La nuova tassazione delle rendite finanziarie – L’affrancamento

Dall’Enciclopedia Treccani: affrancamento In botanica, l’emissione di radici dalla parte basale del nesto, che si ha quando una pianta innestata al colletto (vite ecc.) resta troppo interrata; il nesto tende così a vivere indipendentemente dal soggetto e la pianta si dice allora affrancata.

Ora, non chiedetemi perché si è deciso di chiamarlo “affrancamento”, ma si chiama così la procedura che sarà possibile fare entro il 30 settembre per chi è in regime di risparmio amministrato: consente di evitare al contribuente la penalizzazione derivante dall’introduzione di nuove norme fiscali meno favorevoli, in particolare nella fase di transizione fra due regimi.

Come già saprete, dal 1 Luglio, la tassazione sui guadagni aumenterà dal 20% al 26%, su:

conti correnti e conti postali;

azioni;

obbligazioni;

conti deposito;

fondi di investimento.

Saranno invece esclusi:

titoli di Stato (Bot e Btp), che manterranno l’aliquota del 12,5%;

fondi pensione (11%)

I risparmiatori in regime di risparmio amministrato o dichiarativo, probabilmente si chiedono che fare sulle posizioni detenute in azioni, obbligazioni, fondi o Etf, per ottimizzare la posizione fiscale.

Con l’affrancamento è possibile assoggettare alla vecchia aliquota (il 20%) tutte le plusvalenze maturate fino al 30 giugno e poi vedersi applicata la nuova aliquota (il 26%) dal 1° luglio in poi. E per fare questa operazione, c’è tempo fino al 30 settembre. Quindi non bisogna correre ma è comunque necessario sbrigarsi a capire e decidere.

Quali sono le controindicazioni dell’affrancamento?

Le alternative sono: non fare nulla o vendere entro il 30 giugno.

Rispetto all’affrancamento, queste scelte possono essere fatte anche solo parzialmente, ad esempio vendere solo i titoli in utile.

L’affrancamento, invece, vale per tutta la posizione del deposito titoli, quindi utili ma anche perdite. Si ottiene una “cessione figurativa”, cioè è come se si vendessero tutti i titoli al 30 giugno, pagando il 20% di imposta in via anticipata, perché i titoli non sono realmente venduti.

Quale rischio si corre è evidente: se le perdite sono maggiori degli utili, si ottiene un danno e non un vantaggio, e badate che i prezzi calcolati saranno quelli medi di carico.

Un esempio per chiarire: le plusvalenze nette (plusvalenze meno minusvalenze) sono pari a 5.000 euro? Pagate 1.000 euro di imposta al 30 giugno. Se, dopo, i prezzi dei titoli scendono e addirittura diventano inferiori ai prezzi medi di carico, e voi vendete il titolo, alla perdite di valore dovrete sommare il 20% già pagato e che lo Stato non vi restituirà (chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…vi ricorda qualcosa?). Se salgono oltre il prezzo medio, quando vendete il titolo pagherete il 26% solo sulla differenza (prezzo di vendita- prezzo medio)

Se invece non ci si avvale dell’affrancamento, il rischio è che si paghi una tassa retroattiva sui guadagni (il 26% si paga anche se l’utile che è maturato precedentemente), non essendo previsti meccanismi correttivi, ad esempio, dell’inflazione. Morale, la tassa potrebbe annullare l’utile realizzato.

Come vedete, si tratta di un paradosso, non se ne esce.

E’ necessario fare calcoli precisi, ma non è possibile sapere il prezzo futuro dei titoli, in qualità di consulente e analista indipendente posso solo fare delle previsioni.

Se decidete di procedere con l’affrancamento dovete rivolgervi alla vostra banca o intermediario dove avete depositato il dossier titoli. Le banche stanno predisponendo la documentazione e le procedure per aderire, entro il 30 settembre. Forse però sarebbe meglio, prima, aver consultato un consulente realmente indipendente, che sia in grado di darvi la soluzione ad hoc.

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La tassazione delle rendite finanziarie

Dal 1 luglio l’attuale tassazione sulle rendite finanziarie dovrebbe passare al 26%, esclusi i titoli di Stato italiani e di Paesi “white list”, che rimane al 12,5%.
Vediamo però come incide realmente la tassazione sui proventi da investimento.
Tutto dipende da quale regime fiscale avete scelto, essendo possibili quattro opzioni: dichiarativo, amministrato, gestito e polizza vita.
La grossa differenza consiste nella disparità di trattamento delle minusvalenze che derivano da OICR, quindi Fondi comuni di investimento e Etf. Infatti, se si è realizzato un valore positivo, viene considerato reddito da capitale e tassato, mentre se è negativo viene considerato reddito diverso e quindi compensabile solo con altri redditi diversi. Perchè? MIstero!
Questa, oltretutto non è una norma di legge ma una prassi bancaria. Pura follia!
Attenzione, perché molte banche non inseriscono la vostra posizione a credito, derivante da minusvalenze da OICR, in automatico, come tutti credono e come sarebbe logico, ma solo dietro richiesta del cleinte, oppure dovete essere voi stessi (nel caso abbiate l’home banking) a caricarvi tutte le minusvalenze nel dossier relativo ai redditi diversi. Se non lo fate, non potrete mai compensare nulla con eventuali redditi diversi generati, perché le minusvalenze da OICR semplicemente non risulteranno.
Pazzesco!
La tabella 1 chiarisce quali sono redditi da capitale e quali redditi diversi:


Facciamo ora riferimento alle tabelle seguenti, nelle quali sono evidenziati regimi fiscali diversi, per un investimento di 100.000 euro, in 10 anni, totalmente investito in OICR, con rendimento medio lordo del 6,5 e con il 55% di operazioni in utile e il 45% di operazioni in perdita.

Nella tabella 2, abbiamo tre soluzioni: con il risparmio amministrato, è evidente che tutti i crediti fiscali che derivano da operazioni in perdita, se non vengono recuperati nei 4 anni successivi da utili da redditi diversi, diventano una ulteriore tassazione. Portano quindi la fiscalità reale al 47%. E’ possibile ottenere utili da redditi diversi, ma questo significa utilizzare prodotti a rischio più elevato e che probabilmente non sono adatti all’investitore in fondi. Inoltre non è certo che questi utili si ottengano, generando quindi ulteriori perdite e crediti fiscali.

Nell’ipotesi del risparmio gestito, invece, le minusvalenze sono compensate direttamente con le plusvalenze e non generano quindi nessun credito fiscale, abbassando la tassazione reale di 18 punti, 29%.
Nell’ultima soluzione prevista, quella della polizza vita, la tassazione è differita sino al riscatto della polizza. Ciò significa che si è tassati, sul netto come per il risparmio gestitio, solo quando si preleva del denaro (in parte o tutto), con un peso fiscale del 27%, meno del risparmio gestito per via dell’imposta di bollo differita. Se invece il capitale polizza va ai beneficiari, perché si verifica l’evento (la dipartita dell’assicurato) questi non pagheranno nessuna imposta, perché esente e l’ammontare sarà escluso dall’asse ereditario, quindi non pagherà neppure imposte di successione. Totale della tassazione 3%, cioè la sola imposta di bollo.
E’ stata volutamente omessa dalla trattazione l’ipotesi del regime dichiarativo, perché in questo caso è il contribuente che deve farsi carico di indicare, nella dichiarazione dei redditi, tutte le operazioni in utile e in perdita, e pagare quindi le imposte solo sulla differenza e in base alla propria aliquota marginale.
Potrebbe forse essere conveniente, ma bisogna valutare e sopratutto non sbagliare la rendicontazione delle operazioni.
Quale regime scegliere, quindi? Dipende da molti fattori e non esiste una risposta univoca, di sicuro la tassazione è superiore al 26% e ci vuole l’aiuto di un esperto per dipanare la matassa.

LEGGI LA PRIMA PARTE

 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

La tassazione delle rendite finanziarie

 

Si fa un gran parlare di tassazione iniqua delle rendite finanziarie, sopratutto se confrontate con l’aliquota marginale che ogni contribuente paga in base allo scaglione di  reddito cui appartiene. In realtà, la tassazione delle rendite finanziare non è al 20%, dipende da alcune variabili, e può salire di parecchio.

Seconda considerazione che mi viene da fare è che le “rendite finanziarie” sono generate da investimenti di risparmi, che quindi sono già stati tassati almeno una volta direttamente e una indirettamente. Quindi i proventi vengono tassati una terza volta.

Le variabili che influenzano l’aliquota effettiva sono tre: tipo di rendita (da capitale o da “redditi diversi”), tipo di aliquota applicata (20% su redditi da capitale e diversi, 12,50% per i titoli di Stato, imposta di bollo 0,20%, Tobin Tax) e regime di tassazione (dichiarativo, amministrato, gestito o polizza).

Nei casi di risparmio gestito o della polizza vita, c’è un semplice calcolo della differenza di valore dell’investimento ad inizio e fine anno. Se positiva, viene tassata.

Nei casi invece di regime dichiarativo o amministrato, la faccenda si complica.

Nel dichiarativo, è l’investitore che deve contabilizzare tutti gli utili e tutte le perdite ed indicare nella dichiarazione dei redditi a quanto ammonta l’eventuale rendita. Sarà quindi tassato in base all’aliquota marginale di appartenenza.

Nell’amministrato, è l’intermediario finanziario che si occupa di fare i conteggi e di applicare la tassazione fissa del 20%, ma c’è una grave distorsione. Infatti gli utili e le perdite vengono classificate in maniera diversa, redditi da capitale e diversi, e non sempre sono compensabili tra loro.

L’anomalia più significativa riguarda i Fondi comuni di investimento e gli Etf, strumenti largamente usati dagli investitori: le plusvalenze sono considerate redditi da capitale, mentre le minusvalenze sono considerate redditi diversi, e compensabili solo con questi.

In pratica, se un Fondo o un Etf in deposito Titoli, e quindi in regime fiscale amministrato, viene venduto ad un valore superiore a quello di acquisto, questa differenza è considerata come plusvalenza e tassata. Però, se lo stesso Fondo o Etf, viene venduto ad un valore inferiore, generando quindi una minusvalenza, questa non è compensabile con altre plusvalenze generata da altri Fondi venduti in utile, ma solo con “redditi diversi”. In pratica una beffa ai danni degli investitori, in cui +1 e -1 non ha come risultato zero, ma fa +1! Vedremo prossimamente a quanto ammonta la tassazione reale sulle rendite finanziarie.

 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Come cambierà la tassazione delle rendite finanziarie da gennaio 2012

Il nuovo regime di tassazione del 20% per le rendite finanziarie, che entrerà in vigore dal prossimo gennaio, porterà alcune conseguenze piuttosto tangibili.

Meno tasse toccheranno a chi affida i propri risparmi ai classici conti correnti o nei conti di deposito mentre una maggiorazione delle imposte è prevista per chi sceglie i pronti conti termine. Nessuna variazione, invece, per chi investe nei titoli pubblici.

Esclusi quindi dalla tassazione sono:

– titoli del debito pubblico, buoni postali di risparmio;
– cartelle di credito comunale e provinciale emesse dalla Cassa depositi e prestiti;
– obbligazioni e titoli similari emessi da amministrazioni statali, anche con ordinamento autonomo, da regioni, province e comuni e da enti pubblici istituiti esclusivamente per l’adempimento di funzioni statali o per l’esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio;
– obbligazioni emesse da altri Stati inclusi nella white list, ovvero nella lista dei paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni in materia.
Escluse anche le rendite pagate dai fondi pensione.

Nel dettaglio, vediamo come cambieranno titoli, interessi, polizze e la differenza tra le aliquote attuali e quelle che verranno attuate in gennaio:

Titoli di Stato italiani : da 12,5 a 12,5
Titoli pubblici di Paesi white list: da 12,5 a 12,5
Buoni postali : da 12,5 a 12,5
Interessi sui conti correnti e depositi di risparmio : da 27 a 20
Obbligazioni di durata inferiore ai 18 mesi : da 27 a 20
Obbligazioni di durata superiore ai 18 mesi : da 27 a 20
Pronti contro termine : da 12, 5 a 20
Obbligazioni con rendimenti non allineati : da 27 a 20
Dividendi azionari : da 12,5 a 20
Titoli atipici : da 27 a 20
Plusvalenze azionarie : da 12,5 a 20
Certificati di deposito : da 27 a 20
Accettazioni bancarie : da 27 a 20
Fondi comuni : da 12,5 a 20
Gestioni patrimoniali : da 12,5 a 20
Polizze di assicurazione : da 12,5 a 20
Fondi pensione : da 11 a 11

Nel caso di prodotto di risparmio gestito e polizze di assicurazione nel cui portafoglio sono presenti anche titoli esclusi dall’aumento della tassazione, il risultato finanziario oggetto della tassazione al 20 per cento sarà netto di una quota dei proventi riferibili i titoli di Stato italiani ed equiparati.

Le modalità di individuazione della quota dei proventi saranno stabilite con un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

A seconda del tipo di reddito, la tassazione si applica diversamente:

– per quanto riguarda i proventi dei redditi da capitale, la tassazione si applica su quelli realizzati a partire da gennaio 2012;
– dividenti e proventi assimilati prevedono una tassazione dei percepiti dal 1 gennaio 2012;
– gli interessi di obbligazioni e titoli similari avranno una tassazione dei maturati a partire dal 1 gennaio 2012;
– per quanto riguarda gestioni individuali di portafoglio, tassazione dei risultati maturati a partire dal 1 gennaio;
Polizze di assicurazione, infine, tassazione dei risultati maturati a partire dal 1 gennaio 2012.

In considerazione della nuova aliquota cambiano anche le regole per la detrazione delle minusvalenze dalle plusvalenze realizzate a partire dal gennaio 2012. Le minusvalenze, infatti, non potranno più essere scontate al 100 per cento, ma solo per una quota pari al 62,5 per cento del loro ammontare (quota data dal rapporto tra il 12,50 e il 20 per cento dovuto alla nuova tassazione).

Vera Moretti

Caro Fini, caro D’Alema: le rendite finanziarie non si toccano

Cari lettori, da oggi, 26 ottobre 2010, inizia a scrivere per Infoiva Gianni Gambarotta, firma di prestigio del giornalismo economico italiano. Nella sua rubrica Baracca&Burattini, Gambarotta commenterà ogni settimana i fatti grandi e piccoli dell’economia, italiana e non, con lo stile chiaro e diretto e con l’equilibrio che contraddistinguono un professionista di lungo corso quale è lui. Buona lettura. Il Direttore – Davide PASSONI

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di Gianni GAMBAROTTA

Gianfranco Fini e Massimo D’Alema hanno parlato insieme nel weekend scorso ad Asolo. Hanno detto molte cose, hanno scoperto di andare d’accordo su svariati temi. Bene, non voglio qui entrare nel merito di dibattiti politici. Non è quello che mi interessa in questa sede e in questo momento. Quello che mi ha colpito (e non solo me) negli interventi dei due leader è stata la loro perfetta intesa sul tema della tassazione delle rendite finanziarie: “Vanno raddoppiate, portate dall’attuale 12,5 per cento, al 25 per cento. Un’aliquota in linea con quelle in vigore nei maggiori Paesi europei nostri partner“.

Per me questa proposta che trova allineati Fini e D’Alema è sbagliata. Non parlo di giustizia sociale: da questo punto di vista in teoria potrebbe anche  starci. Parlo dell’efficacia economica di una misura certo non neutra come il raddoppio, di punto in bianco, del prelievo fiscale sul risparmio. È qui che le cose non funzionano.

L’Italia ha, fra i tanti, un problema: le decisioni economiche, nella loro grande maggioranza, transitano dai partiti. È la classe politica che decide dove indirizzare risorse, investimenti, finanziamenti. E lo fa seguendo i segnali di un radar che non cerca il successo e lo sviluppo del Paese nel suo complesso, ma capta soprattutto le convenienze elettorali. Gran parte della spesa, detto in parole molto povere, è un immenso, gigantesco voto di scambio che si ripete anno dopo anno. E questo succede con qualsiasi guida politica, chiunque sieda al volante, sia di centro-destra, sia di centro-sinistra.

Ora la pressione fiscale in Italia si aggira attorno al 46 per cento della ricchezza totale prodotta dal Paese. Questo significa che i partiti ogni anno intermediano, decidono che destinazione dare a quasi la metà del Pil. Un qualsiasi aumento della pressione fiscale non farebbe che aumentare questo stato di cose.

L’Italia non ha bisogno di questo. Anzi ha bisogno, e rapidamente, di imboccare esattamente la strada opposta. Quindi io credo che qualsiasi misura che miri ad aumentare anche di un solo euro quanto lo Stato prende dai cittadini è sbagliata e va evitata per ragioni di strategia politica del Paese.

E c’è un’altra osservazione da fare. Il risparmio è stato agevolato negli anni perché rappresenta uno dei pochi fattori positivi su cui l’Italia possa contare: il ministro Giulio Tremonti si è giocato, eccome, l’enorme patrimonio di risparmio privato nazionale quando si è trattato di rinegoziare in sede europea il patto di stabilità. Quindi bisognerebbe rifletterci bene prima di buttare tutto all’aria.