Il 2012 è stato… Speciale. Il 2013 lo sarà ancora di più (speriamo…)

di Davide PASSONI

Carissimi lettori di Infoiva, anche questo 2012 è arrivato alla fine. Lo so, ci avete seguito assiduamente durante tutto l’anno e in molti di voi lo hanno fatto fin da quando siamo nati, quasi tre anni fa. Ragion per cui, forse per molti di voi quello che abbiamo pensato per chiudere l’anno e aprire il 2013 con nuovo slancio è qualcosa di già visto… Ma noi parliamo a tutti, anche a chi in questo 2012 si è perso qualcosa delle nostre news. Ecco dunque qui sotto tutti i nostri speciali da luglio in poi. Buona lettura e buon anno.

LUGLIO 

Saldi estivi

Sicilia a rischio default

Le imprese turistiche si preparano all’estate

 

SETTEMBRE

Imprese turistiche, come’è andata l’estate

Filiera italiana dell’auto

Filiera italiana del tessile

Srl semplificata

 

OTTOBRE

Imprenditori suicidi

Filiera italiana della ceramica

Smau 2012

Buoni pasto

 

NOVEMBRE

Imprese funebri

Mediazione obbligatoria

Apprendistato

Franchising

 

DICEMBRE

Natale, previsioni sui consumi

Professioni non regolamentate

Filiera italiana dell’edilizia

Apprendistato, questo sconosciuto…

di Davide SCHIOPPA

Paradossi di un’Italia che non vuole crescere. Non che non può, non vuole. Abbiamo uno dei mercati del lavoro più rigidi d’Europa, pur con tutta la buona volontà del ministro Fornero e della sua riforma, e quando si mettono sul piatto strumenti utili a togliere un po’ di gesso facciamo di tutto per non applicarli.

Parliamo, per esempio, del contratto di apprendistato, al quale Infoiva ha dedicato un focus nella settimana appena trascorsa. Lo abbiamo fatto proprio perché, da più parti, abbiamo letto del disappunto per la mancata o farraginosa applicazione della normativa che regola l’apprendistato e della conseguente difficoltà, da parte delle aziende, a proporre questa tipologia di contratto ai neolaureati o, comunque, ai giovani.

Abbiamo voluto vederci un po’ più chiaro, per capire quanto di vero ci sia in questo impasse e, in effetti, abbiamo constatato che sì, il problema esiste: uno strumento dalle buone potenzialità viene tarpato dalla troppa burocrazia. Ma che futuro ha un Paese così? Non che l’apprendistato sia la formula magica che risolve il problema della disoccupazione giovanile in Italia ma, chiediamo, perché non siamo capaci di fare bene una cosa dall’inizio alla fine? Perché siamo sempre il Paese delle cose fatte a metà? Ai giovani il compito di giudicarlo, quando si troveranno senza un futuro.

Leggi i risultati dello studio di Bachelor sugli annunci di lavoro per neolaureati

Leggi l’intervista al Professor Maurizio Del Conte dell’Università Bocconi

Leggi l’intervista al presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca

Leggi l’intervista a Enrica Carminati, responsabile di Fareapprendistato.it

Apprendistato, costruire i professionisti del futuro

 

Da contratto ‘snobbato’ perchè rigido e normativamente complesso a occasione unica per investire in capitale umano e costruire la propria impresa del futuro. Il contratto di apprendistato vanta un privilegio fondamentale per le aziende, di piccole come di medie dimensioni: l’opportunità di ‘cucirsi su di sè’ le figure professionali del domani, formandole, istruendole e dando loro gli strumenti per costruirsi una vera e propria professionalità.

Ma è davvero così? O sarebbero auspicabili altri metodi per favorire un interscambio fertile e di lunga durata tra scuole, università, centri di formazione e imprese?

Infoiva lo ha chiesto a Enrica Carminati, responsabile del progetto Fareapprendistato.it, un sito, realizzato in collaborazione con Adapt e il CQIA dell’Università di Bergamo, che ha lo scopo di promuovere e supportare la corretta implementazione in Italia dell’apprendistato, valorizzandone in particolare la valenza educativa e formativa.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché? Quali sono i suoi limiti?
L’apprendistato sconta l’eredità di contratto “difficile” e “rigido”. In passato le imprese preferivano fare ricorso ad altri strumenti, magari anche più onerosi dell’apprendistato, perché quest’ultimo era complesso da gestire – a causa di un quadro normativo incerto, stratificato e a livello regionale frammentario – oltre che gravato da un eccesso di burocrazia e formalismo. Nel 2011, tuttavia, è intervenuta una profonda e organica riforma della disciplina del contratto di apprendistato, che ha superato molte delle criticità emerse negli anni, consegnando agli operatori un nucleo di regole certe, essenziali e immediatamente operative.
Il principale limite oggi è allora rappresentato dall’assenza, o comunque dall’insufficienza, di una corretta e diffusa informazione sul “nuovo” apprendistato, che ne metta in luce le grandi potenzialità, sia per il tessuto produttivo, sia per noi giovani. Proprio per questo il gruppo di ricerca di Adapt – Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni Industriali – ha creato e cura il portale www.fareapprendistato.it, ove è possibile consultare liberamente documentazione utile e dialogare con chi studia e utilizza lo strumento.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro?
Ci sono molteplici ragioni: innanzitutto per la possibilità di investire in capitale umano per costruire la propria impresa del futuro. Questo contratto consente alle imprese di intercettare giovani e giovanissimi al fine di formarsi “in casa” e in base agli effettivi fabbisogni quelle professionalità che spesso il mercato non offre. Inoltre, a seconda della articolazione tipologica che si attiva, può mettere virtuosamente in dialogo il mondo della scuola, dell’università e della ricerca con quello del lavoro, al fine di portare in azienda elevate competenze, che si traducono in competitività e sviluppo. Senza dimenticare, in questo momento di crisi, i generosi incentivi economici e normativi che lo accompagnano.

Ad oggi, alle piccole e medie imprese, conviene stipulare contratti di apprendistato?
Oltre ai vantaggi di cui si è detto, la legge di Stabilità per il 2012 ha introdotto uno sgravio contributivo del 100%, per i primi tre anni di contratto, per le imprese con meno di dieci dipendenti che hanno assunto o assumeranno fino al 31 dicembre 2016 apprendisti. Del resto sono proprio le realtà più piccole ad avere oggi più che mai la necessità, per rimanere nel mercato e crescere, di investire nel futuro, ottimizzando il bilancio tra costi e benefici.

Esistono, secondo lei, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
Io credo che nel nostro Paese non manchino i “buoni” strumenti, tra cui certamente l’apprendistato. Del resto sono state le parti sociali, unitariamente, a condividere, in intese siglate a partire dal 2010 con Governo e regioni, la necessità di rilanciarlo proprio per combattere i preoccupanti fenomeni della dispersione scolastica, della disoccupazione giovanile e del disallineamento tra domanda ed offerta.
Quel che serve, invece, sono serie e strutturate politiche a sostegno dell’occupazione giovanile, volte a creare un raccordo tra il mondo dell’istruzione e della formazione, da un parte, e quello del lavoro dall’altra, così da trasformare effettivamente il contratto di apprendistato in una leva di placement.

Il contratto di apprendistato è apprezzato dai giovani?
A volte il contratto di apprendistato è sottovalutato, perché ricondotto all’immagine del “garzone di bottega” o comunque associato, erroneamente, ad attività esclusivamente manuali e di basso profilo. Proprio nei giorni scorsi, sui giornali, si leggeva della volontà del Ministro Fornero di promuovere una campagna per rilanciarne l’immagine, oggi poco accattivante. La maggior parte dei giovani, tuttavia, si informa ed è consapevole che quello di apprendistato è un contratto stabile, che garantisce loro piene tutele e la possibilità di acquisire una professionalità facilmente spendibile nel mercato.

Qual è il vero problema del mercato del lavoro in Italia? Pensa sia ancora troppo rigido, specialmente per quanto riguarda i vincoli all’ingresso?
Rispondendo a caldo e di getto, direi che è l’eccessivo costo del lavoro, che influenza e condiziona le scelte imprenditoriali. Al di là di questo, non sono in grado di individuare l’origine ultima dei problemi del nostro mercato del lavoro e nemmeno di trarre a distanza di pochi mesi un bilancio sull’ efficacia e sulla bontà degli ultimi interventi legislativi, che certo hanno aggiunto rigidità in fase di ingresso. Da giovane che si muove in questo mercato e che vede tanti coetanei in difficoltà, penso che questo sia il momento per concentra le energie e attenzione sugli strumenti già operativi e che possono fare la differenza, se valorizzati, tra i quali appunto l’apprendistato.

Alessia CASIRAGHI

 

“Basta lacrime e sangue, ora produttività”

di Davide PASSONI

Apprendistato da panacea per i giovani a palla al piede del sistema? Via, non siamo drastici, il sistema è una palla al piede già di per sé, quello che manca sono regole chiare e certe. Sulle potenzialità inespresse del contratto di apprendistato, Infoiva ha sentito il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, dott. Rosario De Luca.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché?
Il problema sta nella diversa e, molto spesso contorta, applicazione nelle varie Regioni italiane. Non bisogna infatti dimenticare che la competenza è stata assegnata a livello regionale e questo non è d’aiuto. La nostra Fondazione Studi ha rilevato, tramite un’indagine eseguita su un campione rappresentativo di consulenti del lavoro, che sebbene sia possibile sottoscrivere il contratto d’apprendistato in tutte le regioni italiane, si scoprono ritardi nel varo degli strumenti che dovrebbero favorirne la diffusione con la conseguente reticenza dei datori di lavoro a farne uso a causa dei costi elevati e delle difficoltà burocratiche.

Come Consulenti del Lavoro, qual è la vostra posizione rispetto a questa tipologia di contratto?
Assolutamente favorevoli, nonostante le citate difficoltà operative che di fatto ne impediscono o ne rallentano la diffusione. C’è un affannarsi nel dichiarare populisticamente che l’apprendistato è il canale privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Ma si tratta di pura teoria, non suffragata da alcun riscontro empirico, ma   accompagnata dai numerosi limiti che questo tipo di contratto comporta: dal numero massimo di apprendisti da assumere alla durata minima di 6 mesi.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro? Ci sono, a suo avviso, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
L’apprendistato prevede agevolazioni contributive per l’azienda che lo utilizza. Però, con la riforma Fornero, i datori di lavoro possono assumere apprendisti beneficiando di detti sgravi solo se dimostrano di aver stabilizzato a tempo indeterminato una parte degli apprendisti assunti in precedenza. Purtroppo non sono rimasti molti strumenti ai giovani per entrare nel mondo del lavoro; in pratica c’è solo l’apprendistato, ma l’incompatibile e diversificata gestione regionale lo vanifica.

Pensa che il mercato del lavoro in Italia sia ancora troppo rigido, specialmente riguardo ai vincoli all’ingresso, nonostante gli sforzi del governo?
C’è ancora molto da fare  per consentire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. E questo problema, come gli altri, non si risolve assumendo scelte a tavolino , senza cioè riscontri concreti. I monitoraggi vanno effettuati prima di intervenire normativamente e non dopo, come invece avviene. Le nostre indagini, ad esempio, attestano che il 63% delle aziende ritiene “difficile” applicare la normativa di settore, mentre il 13% lo considera “inconveniente”.

Situazioni straordinarie come è quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo voi il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Delle tante riforme fatte finora, nessuna incide efficacemente sui problemi reali del Paese che merita interventi strutturali di prospettiva. Per questo, dopo il periodo delle manovre di lacrime e sangue, è giunta l’ora della produttività e degli interventi di sostegno alle piccole aziende e ai lavoratori autonomi, che sono i veri sostenitori dell’occupazione in Italia. E questi interventi devono passare dalla madre di tutti gli interventi: la riduzione del costo del lavoro, che oggi tutti scoprono essere un problema; ma che noi danni definiamo come il freno inibitore della nostra economia.

Apprendistato, un aiuto concreto per i giovani?

 

Garantisce un costo del lavoro più basso, perchè ne riduce il costo contributivo, ma è ancora troppo poco adottato dalla piccole e medie imprese per la sua complessità normativa e di gestione. Il contratto di apprendistato potrebbe rivelarsi un valido strumento per incentivare l’assunzione dei giovani in un momento in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto picchi storici e in cui la crisi economica non può più fungere da unico capro espiatorio.

Ma perchè le aziende faticano ancora a preferire il contratto di apprendistato? Oggi Infoiva ne discute con il Professor Maurizio Del Conte, Docente di Diritto del Lavoro presso l’Università Bocconi di Milano. Perchè per garantire un futuro a un’intera generazione che oggi viaggia ‘sul filo del rasoio’ della disoccupazione occorre agire adesso.

L’apprendistato avrebbe dovuto essere il canale d’ingresso principale dei giovani nel mercato del lavoro, ma a oggi pare fatichi ancora a decollare? Perché? Quali sono i suoi limiti?
Purtroppo l’apprendistato sconta una storia fatta di incertezze regolative, dove la indicazione del tipo di formazione – on the job o in aula – ed i suoi stessi contenuti sono rimasti appesi all’inerzia delle Regioni e della contrattazione collettiva nel regolare la materia. Il testo unico del 2011, rilanciato dalla riforma “Fornero”, dovrebbe spingere nel senso di un pieno completamento della disciplina, ma è necessario un maggiore impegno di Regioni e parti sociali.

La complessità normativa di questo tipo di contratto gioca a suo sfavore?
Il maggior ostacolo al ricorso all’apprendistato da parte delle imprese è proprio la complessità della disciplina e della gestione operativa degli apprendisti. Molto spesso i direttori del personale preferiscono rinunciare ai vantaggi del contratto di apprendistato, ritenuto troppo oneroso in termini di tempo e risorse organizzative da dedicare per ogni apprendista. Oltretutto, con il rischio di vedersi condannati a restituire gli sgravi contributivi nel caso si commetta qualche errore nella complicata gestione burocratica del contratto.

Perché un’azienda dovrebbe scegliere questo tipo di contratto piuttosto che un altro?
L’apprendistato potrebbe essere estremamente interessante per le imprese perché, da un lato, riduce significativamente il costo contributivo del lavoro e, dall’altro, garantisce la possibilità di formare il giovane neoassunto secondo le esigenze specifiche dell’organizzazione aziendale. Insomma un investimento nella qualità del lavoro ad un costo ragionevole. Nel panorama contrattuale a disposizione delle imprese non c’è nulla di altrettanto appetibile.

Ad oggi, alle piccole e medie imprese conviene stipulare contratti di apprendistato?
In teoria sì, ma la realtà ci dice che sono proprio le imprese meno strutturate ad essere maggiormente diffidenti nei confronti dell’apprendistato. Questo perché, vista la complessità di cui si è detto, all’interno delle piccole aziende non ci sono le risorse organizzative sufficienti per seguire gli apprendisti. Un’iniziativa importante, che dovrebbe essere estesa a tutto il territorio, è quella appena lanciata da Regione Lombardia, che finanzia le piccole e medie imprese che si avvalgano di operatori esterni accreditati per la gestione degli apprendisti.

Esistono, secondo lei, strumenti migliori per incentivare l’occupazione giovanile?
In questi tempi di grave congiuntura economica lo strumento più efficace per incentivare l’assunzione dei giovani sarebbe una decisa riduzione del costo del lavoro dovuto al carico fiscale/previdenziale. In attesa di vedere provvedimenti legislativi in questo senso, l’apprendistato garantisce un costo del lavoro più basso anche se, dobbiamo ricordarlo, un apprendista alterna il lavoro alla formazione e, dunque, nel breve periodo rende di meno di un lavoratore già formato.

Qual è il vero problema del mercato del lavoro in Italia? Pensa sia ancora troppo rigido, specialmente per quanto riguarda i vincoli di ingresso?
A mio avviso il vero problema è la bassa produttività del lavoro nel confronto con i paesi nostri diretti concorrenti. Mentre si profondevano fin troppo tempo ed energie in operazioni di ingegneria contrattuale e del mercato, il lavoro si andava drammaticamente assottigliando e quello che ancora resta è sempre meno produttivo. Il risultato è che stiamo scivolando verso un lavoro che produce minor valore aggiunto, rendendo le nostre imprese meno competitive nei mercati più ricchi e deprimendo ulteriormente i salari e la domanda interna. E’ un circolo vizioso che deve essere interrotto, pena un declino irreversibile del nostro sistema industriale nel mercato globalizzato.

Situazioni straordinarie come quella attuale per le imprese, l’economia e il lavoro, necessitano di iniziative e progetti straordinari: secondo lei il Paese e il governo stanno dando segnali positivi in tal senso?
Finora il governo si è concentrato nel ridurre la spesa per riportare i parametri del bilancio pubblico entro limiti accettabili dai mercati finanziari. Tuttavia senza l’impulso della spesa pubblica nessuna economia è mai riuscita ad uscire stabilmente da una fase di recessione economica grave come quella che stiamo attraversando. Dunque si pone un problema di dover sostenere la spesa pubblica in questa congiuntura straordinariamente negativa. Personalmente credo che non si possa più affrontare una disoccupazione che tocca ormai oltre un terzo dei giovani come se si trattasse di un semplice effetto collaterale della crisi. Quando raggiunge questa magnitudine, la disoccupazione diventa essa stessa causa della recessione. Per combatterla occorrono misure straordinarie, mettendo in campo risorse finanziarie straordinarie. Come ho già detto, la riduzione del cuneo fiscale è la prima e ormai indifferibile misura da prendere se si vuole produrre uno shock positivo sul mercato del lavoro. Dall’inizio della crisi sono state investite enormi risorse finanziarie per conservare i posti di lavoro già esistenti, ma pochissimo è stato speso per aiutare un’intera generazione di giovani che rischia di restare tagliata fuori anche dalla ripresa economica, quando finalmente ci sarà. Se si vuole scongiurare questo rischio occorre agire adesso.

Alessia CASIRAGHI

Non è un Paese per apprendisti

di Davide PASSONI

Uno strano destino quello dell’apprendistato in Italia. Mentre il ministro Fornero sigla un memorandum con la Germania per favorirne l’applicazione e annuncia il varo di una sezione all’interno del sito www.lavoro.gov.it e di un indirizzo mail (apprendistato@lavoro.gov.it) dove inviare osservazioni, suggerimenti, segnalazioni, le aziende continuano a nutrire diffidenza nei confronti di quella che dovrebbe essere la principale forma di ingresso nel mercato del lavoro.

Lo dicono i dati di fatto, ma lo dicono anche studi e analisi ad hoc. Una delle ultime a scattare una fotografia impietosa dell’impasse in cui si trova l’apprendistato viene dall’Ufficio Studi di Bachelor, network internazionale per la ricerca e selezione di neolaureati, ed è stata effettuata sugli annunci di lavoro destinati ai giovani laureati, relativamente al III trimestre 2012: solo il 4,6% di questi annunci offre, come forma contrattuale, un apprendistato. Raffrontando le percentuali anno su anno, si vede che, rispetto al terzo trimestre 2011 – in concomitanza con la definizione del testo unico sull’apprendistato – l’aumento è stato assai poco significativo (era al 3,7%).

Secondo i dati elaborati da Bachelor, il 66% degli annunci è rivolta a neolaureati (da 0 a 12 mesi dalla laurea), per i quali vengono proposti soprattutto stage: nel il 75,9% dei casi contro il 75,6% del III trimestre 2011. Un abisso, rispetto alle proposte di apprendistato, di cui abbiamo parlato sopra. Se invece ci spostiamo sulla fascia di coloro che stanno tra i 12 e i 24 mesi dalla data di laurea, le cifre dell’apprendistato peggiorano ulteriormente: 3,9% contro un miserrimo 0,8 del III trimestre dello scorso anno. Per la fascia 24-48 mesi, il nulla: 0,2%.

Un trend comprensibile, che si contrae mano a mano che il candidato invecchia (pur senza un’esperienza specifica, questo è il paradosso…) ma che non nasconde le difficoltà che questo tipo di inserimento affronta per diventare a tutti gli effetti uno strumento per accelerare l’ingresso dei più giovani al mercato del lavoro.

Stupisce, in questo contesto, che una delle associazioni in prima fila nella promozione dell’occupazione e dell’ingresso al mercato del lavoro come Assolavoro (l’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro), risponda a Infoiva che “al momento non ritiene di suo interesse approfondire l’argomento“. Scusate, se non ora quando? Mah… Buon lavoro alle agenzie per il lavoro.

Comunque, tornando alla ricerca di Bachelor, è vero che questa prende in esame solo i soggetti laureati, ma l’avvio asfittico dell’apprendistato interessa anche diplomati e non, perché il problema è strutturale non contingente. Quali garanzie può offrire alle aziende, in un momento complesso come l’attuale, una forma di inserimento valida sulla carta ma che sconta una complessità della disciplina e della gestione operativa degli apprendisti, oltre a enormi incertezze regolative?

Apprendistato tra luci (poche) e ombre (molte)

di Davide PASSONI

Il lavoro, questo sconosciuto. In un’Italia che fatica più degli altri Paesi avanzati a trovare un filo logico cui attaccarsi per uscire dalla crisi bastarda che attanaglia lei e l’economia globale, quello del lavoro è un tema più che caldo: rovente. Un tema sul quale quelli del Governo si stanno rompendo la testa da un anno a questa parte, da quando sono subentrati all’Esecutivo Berlusconi. E sul quale hanno partorito una riforma, la cosiddetta Riforma Fornero, con più ombre che luci.

Prima c’era stato il testo unico sull’apprendistato, entrato definitivamente a regime 6 mesi fa, con il quale si era pensato di dare maggiore forza e competitività a questa tipologia di contratto di inserimento, per dare più opportunità di ingresso sul mercato del lavoro ai giovani. Ora, a oltre un anno dal varo del Testo Unico, si cominciano a trarre i primi bilanci che, pare, non sono del tutto positivi.

Da più parti si sottolineano le troppe rigidità in uscita (tra le quali i costi per recedere dal contratto e l’impossibilità di far passare di livello l’apprendista), alcune regole che penalizzano la diffusione dell’apprendistato, la durata massima della formazione (3 anni fissati dalla legge, che diventano 5 nel settore dell’artigianato e per determinate qualifiche professionali), le lacune attuative per il cosiddetto “apprendistato qualificante”, destinato ai ragazzi tra i 15 e i 25 anni. Non stupisce dunque se, secondo un’indagine effettuata dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro, solo un’azienda su cinque pensa più facile avviare l’apprendistato di mestiere o professionalizzante per assumere giovani tra i 18 e i 29 anni.

La cosa paradossale, però, è che molte delle associazioni professionali o d’impresa attribuiscono all’apprendistato un valore e un’importanza molto alti; quello di cui si lamentano sono la burocrazia, la farraginosità delle procedure per accedervi, l’incertezza sul ruolo delle regioni e i loro ritardi. Insomma, tutte carinerie che ricadono nell’ambito del legislatore più che in quello delle imprese. Per cui ci risiamo: per quale motivo, chiediamo, quando lo Stato cerca di avere buone idee, all’atto della loro messa in pratica rovina tutto? Cercheremo di scoprirlo ascoltando la voce degli interessati, lungo tutta la settimana.