Partita Iva: passaggio da un regime a un altro, come funziona?

Come funziona il passaggio da un regime a un altro della partita Iva? Le partite Iva che abbiano i requisiti per poter aderire al meccanismo forfettario ma che non ne siano interessate, possono fuoriuscire da questo regime. In tal caso, si può adottare il regime ordinario della determinazione delle imposte sui redditi e di quella sul valore aggiunto.

Come avviene la scelta di aderire al regime ordinario di partita Iva?

Nel caso, dunque, che si voglia rinunciare alla partita Iva a regime forfettario per aderire a quella ordinaria è necessario comunicarlo nella dichiarazione annuale dell’Iva. Si procede con la scelta dello specifico campo del quadro VO della dichiarazione Iva che deve essere presentata. Tuttavia, il beneficiario che rinunci al meccanismo forfettario di partita Iva, oltre al regime ordinario, può scegliere quello semplificato.

Partita Iva a regime semplificato: che cos’è?

Possono aderire al regime semplificato di partita Iva:

  • le persone fisiche;
  • le società di persone;
  • gli enti non commerciali.

Per l’adesione è necessario che nel precedente esercizio il volume dei ricavi o dei compensi sia stato inferiore a 400 mila euro per le attività relative alla prestazione di servizi. Per le altre attività il limite è di 700 mila euro. Chi aderisce alla partita Iva a regime semplificato non deve tenere il libro giornale.

Il regime ordinario delle partite Iva: chi è obbligato?

La partita Iva a regime ordinario deve essere obbligatoriamente posseduta dai contribuenti che abbiano superato i limiti dei compensi e dei ricavi previsti per la contabilità semplificata. Sono altresì obbligate le società di capitali. Nel caso in cui una partita Iva che avrebbe i requisiti per il regime forfettario opti per il regime ordinario, permane il vincolo di tre anni. Al trascorrere del triennio, il regime si rinnova in maniera tacita per ogni anno susseguente. Il regime ordinario permane finché ci siano le condizioni della sua applicazione.

Dal regime di contabilità semplificata a quello forfettario delle partite Iva

Un contribuente che scelga di aderire al regime di contabilità semplificata della partita Iva può nuovamente tornare al regime forfettario. Lo può fare a partire dall’anno successivo a quello di adesione alla contabilità semplificata e non deve attendere il trascorrere dei tre anni. Rimane, in ogni modo, da verificare che abbia i requisiti per la partita Iva forfettaria e che non vi siano cause ostative.

Quando la partita Iva ordinaria può adottare il regime forfettario senza attendere i tre anni?

Ai passaggi tra regimi fiscali delle partite Iva è necessario specificare il funzionamento di un determinato meccanismo. Il contribuente che non ha i requisiti per adottare il regime forfettario deve transitare sul regime ordinario del reddito o nella contabilità semplificata. Si può tornare sempre al regime forfettario (in presenza dei requisiti richiesti) senza attendere il decorso dei tre anni pur trovandosi nel regime ordinario. Il legislatore, in questo caso, ha concesso la possibilità del transito perché la partita Iva ha adottato un passaggio che non è una sua opzione.

Partite Iva, cosa avviene nel passaggio dal forfettario al regime ordinario?

Risulta altresì importante stabilire cosa avviene nel passaggio dal regime forfettario delle partite Iva a quello ordinario. Il regime forfettario consente la rettifica dell’Iva per gli anni nei quali l’Imposta sul valore aggiunto è stata già detratta perché richiesto dall’ordinario. In questo modo, il meccanismo della rettifica permette la coerenza della detrazione avvenuta nei periodi susseguenti a quelli nei quali tale detrazione sia stata determinata. In tal caso si procedere ricalcolando l’imposta detraibile e versandola oppure recuperandone la differenza rispetto alla detrazione originaria.

Rettifica della detrazione Iva nel passaggio dal regime ordinario a quello forfettario

La rettifica della detrazione Iva deve essere eseguita sempre quando si passa dal regime ordinario di partita Iva a quello forfettario. Infatti, il primo consente la detrazione dell’Iva, il secondo no. Pertanto, l’Iva inerente i servizi e i beni non ancora ceduti o usati, deve essere rettificata in un’unica soluzione. Non si attende l’utilizzo dei beni e dei servizi. La rettifica dei beni ammortizzabili va fatta quando non siano stati superati i quattro anni dopo l’entrata in funzione dei beni stessi. In alternativa il termine sale a dieci anni dalla data di acquisto. Se si tratta di fabbricati o di loro porzioni, può essere adottato il termine di rettifica dei dieci anni.

Quando cessa il regime forfettario di partita Iva?

Il regime forfettario della partita Iva cessa a iniziare sempre dall’anno successivo. Non può cessare nel corso dell’anno, come avveniva in precedenza con il regime dei minimi, già abrogato nel 2016. Pertanto, l’adozione di un nuovo regime di partita Iva decorre dall’anno successivo a quello nel quale si sono manifestati i motivi per i quali si è avuta la fuoriuscita.

Aiuti Covid: come si dichiarano per partite Iva forfettarie, semplificate e dei minimi

Gli aiuti a fondo perduto ricevuti dallo Stato per far fronte all’emergenza sanitaria ed economica dovranno essere dichiarati anche dalle partite Iva in regime forfettario, semplificato e dei minimi. Tuttavia, se è certo che bisogna indicare i contributi a fondo perduto, più dubbia è la segnalazione dei bonus, ad esempio quello di 600 euro.

Dove si indicano gli aiuti Covid nella dichiarazione dei redditi?

I lavoratori autonomi e i professionisti che hanno ricevuto i sostegni a fondo perduto per il Covid nel 2020 dovranno darne indicazione nel modello di dichiarazione dei redditi nel quadro RE. Per le partite Iva a regime forfettario o dei minimi, in sede di dichiarazione, il quadro di riferimento è quello LM.

Dichiarazione redditi 2021: quali sono gli aiuti che vanno indicati

Se gli aiuti a fondo perduto vanno indicati nella dichiarazione dei redditi, diverso è il caso delle indennità a importo fisso. Le istruzioni riguardanti l’indicazione degli aiuti Covid ai professionisti fanno riferimento, in particolare, al decreto legge numero 18 del 2020 e al successivo Dl numero 34 del 2020. Il primo provvedimento aveva previsto, per i contribuenti, l’indennità di 600 euro riferita al mese di marzo 2020 e destinata, tra le altre categorie, ai liberi professionisti che avevano la partita Iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 e iscritti alla gestione separata dell’Inps.

L’indennità 600 euro del 2020

Il decreto 34 del 2020 aveva previsto, a favore degli stessi provvedimenti, un’altra indennità di 600 euro relativa al mese di aprile e una ulteriore, di mille euro, riferita a maggio. Tuttavia, per quest’ultima indennità, i professionisti, oltre all’iscrizione alla gestione separata Inps, dovevano dimostrare di aver subito una diminuzione del reddito di almeno il 33% del secondo bimestre 2020 rispetto al reddito dello stesso periodo del 2019.

Professionisti iscritti alle Casse

Anche ai professionisti iscritti alle Casse previdenziali hanno percepito un aiuto Covid. I provvedimenti di riferimento sono l’articolo 44 del decreto legge numero 18 del 2020 e il decreto ministeriale del 28 marzo 2020. L’indennità, tuttavia, è stata riconosciuta nel rispetto di precisi tetti di reddito e di condizioni di regolarità contributiva.

Dichiarazione redditi: il quadro RE degli aiuti ai professionisti

Dalle istruzioni ministeriali non sembrerebbe sussitere l’obbligo di dichiarazione delle indennità per i professionisti nella compilazione del quadro RE. Gli aiuti, tra l’altro, non potrebbero essere inseriti nella colonna 1 del rigo RE 3, quello destinato alle somme a fondo perduto. E nemmeno nella colonna 2 destinata ad altri proventi che non concorrono alla determinazione del reddito e, pertanto, non tassabili.

Il quadro LM della dichiarazione dei redditi: forfettari e minimi

Varia, invece, il il tipo di dichiarazione per gli autonomi che devono compilare il quadro LM. Questo quadro è riservato:

  • ai conribuenti cosiddetti minimi del regime di vantaggio ex articolo 27 del decreto legge 98 del 2011;
  • le persone fisiche rientranti nel forfettario della legge 190 del 2014.

I primi dovranno compilare la sezione I del quadro LM, nello specifico la colonna 2 del rigo LM 2. I forfettari, invece, dovranno comilare la sezione II del modello LM, precisamente la colonna 2 del rigo LM 33. Questo rigo indica le indennità e i conributi percepiti di qualsiasi natura in conseguenza dell’emergenza sanitaria. Nello stesso rigo non possono essere indicati i sostegni esistenti già prima della fase di emergenza da chiunque erogati e indipendentemente dalle modalità di contabilizzazione e di fruizione.

Indennità 600 e 1000 euro del 2020

Peraltro, le indennità di 600 e 1000 euro dovrebbero rientrare in quest’ultimo rigo. Tuttavia, si attendono maggiori chiarimenti ministeriali in merito all’inesistenza, nel quadro RE, di un rigo riservato a queste indennità. In entrambi i quadri, inoltre, non devono esssere indicati i crediti d’imposta accordati per le sanificazioni e l’adeguamento degli ambienti. Sul punto, gli autonomi non devono indicare neanche il bonus affitti. Tutti questi benefici vanno indicati nel quadro RU. Tuttavia il bonus sugli affitti e il credito per l’adeguamento degli ambienti vanno inseriti anche nle quadro RS.

Quali documenti è obbligato a tenere chi opera nel regime contabile semplificato?

Tra i regimi fiscali in Italia, per chi apre una partita Iva, c’è quello semplificato che, nel rispetto di opportune condizioni, permette di portare avanti e di gestire la propria attività sempre in maniera più semplice da un lato, e meno onerosa dall’altro in termini di costi e di risparmio di tempo. Rispettata una soglia massima di volume d’affari, infatti, con il regime semplificato gli obblighi di contabilità sono decisamente più ridotti rispetto al regime fiscale ordinario. Ed allora, detto questo, quali documenti è obbligato a tenere chi opera nel regime contabile semplificato?

Quali sono i requisiti di accesso al regime contabile semplificato e chi può aderire

Al riguardo c’è da dire, prima di tutto, che per rientrare nel regime contabile semplificato l’impresa deve avere un fatturato annuo non superiore ai 400.000 euro se opera nella prestazione di servizi. Mentre il limite sale a 700.000 euro per tutte le altre attività. Rispettato il requisito dei ricavi, possono avvalersi del regime contabile semplificato non solo le ditte individuali ed i liberi professionisti, ma anche le società di persone e gli enti non commerciali.

Nel caso in cui l’impresa eserciti più attività, per il rispetto della soglia massima di ricavi, ai fini del possesso o meno dei requisiti di accesso al regime contabile semplificato, si prenderà a riferimento l’attività economica che è prevalente, ovverosia quella che presenta il maggior volume d’affari calcolato sempre su base annua.

Pur tuttavia, se per le varie attività economiche esercitate l’impresa non effettua la registrazione separata, allora il requisito di accesso o meno al regime contabile semplificato sarà dato da una soglia di ricavi annui complessivi non superiore ai 700.000 euro. E quindi in questo caso il limite massimo del volume d’affari, per l’accesso al regime contabile semplificato, corrisponde sempre a quello delle imprese che esercitano attività diverse dalla prestazione di servizi.

Per le imprese che avviano l’attività, con la conseguente richiesta di attribuzione del numero di partita Iva, inoltre, il requisito di accesso al regime contabile semplificato è basato invece, per il primo anno, sulla dichiarazione del volume d’affari presunto.

Ecco quali documenti è obbligato a tenere chi opera nel regime contabile semplificato

Rispettati i requisiti sopra indicati, chi rientra nel regime contabile semplificato è esonerato, prima di tutto, dall’obbligo di redigere il bilancio. E di conseguenza non c’è nemmeno l’obbligo di tenuta del libro giornale, del libro degli inventari e delle scritture ausiliarie di magazzino.

Nel regime contabile semplificato, per le scritture contabili, l’obbligo di tenuta dei libri si riduce così ai seguenti quattro registri obbligatori: i registri Iva, il registro dei beni ammortizzabili, il registro incassi e pagamenti ed il LUL, ovverosia il Libro unico del lavoro nel caso in cui l’impresa abbia dei dipendenti.

La normativa di riferimento, per l’accesso o meno da parte di un’impresa al regime contabile semplificato, è rappresentata dagli articoli numero 57 e numero 85 del TUIR che è il Testo Unico delle imposte sui redditi. E dall’articolo numero 18 del Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n° 600/1973.

Che differenza c’è tra contabilità ordinaria e semplificata?

Tutti i soggetti che svolgono un’attività economica sono tenuti alla registrazione delle operazioni finanziarie e amministrative che determinano pagamenti e incassi. Più in generale, si può affermare che per qualsiasi movimento economicamente rilevante ricorre l’obbligo di tenuta delle scritture contabili.

Per farlo, imprese, professionisti e lavoratori autonomi adottano un determinato regime contabile. In relazione ad esso, in questo articolo ci occupiamo di contabilità ordinaria e di contabilità semplificata. Quali sono le peculiarità di ogni regime e quali differenze sussistono, lo spieghiamo qui di seguito.

Cosa sono i regimi contabili

Ogni regime contabile prevede regole e istruzioni a cui i soggetti esercitanti un’attività economica devono attenersi non solo ai fini contabili, ma anche per la determinazione del reddito, delle tasse e dell’IVA.

I regimi contabili sono tre: contabilità ordinaria e contabilità semplificata per professionisti e imprese; regime forfettario per professionisti e lavoratori autonomi.

A seconda del regime contabile adottato, variano le scritture contabili e la tenuta dei registri obbligatori. Solo i contribuenti forfettari ne sono esonerati in quanto hanno l’obbligo di conservare e numerare solo le fatture ricevute o emesse. Come già anticipato, ci concentriamo solo sulla contabilità ordinaria e su quella semplificata.

Contabilità ordinaria e semplificata: i soggetti

La contabilità ordinaria è il regime obbligatorio che devono adottare le società di capitali, le organizzazioni di società ed enti stabili non residenti in Italia, gli enti pubblici e privati, le associazioni non riconosciute e i consorzi con attività commerciale in via prevalente.

Diventa obbligatoria anche per le persone fisiche, società di persone ed enti non commerciali che svolgono attività commerciali, ma solo nel caso questi soggetti conseguano un fatturato annuo superiore al limite stabilito dalla legge (400.000 euro per le imprese di servizi e 700.000 euro per le altre attività).

La contabilità semplificata può essere adottata da società di persone, professionisti e lavoratori autonomi. Inoltre, da enti commerciali che svolgono un’attività commerciale in via non prevalente. Si tratta di un aiuto che si è voluto concedere ai soggetti con un reddito più basso che consente loro di semplificare molti degli obblighi previsti dalla contabilità ordinaria.

In tal caso, il fatturato non può superare i 400.000 euro per le imprese di servizi e i 700.000 euro per le altre attività.

Principio di competenza e di cassa

La determinazione del reddito di un’impresa o di un lavoratore autonomo può seguire uno di questi due principi a seconda del regime contabile adottato:

Il principio di competenza vige nella contabilità ordinaria e prevede che costi e ricavi vengano conteggiati nel reddito a prescindere dall’avvenuto pagamento o incasso.

Secondo il principio di cassa previsto nella contabilità semplificata, costi e ricavi contribuiscono a determinare il reddito a prescindere dalla loro maturazione, quindi, solo nel momento in cui si manifestano finanziariamente.

Le scritture contabili obbligatorie nella contabilità ordinaria

I soggetti che devono attenersi al regime di contabilità ordinaria sono obbligati alla tenuta di determinate scritture contabili:

  • registri IVA, nei quali vengono annotate tutte le transazioni rilevanti per la determinazione dell’IVA;
  • registro dei beni ammortizzabili, nel quale vengono registrate le immobilizzazioni materiali e immateriali, relative all’acquisto di beni strumentali che non esauriscono la loro vita utile nel breve periodo ma in più esercizi e, quindi, sono soggetti ad ammortamento;
  • libro giornale, dove vengono registrate tutte le operazioni in entrata e in uscita;
  • libro degli inventari.

Nel caso di società di capitali, è obbligatoria anche la tenuta del libro dei soci, del libro delle obbligazioni, i libri delle adunanze e delle deliberazioni dei vari organi.

Le scritture contabili nella contabilità semplificata

I soggetti che adottano il regime contabile semplificato sono tenuti al rispetto del criterio cronologico delle scritture contabili e sono tenute a compilare:

  • registro cronologico degli incassi e dei pagamenti
  • registri IVA di operazioni passive e attive
  • registro cronologico delle entrate e delle uscite può anche non essere compilato, se le relative operazioni vengono annotate nei rispettivi registri IVA, con l’obbligo di annotare, separatamente, le operazioni non soggette ad IVA.

E’ possibile passare da un regime contabile all’altro?

In base a quanto sopra indicato, risulta ovvio che ci sono soggetti che esercitano un’attività economica che sono obbligati all’adozione del regime contabile ordinario, per via del presupposto giuridico o per superamento delle soglie di reddito previste dalla legge.

Ma per i soggetti economici che hanno facoltà di scelta e hanno già adottato la contabilità semplificata, è possibile effettuare il passaggio al regime contabile ordinario esercitando il comportamento concludente e con effetto dall’inizio del periodo di imposta nel corso del quale la scelta è effettuata.

L’unico obbligo è costituito dalla comunicazione del passaggio nella dichiarazione IVA (quadro VO del modello). In caso contrario, l’opzione scelta resta valida, ma la mancata comunicazione è passibile di sanzione amministrativa (tra 250 euro e e 2.000 euro).

La scelta del regime ordinario è vincolata per tre anni. Oltre tale periodo, la permanenza nella contabilità ordinaria resta valida per ogni anno successivo, fino a quando rimane la concreta applicazione della scelta operata.

Dopo il triennio, il soggetto può ritornare al regime semplificato nella stesso modo suddetto, ma solo nel caso sia in possesso dei requisiti richiesti.

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Contabilità semplificata, come funziona?

Il regime di contabilità semplificata consente ai soggetti che esercitano un’attività economica di accedere ad alcune agevolazioni in presenza di determinati requisiti. Ma in cosa consiste e chi può adottare questo regime contabile? Inoltre, quali sono le differenze con la contabilità ordinaria? In questo articolo, risponderemo a queste e ad altre eventuali punti interrogativi.

Cos’è la contabilità semplificata

La contabilità semplificata è un regime contabile che permette la fruizione di alcuni benefici, come l’utilizzo del principio di cassa, l’esonero dalla redazione di alcuni libri contabili, una maggiore semplicità nella gestione fiscale.

Solitamente, il regime di contabilità semplificata viene adottato da professionisti e imprese che conseguono fatturati non troppo elevati e meno strutturati. Mentre, il regime ordinario attiene alla contabilità delle società di capitali e delle imprese con fatturati che superano le soglie stabilite per l’accesso al regime semplificato.

Il principio di cassa nel regime contabile semplificato

La contabilità semplificata è basata sul principio di cassa che rappresenta un criterio di imputazione di costi e ricavi nel bilancio del possessore della partita IVA. Ossia, i costi vengono registrati solo quando si manifestano finanziariamente, quindi, nel momento in cui avviene il pagamento. I ricavi si manifestano allo stesso modo, per cui si concretizzano finanziariamente solamente quando vengono incassati. Il tutto, deve avvenire entro il 31 dicembre.

Pertanto, nel regime di contabilità semplificata non fanno testo le fatture che non sono state pagate o incassate, diversamente da quanto accade nel regime di contabilità ordinaria, dove vige il principio di competenza. Ovvero nel bilancio vengono inserite anche le fatture che non sono a rimessa diretta, quindi, quando il pagamento o l’incasso sono post datati rispetto alla loro data di emissione. Di conseguenza, ciò significa che il reddito preso in considerazione è solo quello effettivamente incassato durante l’anno, per cui la tassazione relativa è più “reale”.

La tenuta dei libri contabili con la contabilità semplificata

Rispetto al regime contabile ordinario, quello semplificato prevede un parziale esonero dalla tenuta dei libri contabili. Poiché il titolare di partita IVA aderente alla contabilità semplificata non deve presentare un bilancio ordinario, i documenti necessari da tenere sono pochi e sono i seguenti:

  • registro IVA;
  • registro incassi e pagamenti;
  • registro dei beni ammortizzabili;
  • libro unico del lavoro, ma solo nel caso si abbiano dei dipendenti.

Nella contabilità ordinaria ricorre l’obbligo di tenere anche altri documenti, come il libro giornale, le scritture ausiliarie e il libro inventario.

Chi può accedere alla contabilità semplificata

Per adottare il regime contabile semplificato si devono rispettare alcuni limiti di fatturato. Possono sceglierlo le attività d’impresa che fatturano fino a 400.000 euro, nel caso si tratti di prestatori di servizi. In caso di altre tipologie di attività, il limite di fatturato sale a 700.000 euro.

I soggetti ammessi al regime semplificato sono le persone fisiche che esercitano imprese commerciali; le società in nome collettivo o in accomandita semplice e soggetti equiparati; gli enti non commerciali che svolgono un’attività commerciale ma non in prevalenza; i trust che esercitano un’attività commerciale non prevalente.

Tuttavia, ci sono soggetti che non possono aderire alla contabilità semplificata a prescindere dai limiti di reddito.

Ci riferiamo alle società per azioni o a responsabilità limitata (anche semplificata) e alle società cooperative o in accomandita per azioni. Inoltre, non possono accedere alla regime contabile semplificato: le mutue assicuratrici; le stabili organizzazioni di società ed enti non residenti; gli enti privati e pubblici he hanno come oggetto esclusivo o prevalente l’esercizio di attività commerciali; le associazioni non riconosciute e i consorzi che hanno come oggetto esclusivo o in via prevalente lo svolgimento di attività commerciali.

La scelta di adottare la contabilità semplificata al posto di quella ordinaria deve essere effettuata nella prima dichiarazione annuale IVA. Chi non lo fa, accede automaticamente al regime contabile ordinario. Il mantenimento dei requisti necessari per l’adozione del regime semplificato, determina la permanenza nel medesimo regime che si estende di anno in anno.

I registri

Le registrazioni contabili nel regime semplificato devono essere eseguite in ordine cronologico, quindi, secondo le date dei pagamenti e degli incassi.

Per ciascuna operazione va indicato l’importo, gli estremi del documento di riferimento e i dati di chi ha pagato o incassato.

È sempre necessario annotare separatamente le operazioni fuori campo Iva da quelle soggette a IVA e indicare, anche in questo caso separatamente, gli importi delle fatture non incassate e gli importi delle fatture non pagate.

Regime contabile semplificato presuntivo

I soggetti che accedono alla contabilità semplificata hanno la possibilità di optare, per almeno un triennio, di un regime particolare c.d. presuntivo, che prevede la tenuta dei registri IVA senza annotare i relativi incassi e pagamenti. Tuttavia, rimane l’obbligo di separazione delle annotazioni per le operazioni non soggette ad IVA.

Adottando questo regime semplificato speciale, sussiste una presunzione legale secondo cui la data di registrazione dei documenti coincide con quella di pagamenti o incassi. Questa opzione non incide sulla determinazione del reddito delle imprese che avviene sempre in base al principio di cassa.

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Agenzia delle Entrate: chiarimenti sull’IVA

L’Agenzia delle Entrate, con una risoluzione del 13 febbraio 2012 n. 15/E, intende chiarire l’ambito di applicazione dell’articolo 14, comma 11, della legge 12 novembre 2011 n. 183, ovvero nota anche come legge di stabilità 2012, il quale ha stabilito che i limiti per la liquidazione trimestrale dell’IVA sono i medesimi di quelli fissati per il regime di contabilità semplificata.

La disposizione ha così posto rimedio al disallineamento normativo creatosi tra il comparto IVA ed il comparto delle imposte dirette a seguito dell’innalzamento della soglia dei ricavi entro i quali è possibile usufruire del regime di contabilità semplificata, operato dal decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 (cosiddetto “decreto sviluppo”). I dubbi espressi riguardavano, in particolare,  il parametro al quale collegare i nuovi limiti monetari e la  possibilità, per i contribuenti trimestrali, di continuare a differire al 16 marzo dell’anno successivo il versamento del saldo del periodo d’imposta.

In merito al secondo punto il richiamo operato dal comma 11 dell’articolo 14 ai limiti fissati per il regime di contabilità semplificata non implica che a rilevare, ai fini della determinazione della periodicità degli adempimenti IVA, sia l’importo dei ricavi previsti dagli articoli 57 e 85 del decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917.

Ai fini della predetta determinazione continua a rilevare esclusivamente il volume d’affari, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi poste in essere nell’anno, con le eccezioni di cui all’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. L’Agenzia delle Entrate rileva che l’innalzamento dei limiti monetari ha effetto anche con riferimento alla previsione di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 542 del 1999, nel senso che i contribuenti che non superano le nuove soglie ed optano per la periodicità trimestrale, qualora evidenzino un saldo finale a debito, devono effettuare il versamento del conguaglio entro il 16 marzo dell’anno successivo, maggiorando l’importo dovuto della percentuale dell’1%

Fonte: gazzettadellavoro.com

Comunicazioni iva obbligatorie per fatture oltre i 3mila euro: chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate torna sull’obbligo di comunicazione di tutte le operazioni rilevanti iva superiori all’importo di tremila euro a un mese dalla entrata in vigore del provvedimento. Lo fa con la circolare 24/E, con la quale indica i nuovi adempimenti alla luce dell’ultima manovra (dl 78/2010) e del provvedimento delle Entrate del 22 dicembre scorso (poi modificato da quello del 14 aprile 2011).

Alla luce della nota vengono individuati esoneri del primo tempo e scadenze più lunghe. Solo per il 2010, la comunicazione da parte dei contribuenti obbligati sarà limitata alle operazioni per cui è emessa o ricevuta una fattura di importo pari o superiore ai 25mila euro, al netto dell’Iva. Contestualmente, i tempi di consegna della comunicazione sono stati allungati: i termini scadono infatti il 31 ottobre 2011.

Tra i contribuenti tenuti a presentare la comunicazione ci sono i soggetti in regime di contabilità semplificata di cui agli articoli 18 e 19 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e i soggetti che applicano il regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali e di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 13 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Tutte le operazioni Iva che “passano sulla carta” sono esonerate, così come non è prevista alcuna comunicazione per le operazioni effettuate nei confronti del consumatore finale, purché il pagamento avvenga con carte di credito, di debito o prepagate emesse da operatori finanziari residenti o con stabile organizzazione nel territorio nazionale.