Fattura elettronica, obbligo a partite Iva forfettarie: quali nuovi costi e adempimenti?

L’estensione dell’obbligo della fattura elettronica anche al regime forfettario aumenta costi e adempimento alle partite Iva. Si tratta della conseguenza delle novità che il governo si appresta a varare per l’attuazione delle misura di attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) nell’ambito della legge fiscale. Nell’articolo 15 della bozza del provvedimento è prevista l’estensione della fatturazione elettronica ai soggetti finora esonerati fino al 31 dicembre 2024. L’obbligo dovrebbe scattare a partire dal 1° luglio 2022. Tuttavia, rimarranno esonerate le piccole partite Iva con limite di ricavi e di compensi entro i 25 mila euro.

Fattura elettronica, quali sono i nuovi soggetti e partite Iva soggetti all’obbligo?

L’estensione dell’obbligo di fattura elettronica alle partite Iva a regime forfettario era tra gli interventi più attesi in materia fiscale. Infatti, l’Italia già il 13 dicembre 2021 aveva recepito la decisione di esecuzione dell’Unione europea numero 2251 che prevedeva l’estensione dell’obbligo ai soggetti finora esonerati. La modifica che il governo si appresta ad apportare è quella al comma 3 dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015. Il provvedimento ha previsto l’introduzione della fatturazione elettronica esonerando dall’obbligo determinati soggetti, ovvero:

  • i soggetti in regime di vantaggio;
  • quelli forfettari;
  • le associazioni che esercitano l’opzione prevista dagli articoli 1 e 2 della legge numero 398 del 1991 per compensi commerciali che non eccedano i 65 mila euro nel precedente anno.

Obbligo di fattura elettronica alle partite Iva forfettarie: cosa cambia dal 1° luglio 2022?

L’obbligo di utilizzo della fattura elettronica scatterà, per i nuovi soggetti prima esonerati, a decorrere dal 1° luglio 2022. Tra gli adempimenti fiscali richiesti, vi rientrano:

  • l’utilizzo della fattura elettronica verso i soggetti residenti. Per il terzo trimestre di quest’anno la fatturazione elettronica vige senza le sanzioni se i documenti risultano emessi entro il mese successivo a quello nel quale viene effettuata l’operazione;
  • la fatturazione elettronica verso i non residenti, attualmente con scelta tra la modalità cartacea o elettronica. Dal 1° luglio 2022 comporterà invece l’adempimento dell’esterometro disciplinato dal comma 3 bis. In particolare, per le relative operazioni, a partire dal prossimo luglio scatterà l’obbligo di trasmettere le informazioni inerenti le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in entrata o in uscita da e verso soggetti non residenti nel territorio italiano. La trasmissione dovrà avvenire in via telematica. L’adempimento, dunque, comporta la scelta dell’alternativa della fattura elettronica più l’esterometro, oppure della sola fattura elettronica.

Fattura elettronica, nuovi adempimenti per le partite Iva che fanno acquisti su internet da soggetti non residenti

La fattura elettronica per le operazioni da e verso i soggetti non residenti comporterà, dunque, maggiori adempimenti soprattutto per le partite Iva che effettuano acquisti via internet da soggetti non residenti nel territorio nazionale. Il passaggio comporterà dei costi perché i nuovi soggetti tenuti ad adempiere alle norme difficilmente potranno gestire questo tipo di operazioni, almeno inizialmente, senza il sostegno di un commercialista o di un professionista. Peraltro, a differenza della fattura elettronica, la gestione dell’esterometro dovrà avvenire entro il 15esimo giorno successivo a quello dell’operazione.

Altri adempimenti legati all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica

Per quanto concerne gli altri adempimenti legati all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica, gli acquisti in reverse charge dai fornitori residenti, attualmente comporta per i forfettari la reverse charge con il versamento dell’Iva attraverso il modello F24. A partire dal prossimo luglio, tale regime rimarrà invariato. Varierà invece, con obbligo di esterometro a decorrere da luglio prossimo, l’acquisto intracomunitario di beni sotto la soglia annua di 10 mila euro dai fornitori comunitari senza l’iscrizione al Vies.

Fattura elettronica ed esterometro, gli adempimenti che comportano l’iscrizione al Vies

La procedura serve per le autorizzazioni a compiere operazioni intracomunitarie, ovvero di vendita o di acquisto di beni o di servizi da e verso altri Paesi dell’Unione europea.  Fino al prossimo luglio, ai forfettari è imposto la sola conservazione, con l’Iva pagata al fornitore dell’Unione europea. Da luglio sarà necessario l’esterometro con la particolarità di ottemperare all’adempimento al più tardi entro il 15 del mese susseguente all’operazione.

Fattura elettronica, quali altre operazioni necessiteranno dell’esterometro?

Per gli altri acquisti territoriali da non residenti, che non siano importazioni, attualmente le partite Iva forfettarie utilizzano la reverse charge con versamento dell’Iva attraverso il modello F24. Da luglio prossimo, il versamento dell’Iva con il modello F24 sarà accompagnato dall’esterometro. Obbligo, dell’esterometro, che vigerà anche per tutti gli altri acquisti non territoriali che, ad oggi, non prevedono alcun adempimento. Da luglio sarà obbligatorio l’esterometro con termine al massimo entro il 15 del mese susseguente a quello dell’operazione.

 

Reverse charge, occhio alle nuove sanzioni

Il Decreto attuativo della Delega fiscale relativo alle varie sanzioni, che ne ha introdotte di nuove anche per l’omessa presentazione del modello 770/2015, ne prevede anche alcune importanti riguardo alle sanzioni in tema di reverse charge.

La sanzione relativa al reverse charge viene calcolata in misura proporzionale (dal 90 al 180% dell’imposta) e resta in vigore solamente per le ipotesi di violazioni più gravi, in cui l’omissione o il ritardo generano un pregiudizio per gli interessi erariali.

Diventano invece a sanzione fissa (da un minimo 250 a un massimo di 10mila euro) le ipotesi in cui l’Iva è stata addebitata per errore e versata dal cedente/prestatore in luogo dell’applicazione del reverse charge, così come in tutti i casi in cui è stata utilizzata l’inversione contabile, quando l’operazione avrebbe dovuto essere soggetta all’assolvimento ordinario dell’imposta.

In queste circostanze relative al reverse charge rimane la sanzione più grave (dal 90 al 180%) se l’errore è dovuto a intenti fraudolenti. Le nuove regole dovrebbero entrare in vigore dall’1 gennaio 2017, salvo verifica preventiva dell’impatto del cosiddetto “favor rei”, ossia il principio in base al quale nessuno può essere assoggettato a una sanzione per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce più una violazione punibile.

Nuovi chiarimenti sullo split payment

Quella dello split payment è una disciplina che non convince per nulla le imprese e la sua introduzione a opera della Legge di Stabilità 2015 è risultata ai più farraginosa. Ecco perché, ora, l’Agenzia delle Entrate ha emesso ben due circolari per fare chiarezza su alcuni punti.

Le Entrate hanno dato ulteriori indicazioni sulla procedura di split payment, in particolar modo sull’ambito oggettivo e soggettivo, su sanzioni e i rimborsi. Dal punto di vista oggettivo, l’Agenzia delle Entrate enumera le operazioni non soggette a split payment, da quello soggettivo chiarisce che rientrano nel nuovo meccanismo alcuni soggetti pubblici come i commissari delegati per la ricostruzione in seguito a eventi calamitosi e i consorzi interuniversitari; sono esclusi dallo split payment gli enti pubblici non economici autonomi rispetto alla struttura statale che perseguono fini propri anche se di interesse generale.

Ovvio che di fronte alle incertezza della norma che regola lo split payment, l’Agenzia delle Entrate ha sottolineato che non saranno applicate sanzioni per le violazioni commesse prima del 13 aprile, purché in presenza di imposta assolta.

Infine, relativamente ai rimborsi, la circolare chiarisce che le operazioni soggette a split payment implicano l’erogazione prioritaria del rimborso qualora il suo presupposto sia quello dell’aliquota media. In assenza di questo presupposto, l’erogazione segue le vie ordinarie.

Split payment e reverse charge? Mazzate per le imprese

Che il meccanismo dello split payment potesse essere un danno per le aziende, se non una vera e propria sòla, lo avevamo già scritto e intuito in tempi non sospetti. Ora anche la Cna lo mette nero su bianco, cifre alla mano. E sono cifre che fanno rabbrividire.

In una nota della Confederazione nazionale dell’artigianato si legge che “nel 2015 le imprese soggette allo split payment e al reverse charge avranno un ammanco mensile di 2 miliardi di euro“. Mica bruscolini. Secondo gli artigiani, le imprese più penalizzate dal meccanismo dello split payment saranno quelle che lavorano con la Pubblica amministrazione. “Le imprese che lavorano per la Pa – si legge ancora nella nota -, circa 2 milioni in tutto, soffriranno di un ammanco di cassa mensile pari a 1,5 miliardi, a causa del mancato incasso dell’Iva. In media, ognuna di loro avrà bisogno di 9.300 euro al mese. Le 310mila imprese destinatarie del reverse charge sconteranno, nel complesso, un ammanco mensile di circa 340 milioni, in media 1.110 euro ognuna“. Non bastasse già la crisi…

Secondo l’Osservatorio Cna sulla tassazione delle piccole imprese, queste cifre sono il combinato disposto dell’applicazione dello split payment, unita a quella del reverse charge. Così come lo split payment penalizzerà soprattutto le imprese che lavorano con la Pa, il reverse charge danneggerà invece le imprese che operano nel settore “installazione impianti, con un deficit finanziario di 212 milioni al mese. Seguono le imprese edili che si occupano di completamento di edifici, con un ammanco mensile di 104 milioni”. Imprese in buona compagnia (si fa per dire…), insieme a quelle che effettuano pulizie di edifici per altre società: -28 milioni al mese.

Split payment, una circolare per fare chiarezza

Ennesima puntata nella telenovela dello split payment. Adesso una circolare dell’Agenzia delle Entrate prova a chiarire quali sono le operazioni realmente soggette alla normativa e quali invece no.

Nello specifico, tocca alla circolare 1/E/2015 sullo split payment chiarire che il meccanismo di scissione dei pagamenti Iva è relativo solo alle operazioni documentate, con fattura emessa dai fornitori. Una limitazione che esclude dal meccanismo dello split payment le operazioni che il fornitore certifica semplicemente rilasciando ricevuta fiscale o scontrino.

Escluse dallo split payment anche le operazioni che avvengono tramite il rilascio di scontrini non fiscali, qualora siano riferiti a soggetti che si utilizzano la trasmissione telematica dei corrispettivi o altre modalità di certificazione.

La buona notizia è che, per una volta, l’Agenzia delle Entrate si è accorta di non brillare per eccessiva chiarezza e quindi non irrogherà sanzioni per le violazioni alle modalità di versamento Iva tramite split payment che siano state commesse prima dell’emanazione della circolare. Almeno quello.

Split payment, ennesima fregatura

Si chiama split payment ed è il meccanismo, introdotto con la legge di stabilità, secondo il quale la Pubblica Amministrazione dall’1 gennaio pagherà al cedente o al prestatore il corrispettivo della fattura al netto dell’IVA. In sostanza, i fornitori della Pa che dall’1 gennaio avranno emesso regolare fattura con addebito di Iva, in base allo split payment incasseranno solo l’imponibile. Lo split payment si applicherà non solo alle fatture emesse dal 1 gennaio 2015 ma anche alle fatture che risultano sospese al 31 dicembre 2014.

Sarà la Pubblica Amministrazione a versare l’Iva all’Erario anziché al fornitore, il quale si troverà sempre a credito di Iva: a fronte dell’Iva non incassata addebitata sulle proprie fatture emesse, il fornitore dovrà regolarmente pagare l’Iva ai propri fornitori. A parziale compensazione, il meccanismo dello split payment consente al fornitore della pubblica amministrazione di chiedere il rimborso Iva trimestrale.

Se, da una parte, la Pa indica nello split payment uno strumento di lotta all’evasione fiscale, dall’altra parte i piccoli fornitori (la maggior parte) che sono a loro volta vessati dalle tasse, oltre che dai tempi biblici di pagamento della Pa, avranno da questa norma solo un ulteriore aggravio di difficoltà.

Sono però esentati dallo split payment i fornitori che sulle proprie prestazioni sono soggetti a ritenuta alla fonte (esempio tipico, i professionisti) e i fornitori che sulle proprie forniture applicano il reverse charge, (esempio tipico, le imprese di pulizia).

Acconto Iva 2011

Anche sull’ultima pagina del calendario, alcune scadenze fiscali da non dimenticare e, tra queste, l’acconto Iva. Martedì’ 27 dicembre è, infatti, l’ultimo giorno per versare l’anticipo d’imposta sul valore aggiunto 2011 senza incorrere in sanzioni e interessi.
Di seguito un breve riepilogo per precisare quali sono i contribuenti interessati e quali quelli esentati o esclusi e per spiegare le procedure di calcolo e le modalità di versamento.Chi può fermarsi qui…
Meglio mettere subito in chiaro, evitando di perdersi nella lettura di dettagli inutili, in quali casi il titolare di partita Iva non è tenuto a versare l’acconto. Intanto, va ricordato che l’anticipo è dovuto solo se, fatti i conti, il suo importo risulta superiore a 103,29 euro.

La platea dei chiamati in cassa si assottiglia ulteriormente eliminando gli appartenenti alla categoria degli esonerati perché in situazioni particolari, e cioè:

  • coloro che hanno intrapreso l’attività nel corso del 2011 o, viceversa, l’hanno cessata alla data del 30 novembre di quest’anno, se contribuenti mensili, ovvero al 30 settembre, se trimestrali
  • gli imprenditori individuali trimestrali, che hanno affittato la loro unica azienda entro il 30 settembre 2011, e quelli mensili, che l’hanno invece fatto entro il 30 novembre. Entrambi non devono essere soggetti passivi ai fini Iva per altri tipi di attività
  • i contribuenti a credito nella dichiarazione annuale 2010, anche se hanno richiesto il rimborso
  • coloro che sanno già di chiudere a credito il 2011, anche se hanno effettuato, in base al regime applicato, un versamento per dicembre o per l’ultimo trimestre 2010 o in occasione della dichiarazione 2010
  • nei casi espressamente previsti da specifici provvedimenti legislativi per calamità naturali
  • gli operatori che nel 2011 hanno effettuato esclusivamente cessioni di beni o prestazioni di servizi esenti o non imponibili.

Riguardo all’ultima ipotesi, però, ci sono delle limitazioni da segnalare. L’acconto va, infatti, ugualmente versato se il contribuente ha effettuato operazioni intracomunitarie, determinate prestazioni nel settore edilizio o ha acquistato oro e argento tramite reverse charge.

Appartengono, invece, alla platea degli “esclusi” dal versamento di dicembre, le categorie che applicano regimi speciali e quindi:

  • gli agricoltori in regime semplificato e quelli esonerati dalla tenuta delle scritture contabili perché con volume d’affari inferiore a 7mila euro
  • i contribuenti “minimi”
  • gli imprenditori e i lavoratori autonomi che usufruiscono del regime agevolato previsto per chi intraprende nuove iniziative imprenditoriali (articolo 13, legge 388/2000)
  • gli operatori dei settori intrattenimento, gioco e spettacolo
  • i raccoglitori e i rivenditori di rottami, cascami, carta da macero, vetri e simili, esonerati dagli obblighi di liquidazione e versamento dell’imposta
  • le associazioni sportive dilettantistiche e le Onlus che hanno optato per il regime forfetario.

…e chi non deve dimenticare la scadenza
Esclusi i casi specifici sopra elencati, l’appuntamento del 27 dicembre è per tutti coloro (compresi gli enti territoriali), già titolari di partita Iva nel 2010 e attivi nel 2011, che hanno chiuso lo scorso anno con un debito Iva (mese di dicembre per i mensili, quarto trimestre 2010 per i trimestrali) e in posizione debitoria anche nel 2011.
Sono interessati, quindi, salvo sempre le eccezioni, i contribuenti mensili, trimestrali ordinari e “speciali”, i residenti all’estero identificati direttamente ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

Tre opzioni di calcolo
Per la determinazione dell’importo da versare è possibile scegliere fra tre diversi procedimenti di calcolo: storico, analitico o previsionale.
E’ il contribuente a scegliere quello a lui più adatto.

Metodo storico
E’ senz’altro il più diffuso ed è quello a meno rischio di errore. Si basa sulle operazioni svolte nell’anno precedente ed è uguale all’88% del tributo versato per quel periodo al lordo dell’acconto.
In particolare, il calcolo prende le mosse dalla liquidazione:

  • periodica del mese di dicembre 2010 per i contribuenti mensili
  • annuale Iva o dal modello Unico, per i trimestrali ordinari
  • periodica relativa al quarto trimestre 2010, per i trimestrali “speciali”.
Metodo previsionale
Il calcolo parte da un’ipotesi di realizzo. Va da sé che conviene applicarlo nel caso di un’attività dai toni minori rispetto all’anno passato. Con un volume d’affari più basso, infatti, scenderà anche il debito Iva rispetto al 2010 e, quindi, seguendo il metodo storico, il risultato sarebbe sicuramente superiore all’importo effettivamente dovuto. Anche in questo caso, la percentuale da versare è uguale all’88% della previsione di debito per il 2011.
È importante, però, che le “aspettative” siano reali, perché nel caso di minore imposta versata, a liquidazione Iva definitiva, entrerebbe in gioco la sanzione per “versamento carente”.
L’acconto previsionale è al netto dell’eventuale eccedenza detraibile riportata dal mese o dal trimestre precedente.Metodo analitico
L’ultimo sistema non lascia spazio a margini di incertezza; si basa, infatti, sulle operazioni realmente effettuate, registrate o che dovevano essere registrare dal 1° al 20 dicembre, in caso di contribuenti mensili, dal 1° ottobre al 20 dicembre per i trimestrali. L’acconto, in questo caso, è pari al 100% del debito Iva risultante dalla relativa liquidazione straordinaria.

Pagamento a senso unico
Canale telematico obbligatorio per il versamento, che va effettuato utilizzando il modello F24. L’acconto può essere compensato con eventuali crediti d’imposta o contributivi.
I suoi codici tributo sono: il 6013 (“mensili”) e il 6035 (“trimestrali”).
L’acconto andrà poi scalato dall’Iva dovuta per il mese di dicembre 2011 (nel caso dei contribuenti mensili), per il quarto trimestre 2011 (nel caso dei contribuenti trimestrali).

Sanzioni, sopra i 50mila scatta la “penale”
Qualche riga anche per chi salta la scadenza del 27 dicembre.
La sanzione amministrativa applicata per omesso, insufficiente o ritardato versamento dell’acconto Iva è pari al 30% della somma dovuta, più gli interessi.
Penalità più leggera per chi ricorre al ravvedimento operoso e cerca di rimettere le cose a posto. In tal caso la sanzione scende al 3% dell’importo, per i versamenti effettuati entro 30 giorni dal termine naturale, al 3,75% se il conto è regolato entro la presentazione della relativa dichiarazione annuale.

Il 27 dicembre segna anche la data limite per versare l’Iva relativa allo scorso anno, se di importo superiore a 50mila euro, senza incorrere nella sanzione penale; la violazione che va oltre tale entità, infatti, assume valenza di reato.
L’imposta a debito da controllare è quella che risulta dalla dichiarazione annuale 2010 (modello Iva 2011), presentata entro lo scorso 30 settembre.
La pena prevista è la reclusione da sei mesi a due anni.

Anna Maria Badiali

Fonte: Fiscooggi.it