Voluntary disclosure, nuovi chiarimenti

Nuovi chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate sulla disciplina di favore prevista dalla procedura della voluntary disclosure. Con una circolare, l’Agenzia ha chiarito che questa disciplina, sia nella parte che riguarda il raddoppio dei termini sia in quella relativa alla determinazione delle sanzioni, trova applicazione anche per gli investimenti e le attività finanziarie detenute in una determinata lista di Paesi.

Questo l’elenco precisato dalla circolare sulla voluntary disclosure: Cipro, Corea del Sud, Lussemburgo, Malta, San Marino e Singapore, oltre che nei Paesi Ocse che non hanno posto riserve alla possibilità di scambiare informazioni bancarie.

Oltre a questo importante aspetto della voluntary disclosure, la circolare delle Entrate (la n. 27/E del 23 luglio) ha chiarito che i contribuenti possono scegliere in base alla propria valutazione di convenienza legata alle violazioni, se seguire la strada della procedura di collaborazione volontaria o del ravvedimento operoso.

Ecco le istruzioni per la voluntary disclosure

Le procedure e le pratiche per l’attuazione della cosiddetta voluntary disclosure (il rientro volontario in Italia dei capitali esportati all’estero) sono ancora un cantiere aperto, tanto che l’Agenzia delle Entrate ha emesso una circolare per definire le istruzioni in merito alla procedura.

La circolare delle Entrate relativa alla voluntary disclosure riporta principalmente i chiarimenti relativi alle modalità di accesso alla procedura, le cause di inammissibilità, le sanzioni amministrative e le imposte e dovute e gli effetti in ambito penale della procedura di rientro dei capitali dall’estero.

Quello che l’Agenzia tiene a sottolineare è l’impossibilità del contribuente ad accedere alla voluntary disclosure qualora sia venuto a conoscenza di accessi, verifiche, attività amministrative di accertamento, ispezioni o della propria condizione di imputato o indagato in procedimenti penali per violazioni di norme tributarie, prima della presentazione della domanda.

Allo stesso modo, la procedura di voluntary disclosure relativa a un’annualità non può essere attivata qualora vi siano attività istruttorie di controllo che interessano quella annualità; è infatti possibile attivare la procedura solo per le annualità non interessate dal controllo. Per gli altri dettagli, si rimanda al testo della circolare delle Entrate.

Voluntary disclosure, occhio alla Svizzera

Il rientro in Italia dei capitali esportati all’estero, o voluntary disclosure, ora ha un’arma in più. Almeno che per chi vuole attuare la voluntary disclosure sui capitali esportati in Svizzera. La Confederazione Elvetica ha infatti firmato uno storico accordo in materia fiscale che mette fine al segreto bancario grazie allo scambio di informazioni tra i due Paesi.

L’accordo tra Italia e Svizzera consente immediatamente alle autorità italiane di individuare potenziali evasori che celano patrimoni in territorio svizzero e, secondo il ministero delle Finanze, sarà quindi di stimolo al rientro dei capitali nel nostro Paese con la voluntary disclosure.

La firma in calce all’accordo è stata messa dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e dal consigliere federale elvetico Eveline Widmer-Schlumpf. Contestualmente, Padoan ha annunciato che il 26 febbraio l’Italia firmerà un accordo in materia fiscale anche con un altro dei paradisi fiscali europei fino ad ora inviolabili, il Liechtenstein, con l’obiettivo di favorire anche lì la voluntary disclosure.

In un’ottica di lungo termine l’accordo con la Svizzera porterà grandi benefici per le finanze pubbliche”, ha commentato Padoan, che ha aggiunto: “A bilancio questo accordo è postato un euro, ma azzardo una previsione, sarà più di un euro. Mi fermo qui non vado oltre”.

Rientro capitali al via

Il tema del rientro capitali in Italia è sempre stato caldo. Tanto caldo che governo e Agenzia delle Entrate hanno messo in atto l’operazione “voluntary disclosure“, ossia collaborazione volontaria per il rientro capitali dall’estero non senza qualche polemica.

In ogni caso, l’operazione “voluntary disclosure” è partita ufficialmente ieri attraverso la predisposizione, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, della versione definitiva del modello di adesione e delle relative istruzioni. Successivamente, sempre sul sito, sarà pubblicata una circolare esplicativa. Dal momento della pubblicazione della circolare, i contribuenti interessati ad aderire alla procedura di collaborazione volontaria per il rientro capitali avranno 30 giorni di tempo per presentare la documentazione. A seguire, partirà il contraddittorio con gli uffici.

Ricordiamo che chi vuole utilizzare la procedura di collaborazione volontaria per il rientro capitali, lo può fare entro il 30 settembre 2015. L’operazione, che, come sottolinea l’Agenzia, è un “atto di accertamento“ e non di una dichiarazione di emersione, riguarda il rientro capitali da investimenti esteri detenuti in violazione della disciplina sul monitoraggio fiscale. Chi aderirà, avrà sanzioni ridotte fino alla metà del minimo edittale; si stima infatti un esborso medio tra il 10% ed il 15% degli investimenti regolarizzati.

Rientro capitali, attenti al flop

Si chiama voluntary disclosure, si legge rientro capitali dall’estero e rischia di essere un buco nell’acqua. Secondo una simulazione effettuata su tre diverse ipotesi dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, il costo complessivo dell’adesione al rientro capitali è estremamente variabile da caso a caso e, rispetto al valore finale dell’investimento, il costo andrà da un minimo del 5%, ad un massimo del 97% azzera l’importo dell’investimento.

Secondo i commercialisti italiani, la legge sul rientro capitali, anche per la sua estrema complessità e nonostante il vantaggio che deriva dall’abbattimento delle pene, rischia di non raggiungere gli obiettivi di gettito e di tramutarsi in un flop per le casse dello Stato.

Le principali variabili che influenzano il costo dell’operazione per il rientro capitali, dicono i commercialisti, sono rappresentate dal Paese e dall’anzianità dell’investimento, oltre che dalla tipologia di evasione eventualmente commessa. Ecco i dettagli:

Investimenti effettuati da soggetti non imprenditori in Paesi White list o in Black List, che dovessero stipulare un accordo con l’Italia entro 60 giorni
Un costo per il rientro dei capitali pari al 4,61%. È il caso in cui il rientro capitali risulta più conveniente. In questa ipotesi, indipendentemente dal periodo in cui l’investimento è stato effettuato, i periodi accertabili non possono essere più di cinque (tranne i casi di rilevanza penale tributaria dell’illecito eventualmente commesso), per cui il rientro capitali si risolve nel pagamento delle imposte sostitutive sui rendimenti finanziari dell’investimento e delle corrispondenti sanzioni in misura ridotta oltre a quelle, parimenti ridotte, relative all’omessa o incompleta compilazione del quadro RW del modello Unico.

Investimenti effettuati da soggetti non imprenditori in Paesi Black List che non stipuleranno un accordo con l’Italia
Il costo per il rientro capitali diventa decisamente più consistente, arrivando al 67,29%. In tali ipotesi, i periodi accertabili possono estendersi fino al doppio e quindi anche per gli investimenti più “stagionati”, l’IRPEF potrà essere recuperata sull’intero importo iniziale dell’investimento in base alle aliquote marginali applicabili sul reddito complessivo del contribuente. Per quanto concerne le sanzioni, le riduzioni previste in caso di rientro capitali saranno calcolate su una base costituita dal doppio dei minimi edittali.

Investimenti effettuati da un imprenditore individuale che evade imposte sui redditi, IRAP e IVA
In questo caso il rientro capitali può comportare il pressoché totale azzeramento del capitale, poiché il costo complessivo dell’operazione di rientro sfiora il 100% (96,80%). L’unico motivo che potrebbe spingere all’adesione alla procedura di collaborazione volontaria in questo caso potrebbe essere costituito dai benefici sotto il profilo penale della stessa, ossia dal fatto di volersi avvalere delle cause di non punibilità previste per i reati “coperti” dalla disclosure. In questo caso, la prospettiva è del tutto disincentivante e le casse dello Stato rischiano di restare vuote.