La nuova tassazione delle rendite finanziarie – Il giro titoli

Se nella vostra posizione detenete fondi e sicav (e anche ETF), per le quote dei fondi comuni italiani ed esteri, non è più prevista la procedura dell’affrancamento. Si tratta invece di uno specifico regime transitorio in base al quale, in sede di rimborso, cessione o liquidazione delle quote, si applica l’aliquota nella misura del 26% sui proventi realizzati a decorrere dal 1° luglio 2014, mentre sui proventi realizzati dopo questa data, ma riferibili a valori maturati fino al 30 giugno 2014, continua a applicarsi l’aliquota nella misura del 20%.

Se liquidate un fondo dopo il 30 giugno sulla plusvalenza, infatti, pagherete la vecchia aliquota per il valore fino al 30 giugno e poi il 26% solo per il capital gain successivo.

Un ulteriore opzione cui ho accennato è quella di fare il cosiddetto giro-titoli, vendere cioè solo i titoli (quindi esclusi i fondi) in utile prima del 30 giugno, pagare l’aliquota al 20% sulla plusvalenza e ricomprarli, sempre entro il 30 giugno.

Perchè? Ricomprando il titolo, si pagherà, quando lo si venderà in futuro, il 26% ma sul nuovo prezzo del titolo, non sul prezzo medio di carico, sul quale avete già pagato il 20%.

Il vantaggio, rispetto all’affrancamento, è che si può decidere su quali titoli è conveniente farlo, perché non è sufficiente che ci sia un utile ma ci deve essere un utile che compensi la tassazione anticipata. Bisogna fare i calcoli.

C’è anche un altro aspetto, negativo però: i costi delle commissioni di negoziazione, che vanno pagati due volte, una per la vendita e una per l’acquisto. Queste potrebbero essere molto basse e non influire sulla positività del giro titoli oppure essere così care da renderlo inefficiente.

Al pari dell’affrancamento, poi, anche nel caso del giro titoli, è possibile che il prezzo dei medesimi scenda successivamente all’operazione, creando quindi una minusvalenza già tassata però come se fosse una plusvalenza.

E’ indispensabile anche conoscere perfettamente la propria posizione fiscale, il cosiddetto zainetto fiscale, e valutare le perdite pregresse e recuperabili.

Tutte queste variabili vanno calcolate bene a priori, per stabilire la convenienza o meno della scelta che si intende effettuare.

A proposito di zainetto fiscale, c’è di nuovo un meccanismo diabolico, di cui probabilmente non vi ha parlato nessuno, ovvero le minus pregresse si recuperano “di meno”. Vi spiego perché: dato che la tassazione passa dal 20% al 26%, sarà utilizzato il”coefficientamento” (vengono usati sempre termini semplici e trasparenti, come notate!). Cos’è? In pratica, lo zainetto fiscale si riduce del rapporto tra 20 e 26, cioè del 23,08%. Se però la posizione fiscale risale a prima del 31/12/2011, quando la tassazione era al 12,50% (e siccome ci sono 4 anni successivi per recuperare le perdite, fino al 2015 ci saranno probabilmente questi casi), il coefficientamento riduce le posizioni del rapporto tra 12,50 e 26, cioè del 51,92%.

In pratica, se avete 1000 euro di minusvalenze da recuperare, vengono ridotte a 769,2 euro compensabili, se invece erano ante 2011 si riducono a 480,8 euro. Lo Stato si è abbuonato una parte del debito che aveva con gli investitori, cancellandolo con un colpo di spugna!

Badate che questa non è una opinione, ma un dato di fatto, basato su quanto pubblicato in Gazzetta Ufficiale (art 13 del provvedimento) e sull’esperienza passata, perché nel 2011, con il governo Monti, è accaduta la stessa cosa, passando alla tassazione dal 12,50 al 20%.

Non ci resta che piangere!

Qualcuno vi aveva già spiegato queste cose? Che fare di fronte a questo nuovo appesantimento fiscale? Non esiste una risposta univoca e buona “per tutte le stagioni”. Si tratta di valutare, con l’ausilio di chi non vi deve vendere nulla ma solo fare il vostro interesse (un consulente indipendente), la situazione e fare la scelta migliore, tenendo conto del tipo di perdite da recuperare e della loro entità, del tipo di investimenti effettuati (azioni, obbligazioni, titoli di Stato, derivati, certificati), del capitale a disposizione e della propensione al rischio.

Se per recuperare una minusvalenza è necessario un capitale che eccede le proprie disponibilità oppure un investimento che supera la soglia del rischio ammissibile, è evidente che non sarà possibile scegliere quella strada.

E sopratutto, il recupero fiscale non può e non deve essere l’unica ragione per fare le scelte di investimento più opportune, rischiando di ottenere più danni che benefici.

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La nuova tassazione delle rendite finanziarie – L’affrancamento

Dall’Enciclopedia Treccani: affrancamento In botanica, l’emissione di radici dalla parte basale del nesto, che si ha quando una pianta innestata al colletto (vite ecc.) resta troppo interrata; il nesto tende così a vivere indipendentemente dal soggetto e la pianta si dice allora affrancata.

Ora, non chiedetemi perché si è deciso di chiamarlo “affrancamento”, ma si chiama così la procedura che sarà possibile fare entro il 30 settembre per chi è in regime di risparmio amministrato: consente di evitare al contribuente la penalizzazione derivante dall’introduzione di nuove norme fiscali meno favorevoli, in particolare nella fase di transizione fra due regimi.

Come già saprete, dal 1 Luglio, la tassazione sui guadagni aumenterà dal 20% al 26%, su:

conti correnti e conti postali;

azioni;

obbligazioni;

conti deposito;

fondi di investimento.

Saranno invece esclusi:

titoli di Stato (Bot e Btp), che manterranno l’aliquota del 12,5%;

fondi pensione (11%)

I risparmiatori in regime di risparmio amministrato o dichiarativo, probabilmente si chiedono che fare sulle posizioni detenute in azioni, obbligazioni, fondi o Etf, per ottimizzare la posizione fiscale.

Con l’affrancamento è possibile assoggettare alla vecchia aliquota (il 20%) tutte le plusvalenze maturate fino al 30 giugno e poi vedersi applicata la nuova aliquota (il 26%) dal 1° luglio in poi. E per fare questa operazione, c’è tempo fino al 30 settembre. Quindi non bisogna correre ma è comunque necessario sbrigarsi a capire e decidere.

Quali sono le controindicazioni dell’affrancamento?

Le alternative sono: non fare nulla o vendere entro il 30 giugno.

Rispetto all’affrancamento, queste scelte possono essere fatte anche solo parzialmente, ad esempio vendere solo i titoli in utile.

L’affrancamento, invece, vale per tutta la posizione del deposito titoli, quindi utili ma anche perdite. Si ottiene una “cessione figurativa”, cioè è come se si vendessero tutti i titoli al 30 giugno, pagando il 20% di imposta in via anticipata, perché i titoli non sono realmente venduti.

Quale rischio si corre è evidente: se le perdite sono maggiori degli utili, si ottiene un danno e non un vantaggio, e badate che i prezzi calcolati saranno quelli medi di carico.

Un esempio per chiarire: le plusvalenze nette (plusvalenze meno minusvalenze) sono pari a 5.000 euro? Pagate 1.000 euro di imposta al 30 giugno. Se, dopo, i prezzi dei titoli scendono e addirittura diventano inferiori ai prezzi medi di carico, e voi vendete il titolo, alla perdite di valore dovrete sommare il 20% già pagato e che lo Stato non vi restituirà (chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…vi ricorda qualcosa?). Se salgono oltre il prezzo medio, quando vendete il titolo pagherete il 26% solo sulla differenza (prezzo di vendita- prezzo medio)

Se invece non ci si avvale dell’affrancamento, il rischio è che si paghi una tassa retroattiva sui guadagni (il 26% si paga anche se l’utile che è maturato precedentemente), non essendo previsti meccanismi correttivi, ad esempio, dell’inflazione. Morale, la tassa potrebbe annullare l’utile realizzato.

Come vedete, si tratta di un paradosso, non se ne esce.

E’ necessario fare calcoli precisi, ma non è possibile sapere il prezzo futuro dei titoli, in qualità di consulente e analista indipendente posso solo fare delle previsioni.

Se decidete di procedere con l’affrancamento dovete rivolgervi alla vostra banca o intermediario dove avete depositato il dossier titoli. Le banche stanno predisponendo la documentazione e le procedure per aderire, entro il 30 settembre. Forse però sarebbe meglio, prima, aver consultato un consulente realmente indipendente, che sia in grado di darvi la soluzione ad hoc.

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La tassazione delle rendite finanziarie

 

Si fa un gran parlare di tassazione iniqua delle rendite finanziarie, sopratutto se confrontate con l’aliquota marginale che ogni contribuente paga in base allo scaglione di  reddito cui appartiene. In realtà, la tassazione delle rendite finanziare non è al 20%, dipende da alcune variabili, e può salire di parecchio.

Seconda considerazione che mi viene da fare è che le “rendite finanziarie” sono generate da investimenti di risparmi, che quindi sono già stati tassati almeno una volta direttamente e una indirettamente. Quindi i proventi vengono tassati una terza volta.

Le variabili che influenzano l’aliquota effettiva sono tre: tipo di rendita (da capitale o da “redditi diversi”), tipo di aliquota applicata (20% su redditi da capitale e diversi, 12,50% per i titoli di Stato, imposta di bollo 0,20%, Tobin Tax) e regime di tassazione (dichiarativo, amministrato, gestito o polizza).

Nei casi di risparmio gestito o della polizza vita, c’è un semplice calcolo della differenza di valore dell’investimento ad inizio e fine anno. Se positiva, viene tassata.

Nei casi invece di regime dichiarativo o amministrato, la faccenda si complica.

Nel dichiarativo, è l’investitore che deve contabilizzare tutti gli utili e tutte le perdite ed indicare nella dichiarazione dei redditi a quanto ammonta l’eventuale rendita. Sarà quindi tassato in base all’aliquota marginale di appartenenza.

Nell’amministrato, è l’intermediario finanziario che si occupa di fare i conteggi e di applicare la tassazione fissa del 20%, ma c’è una grave distorsione. Infatti gli utili e le perdite vengono classificate in maniera diversa, redditi da capitale e diversi, e non sempre sono compensabili tra loro.

L’anomalia più significativa riguarda i Fondi comuni di investimento e gli Etf, strumenti largamente usati dagli investitori: le plusvalenze sono considerate redditi da capitale, mentre le minusvalenze sono considerate redditi diversi, e compensabili solo con questi.

In pratica, se un Fondo o un Etf in deposito Titoli, e quindi in regime fiscale amministrato, viene venduto ad un valore superiore a quello di acquisto, questa differenza è considerata come plusvalenza e tassata. Però, se lo stesso Fondo o Etf, viene venduto ad un valore inferiore, generando quindi una minusvalenza, questa non è compensabile con altre plusvalenze generata da altri Fondi venduti in utile, ma solo con “redditi diversi”. In pratica una beffa ai danni degli investitori, in cui +1 e -1 non ha come risultato zero, ma fa +1! Vedremo prossimamente a quanto ammonta la tassazione reale sulle rendite finanziarie.

 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis