Shopping natalizio in tempo di crisi

Crisi o non crisi, lo shopping natalizio resiste, un po’ in tutta Italia. Secondo un’indagine della Camera di commercio di Milano, questa settimana nel capoluogo lombardo sarà al top per lo shopping natalizio, più che a Roma e Napoli.

Lo studio della Camera di commercio rivela infatti che, su una spesa totale destinata allo shopping natalizio che ammonta a 236 milioni di euro, ben 55 se ne andranno in questi giorni dalle tasche dei milanesi, contro i 114 dei romani e i 35 dei napoletani.

Sempre secondo lo studio della Camera di commercio di Milano, quasi un milanese su quattro inizierà lo shopping natalizio in questo periodo contro il 26,6% dei romani e il 24,7% dei napoletani.

Ma quali sono i regali che, tra gli acquisti dello shopping natalizio, vanno per la maggiore? Senza dubbio la parte del leone la fanno i giocattoli, che quest’anno sono la voce di spesa più importante per un milanese su otto (12,9%, per circa 32 milioni di euro), in crescita rispetto al 2013 (11,2%) e superiore alla media nazionale (11,9%) e a quella di città come Roma (11%) e Napoli (11,7%). A Milano, per lo shopping natalizio i giocattoli sono superati solo dall’abbigliamento (28,9%), a Roma dall’abbigliamento (35,9%) e dai soldi (14,8%) e a Napoli dall’abbigliamento (28,6%), dal cibo e dai dolci (18,5%).

L’indagine della Camera di commercio di Milano sullo shopping natalizio è stata condotta attraverso Digicamere con metodo CATI ed è stata effettuata su 801 italiani, 267 a Milano, 267 a Roma e 267 a Napoli nel mese di novembre 2014.

Artigianato, il rilancio passa dai giovani

Quale sia la strada per valorizzare le manifatture artigiane in Italia lo ha mostrato all’inizio di novembre CNA Giovani Imprenditori della due giorni di dibattito “Manifatture, IV Festival dell’Intelligenza Collettiva”, che si è tenuta nella capitale italiana del bello e della creatività, Firenze.

Un incontro con protagonisti di vari settori, non solo di quello economico, per fare il punto sul Made in Italy e gli asset per il rilancio del sistema Paese: manifattura di qualità, cultura, bellezza, export. Due giorni di dibattito con al centro una domanda e, per fortuna, un sacco di risposte: come valorizzare il potenziale manifatturiero italiano per trasformarlo in opportunità di sviluppo ed esportazione?

Magari cominciando a investire sui giovani. In Italia ci sono 1.438,601 imprese artigiane (il 23,6% del totale delle imprese del Paese) che generano un fatturato di 150 miliardi di euro, il 12% del valore aggiunto italiano. Sul totale delle imprese italiane, quelle giovanili sono 675.053, ma solo il 3.2% (195.842) sono artigianali e solo il 7,6% delle nuove imprese create appartiene al settore manifatturiero. Perché non investire in questo settore dove si intravedono ampi spazi di crescita ed occupazione per i giovani?

Se nel mondo, come emerso dal dibattito fiorentino, stiamo assistendo a una nuova rivoluzione industriale che passa dal taylorismo al tailor made e molti Paesi stanno già attuando importanti politiche di investimento a sostegno della nascita di nuove piccole imprese manifatturiere, in Italia il tessuto di Pmi è già florido e rappresenta il 99% del tessuto produttivo. I nostri simboli del made in Italy: moda, design e alimentare, continuano a crescere, ad esportare e generare fatturato, un motivo in più per tutelare, sostenere e promuovere il Made in Italy va tutelato, sostenuto e promosso.

Secondo Andrea Di Benedetto, Presidente dei Giovani Imprenditori CNA, “il nostro potenziale sta proprio nella capacità manifatturiera che accomuna oltre 100mila Pmi italiane. Imprenditori che devono avere come obiettivo la penetrazione dei mercati esteri trovando linfa nell’innovazione. L’attuale incertezza economica deve diventare quindi lo stimolo per affermarci quali produttori di qualità, riempiendo sapientemente le nicchie del mondo”.

Secondo Di Benedetto, “qualità del prodotto e digitale sono le leve per consentire alle nostre imprese di internazionalizzarsi ed essere competitive nei mercati globali. Il tempo delle lauree come strumento di emancipazione sociale è finito. Oggi è emancipato chi è realizzato. E’ tornato il tempo del fare, del produrre, del creare con le mani e vendere in tutto il mondo grazie ad una comunicazione efficace e all’utilizzo del web per promuoversi e costruire, raccontandola, una nuova epica dell’artigianato”.

Parole sante. Ora aspettiamo i fatti, dalle imprese e da chi, a livello politico e fiscale, avrebbe il compito di sostenerle, non quello di affossarle.

L’Italia è una repubblica fondata sugli artigiani. Aiutiamoli

di Davide PASSONI

L’Italia è un Paese che ama i luoghi comuni, in qualsiasi ambito della vita quotidiana: dallo sport alla religione, dalla cultura all’economia. Purtroppo. Specialmente in ambito economico, infatti, i luoghi comuni andrebbero lasciati da parte, perché non fanno bene a nessuno. Uno dei più celebri è quello che vuole l’Italia patria dell’artigianato, tanto di quello di qualità quanto di quello, diciamo così, di largo consumo.

Come in tutti i luoghi comuni, un fondo di verità c’è, è inutile negarlo. La capacità e la maestria che abbiamo noi italiani in ogni tipo di produzione artigianale sono riconosciute e incontestabili, ma non è tutto oro quello che luccica. Le imprese artigiane soffrono tanto se non di più rispetto alle altre, in qualsiasi campo o regione esse operino. Basta dare un’occhiata alle statistiche di questi ultimi mesi per rendersene conto: in Sicilia, Sardegna Abruzzo, persino in regioni che con artigianato fanno rima – come Toscana e Marche – i trend di fatturato sono negativi, quelli relativi alle chiusure delle aziende positivi. Se poi ci mettiamo anche la sfiga di eventi catastrofici come quelli accaduti in Sardegna negli ultimi giorni, allora il quadro è completo.

Come sempre, dunque, è meglio darsi da fare per cercare delle soluzioni anziché piangersi addosso. Una di queste potrebbe essere, per una volta, riuscire a fare sistema, come imprese artigiane globalmente e come singole specificità produttive: andare in ordine sparso sul mercato interno e, soprattutto, su quello estero è una strategia perdente. Poi, cominciare a riconoscere la specificità di questo tipo di imprese e sostenerne la crescita con misure ordinarie e straordinarie sia sul lato degli incentivi economici sia, soprattutto, sul lato delle agevolazioni fiscali. Poi, sostenere una politica seria di inserimento di giovani in questo complesso tessuto produttivo, fornendo loro supporti e strumenti per proseguire nella realizzazione di prodotti eccellenti e apprezzati in tutto il mondo.

Sono solo alcuni piccoli passi, altri e più utili e intelligenti ci saranno di sicuro. Quello che è certo è che in un momento di crisi come questo e in un periodo dell’anno, quello che precede le festività natalizie, la spesa degli italiani si orienta ancora di più su produzioni artigianali, non tanto per spendere meno, quanto per spendere meglio. Se le imprese artigiane potessero sfruttare questa onda lunga anche per restanti mesi dell’anno, forse qualche segno di vera ripresa potrà cominciare a vedersi davvero. Non solo sulla carta o nella sfera di cristallo di burocrati ed economisti.

Cercasi saldi disperatamente

Se il Calendario dell’Avvento natalizio è stato ufficialmente inaugurato lo scorso weekend, lo stesso non si può dire dell’avvento dello shopping natalizio. Strenne, pacchi e pacchettini hanno decorato a fatica il paesaggio prenatalizio in una Milano più grigia che mai. E non soltanto scrutando il cielo, ma piuttosto mettendo mano al portafoglio.

Meno 15% rispetto al 2011 i dati diffusi riguardo alle vendite nel primo weekend di dicembre. Ma cosa dobbiamo aspettarci da questo lungo avvento, soprattutto in termini economici, del Natale 2012?

Infoiva lo ha chiesto a Gabriel Meghnagi, Presidente di Ascobaires, l’Associazione che riunisce i Commercianti di Corso Buenos Aires.

Le previsioni per i consumi del prossimo Natale non sono incoraggianti. Quali saranno, secondo lei i trend di spesa degli italiani?
La spesa a scontrino per gli omaggi natalizi credo che quest’anno sarà compresa tra i 55 e i 110 euro. Dal punto di vista generale credo che si registrerà un calo degli acquisti rispetto al Natale 2011 che dovrebbe aggirarsi attorno al 10-15%, mantenendo il trend che si è già verificato a novembre 2012. Se per novembre 2012, mese molto sottile per gli acquisti, il calo si è attestato sul -15%, a dicembre potrebbe esserci una lieve risalita, con un calo medio del 10%. Per i ‘non regali’ la gente attenderà sicuramente l’apertura dei saldi.

Che cosa maggiormente scoraggia alla spesa per questo Natale? Incertezza, strette fiscali, limiti alle spese in contanti… ?
L’incertezza sicuramente, e in questo giocano un ruolo centrale i media e gli organi di informazioni che creano senza dubbio un clima di apprensione e labilità per quanto riguarda il futuro. Dall’altra parte il crescente numero di famiglie che si ritrovano con un coniuge senza lavoro saranno fortemente limitate nelle possibilità di acquisto.

Sul fronte dei limiti alle spese in contanti, il tetto di 1000 euro imposto dal decreto Salva Italia, che conseguenze ha avuto o avrà sugli acquisti?
Per noi, come Ascobaires, ha avuto conseguenze evidenti solo nel primissimo periodo. Il cliente italiano che spende più di 1000 euro, in linea generale escludendo il Quadrilatero della Moda, non è molto frequente, e in ogni caso abituato ad utilizzare la carta di credito. Il tetto dei 1000 euro ha senza dubbio scoraggiato la clientela estera, che pur potendo usufruire dell’estensione a 15 000 euro del tetto massimo prevista nella deroga al decreto, non si trova certo a suo agio a dover compilare moduli di autocertificazione, rilasciare i dati del passaporto e le altre procedure previste.

Veniamo alla questione saldi anticipati a dicembre: se ne è discusso, prima sembravano dati per certi poi il dietrofront…
In dicembre non si è mai detto che sarebbero potuti partire i saldi, ma è stata fatta un po’ di confusione: Federmoda aveva detto che la Regione Lombardia e il Comune di Milano avevano tolto il divieto di poter fare  sconti 30 giorni prima di Natale. Quindi non si tratta di saldi anticipati, ma di promozioni. Io personalmente credo poco all’iniziativa delle promozioni anticipate: la gente per essere invogliata ad acquistare ha bisogno di leggere la scritta ‘saldi’ fuori dalle vetrine, in tutti i negozi e avere la certezza della riduzione. La situazione delle promozione è invece molto più a macchia di leopardo: 10 negozi praticano promozioni, altri 20 non hanno aderito. Inoltre non c’è la certezza dello sconto applicato: alcuni fanno il 20%, altri il 10%, altri ancora il 30%, e la clientela è restia nella maggior parte dei casi ad acquistare in un clima di confusione.

In che percentuale i negozianti di Corso Buenos Aires hanno aderito all’ iniziativa delle promozioni anticipate pre Natale? 
Parliamo di un 25% degli esercizi commerciali della zona: si tratta perlopiù di grosse catene di store, perchè il piccolo e medio imprenditore non può permettersi di applicare promozioni anticipate. Sarebbe impossibile resistere, dal momento che la stagione della vendita di articoli invernali e natalizi comincia proprio adesso!

Qual è la sua previsione sui saldi canonici del 5 gennaio 2013?
Credo che quest’anno ci saranno dei saldi alti, con una percentuale di sconto già in partenza di almeno il 40%.

Il 2013 sarà l’anno delle elezioni. Quali politiche chiedete al governo attuale, nella sua ultima fase, e a quello nuovo per rilanciare il sistema Paese?
Assolutamente che non venga alzata l’aliquota Iva, come già auspicato dal Presidente di Confcommercio Sangalli, che è molto importante perchè se è vero che si tratta di un solo punto percentuale, è un 15 che va a condizionare il potere d’acquisto di tutta quella fascia di cittadini che spendono i soldi e permettono all’economia di girare. Aumentare dell’1% l’Iva determina poi in ogni caso un aumento finale più elevato, e questo metterebbe in ginocchio noi commercianti e l’economia italiana intera.

Alessia CASIRAGHI

Parte la corsa allo shopping di Natale

Manca poco più di un mese a Natale e, puntuale come ogni anno, si apre la stagione dello shopping natalizio. File interminabili ai negozi, tra strenne, abeti decorati e idee regalo di ogni tipo, e uno sguardo diffidente al portafoglio. Coldiretti ha stimato che per il Natale 2011 gli italiani avranno a disposizione un budget per gli acquisti pari a 625 euro a famiglia.

L’analisi condotta sulla base dell’indagine “Xmas Survey 2011″ di Deloitte, che evidenzia un calo del 2,3% nei consumi rispetto al 2010, oltre che una maggior propensione agli acquisti di alimenti e bevande, rispetto ai pacchetti regalo. Cambiano cioè le preferenza per la spesa, con il 40% degli italiani che mette al primo posto il cibo con il 40%, seguito dai regali con il 39% , i viaggi 13% e le attività di socializzazione, con solo il 7% .

Gli italiani appaiono però più legati alle tradizioni delle feste natalizia rispetto ai cugini europei: Coldiretti rivela che durante un mese di shopping natalizio la spesa stimata per gli italiani sarà superiore del 6,5% alla media europea, che è ferma a 587 euro a famiglia.

In Italia si spenderanno per Natale più di 2 miliardi di euro in prodotti alimentari tipici. L’agroalimentare Made in Italy può contare infatti su una varietà di 230 prodotti a denominazione o indicazione di origine protetta riconosciuti dall’Ue e 4.606 specialità tradizionali censite dalle regioni. Per chi al cibo preferisce il nettare di Bacco, sono 517 i vini in Italia a denominazione di origine controllata (Doc), controllata e garantita (Docg).

Alessia Casiraghi