Parità di genere: ai vertici delle aziende dovranno esservi il 40% di donne

L’Unione Europea compie un altro passo verso la parità di genere: è stato infatti trovato l’accordo sulla direttiva Ue Women on Boards che prevede nei consigli di amministrazione delle grandi aziende la presenza di almeno il 40% di donne. Scopriamo cosa cambierà per le imprese italiane, e non solo, e chi dovrà adeguarsi.

Parità di genere: cosa prevede la direttiva UE Women on Boards?

Ursula von der Leyern parla di un grande risultato raggiunto, ma in realtà questo andrà a incidere solo su una piccola fetta di aziende, cioè quelle quotate in borsa. Si tratta di un dossier a cui l’UE lavora da 10 anni e che prevede sanzioni per le aziende che non dovessero adeguarsi a questa disposizione. Gli obiettivi previsti sono:

  • 30% di tutti gli incarichi amministrativi a donne entro il 2026
  • 40% degli incarichi da amministratori non esecutivi ( si tratta di membri del consiglio di amministrazione, cda, che non hanno funzioni direttive all’interno delle società). Questa posizione si distingue da quella degli amministratori esecutivi che invece ricoprono anche incarichi direttivi o manageriali.

In base alla direttiva UE Women on Boards, le aziende quotate in borsa ogni anno dovranno fornire alle autorità nazionali preposte un resoconto sulla compagine societaria da cui deve appunto emergere il rispetto degli obblighi visti per la parità di genere. Nel caso in cui la società non sia riuscita a rispettare tali obblighi, nel resoconto deve anche indicare le azioni che vuole compiere al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Il resoconto deve anche indicare le procedure adottate per la selezione del personale che dovranno essere trasparenti.

Secondo la direttiva, i tribunali nazionali potranno intervenire e annullare la selezione dei membri del cda in modo da adeguarla alla direttiva. Naturalmente saranno i Paesi Membri a dover indicare il giudice competente in materia e i limiti ai suoi poteri.

Cosa cambia per le aziende italiane?

Deve essere sottolineato che questa direttiva andrà ad incidere in maniera diversa nei vari Paesi membri dell’Unione Europea, infatti la Francia ha già largamente raggiunto l’obiettivo, buona anche la posizione dell’Italia. Questo anche grazie alla legge 12 luglio 2011, n. 120 che contiene già le “quote rosa” per le società quotate in Borsa. Per le società a controllo pubblico occorre invece avere come punto di riferimento il Dpr 251 del 2012.

Sono escluse dall’applicazione di questa normativa le piccole e medie imprese che nel panorama italiano sono in realtà la stragrande maggioranza. Questo implica che con l’entrata in vigore della direttiva, una volta diventata esecutiva, per l’Italia dal punto di vista sostanziale ci saranno poche novità, sebbene ci sia un impegno dichiarato da parte del ministro Orlando.

Volendo fare un esempio concreto, sono note le dichiarazioni di Elisabetta Franchi sull’assunzione delle donne nelle sue aziende. La società gestita dalla famosa stilista e manager era in procinto di quotarsi in Borsa, ma poi non si è più proceduto. In un’azienda, importante e con un fatturato importante, ma non quotata in borsa comunque questa direttiva non troverebbe applicazione. In Italia alla data del 31 dicembre 2021 le società quotate in borsa sono soltanto 407, quindi si tratta di un numero limitato.

Deve essere sottolineato che quello raggiunto 7 giugno 2022 è un accordo inter-istituzionale, questo implica che la direttiva di fatto ancora non esiste. I prossimi passi saranno decisivi si tratterà dell’adozione formale della direttiva, a cui seguirà la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore dopo 20 giorni da tale pubblicazione.

Cosa sono le Utility e perché molti investono in questo settore?

Si sente spesso parlare nel settore dell’economia e delle finanze di Utility, è arrivato il momento di capire di cosa si tratta e quali prospettive di investimento può offrire tenendo in considerazione che da molti il settore delle Utility è parificato ai beni rifugio, come l’oro.

Cosa sono le Utility?

Per Utility si intendono società quotate in Borsa che lavorano nel settore dell’energia e dell’elettricità. Il termine oggi è molto usato perché c’è un numero elevato di persone che decide di investire in questo settore che con la privatizzazione ha visto la diversificazione dei prodotti disponibili. I motivi degli investimenti sono evidenti, si tratta di settori che generalmente sono abbastanza stabili, e infatti hanno retto bene anche allo shock pandemico. Tra le utilities più conosciute e che hanno attirato numerosi investimenti ci sono sicuramente A2A, Hera, Acea, ma anche Ibedrola.

Quando si parla di Utility del settore energetico non si deve incorrere nell’errore di pensare che si tratti solo del settore dell’energia elettrica, infatti, tra le società quotate in Borsa che rientrano in questo settore vi sono anche i titoli petroliferi, come Repsol.

Perché molti investono in Utilities?

Una caratteristica che rende molto appetibili gli investimenti in questi settori è il fatto che le Utilities tendono a distribuire i dividendi agli azionisti e quindi vi possono essere dei ritorni di risparmio abbastanza costanti con pagamento semestrale o annuale. Infatti è possibile fare leva sullo scambio delle azioni e quindi su acquisto e vendita, oppure sulla distribuzione di dividendi. Per partecipare alla distribuzione dei dividendi di solito è chiesto un periodo minimo di possesso delle azioni.

I motivi per cui sono in tanti a investire nel settore delle Utility sono numerosi, quindi non c’è solo una buona tenuta e la distribuzione dei dividendi, ma anche il fatto che è un mercato poco speculativo, cioè è un mercato dove i valori sono abbastanza costanti, con rendimenti non elevatissimi, in media il 2%, ma non utilizzati per compiere operazioni speculative ad alto rischio al solo scopo di guadagnare sulla differenza di prezzo tra costo di acquisto e di vendita delle azioni.

Chi decide di investire nel settore delle Utility deve anche considerare che è preferibile mettere in conto investimenti di lungo periodo e non di breve periodo e questo appunto perché si tratta di un mercato non particolarmente speculativo, allo stesso tempo non particolarmente rischioso, ecco perché l’investimento può essere inserito in un piano di diversificazione del proprio portafoglio.

Affidabilità, possibilità di fare investimenti di lungo periodo, possibilità di fare previsioni sull’andamento andando a studiare un po’ i mercati, fanno in modo che questo settore sia particolarmente apprezzato anche da chi vuole costruire una rendita per il momento in cui si vuole godere della pensione.

Varie possibilità di investimento nel settore Utility

Il settore delle Utility può essere utilizzato anche per il trading online che prevede investimenti ridotti, visto che non è necessario acquistare pacchetti azionari. Naturalmente le oscillazioni non particolarmente elevate del prezzo non porteranno guadagni di tipo speculativo, ma sicuramente possono esserci guadagni interessanti anche per chi non è espertissimo di trading. Infine, è un ottimo mercato per i fondi di investimento, in questo caso si possono diversificare le azioni delle società che andranno a formare il fondo e allo stesso tempo si potranno tenere al sicuro i risparmi.

Per chi decide invece di investire su una sola società è bene tenere in considerazione alcuni principi, in particolare reggono meglio le Utilities che riescono a diversificare la proposta di fonti energetiche e sono aperte alle novità derivanti dalla transizione ecologica, ad esempio una società che propone anche energie da fonti rinnovabili. Hanno minore stabilità le società quotate che si specializzano in un unico settore e che si basano su tecnologie inquinanti.

Naturalmente queste sono linee guida molto generiche per coloro che sono attratti dagli investimenti nel settore Utility, ma è sempre bene affidarsi a consulenze di professionisti, diversificare e non correre troppi rischi con il proprio portafoglio di investimento.

Patti parasociali: cosa sono, come funzionano e limiti

E’ noto che per costituire una società è necessario provvedere alla redazione e registrazione di atto costitutivo e statuto, questi sono atti essenziali che regolano i rapporti tra i soci e tutti gli aspetti rilevanti della vita sociale. Atto costitutivo e statuto vincolano tutti i soci e sono opponibili a terzi, quando però i soci, o alcuni di essi, vogliono regolare in modo diverso alcuni aspetti, solitamente si ricorre ai patti parasociali, ma cosa sono e come funzionano?

Cosa sono i patti parasociali

I patti parasociali sono accordi esterni rispetto agli atti sociali, attraverso essi vengono regolati degli aspetti della vita sociale che possono essere di diversa natura. Solitamente i patti parasociali sono presenti nelle SPA, ma di fatto in qualunque tipo di società è possibile stipularli. La prima cosa da sottolineare è che i patti parasociali possono essere stipulati tra alcuni dei soci, oppure con soggetti terzi, ma di fatto vincolano esclusivamente i soggetti che intervengono nel singolo contratto e quindi non sono opponibili a terzi che nonpotevano averne conoscenza.

Visto che la pratica di stipulare patti parasociali era molto frequente, il legislatore è intervenuto e in particolare ha introdotto l’articolo 2341 bis del codice civile in cui sono indicate le linee guida. La prima cosa da sottolineare è che possono avere qualunque forma, tra cui quella verbale, quindi non c’è obbligo di forma scritta, ma questa è comunque preferibile. Possono riguardare:

  • l’esercizio del diritto di voto nelle SPA o nelle società che controllano le SPA ( ad esempio i soci possono accordarsi su quali tipologie di decisioni si impegnano ad approvare o a bocciare, in questo modo il reale potere di dirigere la società stessa resta circoscritto a una parte ristretta di soci. Questo accordo è frequente quando si vuole creare un pacchetto di maggioranza familiare);
  • possono porre dei limiti al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni nelle società che le controllano (ad esempio stabiliscono che le azioni non possano essere cedute se non al raggiungimento di un determinato valore) ;
  • possono avere ad oggetto o per effetto l’esercizio di un’influenza dominante nella società.

Emerge dall’articolo 2341 bis che l’obiettivo principale dei patti parasociali è dare alla società un determinato assetto, ad esempio vietando il trasferimento delle azioni si intende fissare un determinato assetto sociale e anche le relative quote di potere.

La durata dei patti parasociali

I patti parasociali hanno una durata che può essere ricavata dagli accordi tra le parti, oppure da legge: se nell’accordo stesso nulla è stabilito, la durata massima del patto stesso è di 5 anni. Se le parti hanno previsto un termine maggiore, lo stesso non è valido e quindi si applica il termine di 5 anni. In questo modo le parti non vengono vincolate in modo indiscriminato, ad esempio sarebbe inopportuno e poco conveniente avere un pacchetto azionario e non poterlo mai alienare. I patti parasociali possono comunque essere rinnovati.

I soci hanno anche il diritto di recesso, se non è disciplinato in modo specifico all’interno del contratto, si prevede che il soggetto che voglia recedere dal contratto debba darne un preavviso di almeno 180 giorni.

I patti parasociali nelle società quotate

A questo proposito devono però essere fatte delle differenze, infatti quelle ora viste sono regole generali che però non si applicano alle società quotate o alle società che le controllano, in quanto ad esse si applicano gli articoli 122 e 123 del Testo Unico Finanza (TUF). L’articolo 123 stabilisce che i patti parasociali, se:

  • a tempo determinato non possono avere una durata superiore a tre anni;
  • i patti stabiliscono una durata maggiore, si applica il termine di 3 anni;
  • stipulati a tempo indeterminato, ciascun socio può recedere dando un preavviso di 180 giorni/ sei mesi.

Infine, gli azionisti che desiderino aderire a un’offerta pubblico di acquisto (OPA) o a uno scambio azionario, possono recedere senza rispettare il termine di preavviso.

L’articolo 122 del TUF sottolinea invece un’altra differenza rispetto alle regole generali, ovvero l’obbligo di pubblicità dei patti parasociali  Infatti stabilisce che i patti parasociali, in qualunque forma siano stipulati ( anche verbale quindi), se aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano, entro 5 giorni devono:

  • essere inviati alla CONSOB;
  • pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana;
  • comunicati alle società con azioni quotate.

In assenza di rispetto di tali regole i patti parasociali sono nulli.

Limiti ai patti parasociali

I patti parasociali possono essere stipulati sia al momento di entrare nella società o al momento della costituzione, sia successivamente, cioè in qualunque momento della vita societaria. Restano tra le parti (tranne nel caso visto in precedenza e inserito nell’articolo 122 del TUF), ad esempio se tre soci stipulano un accordo esterno all’atto costitutivo, non sono tenuti a dirlo agli altri soci, certo potrebbe essere considerato un comportamento scorretto perché potrebbe crearsi un piccolo gruppo di potere che di fatto decide, ma dal punto di vista legale non è necessario dare notizia di tale accordo che di fatto però non produrrà mai effetti nei confronti dei terzi.

I patti parasociali possono inoltre prevedere delle penali che si applicano per il caso di inadempimento contrattuale.

Si è visto che il legislatore di fatto ammette la possibilità per i soci di stipulare patti parasociali, vi sono comunque dei limiti, infatti gli stessi non devono essere in contrasto con norme imperative e non devono essere formulati in modo da eludere principi dell’ordinamento. In tali casi i patti parasociali sono nulli e quindi come se non fossero mai stati stipulati e di conseguenza non vincolano le parti.

Aziende & Borsa: l’iter da seguire per potersi quotare

Aziende & Borsa è un intreccio che prevede un lungo iter di quotazione. Ecco come funziona e qualche consiglio per le imprese che hanno intenzione di intraprendere questa strada.

Aziende & Borsa: chi può quotarsi in borsa?

I mercati azionari della Borsa valori italiana, permettono a molte aziende di potersi quotare. Ma perchè le aziende vogliono quotarsi in borsa? La risposta è abbastanza complessa. Da un lato la quotazione fa aumentare la visibilità dell’impresa, soprattutto sul mercato in cui opera. Dall’altro rappresenta un riconoscimento pubblico acquisito grazie alla maggiore credibilità, sia verso i consumatori che verso i potenziali investitori. Anche se maggiori investitori significano per l’azienda aumenti di capitali da poter sfruttare nelle scelte aziendali. Ma anche un pericolo di distribuzione troppo dettagliata delle quote di proprietà. Ma andiamo con ordine.

L’iter da seguire per potersi quotare

La quotazione in borsa è un processo che prevede il dover fare degli step. Il primo passo è quello di organizzare la propria azienda in modo che questo sia possibile. L’imprenditore deve munirsi di una task force manageriale esperta che permette di individuare e definire la strategia aziendale. Ma deve anche certificare i propri bilanci, redigere dati che siano appetibili per gli investitori, definire come proporre sul mercato le proprie azioni e stabilirne il prezzo. La squadra deve essere compatta al raggiungimento dell’obiettivo. Questo perché la quotazione è un’operazione di natura straordinaria per la società, ma si tratta di un’operazione ordinaria per i professionisti specializzati. Occorre anche valutare i costi da sostenere. Sono dei costi di investimento che si dividono in:

  • costi fissi: sostenuti nella fase dell’offerta pubblica dei titoli aziendali (esperti, società di revisione, comunicazione ed advisor);
  • costi variabili: sono legati al collocamento delle azioni presso gli investitori. Pertanto si tratta di solito di commissioni da pagare;
  • costi borsa italiana: è a tutti gli effetti una fee di accesso.

La quotazione di una media società (diciamo con 100 milioni di euro di valore) può costare  2/3 milioni di euro di costi iniziali. Ma poi passano a 4/500 mila euro annui. A questo proposito la legge di bilancio 2018, ha introdotto un credito d’imposta del 50%, nella misura massima di 500 mila euro per i costi di consulenza.

I benefici della quotazione in borsa

Secondo quanto spiega il sito ufficiale della borsa italiana, un’ azienda che si quota, può godere di vari benefici:

  • crescere: grazie a finanziamenti che permettono di raccogliere risorse diversificando le fonti. I capitali permettono così di accelerare lo sviluppo, l’organizzazione e la struttura dell’impresa stessa;
  • ampliare l’azionariato: la quotazione permette ad una pluralità di investitori di comprare le azioni dell’impresa. Tali soggetti possono essere si nazionali che stranieri e che permettono anche, a volte, di modificare la compagine sociale;
  • aumentare la credibilità e visibilità: proprio perché l’azienda che segue l’iter di quotazione, decide di assoggettarsi ad un regime di trasparenza e correttezza in maniera volontaria. Migliora quindi non solo la sua immagina, ma anche la credibilità di fronte agli stekoholders. Si tratta di tutti quei soggetti, organizzazioni, individui che sono coinvolti in un’iniziativa economica. Il  loro interesse dipende dal risultato dell’esecuzione o dall’andamento dell’iniziativa in cui sono coinvolti;
  • attrarre risorse qualificate: in quanto la quotazione conferisce all’azienda una posizione di prestigio e permette l’utilizzo di schemi di remunerazione incentivanti quali gli stock option. Le stock option sono strumenti di incentivazione che vengono solitamente concessi al top management e ai membri del consiglio di amministrazione di un’azienda oppure a dipendenti;
  • liquidare l’investimento: cioè la possibilità di liquidare in tutto o in parte l’investimento degli azionisti, agevolando la gestione di eventuali passaggi generazionali.

Gli svantaggi della quotazione in Borsa

Come in ogni scelta, è opportuno valutare anche i potenziali svantaggi:

  • alti costi da sostenere. Pertanto c’è davvero di avere a disposizione delle ingenti somme di denaro;
  • la volatilità del mercato: perché il mercato azionario è un luogo di scambi davvero imprevedibile. Infatti, basta un’azione di insider trading, o di  altro comportamento illecito, per mandare in aria interi piani di programmazione e di organizzazione di scelte aziendali;
  • i mutamenti sia della compagine aziendale, che della gestione interna, cambio di manager, informazioni e azioni che possono riflettersi sull’azienda, se non opportunamente pronta al questo passo.

Tuttavia la scelta di quotarsi deve essere sempre ben ponderata. Perché se da una parte l’intera immagine aziendale cambia e risplende, dall’altra l’azienda non può svenarsi per raggiungere l’obiettivo.

Quanto vale in Borsa la tua città?

Spread, Bot, indici, Ftse… La crisi economica che attanaglia il mondo ci sta facendo familiarizzare, nostro malgrado, con un sacco di termini proprio del mondo borsistico. Pochi però, forse, si rendono conto del fatto che la Borsa è qualcosa che, nella realtà, è molto più vicino alle imprese e alle famiglie di quanto non sembri. Qualcuno si è mai posto il problema, per esempio, di quanto possa valere (o meglio, capitalizzare) in Borsa la propria città?

Lo ha fatto Simon-Kucher & Partners, società di consulenza aziendale, che ha studiato la capitalizzazione azionaria delle imprese nelle varie città italiane. Risultato: Roma, Milano, Torino e San Donato Milanese restano anche per il 2012 le città di maggior capitalizzazione.

La Capitale, nonostante il suo “vestito” da vecchia signora della burocrazia e di centro dei maneggi politici, con 8 aziende e 132 miliardi di euro è ancora in vetta alla classifica. Sebbene vi sia una sola azienda in più quotata rispetto a Milano (8 contro 9), il valore è ben superiore, più del doppio. Anche se si raggruppassero le altre città in provincia di Milano al top della classifica – San Donato Milanese (4°), Sesto San Giovanni (6°) e Basiglio (11°) – la capitalizzazione risulterebbe ancora inferiore rispetto a Roma, nonostante le 13 aziende in confronto alle 9 della Capitale.

Roma deve il suo successo a Eni ed Enel, che da sole superano i 90 miliardi di euro di capitalizzazione. Milano vanta Luxottica e Telecom Italia, Torino Intesa San Paolo, Fiat Auto e Fiat Industrial. San Donato deve la sua presenza in classifica a Saipem e Snam Rete Gas, mentre Trieste, anche quest’anno quinta, deve tutto a Generali.

Lo studio di Simon-Kucher & Partners rileva anche l’incidenza della crisi. Rispetto al 2011 la maggior parte delle città ha subito infatti una diminuzione della capitalizzazione azionaria. Uniche eccezioni Milano, che resta stabile, e Firenze che, grazie a Salvatore Ferragamo, guadagna 10 posizioni passando da una capitalizzazione di 0,71 a quasi 3 miliardi di euro. Brescia con A2A dimezza la propria capitalizzazione ed esce dalla Top 10, perdendo 10 posizioni. Genova, invece, continua a non classificarsi tra le prime 10 città, anzi risulta essere all’ultimo posto. New entry è Modena che raggiunge il 17° posto.

Nella classifica si ritrovano, oltre alle grandi metropoli, anche una serie di piccoli centri urbani: Sesto San Giovanni con Campari, Collecchio con Parmalat, Sant’Elpidio a Mare con il gruppo Tod’s. Tutte città che devono la loro comparsa nel ranking a una sola azienda e, spesso, dipendono fortemente da essa.

La struttura economica decentralizzata è una delle caratteristiche dell’Italia. Le aziende non sono completamente concentrate nella Capitale, come avviene a Parigi o Londra. Siamo più paragonabili alla Germania, dove vi è una maggiore decentralizzazione – spiega Danilo Zatta, Partner di Simon-Kucher -. Ciò rende più regioni partecipi alla vita economica e non solo poche metropoli“.

I Cda italiani si vestono di rosa

Sono 26, possiedono tutte curricula con lode e hanno alle spalle esperienze all’estero. Sono le nuove quote rosa che hanno invaso i Cda italiani dall’inizio di quest’anno. Effetto della legge Golfo-Mosca? A dire il vero la legge sulla parità di genere negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate e controllate dallo Stato entrerà in vigore solo dal luglio 2012, ma intanto molte società e aziende sembrano averne raccolto il positivo riflesso.

Il parterre dagli ‘amministratori in gonnella’ cresce di giorno in giorno: la nomina più recente è quella di Elisabetta Oliveri, consigliere di Snam Rete Gas e amministratore delegato di Sirti, mentre nel nuovo cda di Atm l’ultima new entry porta il nome di Alessandra Perrazzelli. Elisabetta Magistretti e Anne Marie Idarac da settembre sono diventate consigliere di Mediobanca, come le loro colleghe Tatiana Rizzante e Paola Girdinio, entrate a far parte di Ansaldo Sts. Fra le nuove quote rosa ci sono anche figlie d’arte: Veronica Buzzi e Giada Tronchetti Provera, nuovi acquisti rispettivamente del cda di Buzzi Unicem e del cda di Camfin. E poi ancora Silvia Merlo, unica donna di Finmeccanica, Lucia Calvosa in Telecom Italia, Barbara Blasevich in Cattolica Assicurazioni, Rossella Saoncella in Hera, Claudia Rossi in Credito Bergamasco e l’elenco è ancora lungo.

Intanto il 28 e 29 ottobre le donne consigliere si sono date appuntamento a Milano, a Palazzo Clerici, dove si terrà l’edizione 2011 del convegno “Donna, Economia & Potere”, a cura della Fondazione Bellisario. Durante il convegno sarà presentato il progetto “Mille curricula eccellenti”, realizzato dagli head hunter di Heidrick&Struggls e di Beyond International. Si tratta di un database che raccoglie i curricula di donne pronte per entrare in cda di quotate e partecipate pubbliche, che al momento è già a quota 2800 nomi. Donne eccellenti, pronte a rubare le poltrone dei loro colleghi maschi: secondo le stime della Fondazione Bellisario infatti, nei prossimi anni saranno oltre 7000 le poltrone che si libereranno per lasciare spazio alle quote rosa.

Come Marina Brogi, entrata nel solo 2011 nei consigli di amministrazione di Prelios SpA, ex Pirelli Real Estate e di Pms Group SpA. La Brogi, curriculum eccellente e una cattedra come ordinario di Economia dei Mercati finanziari a 36 anni alla Bocconi, è diventata anche membro della sezione Giovani della Fondazione Bellisario, sezione naturalmente presieduta da un volto femminile: Cristina Finocchi-Mahne.

Alessia Casiraghi