La corsa ad ostacoli della giustizia in Italia

Arrivare ad una sentenza, con le leggi entrate in vigore In Italia negli ultimi due anni, è diventata oggi una corsa ad ostacoli sempre più incerta e costosissima. A denunciarlo il Cnf – Consiglio Nazionale Forense, che chiede al Parlamento di ripensare in toto le ultime norme introdotte con il maxi-emendamento: “gli ultimissimi sviluppi della politica investono della piena responsabilità tutto il parlamento, non più solo il governo ancora in carica. – sottolinea il Cnf – Il parlamento ripensi a quelle norme contrarie ad ogni principio di civiltà giuridica e non solo, si dimostri autonomo da quei poteri forti che vogliono piegare alla ricerca del profitto la tutela dei diritti inviolabili dei cittadini e devono per questo privare di dignità e decoro le libere professioni, prima di tutte quella di avvocato”.

Tutte le rappresentanze dell’avvocatura sono pronte a riunirsi a Roma il prossimo 12 novembre per fare il punto sulle proposte concrete da indirizzare al Parlamento. All’ordine del giorno: la modernizzazione della professione, gli effetti perversi della liberalizzazione selvaggia, i costi della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, le proposte per accelerare i tempi della giustizia. La giustizia rischia di trasformarsi in un vero e proprio campo minato, dalla legge 69/2009 fino alle norme contenute nel maxi-emendamento del governo al ddl stabilità, il quadro della magistratura che ne traspare è pieno di condizioni e condizionali.

La sentenza? Solo un miraggio. Il Cnf ha richiesto al parlamento perché un confronto per valutare i costi di una causa di valore medio prima e dopo il 2009, ovvero secondo le norme più recenti, comprese quelle contenute nel maxi-emendamento. Il risultato? Il valore della causa ante 2009 compare moltiplicato per 13 volte se lo si confronto con il costo della medesima causa post -maxiemendamento.

Tempi lunghissimi, costi esorbitanti, mancanza di riforme organiche, mancanza di investimenti. La giustizia italiana è al collasso. E la soluzione non arriverà certo dall‘eliminazione delle tariffe – visto che i costi degli avvocati italiani sembrano essere quelli più bassi d’Europa – né tanto meno dalla riduzione del numero degli avvocati. Si tratta di solo di misure che fanno comodo ai poteri forti, denuncia il Cnf. La seduta è sospesa, non resta che attendere il verdetto.

Alessia Casiraghi

Nuova sentenza della Cassazione in merito all’opposizione a terzo

In una sentenza del 31 agosto 2011, la 17876, la Corte di cassazione ha stabilito che non è legittimato all’opposizione di terzo all’esecuzione (ex articolo 619 del codice di procedura civile), l’affittuario di una azienda che comprenda i beni mobili oggetto della procedura espropriativa.
In pratica, l’affittuario di un’azienda non è in condizione di opporsi all’esecuzione mobiliare forzata sui beni della stessa, in quanto non in grado di vantare alcun diritto reale.

La sentenza era stata resa necessaria in seguito a quanto successo ad una società in nome collettivo che aveva affittato un’azienda.
Poco dopo i beni della società erano divenuti oggetto di un’esecuzione mobiliare da parte dell’esattore (per iscrizione a ruolo di imposte e contributi non pagati dal proprietario dei beni affittati). L’impresa affittuaria, una srl, si era però opposta – quale terzo – alla procedura esecutiva. In tribunale, tale procedura veniva sospesa e l’opposizione dell’affittuaria accolta. Il primo giudice interpretava, quindi, in modo estensivo l’articolo 619 c.p.c. che legittima solo il proprietario dei beni a opporsi all’esecuzione esattoriale.

Contrario alla decisione del tribunale, l’Agente della riscossione presenta ricorso per Cassazione, per violazione del più volte richiamato articolo 619, in quanto l’affittuaria d’azienda non sarebbe legittimata all’opposizione all’esecuzione di terzo, trattandosi di un mero soggetto affittuario dei beni oggetto di esecuzione mobiliare, non titolare, pertanto, di un diritto di proprietà o altro diritto reale.

Con la sentenza 17876/2011, la Suprema corte accoglie il ricorso e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione di terzo, (mezzo di impugnazione straordinario, poichè può essere proposto avverso provvedimenti ormai passati in giudicato) agli atti esecutivi della riscossione tributaria attivata dalla srl avverso l’esecuzione mobiliare esattoriale intentata in danno della snc, con la conseguente conclusione che non è legittimato all’opposizione di terzo all’esecuzione, di cui all’articolo 619 del codice di procedura civile, l’affittuario di un’azienda che comprenda i beni mobili oggetto della procedura espropriativa.

Ciò in quanto i contratti di locazione e comodato non sono, ad avviso della Corte, “titoli giuridicamente idonei a legittimare il diritto allegato dal terzo”. Per tali contratti la tutela “è meramente obbligatoria” e può essere invocata esclusivamente nei confronti del dante causa, con le opportune azioni concesse appunto per la limitazione, la compressione, la soppressione delle possibilità di godimento del bene oggetto dell’obbligazione pattiziamente assunta.

E’ stato, infatti, deciso che l’opposizione del terzo all’esecuzione può essere proposta non solo da chi pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, ma anche da chi si asserisca titolare di un diritto di credito che, potendo essere soddisfatto direttamente sulla cosa oggetto dell’esecuzione, possa prevalere su quello che il creditore ha sui beni medesimi (Cassazione, sentenza 3896/1968).

Si ricorda, poi, che l’attuale articolo 63, del Dpr 602/1973, dispone, in materia di espropriazione mobiliare, che l’ufficiale della riscossione deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento quando è dimostrato che i beni appartengano a persona diversa dal debitore iscritto a ruolo, dai coobbligati o dai soggetti indicati nel precedente articolo 58, comma 3 (coniuge, parenti e affini fino al terzo grado), in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce l’entrata iscritta a ruolo – in precedenza, l’istituto era regolato dall’articolo 65 dello stesso decreto che, nella sostanza, conteneva una previsione analoga a quella sopra esposta, anche se si riferiva indistintamente “ai beni pignorabili” (cfr Cassazione, sentenza 10961/2010).