Turismo dello shopping: l’Italia in pole position

I turisti stranieri amano l’Italia e, ogni anno, vengono a visitare le principali città d’arte in un milione e mezzo, ma non solo per ammirarne le bellezze artistiche, poiché una delle motivazioni che li portano nel Belpaese è lo shopping.

Per questo motivo, città come Firenze, Milano, Roma, Torino e Venezia sono letteralmente prese d’assalto, in particolare per i negozi di abbigliamento (60%), pelletteria (17,3%) e cosmetica e profumeria (3,6%).

Si tratta di dati emersi dalla nuova edizione di Shopping Tourism Italian Monitor, rapporto di ricerca curato da Risposte Turismo presentato a Roma in occasione di Shopping Tourism, evento tenutosi presso la sede di Confcommercio, in cui si è discusso sul trend attuale che sta portando l’Italia ai vertici del turismo dello shopping.

Ad inaugurare l’evento è stato Renato Borghi, vice presidente di Confcommercio, il quale ha voluto sottolineare che “il turismo produce l’11% Pil, dà lavoro a due milioni di persone e assicurerà insieme ai servizi il surplus di crescita per il nostro Paese. Il 50% delle spese extra dei turisti va allo shopping, ciò che assicura un legame forte con il commercio. E l’Italia da questo punto di vista è un unicum, perché coniuga pluralismo distributivo – dagli outlet ai negozi multibrand alle botteghe artigiane – e bellezza del territorio”.

Ha poi parlato Luca Patanè, presidente di Confturismo, il quale ha aggiunto: “Lo shopping è sempre stato uno dei grandi motori del turismo, spesso non evidenziato: va tirato fuori evidenziando la sua grande forza propulsiva per il settore. Nel turismo ci sono territori sconfinati, oggi ciò che ci manca è più internazionalizzazione, dobbiamo crescere come presenza all’estero anche per aumentare l’interesse per il nostro Made in Italy. E spingere forte anche sul digitale, che può assicurare un futuro a molti di noi”.

Il turismo dello shopping vede, tra le città italiane, Milano in testa, con la quota maggiore di turisti attratti dagli acquisti (15,4%), seguita da Firenze (6%) e Roma (3,8%). Staccate Venezia (1,4%) e Torino (1,1%). La loro spesa media giornaliera sostenuta è risultata pari a 121 euro a Milano, 77,80 euro a Roma e 45,15 euro a Firenze.

Milano rimane la prima anche per viaggi per shopping su scala mondiale, tanto da aver ricevuto il maggior numero di citazioni (20,3%) tra le oltre 6.000 raccolte, seguita da New York (17,4%), Parigi (16%) e Londra (14,2%).

A dare una forte spinta al capoluogo lombardo sono sicuramente le vie dello shopping, con via Montenapoleone in testa, che fa da traino anche al quadrilatero della moda, ma, considerando l’Italia in generale, sicuramente una buona spinta è data anche dai 25 outlet village ormai presenti in Italia, che stanno diventando sempre più numerosi, conosciuti e frequentati.

Tra tutti i turisti che arrivano in Italia, anche quelli che non hanno nello shopping il principale motivo del viaggio, una volta arrivati non possono fare a meno di spendere. La media è di 28 euro a testa, che sale a 55,7 a Milano, 30,1 a Firenze, 21,9 a Venezia, 18,4 a Torino e 16,8 a Roma.
Facendo una stima della spesa annuale, potrebbe aggirarsi attorno a 1,6 miliardi, e tra questi 610 milioni di euro a Milano, 422 milioni di euro a Roma, 281 milioni di euro a Firenze, 230 milioni di euro a Venezia e 67 milioni di euro a Torino.

Vera MORETTI

Expo 2015, gli americani spendono e fan felice Milano

Gli americani fanno la fortuna di Milano e di Expo 2015. Lo certifica il circuito di carte di credito Visa, che ha rilevato come le transazioni registrate da Visa Europe a Milano nei primi due mesi di Expo 2015 hanno volumi di spesa dei consumatori stranieri per 189,7 milioni di euro, +28,6% rispetto a maggio-giugno 2014.

Sono proprio gli americani i top spender di questa classifica, seguiti da Uk, Francia, Russia e Cina. Insieme questi cinque, nei primi due mesi di Expo 2015, hanno fatto registrare volumi pari a 84 milioni di euro.

Secondo i dati Visa, i consumatori americani hanno speso nel bimestre circa 19 milioni di euro a Milano (+47,6% anno su anno), mentre i visitatori del Regno Unito hanno fatto segnare un picco impressionante di spese a Milano nei primi due mesi di Expo 2015: +82,8%.

I consumatori cinesi, secondi in termini di spesa, hanno fatto ancora meglio, il doppio rispetto agli inglesi, con un incremento rispetto allo stesso periodo del 2014 del 166%. Sono risultate in calo, invece, le spese di russi e svizzeri.

Fra le categorie merceologiche, anche nel periodo di Expo 2015 in cui protagonista è il cibo, il settore moda/abbigliamento è al primo posto nella spesa dei visitatori stranieri, che lasciano nelle casse di Milano 32,8 milioni di euro, +16% anno su anno. Seguono alberghi e strutture ricettive, con una spesa nel bimestre maggio-giugno di 29,4 milioni, +39,5% rispetto al 2014.

Visa ha poi allargato lo sguardo a tutta Italia e, nel periodo considerato, ha calcolato una spesa totale di 1,4 miliardi di euro, con maggio a quota 869,7 milioni (+19% rispetto a maggio 2014) e giugno a 535,1. Da considerare che, nel bimestre, grazie soprattutto al richiamo di Expo 2015, Milano ha contribuito con una quota del 13,5% sulla spesa totale dei visitatori stranieri in Italia.

Shopping: avanzano i cinesi, arretrano i russi

 

Con la fashion week di Milano che giunge al termine, Fashion & High Street Report di Federazione Moda Italia e World Capital Group hanno analizzato il mercato della moda offrendo un’analisi strategica per gli operatori. Con un +18% i turisti cinesi si sono distinti per gli acquisti nelle vie della moda delle città italiane compensando il calo del 13% delle spese dei russi che rimangono comunque al primo posto per lo shopping straniero nel nostro paese ancora per tutto il 2014.

Percentuali negativi in tutte le regioni italiane, si salva solo il Trentino dove la spesa per l’abbigliamento fa segnare un incredibile, se confrontato con le percentuali negative a doppia cifra di Campania e Calabria, +6%. In generale il settore registra fatturati in calo rispetto ai primi sei mesi del 2013 del -1%, crescono, a proposito di fashion week, solamente gli accessori moda che hanno avuto un incremento del 6,7% rispetto al I semestre 2013. Segno meno invece per calzature (-0,5%), articoli sportivi (-2%) e abbigliamento (-4,22%). Molto in sofferenza le spese per pellicce (-10,8%) e pelletterie/valigerie (-13%).

“Il comparto moda – ha dichiarato il Presidente di Federazione Moda Italia e Vice Presidente di Confcommercio, Renato Borghi – ha resistito grazie ai tantissimi turisti che l’hanno scelta come meta per il proprio shopping. A cominciare dai Russi che restano – per numero di acquisti – i migliori clienti (29%), nonostante i primi segnali negativi relativi alle sanzioni decise dalla UE, seguiti da cinesi (22%), giapponesi (5%), americani, svizzeri e coreani (4%). Le rilevazioni dell’High Street Fashion Report di Federazione Moda Italia denotano le migliori performance delle più rinomate vie dello shopping che mantengono la loro appetibilità, mentre segnali di difficoltà arrivano dalle periferie e dai centri minori con canoni di locazione non più in linea con le attuali condizioni di mercato. Per la ripresa, l’appuntamento sembra purtroppo di nuovo rimandato. Urge una riforma fiscale che alleggerisca l’imposizione a famiglie e imprese. Per far fronte a ciò confidiamo in una rapida compensazione con gli esiti della ineludibile sforbiciata alla spesa improduttiva. Segnali di speranza, infine, per il problema del credito alle imprese, a seguito dell’innesto di liquidità vincolata e a basso costo introdotto da Mario Draghi per trasferire denaro a famiglie e imprese”.

JM

Crisi e famiglie, le strategie per resistere

Più vulnerabili e meno ricche. Le famiglie italiane si ritrovano ogni giorno a fare i conti con la crisi. Meno uscite – al cinema, al ristorante, nei locali – meno shopping e mete meno invidiabili per trascorrere le proprie vacanze. La conferma arriva anche dall’ultimo rapporto Istat 2012, diffuso in questi giorni, che registra come il potere d’acquisto delle famiglie italiane sia passato dai 130,2 miliardi del 2007, l’ultimo anno precrisi, ai 93,4 miliardi nel 2012.

Ma questa riduzione come ha inciso sulle abitudini quotidiane dei cittadini? Dove si cerca di risparmiare maggiormente? Infoiva ha scelto di chiedere ai diretti interessati, per capire come la crisi abbia influenzato stili di vita e tempo libero degli italiani. Che non si concedono più lussi, nemmeno quello ci credere che le riforme dell’attuale Governo possano davvero aiutarli a crescere. Ecco il video: vi riconoscete in queste storie?

Alessia CASIRAGHI

Moda, Milano veste l’Europa

Scatta oggi l’ennesima edizione di Milano Moda Donna e, ora più che mai, la Lombardia si conferma la regione che, nel vero senso della parola, veste l’Europa. È infatti prima con circa 28mila imprese nei settori abbigliamento, tessile e moda, il 6,2% del totale continentale; una cifra che la mette al pari di interi Paesi, tanto che in una classifica nazionale si posizionerebbe al sesto posto, dopo Italia, Francia, Polonia, Spagna, Portogallo. In Italia ha sede un’impresa su tre di quelle europee del settore: circa 140mila su 450mila. Sono numeri che emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Eurostat 2010 su oltre 200 regioni europee.

Per lo shopping al femminile, solo New York risulta più conveniente di Milano, mentre Parigi risulta sullo stesso livello (596 euro). Più costose le altre città: in Europa si passa ai 688 euro di Londra, ai 727 euro di Berlino e ai 788 euro di Madrid.

E vale un miliardo all’anno l’indotto dal turismo per shopping a Milano, grazie a una competitività sui prezzi e sulla qualità che paga.

L’intero comparto della moda e del design (che comprende l’industria del tessile, dell’abbigliamento, concerie, gioielleria e bigiotteria, commercio al dettaglio di abbigliamento, studi di architetti e attività di design legato alla moda) è costituito a Milano e provincia da quasi 15mila imprese, pari al 4,7% del totale nazionale. Il solo settore “industriale” della moda a Milano è costituito da 495 imprese di gioielleria, 270 di bigiotteria, 1.031 di industria tessile, 2.649 di articoli di abbigliamento, 971 di pelletteria.

Il settore del commercio al dettaglio arriva a 3.383 negozi di abbigliamento, 774 di calzature, 2.600 di ambulanti. Se si considerano gli studi di architetti (e ingegneri) e quelli di design, il peso di Milano sul dato nazionale cresce ancora di più: a Milano e provincia ci sono quasi 1.700 studi di architetti e tecnici (il 13,3% del totale italiano) e circa 550 attività di design, oltre una su 8 in Italia.

Laura LESEVRE

Milano: la Lombardia veste l’Europa

La Lombardia veste l’Europa, prima con circa 28 mila imprese nei settori abbigliamento, tessile e moda, il  6,2% del totale continentale, al pari di interi Paesi (in una classifica nazionale si posizionerebbe al sesto posto, dopo Italia, Francia, Polonia, Spagna, Portogallo). In Italia ha sede ben un’impresa su tre di quelle europee del settore (circa 140 mila su 450 mila). Emerge da un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano su dati Eurostat 2010, appena diffusi, su oltre 200 regioni europee.

Vestirsi a Milano (di marca) conviene, per la solo New York più conveniente. Una spesa da 626 euro da capo ai piedi per la donna.  Solo New York risulta più conveniente di Milano, mentre Parigi risulta sullo stesso livello (596 euro). Decisamente più costose le altre città: in Europa si passa ai 688 euro di Londra, ai 727 euro di Berlino e ai 788 euro di Madrid (elaborazione della Camera di Commercio di Milano sugli ultimi dati disponibili di statistiche internazionali prezzi relative al 2011, capi considerati: abito, scarpe, cardigan e collant).

Un miliardo l’indotto dal turismo per shopping a  Milano. Una competitività sui prezzi e sulla qualità di Milano che paga: all’anno, il giro di affari prodotto dal turismo per shopping nel capoluogo lombardo si aggira su 1 miliardo di euro. I dati emergono dalla ricerca “Shopping a Milano” della Camera di Commercio di Milano in collaborazione con IULM.

“La moda per Milano e per L’Italia – ha dichiarato Carlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio di Milano – rappresenta un elemento di attrattività internazionale sul quale occorre investire con una “logica di sistema”, per rafforzare la competitività delle nostre imprese e del nostro territorio.  Le attività imprenditoriali diffuse svolgono anche un ruolo importante per l’immagine e la competitività in Europa e un fattore rilevante di attrazione anche turistica”.
In allegato il comunicato completo.

Fonte: camcom.gov.it

Centri Commerciali: la battaglia delle piccole imprese

Avete presente la moda dello struscio per le vie del centro storico per regalarsi qualche ora di shopping o di distrazione dalle noie della routine casa-lavoro-casa? D’ora in poi con buona probabilità lo struscio è destinato a trasferirsi al coperto. Dove? Nei Centri Commerciali.

Vere e proprie eterotopie della società contemporanee, i giganti del commercio sono pronti a fagocitare anche le ultime ribelli boutique del centro. Causa l’aumento spropositato degli affitti, unito al calo drastico delle vendite per la particolare congiuntura storico-economica, il caro vecchio negozietto di fiducia è destinato a estinguersi. A meno che non voglia affittare una cella nel gigantesco alveare di un nuovo Centro Commerciale.

La denuncia di Federcontribuenti parla chiaro: nel 2011 oltre 10.000 imprese hanno abbandonato i piccoli negozi in città, e le quasi totalità rischiare di finire strozzate dalle grandi aziende proprietarie dei centri commerciali.

“Questi piccoli commercianti – sottolinea Federcontribuenti – spinti dal nuovo consumatore che ormai spende solo nei grandi parchi, decidono di migrare, ma a patto di ingaggi a costi elevati e contratti da ‘strozzo’ senza alcuna tutela”.

I costi da sostenere infatti per l’allocazione nei parchi commerciali e’ notevole: varia dalle 300 ai 650 euro a metro quadro. La tipologia contrattuale poi costringe le piccole imprese a restare per sempre ‘precarie‘ e senza possibilità di avere alcuna tutela secondo le norme precise previste dal codice civile.

Un esempio? Cento metri quadri di superficie in un Centro Commerciale costano al commerciante dai 36.000 euro l’anno a punte anche di 90.000 senza considerare le spese condominiali che vanno aggiunte e che incidono per un ulteriore 30%.

Già la prossima settimana sarà presentata dal Sen. Stefano Pedica una interrogazione al Ministro dello Sviluppo Economico, perché, come sottolinea Carmelo Finocchiaro, Presidente di Federcontribuenti – venga avviata un’indagine che accerti l’esatta applicazione dei contratti e dei relativi comportamenti dei centri commerciali rispetto alle imprese allocate”.

Saldi, saldi, saldi… dal Black Friday al Boxing Day

di Alessia CASIRAGHI

In America c’è il Black Friday, in Francia li chiamano Ventes au Rabais, in Australia il Boxing Day e perfino a Dubai, regno di sceicchi da Mille e una notte, si festeggia il Festival dello Shopping. La stagione dei saldi è cominciata. Il capodanno dello shopping compulsivo è arrivato, almeno in Lombardia e in molte altre città d’Italia, e si preannuncia già con i botti.

Ma vi siete mai domandati come sono nati i saldi? Se qualcuno crede che si tratti di un’invenzione che si perde nella notte dei tempi, in realtà i saldi sono un’idea abbastanza recente.

Per i puristi la data di nascita si colloca fra il 1913 e il 1914, quando gli storici magazzini Macy’s di Manhattan, trovandosi con una quantità notevole di merce invenduta, decisero di organizzare una svendita in grande stile.

Dall’America a Londra. Perchè quando si parla di saldi il primo nome che viene in mente è Harrod’s. E’ stato Mohammed Al Fayed, proprietario del regno dello shopping londinese e padre di Dodi, scomparso nel 1997 insieme alla Lady D, a inaugurare la tradizione di far benedire l’inizio della stagione dei saldi da una madrina d’eccezione, che raggiungeva i grandi magazzini in sella ad una carrozza trainata da purosangue neri. Testimonial di Harrod’s lo è stata anche l’italianissima Sophia Loren nel 1999.

In Italia, i primi ad accorgersi dell’estremo potenziale dei saldi sono stati i magazzini Upim, nati nel 1928 a Verona. Caratteristica della catena, oggi di proprietà del gruppo Coin, era ‘l’unico prezzo in mostra‘. Per i più nostalgici, indimenticabili le stagioni dei grandi ribassi del gruppo Rinascente, immortalati in pellicole e foto d’epoca. O ancora, ma in tempi più recenti, le lunghe code che sfilano tra via Montenapoleone e Via Sant’Andrea, simbolo per eccellenza dell’inizio del periodo dei saldi.

Rito globale del mondo civilizzato, che si traduce in un’isteria collettiva da consumismo, i saldi scrivono il loro pezzettino di storia negli anni ’70 in America, quando viene istituito il Black Friday. Il ‘venerdì nero‘, che negli States coincide con il giorno successivo al Thanksgiving Day, ha un’etimologia molto curiosa e un po’ controversa: il nome farebbe infatti riferimento, in primo luogo, alle lunghe code e al traffico congestionato generati dalle svendite dei grandi magazzini. Per latri invece, il significato del neologismo andrebbe invece attribuito al cambiamento di colore dei libri contabili dei commercianti durante la stagione delle grandi svendite: i libretti passavano infatti dal colore rosso, delle perdite, al colore nero, utilizzato per segnare i guadagni nella contabilità classica.

Più pragmatici appaiono invece gli australiani che hanno deciso di ribattezzare il giorno dei saldi Boxing Day, con riferimento molto probabile alla ressa che caratterizza i giorni delle svendite, ad alto tasso di competitività, e nel peggiore dei casi, con qualche ferito di mezzo. Il Boxing Day coincide in Australia – ma anche in Canada, Nuova Zelanda e Gran Bretagna – con il giorno successivo al Natale, quando i negozi aprono all’alba per svendere tutto a prezzi pazzi, causando code fuori dagli esercizi commerciali e veri assalti alla merce in saldo.

Anche se, almeno per quest’anno, tutto non è andato esattamente come previsto: è di qualche giorno fa infatti la notizia che un grande magazzino di Perth “Myer” ha esposto un cartellone per le svendite con un vistoso errore di grammatica.

La frase incriminata, “Early bird get’s the right size”, ovvero chi arriva primo ha la taglia giusta, conteneva un’imprecisione, l’apostrofo dopo il “get”. Ad accorgersi per primi della svista sono stati però i clienti che hanno postato su Twitter lo slogan sgrammaticato. Il risultato? Tra tweet e retweet, le foto dei tabelloni incriminati e la gaffe di Myer hanno fatto il giro dell’Australia, generando un assalto vero e proprio alla catena di negozi e quadriplicando le vendite in saldo. E se ‘per un punto Martin perse la cappa’, per un apostrofo di troppo Mr Myer ha fatto esplodere il suo portafoglio.

I consumi degli italiani sono sempre meno liberi

Gli italiani sono compatti per quanto riguarda la propria situazione finanziaria e le linee di condotta da seguire al riguardo.

Da un’indagine effettuata da Astra Ricerche e presentata nella sede di Confocommercio di Milano all’interno del convegno: Moda: la distribuzione multimarca tra vecchie crisi e nuove opportunità, emerge che il 66% degli intervistati percepisce negativamente la propria situazione personale e questa percentuale è composta soprattutto da salariati, 74%, studenti e non occupati, 70%.

Chi, invece, sembra più propenso a spendere ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni e vive, nel 47% dei casi, nel Nord Italia.

Il pessimismo nei confronti del futuro appartiene al 59,6% degli intervistati, con una prevalenza di persone tra i 45 e i 54 anni, mentre più positivi i giovani tra i 18 e i 34 anni, appartenenti ad un ceto medio-alto.

Sulle previsioni a breve circa la quantità dei prodotti acquistati, il 51,1% degli intervistati manterrà gli acquisti stabili, il 33% li diminuirà, il 15,9% li accrescerà. Fra chi ha intenzione di ridurre le proprie spese, la maggior parte ha un’età superiore ai 45 anni.

Se, invece, si tratta di fare una stima della spesa che si può affrontare, il 51,6% degli intervistati risponde di pensare d’acquistare a prezzi più bassi, il 48,4% a prezzi invariati o poco più alti. Ma le rinunce, quando ci sono, non devono essere a discapito della qualità, per ben il 62,5% degli intervistati, anche se, nella maggior parte dei casi, riguardano l‘abbigliamento (44,4%) e calzature, borse e accessori (38,5%).

I capi firmati, poi, dividono gli interpellati, poiché il 28% si reputa fan delle firme e un altro 28% ne è addirittura nemico, il 27% affezionato a pochi marchi e il 17% appassionato ma con moderazione.

Renato Borghi, presidente di Ferdermodaitalia e Federmodaitaliamilano, chiamato a fare una disamina dei dati raccolti, ha commentato: “Il quadro generale che complessivamente emerge dall’indagine è purtroppo negativo. Dalla ricerca emergono diverse considerazioni su quali azioni intraprendere, da parte delle nostre imprese distributive, per tentare un rilancio: apportare innovazione, fare formazione, rafforzare ancor più il rapporto umano e di servizio con i propri clienti, scegliere produttori di capi di qualità da etichettare con il proprio marchio d’azienda. Soprattutto importante, se non addirittura decisivo, è saper fare rete“.

Inoltre, occorre che il panorama generale appaia più favorevole al consumo, ad esempio senza ulteriori incrementi dell’Iva e delle spese obbligate, raddoppiate dal 1970 al 2010. E se i consumi “liberi” delle famiglie si riducono in maniera così drastica, certo non ci si sente invogliati a spendere.

Vera Moretti