cui in seguito a divorzio è comunque necessario versare una quota di TFR all’ex coniuge. Ecco i casi.

TFR e divorzio: la normativa vigente

Il Trattamento di Fine Rapporto, o liquidazione, costituisce una quota differita dello stipendio e il lavoratore la incassa al termine del rapporto stesso, sia in caso di licenziamento, sia in caso di pensionamento. L’articolo 12 bis della legge 898 del 1970, inserito nel 1987, prevede che “il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’articolo 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza.        Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.”

La ratio della disciplina è riconoscere al soggetto economicamente più debole, che storicamente è la donna, una sorta di ricompensa o risarcimento per l’impegno solitamente profuso nell’accudimento della famiglia.

Requisiti per ottenere la quota di TFR

Il diritto del coniuge a percepire una quota del TFR nasce solo se la liquidazione si riscuote dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. Emerge dall’articolo 12 bis che, affinché maturi il diritto per l’ex coniuge di percepire il TFR, è necessario in primo luogo che non sia passato a nuove nozze e in secondo luogo che percepisca un assegno di mantenimento periodico, solitamente la periodicità è mensile.

A tale proposito capita spesso che il coniuge, che in teoria avrebbe diritto a percepire l’assegno di mantenimento, preferisca una liquidazione una tantum al momento del divorzio stesso, in questo caso non vi è il diritto a percepire una quota di TFR. Un’altra piccola nota da sottolineare è che si fa riferimento solo alle nuove nozze del coniuge che avrebbe diritto a percepire il TFR, mentre non rileva il fatto che sia passato a nuove nozze il lavoratore. Inoltre non maturano il diritto al TFR i figli. Una piccola nota a questo punto è necessaria: sempre più spesso il giudice in sede di divorzio riconosce il diritto all’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente più debole solo per brevi periodi, esortandolo quindi ad affrancarsi economicamente dall’ex coniuge, ciò incide sul diritto alla quota di TFR.

A quanto ammonta la quota di TFR per il coniuge divorziato

La quota di liquidazione spettante all’ex coniuge è del 40%, da calcolare però esclusivamente sull’ammontare maturato nel periodo in cui la coppia era ancora unita in matrimonio, comprendendo però anche la fase di separazione. Di conseguenza non basta la separazione di fatto, né giudiziale per far cessare il diritto di maturare la propria quota di TFR. Questo implica che, se anche il TFR viene percepito molti anni dopo la cessazione del matrimonio, l’ex coniuge comunque partecipa, ma solo per la quota maturata nel periodo del matrimonio stesso. Si tratta quindi di un assegno che spesso è di piccolo importo, soprattutto se il matrimonio è stato di breve durata.

Va sottolineato che l’ex coniuge non ha diritto a percepire una quota di TFR se lo stesso è oggetto di liquidazione prima della cessazione degli effetti civili del matrimonio, di conseguenza se il coniuge A riscuote il TFR nel periodo della separazione, il coniuge B non può poi pretendere le somme. Lo stesso principio si applica se si riscuote il TFR ancor prima della separazione giudiziale. Nel caso in cui la liquidazione del TFR avvenga nel periodo della separazione giudiziale, prima del divorzio, il coniuge nella fase di divorzio può chiedere che l’assegno di mantenimento sia adeguato alle nuove somme riscosse o che gli sia liquidata una quota.

Anticipi di TFR e divorzio

Un’altra questione che ha creato dubbi interpretativi riguarda il caso in cui il lavoratore abbia chiesto nel corso del rapporto di lavoro degli anticipi del TFR (ricordiamo che i casi in cui si può ottenere l’anticipo sono limitati, ad esempio per l’acquisto dell’abitazione o per spese sanitarie). La giurisprudenza in questo caso ha stabilito che su tali somme l’ex coniuge non può vantare diritti, quindi il calcolo di quanto gli spetterebbe si effettua esclusivamente sulle somme effettivamente percepite al momento della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni/pensionamento. Questa interpretazione è univoca nel caso in cui l’anticipio sia chiesto in costanza di matrimonio, se invece l’anticipo si ottiene dopo il divorzio, l’ex coniuge potrebbe vantare diritti anche su tali quote, infatti la giurisprudenza nel tempo non ha mostrato costanza nel dirimere la questione.

TFR e divorzio: cosa succede se il lavoratore muore prima di riscuoterlo

Si ricorda che il TFR non va perduto in caso di morte del lavoratore, bene, anche in questo caso l’ex coniuge ha diritto ad ottenere la sua quota dello stesso, ciò anche in concorrenza con l’attuale coniuge che eredite la rimanente parte. Inoltre per l’ex coniuge titolare dell’assegno di mantenimento, è previsto che vi sia anche il diritto alla pensione di reversibilità anche in concorrenza con il coniuge attuale. E’ bene rammentare che in caso di morte il TFR si divide tra figli e coniuge e in alcuni casi parenti entro il terzo grado, ciò anche se gli stessi non abbiano accettato l’eredità (art 2122 del codice civile).

L’ex coniuge come può ottenere il TFR?

Sia chiaro, nel momento in cui il datore di lavoro liquida il TFR al lavoratore, è estraneo ai rapporti di coniugio ed ex coniugio e di conseguenza semplicemente liquida il Trattamento di Fine Rapporto al lavoratore. E’ altrettanto vero che, nella maggior parte dei casi, nessun lavoratore una volta ottenute le somme, chiama l’ex coniuge per avvertirlo dell’avvenuto incasso e liquidargli le somme che gli spetterebbero. L’ex coniuge per riuscire a intascare la somma deve di conseguenza proporre un’istanza, o meglio un ricorso al tribunale con il quale si richiede di disporre il versamento in suo favore della quota di TFR spettante. Il tribunale con sentenza ordinerà al datore di lavoro e/o all’ente previdenziale di erogare le quote in favore dell’ex coniuge.

Questa procedura si può fare se l’ex coniuge non abbia riscosso le somme, invece è diverso il caso in cui questi abbia riscosso le somme senza che l’ex coniuge ne abbia avuto conoscenza e non abbia quindi avuto la possibilità di proporre ricorso o fare istanza per l’ottenimento della propria quota. In tal caso il proponente deve chiedere il sequestro conservativo delle somme già riscosse dal lavoratore. Una volta accertate dal tribunale le somme dovute, se il lavoratore non provvede a liquidare le somme volontariamente, sarà  messa in atto la procedura esecutiva sulle stesse.