Raccolta rifiuti aumentata del 13,4% in cinque giorni

Negli ultimi cinque anni l’indice della raccolta dei rifiuti in Italia è cresciuto del 13,6%, più del doppio rispetto al 6,4% della media dell’Eurozona.
In questi cinque anni l’aumento del costo del servizio in Italia, a fronte di un’inflazione del 2,2%, è stato il più alto, se confrontato ai maggiori Paesi europei.
La Francia, ad esempio, segna un aumento del 10,7%, la Spagna del 4,1% mentre il costo in Germania risulta sostanzialmente stabile (+0,1%). Nell’ultimo anno in Italia il prezzo della raccolta rifiuti si è stabilizzato (+0,1%), 1 punto percentuale in meno dell’inflazione (1,1%).

In Italia il costo pro capite per la gestione del servizio di igiene urbana è pari a 167,74 euro all’anno.
Generalmente, i proventi pro capite del servizio di igiene urbana pesano per lo 0,61% sul Pil pro capite. La tassa rifiuti tende ad essere regressiva rispetto al reddito. Questo tipo di prelievo pesa maggiormente sulle regioni del Sud, a cominciare dalla Campania (incidenza pari all’1,07% del PIL), poi Sicilia (1,01%), Sardegna (0,98%), Calabria e Puglia (per entrambe 0,97%); all’opposto le incidenze minori sono quelle del Trentino Alto Adige (0,34%), della Lombardia (0,37%), del Friuli-Venezia Giulia (0,43%), del Veneto (0,43%), della Valle d’Aosta (0,49%), dell’Emilia-Romagna (0,50%).

I proventi pro capite da tassa o tariffa pagati per il servizio di igiene urbana sono superiori alla media nazionale in ben dodici regioni, di 165,95 euro, e in tre di queste i valori sono superiori ai 200 euro. Si tratta di Liguria con 216,80 euro (30,6% sopra la media), Lazio con 213,50 euro (28,7% sopra la media) e Toscana con 208,05 euro (25,4% sopra la media). Al contrario, i proventi pro capite minori sono quelli di: Friuli-Venezia Giulia (124,16 euro), Molise (125,98 euro), Trentino Alto Adige (129,40 euro), Lombardia (133,21 euro) e Veneto (133,62 euro).

Vera MORETTI

Tari: ancora tante discrepanze sulle cifre da pagare

I dati della Camera di Commercio di Milano denunciano un fatto che, ormai, avviene regolarmente e che ad oggi non è stato ancora risolto.
I Comuni, infatti, continuano a far pagare la Tari anche nelle aree di interesse delle imprese, dove dovrebbero dunque essere queste ultime ad occuparsi dello smaltimento dei rifiuti. Risultato? Le imprese si ritrovano a pagare un servizio che di fatto il Comune non eroga, per uno spreco di denaro davvero spropositato.

Gli aggravi sarebbero, in media, del 50%, se non di più, e in alcuni settori le spese aggiunte sono davvero elevate: considerando le aree espositive, tipicamente di grandi dimensioni ma con una ridottissima produzione dei rifiuti, la reale area produttiva di rifiuti equivarrebbe al 15% dello spazio complessivo, mentre la tassa viene applicata su tutta la superficie.

Altro esempio eclatante di distorta applicazione della tassa sui rifiuti riguarda gli alberghi, generalmente soggetti a coefficienti fortemente squilibrati rispetto al potenziale produttivo di rifiuti.
In questo ultimo caso, c’è anche una sentenza del Tar della Puglia, che ha affermato la sproporzione tra la tariffa stabilita dal Comune di Brindisi per gli esercizi alberghieri con ristorazione (€ 11,13 a mq) o senza ristorazione (€ 8,90 a mq) e la tariffa stabilita per le abitazioni (€ 2,43 a mq).
L’albergo soggetto della sentenza, di superficie di circa mille mq, pagava una tassa di 8.941 € quando, in applicazione della sentenza, avrebbe dovuto pagarne 4.492 €.

Le discrepanze sono così evidenti anche a causa dell’aumento della tassa dei rifiuti, che negli ultimi sei anni è lievitata del 68%, corrispondente ad un incremento complessivo di 3,7 miliardi di euro. Una tassazione crescente che si è riflessa indifferentemente su tutte le principali categorie economiche del terziario, con problemi più diffusi per alcune attività.
Infatti, negli ultimi sei anni, ristoranti e pizzerie hanno registrato un aumento del 480% mentre ortofrutta e pescherie addirittura del 650%. Una tassazione crescente doppiamente ingiustificata se si considerano i dati riguardo alla produzione totale di rifiuti che, in controtendenza, ha subito un rallentamento.

E le spese non calano nonostante la produzione di rifiuti sia, nel frattempo, diminuita.

Altre problematiche sono emerse dal Rapporto sui rifiuti urbani – Ispra 2017, che rende noto come il costo di gestione dei rifiuti differenziati (15,12 centesimi di euro al kg) sia inferiore di circa un terzo rispetto a quello degli indifferenziati (40,79 centesimi di euro al kg). Un dato che letto congiuntamente al trend crescente di raccolta differenziata, presupporrebbe una contrazione della spesa complessiva, che invece è aumentata.

Inoltre, gli obiettivi relativi alla raccolta differenziata fissati a livello europeo non sono stati raggiunti, a dimostrazione che le aziende di gestione dei rifiuti non si sono, finora, dimostrate all’alatezza.

Vera MORETTI

Tassa dei rifiuti ancora in aumento

La tassa sui rifiuti è sempre più pesante per le famiglie italiane, che quest’anno si ritroveranno a pagare 9,1 miliardi di euro, ma anche per le attività produttive, i cui aumenti incideranno sull’inflazione.

Si prevede, infatti, che tra il 2017 e il 2018 i negozi di frutta, i bar, i ristoranti, gli alberghi e le botteghe artigiane subiranno un aumento della tariffa dei rifiuti oscillante tra il 2 e il 2,6%.
Per le famiglie, invece, l’incremento sarà leggermente più contenuto. Per un nucleo con 2 componenti la maggiore spesa sarà del 2%, con 3 dell’ 1,9% e con 4 dello 0,9%. Per l’anno in corso, viceversa, l’inflazione è prevista in aumento dell’1,2%.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, ha dichiarato: “Fintantochè non arriveremo alla definizione dei costi standard possiamo affermare con buona approssimazione che con il pagamento della bolletta non copriamo solo i costi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema. Ricordo che secondo l’Antitrust tra le oltre 10mila società controllate o partecipate dagli enti locali che forniscono servizi pubblici, tra cui anche la raccolta dei rifiuti, il 30% circa sono stabilmente in perdita. Una cattiva gestione che la politica locale non è ancora riuscita a risolvere”.

Gli aumenti vanno imputati anche alle tante novità che negli ultimi anni hanno caratterizzato il prelievo dei rifiuti, poiché si è passati dalla Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) alla Tia (Tariffa di igiene ambientale), ma nel 2013 ha fatto il suo debutto la Tares (Tassa rifiuti e servizi) e dal 2014, infine, tutti i Comuni applicano la Tari (Tassa sui rifiuti).

La Tari si basa sul principio, stabilito dall’Ue in realtà, secondo cui chi inquina paga, per un legame più forte tra la produzione dei rifiuti e l’ammontare del tributo. Questo principio ha portato però ad un forte incremento dei costi.
Con l’introduzione della Tari è stato ulteriormente confermato l’assunto che il costo del servizio in capo all’azienda che raccoglie i rifiuti deve essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento del tributo.
Il problema nasce da questo principio, perché le aziende di asporto rifiuti, che operano in condizioni di monopolio, comportano costi che famiglie e aziende devono necessariamente coprire, anche se gli importi sono davvero elevati.

Renato Mason, segretario della CGIA, ha commentato: “Proprio per evitare che il costo di possibili inefficienze gestionali si scarichi sui cittadini la Legge di Stabilità 2014 aveva previsto che, dal 2016, la determinazione delle tariffe avvenisse sulla base dei fabbisogni standard. Il Parlamento, successivamente, ha però prorogato tale disposizione al 2018. Pertanto, bisognerà attendere ancora un po’ affinché le tariffe coprano solo il costo del servizio determinato dai costi standard di riferimento”.

Vera MORETTI

Rifiuti: l’Italia multata dalla Commissione Europea

A causa dei rifiuti, e più in generale delle infrazioni alle norme ambientali, l’Italia sta pagando annualmente centinaia di milioni di euro per multe dovute all’Ue.
Uno degli scogli più ostici è, ovviamente, il problema della mancata approvazione di un nuovo piano per la gestione dei rifiuti in Campania e per le discariche abusive ancora attive su territorio nazionale. Ma si rischia che le sanzioni diventino ancora più salate a causa dell’inadeguatezza o dell’assenza degli impianti di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane in un gran numero di centri abitati.

Ma non è tutto, poiché la Commissione europea ha stabilito il deferimento dell’Italia alla Corte europea di Giustizia per non aver bonificato o chiuso 44 discariche di rifiuti non a norma in cinque regioni: Abruzzo (11 discariche), Basilicata (23), Campania (2), Friuli-Venezia Giulia (5) e Puglia (5).

Dato più allarmante rimane comunque il trattamento inadeguato delle acque reflue in 80 agglomerati urbani italiani con più di 15.000 abitanti: il contenzioso è stato aperto con una decisione di Bruxelles del 2004 a cui, dopo una prima condanna della Corte di Giustizia, è seguito nel 2016 un secondo deferimento ai giudici comunitari per non esecuzione della sentenza.Nella decisione su questo secondo ricorso, l’8 dicembre scorso, l’Esecutivo Ue ha chiesto alla Corte di infliggere all’Italia una multa forfettaria di 63 milioni di euro e una sanzione giornaliera di 347.000 euro, da pagare fino alla definitiva messa a norma degli impianti di trattamento delle acque reflue.

La Commissione non ha ancora depositato questo secondo ricorso alla Corte, ma sembra inevitabile che lo faccia, visto che si calcola che ci vorranno circa otto anni per realizzare le gare d’appalto, aprire i cantieri e costruire o adeguare gli impianti necessari in tutti i comuni interessati. L’Italia, alla fine, potrebbe dover sborsare circa un miliardo di euro per le multe, sempre che non ci voglia più tempo per mettersi in regola.

Il terzo dossier sulle acque reflue è meno allarmante, e sta registrando buoni progressi. Riguarda i centri urbani con più di 10.000 abitanti che scaricano le acque reflue non adeguatamente trattate in zone sensibili, che inizialmente erano 40 ma che sono stati ridotti ora a 20. Il contenzioso era stato aperto dalla Commissione con una decisione del 2009, ma dopo la prima condanna della Corte di Giustizia nell’aprile 2014 è ora improbabile, visti i progressi registrati, che l’Esecutivo Ue deferisca l’Italia alla Corte una seconda volta per non esecuzione della prima sentenza. Il governo sembra cosciente della posta in gioco in questi due contenziosi sulle acque reflue: dopo aver stanziato 2,5 miliardi di euro, messi a disposizione delle autorità locali, ha anche deciso di nominare un commissario unico per il coordinamento dei lavori e per accelerare la messa a norma degli impianti di depurazione.

Ad oggi, però, la nomina di Enrico Rolle come commissario non è ancora stata formalizzata quindi non ci sono ancora gli estremi per stabilire che la questione verrà risolta al più presto.

Vera MORETTI

Saran pure rifiuti, ma li paghiamo a peso d’oro

Che sia Tari, Tasi o qualsiasi altro balzello, una cosa è certa: imprese e famiglie italiane pagano salatissimo lo smaltimento dei propri rifiuti. La conferma viene, ancora una volta, dall’Ufficio studi della Cgia, che ha rilevato come tra il 2010 e il 2015 una famiglia con 4 componenti che vive in un casa da 120 mq ha subito un aumento della tassa sui rifiuti del 25,5%, 75 euro tramutati in denaro sonante.

È il bello deve ancora venire, perché nel 2015 verserà al comune 368 euro di Tari per l’asporto dei rifiuti. Male anche per la famiglia tipo di 3 persone con casa di 100 mq: +23,5%, pari a +57 euro e un versato di circa 300 euro nel 2015. Se la casa di queste 3 persone è di 80 mq, le cifre scendono, ma di poco: +18,2%, +35 euro, 227 euro di versato.

Quella della tassa sui rifiuti è una barzelletta tutta italiana, la cui storia da sola, con il variare del nome legato alla tassa la dice lunga sull’unica volontà del legislatore: fare cassa sempre e comunque. Fino a qualche anno fa gli italiani pagavano la Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), anche se molti Comuni l’avevano sostituita con la Tia (Tariffa di igiene ambientale). Nel 2013 il legislatore ha introdotto la Tares (Tassa sui rifiuti e servizi), che dal 2014  ha lasciato il posto alla Tari (Tassa sui rifiuti), introdotta con la Legge di Stabilità per sottostare al principio comunitario del “chi inquina paga”: più rifiuti si producono, più alta è la tassa.

La Tari ha confermato il principio che il costo del servizio sostenuto dall’azienda che raccoglie i rifiuti dev’essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento della tassa. Una fregatura. Infatti, nonostante in questi ultimi anni il l’impatto economico sulle famiglie della tassa sui rifiuti sia aumentato, dall’inizio della crisi a oggi la produzione dei rifiuti urbani ha subito una contrazione: nel 2007 ogni cittadino italiano ne produceva quasi 557 kg all’anno, nel 2013 (ultimo dato disponibile) meno di 500 (491 kg).

E, se per le famiglie è stato un bagno di sangue, inutile sottolineare che, sotto il profilo dei rifiuti, alle aziende e alle attività economiche è andata anche peggio. Ristoranti, pizzerie e pub con una superficie di 200 mq hanno subito un aumento medio del prelievo per la tassa sui rifiuti del 47,4%, +1.414 euro. Un negozio di ortofrutta di 70 mq ha registrato un incremento del 42% (+ 560 euro), un bar di 60 mq +35,2% (+272 euro). Il tutto nonostante una contrazione del giro di affari e del fatturato che, spesso, ha portato anche alla diminuzione della quantità di rifiuti prodotta.

Sistri solo per imprese con più di 10 dipendenti

E’ stato annunciato da Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente, che è in via di perfezionamento un decreto che assoggetta al Sistri solo imprese ed enti produttori iniziali di rifiuti con più di 10 dipendenti nel settori di industria, artigianato, commercio e servizi.

Ha spiegato Galletti: “Il decreto inoltre contiene altre semplificazioni finalizzate a venire incontro alle esigenze dei produttori al fine di assicurare un decollo della fase 2 del sistema che sia meno problematica possibile. L’obiettivo del Governo è quello di rendere questo strumento, dalla storia travagliata, una ulteriore opportunità per la competitività del paese ed un presidio per la tutela della legalità“.

Rete Imprese Italia, preso atto delle parole di Galletti, si è detta “soddisfatta dell’ulteriore sospensione delle sanzioni, della proroga della tracciabilità cartacea e in particolare della prospettiva, annunciata dal Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, di un decreto che escluda dal Sistri le imprese con meno di 10 dipendenti, che di fatto cancellerebbe l’assurda equiparazione dei rifiuti di un parrucchiere e di un piccolo commerciante con quelli di un’industria. E’ la prova che si sta cominciando a comprendere l’inadeguatezza del sistema alle esigenze delle imprese e del Paese“.

Nonostante ciò, comunque, RTI ha confermato il suo giudizio negativo sul sistema della tracciabilità dei rifiuti: “Il Sistri è l’emblema della follia burocratica del nostro Paese. Il sistema ha dimostrato troppe criticità, che riguardano l’interoperabilità, i malfunzionamenti tecnici e tecnologici di dispositivi e sistema, la lentezza delle procedure. Il Sistri deve essere superato, è un sistema inefficiente, scarsamente trasparente ed inadeguato, che comporta pesanti rallentamenti per le imprese e, in alcuni casi, addirittura il blocco delle attività. Per questo chiediamo al Governo di procedere rapidamente alla sua sostituzione con un nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti pericolosi che serva meglio allo scopo“.

Per aiutare le imprese ad uscire dalla crisi occorre ridurre il peso della burocrazia e del fisco, anche se il Governo non la pensa allo stesso modo.

Vera MORETTI

Napoli e i rifiuti: a rischio il turismo natalizio

Il commissario dell’Ascom-Confcommercio di Napoli, Tullio Nunzi, nei giorni scorsi si è espresso in merito all’emergenza rifiuti che sta nuovamente vivendo Napoli. Secondo Nunzi, questa grave situazione “sta portando velocemente verso una vera e propria tragedia commercio, una situazione cioè ben più negativa di quella che nelle scorse settimane avevamo denunciato come emergenza commercio. L’immagine della città, già gravemente compromessa con la prima ondata di pubblicità negativa legata ai rifiuti – ha aggiunto – è infatti sempre più a rischio e a poche settimane dal Natale anche questa stagione turistica desta serie preoccupazioni. Ma il rischio peggiore è che Napoli si trasformi a breve in un vera e propria polveriera: tra il problema dei rifiuti, l’occupazione del Duomo, le manifestazioni giornaliere dei disoccupati, le infiltrazioni camorristiche in ogni genere di attività ed i problemi del terziario che vanificano gli investimenti fatti dagli stessi imprenditori, diventa ogni giorno sempre più insostenibile una situazione che era già grave di suo”.

“Lo scarico delle responsabilità da parte dei rappresentanti delle istituzioni – ha concluso Nunzi – rappresenta però l’aspetto più vergognoso della vicenda. In un’assunzione finale delle responsabilità forse sarebbe il caso che chi ha sbagliato se ne andasse tranquillamente a casa”.

fonte: Confcommercio