Italiani: ricchi senza saperlo?

di Vera MORETTI

Le famiglie italiane sono più “ricche” rispetto alla media internazionale. E’ questo che emerge dal bollettino statistico della Banca d’Italia, che descrive la situazione dei nuclei famigliari alla fine del 2010. Sono dati che, comunque, non tengono conto dell’ultimo anno, quando la crisi si è fatta pesantemente sentire a livello locale ed internazionale.

Nel 2009 le ricchezze delle famiglie del Belpaese erano pari a 8,3 volte il reddito disponibile, contro l’8 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli Stati Uniti.
L’ammontare dei debiti era invece pari all’82 per cento del reddito disponibile quando in Francia e in Germania risultava di circa il 100 per cento, negli Stati Uniti e in Giappone del 130 per cento e nel Regno Unito del 170 per cento.

Alla fine del 2010 la ricchezza lorda delle famiglie italiane era cresciuta, fino ad arrivare ad una cifra di circa 9.525 miliardi di euro corrispondenti a poco meno di 400 mila euro in media per famiglia, con una consistente fetta, pari a 4.950 miliardi, che riguarda le abitazioni di proprietà.
Le attività reali rappresentavano il 62,2 per cento della ricchezza lorda, le attività finanziarie il 37,8 per cento. Le passività finanziarie, pari a 887 miliardi di euro, rappresentavano il 9,3 per cento delle attività complessive. L’aumento delle attività reali (1,1 per cento) è stato compensato da una diminuzione delle attività finanziarie (0,8 per cento) e da un aumento delle passività (4,2 per cento).

A fine 2010 circa il 35 per cento dell’ammontare dei titoli depositati presso le banche italiane da famiglie residenti era riferito a conti titoli di valore complessivamente inferiore a 50 mila euro; i finanziamenti erogati alle famiglie di importo compreso tra 30 mila e 75 mila euro rappresentavano il 20 per cento circa del totale; quelli compresi fra 75 mila e 250 mila euro erano il 56 per cento mentre il restante 23 per cento era ascrivibile a finanziamenti di importo superiore a 250 mila euro.

Ora attendiamo i dati del 2011, perché, o la crisi si è fatta sentire soprattutto in questo ultimo anno, o non ci accorgiamo di essere “ricchi”, o il termine “ricchezza” ha perso il suo valore.

In Europa i costi del lavoro sono più elevati

Il tasso di occupazione, e della disoccupazione, di un Paese, non dipende solo dalla discrepanza tra domanda ed offerta, ma anche da una serie di altri fattori e, tra questi, non è da sottovalutare il costo che implica, per un’azienda, assumere un dipendente.

Non si tratta solo di erogare lo stipendio mensile, perché nella busta paga, oltre alla retribuzione netta, appaiono le trattenute fiscali e previdenziali, oltre al Tfr, trattamento di fine rapporto, che il datore di lavoro ha l’obbligo di versare quando la collaborazione si interrompe.

Prima di assumere nuova forza lavoro, quindi, ogni impresa deve prendere in considerazione l’entità dei costi che deve sostenere. E in parecchi casi, soprattutto in Europa, tali costi sono molto elevati.

Nel vecchio continente, infatti, i salari lordi, ovvero i costi del lavoro, sono più altri che altrove e, facendo una stima più dettagliata, la Svizzera è in testa a questa particolare classifica, poiché la retribuzione lorda mensile è di 4.650,5 euro, per un Pil procapite annuo pari a 47.182,2 euro. Al secondo posto c’è un Paese membro dell’Unione europea, la Danimarca, dove le buste paga del lavoratori sono, sempre considerando la cifra lorda, di 4.332,8 euro, con un Pil pro capite di 41.141,6 euro. Al terzo posto, il Lussemburgo, con uno stipendio medio di 4.255,9 e un Pil di 78.935,4 euro, molto più elevato rispetto a quello dei primi due Paesi della classifica in virtù del numero di abitanti.

Al quarto e al quinto posto troviamo, rispettivamente, Norvegia, con una cifra lorda di 4090,6 euro e un Pil di 57.142,6, il che lascia intendere una retribuzione netta molto elevata. Dietro la nazione scandinava, ecco l’Irlanda, dove la paga mensile di un lavoratore è in media di 3.938,4 euro e il Pil di 35.659, anche se, in questo caso, considerando che si tratta di rilevazioni risalenti al 2009, la situazione potrebbe essere molto cambiata. Ricordiamo, a questo proposito, che l’isola celtica è stata colpita pesantemente dalla crisi globale, con un conseguente aumento del debito pubblico triplicato in pochi anni.

Questi dati, provenienti dalla Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE) e della Commissione statistica dell’Onu (UNSD), dimostrano come, tra i primi posti, non ci sia nessuna potenza economica europea, la prima delle quali, la Francia, si trova in decima posizione, dove i salari lordi sono in media di 2.902,3 euro e il Pil pari a 29.905,3 euro.

I cugini d’Oltralpe sono seguiti dal Regno Unito, che comprende Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, dove imprese e enti pubblici sborsano in media 2.850,8 euro per la retribuzione dei loro dipendenti al lordo delle trattenute. Rispetto ai “rivali” transalpini, anche il Pil pro capite è più basso e ammonta a 25.562,3.

La maggiore potenza economica europea, la Germania, si trova al dodicesimo posto della graduatoria. In proporzione al reddito pro capite, piuttosto elevato, 29.399 euro annui, il costo del lavoro è relativamente basso: ogni dipendente percepisce in media uno stipendio lordo 2.686,1 euro al mese.

E l’Italia? In base ai dati dell’Onu rilevati nel 2009, il nostro Paese occupa la quindicesima posizione della classifica. I salari lordi sono in media di 2.321,2 euro al mese. I costi del lavoro sono quindi inferiori rispetto agli altri Paesi più industrializzati d’Europa. Ma il dato sul reddito pro capite annuo, pari a 25.598,6 euro, dimostra che anche la retribuzione netta è piuttosto bassa. Ciò significa che i costi che le imprese italiane devono sostenere per pagare i dipendenti sono alquanto elevati.

E da ciò si potrebbe spiegare anche l’alto tasso di disoccupazione e l’esercito dei lavoratori in nero, circa 3 milioni, nel nostro Paese.

Vera Moretti