“Il Festival? Fa bene ai ristoranti”

di Davide PASSONI

Dopo la “cantata” di ieri di Caterina Caselli, il nostro viaggio a Sanremo oltre il Festival e dentro all’economia locale torna in città. Oggi risponde alle domande di Infoiva il presidente di Federalberghi Sanremo, Giovanni Ostanel.

Il Festival è ancora un toccasana per il commercio in città?
Come dico da tanti anni, il Festival è un business per le attività di ristorazione e per i bar, specialmente per quelli della zona vicina al mare, che è un po’ il centro della movida di Sanremo. I negozi come quelli di abbigliamento o di altro genere in questi giorni hanno altri pensieri. La gente viene per le canzoni per passeggiare in centro, per sperare di incontrare gli artisti, chiedere un autografo, non per lo shopping. Diciamo che alcuni operatori mettono un po’ di fieno in cascina per l’estate, soprattutto sfruttando la vetrina pubblicitaria del Festival per la stagione che verrà; è sempre stato così, sia in periodo di vacche grasse sia di vacche magre.

Durante la settimana festivaliera che cifre muove nel settore del commercio sanremese, in valori e percentuali, la macchina della kermesse?
In termini di numeri e fatturato non è un dato che abbiamo. Si sa che la Rai investe una decina di milioni di euro, ma non ci sono dati sul ritorno in termini economici di questo investimento per l’economia locale.

Pensavo che come Confcommercio monitoraste l’andamento delle vendite durante il periodo del Festival…
Non c’è una richiesta in tal senso da parte del Comune o di altri enti.

Festival a parte, come sono gli umori dei commercianti sanremesi che guardano alla prossima stagione turistica?
Le visioni non sono ottimiste. La recessione c’è, vedremo con le prossime elezioni se e che cosa cambierà. Il 2012 è stato catastrofico per noi, il più catastrofico da parecchi anni: lo dicono i dati, che si riflettono sull’umore dei commercianti sanremesi e sull’intera economia della città, dai negozi alle agenzie di viaggi, agli affitti, al mercato immobiliare. Fino a che non si taglieranno le tasse, saremo fermi.

Festival, rally, ciclismo, casinò, Giraglia… Quanta parte della vostra “ricchezza” viene dagli eventi e quanta dal lavoro “di tutti i giorni”?
Sono tutte manifestazioni che funzionano come spot pubblicitari da far girare per l’Europa, ma ci vogliono soldi per promuoverle. Così come accade per i fiori di Sanremo che abbelliscono la consegna dei premi Nobel o il concerto di Capodanno di Vienna: alcuni sono investimenti minimi con un alto ritorno nel tempo, altri eventi hanno un ritorno più immediato. L’Amministrazione comunale non farà mai a meno di questi eventi, Sanremo non può prescinderne.

E neanche voi…
Alla fine dell’anno il bilancio del commercio di Sanremo non ha il segno meno, ma bisogna tenere botta sempre di più sperando nella ripresa.

Qualche suo collega le ha mai raccontato di vip e cantanti un po’… braccini, magari al ristorante…
Braccini no, ma per il fatto che sono invitati dalla Rai difficilmente pagano loro quando mangiano al ristorante. Quello che invece non capisco sono gli ospiti del Festival, cantanti o star, che dormono a Montecarlo o in Costa Azzurra. Io questo non lo permetterei: ti pago un sacco di soldi per essere all’Ariston, almeno pernotta in città, calati un po’ di più nella vita di Sanremo.

Ne guadagnereste voi per primi…
Penso che se gli artisti andassero nei locali di Sanremo a promuoversi, prima o dopo l’esibizione, o anche solo a bersi qualcosa, la gente verrebbe molto di più in città e tutti ne guadagneremmo. Così deve fare la Rai, non tenere i cantanti chiusi negli alberghi.

Caterina Caselli, quando Sanremo era Sanremo

 

Sai (ci basta un sogno) ha cantato ieri sera sul palco dell’Ariston la sua ultima scoperta, Raphael Gualazzi. E lei, Caterina Caselli, di sogni ne ha realizzati parecchi nella sua carriera, prima come cantante – il ‘casco d’oro‘ della musica – poi come imprenditrice con la Sugar, la casa discografica che ha scoperto talenti come Andrea Bocelli, Elisa e Malika Ayane, altra protagonista del Festival di Sanremo 2013.

Ma che cosa ha rappresentato e rappresenta oggi il Festival, la più grande kermesse canora italiana per una donna che lo conosce davvero da vicino, sia davanti che dietro il sipario? Era il 1966 quando la Caselli salì sul palco con Nessuno mi può giudicare (testo scartato proprio quell’anno da un certo Adriano Celentano, che gli preferì Il ragazzo della Via Gluck), e nemmeno dieci anni dopo la ritroviamo alla guida di un gigante della discografia italiana, la Sugar appunto.

Infoiva quest’oggi vi porta dritti nel cuore di Sanremo, per scoprire se Sanremo è ancora (davvero) Sanremo.

Signora Caselli, Sanremo è ancora una gallina dalle uova d’oro per la discografia italiana?
Direi proprio di no. Il festival ha smesso di avere un effetto importante per la discografia quando ha cominciato a essere uno spettacolo prevalentemente, se non esclusivamente, televisivo. Con qualche lodevole eccezione (Fazio, Bonolis e Carrà) saranno almeno tre lustri che in termini di supporto alle vendite per l’industria discografica italiana il festival è poco più di una meteora. Continua a essere un grande evento a cui non puoi mancare perché presidiato dai media come nessun altro, e, lavorando con grande tenacia, puoi anche riuscire a far conoscere un progetto originale, o magari un vero esordiente (penso a Raphael Gualazzi due anni fa), anche al di fuori dei talent televisivi. Quest’anno con il ritorno di Fazio c’è maggiore equilibrio fra le esigenze televisive e quelle della musica, quindi le aspettative non mancano.

Quanto muoveva un tempo e quanto muove oggi in termini di vendite (o di download…)?
Ai miei tempi, quando Sanremo era Sanremo, era il primo appuntamento dell’anno in una lunga serie di eventi dal vivo, radio e televisivi che promuovevano una musica italiana che si esprimeva nel formato 45 giri. Allora Sanremo determinava il mercato. Poi per molti anni ha
vivacchiato, troppo lontano dall’evoluzione del gusto giovanile e dal nuovo formato dominante che era diventato l’album, non più una-due canzoni ma dieci-dodici, il ritratto in musica di un artista, non a caso dominio dei cantautori e del pop-rock internazionale di qualità. Poi c’è stato il breve periodo degli anni novanta in cui le compilation con tutti gli artisti di Sanremo erano le regine della Hit Parade. In quel periodo si vendevano anche 550.000 copie che sono scese a 100.000 copie lo scorso anno. Oggi che le vendite digitali legali cominciano a prendere fiato qualche sorpresa positiva potrebbe arrivare. Ma il rapporto fra vendite online e vendite di prodotto fisico è ancora di uno a cinque. Ce n’è di strada da fare.

Come è cambiato il mercato discografico italiano dai suoi esordi come “Casco d’oro” a oggi? È cambiato in bene o in male?
Certamente non in meglio. Ogni tanto ne parliamo con mio figlio Filippo che guida con grande competenza il nostro gruppo, e sconsolatamente dobbiamo convenire che in Italia il mercato nel 2012 è sceso a centocinquanta milioni. Non che all’estero si nuoti nell’abbondanza, ma almeno le cose si muovono. Si cerca di risolvere i problemi strutturali che bloccano la crescita. Si è presa di petto la questione dei furti di copyright che avvengono sulla rete. Si comincia ad avere la sensazione che avendo ormai cambiato pelle la nostra industria può farcela. E che fra qualche anno potrebbe addirittura arrivare un “rinascimento”. In Italia tutto è fermo, opaco, tortuoso, bloccato nella difesa di confessabilissimi interessi.

Lei è alla guida di una major, ma tante sono le piccole etichette indipendenti: che cifre muovono nel mercato della discografia italiana?
Circa un quarto del mercato italiano è frutto del lavoro delle indipendenti. Una trentina di milioni, poca cosa, ma è il mercato italiano che è piccolo. Tuttavia bisogna guardare al ruolo che gli indipendenti hanno svolto e svolgono nello scoprire e lanciare i nuovi talenti, parlo
di personaggi al vertice del successo come Adele e il nostro Andrea Bocelli che poi vengono distribuiti dalle major. Riportata a livello del mercato mondiale la quota degli indipendenti varrebbe intorno ai 3,5 miliardi di dollari. Già meglio. Noi non siamo una major, siamo il più grande degli indipendenti italiani e uno dei maggiori in Europa, ma i nostri artisti sono distribuiti dalle major, Warner per l’Italia, Universal nel mondo, e da etichette specializzate prestigiose come Decca per Elisa, e la mitica BlueNote per Gualazzi.

Da cantante a imprenditrice: ci vuole più coraggio a salire su un palco o a mettere tempo, fantasia, voglia e capitali in un’ impresa?
Sono due età della vita troppo lontane e troppo diverse. Ai tempi del palco l’energia che avevo dentro era talmente tanta che avrei potuto salirci tutto il giorno tutti i giorni. E senza nessuna paura. Il rapporto col pubblico dà una carica come nient’altro, non pensi a niente, quando va bene sei in sintonia perfetta con qualcosa di più grande che produce adrenalina a getto continuo. Io cerco di mettere la stessa energia, la stessa carica, nel lavoro d’impresa. Lo faccio perché nonostante le delusioni c’è sempre un riscatto, l’emozione della scoperta, l’apprezzamento di un progetto, e talvolta (meno male!) anche il successo quello vero, senza confini, che ripaga di tutto. Ci vuole più coraggio, forse più incoscienza a credere nell’impresa. Ma d’altra parte, è il destino dell’editore. Essere aperti alla scoperta, crederci, rischiare il possibile. È il nostro destino.

Alessia CASIRAGHI

“Imprenditori, investite su Sanremo”

di Davide PASSONI

Seconda puntata del nostro viaggio a Sanremo: oltre il Festival, dentro all’economia locale. Oggi risponde alle domande di Infoiva Claudia Lolli, vicesindaco di Sanremo e assessore alla Promozione Turistica e Cultura della città.

Il Festival è ancora un toccasana per la città? Se sì, in che termini?
Lo è almeno su due fronti. Intanto per motivi di bilancio: la convenzione con la Rai che permette al Comune di incassare una cifra importante a fronte della concessione della gestione del brand. E poi la visibilità: non ha paragoni e non ha prezzo.

Durante la settimana festivaliera che cifre muove nell’economia della città, in valori e percentuali, la macchina della kermesse?
Per quanto riguarda il discorso della ricettività alberghiera, concordo con il presidente di Federalberghi Sanremo, l’ingegner Varnero: siamo intorno alle 15-18mila presenze. Tenga conto del fatto che si tratta di un periodo in cui gli hotel sono a tariffa piena, per cui il giro d’affari è importante. Nelle settimane precedenti il Festival, c’è già un buon movimento di addetti ai lavori, che soggiornano però a tariffe convenzionate. Per il commercio, invece, cambia poco: chi viene qui per lavorare al Festival ha meno interesse a fare shopping o acquisti spiccioli.

Che umori percepisce dalle varie associazioni di categoria del territorio nel periodo del Festival?
Gli umori sono i più diversi. Sicuramente le liberalizzazioni sono sentite come un grosso problema, che ha portato con sé tanti altri nodi irrisolti. C’è anche preoccupazione per un crescente abusivismo commerciale. Come giunta siamo impegnati a sviluppare accordi con le varie associazioni di categoria. Molto importante quello siglato con Confcommercio nel 2012 per realizzare manifestazioni commerciali da farsi su istanze che provengono dall’associazione; capirà che, essendo i commercianti sul campo e avendo il polso di quello che turisti e cittadini cercano, questo tipo di manifestazione ha grande importanza.

Quanto avete investito?
Si è trattato di uno sforzo notevole per il Comune, dato che lo scorso anno abbiamo stanziato 70mila euro per queste iniziative. Per un Comune come il nostro e con i vincoli del patto stabilità, non è cosa da poco. Ci tengo a ricordare, poi, che tavoli con associazione turistiche e commerciali sono sempre aperti.

Festival, rally, ciclismo, casinò, Giraglia… Quanta parte dell’indotto che generano rimane sul territorio?
Il 10 marzo avremo i carri fioriti, il 17 la Milano-Sanremo, poi la Dragon Cup di vela, più avanti la Giraglia: in termini di marketing possiamo dire che il “brand Sanremo è fortissimo”. Quanto rimane sul territorio? Eventi come la Milano-Sanremo lasciano poco in termini economici immediati, a fronte di un investimento sostanzioso, ma come visibilità internazionale per il Comune non c’è niente di meglio, mi creda. Penso che gli eventi di Sanremo costituiscano un giusto mix tra investimento e ritorno, tanto immediato quanto a lungo termine.

Che iniziative mette in campo il Comune a sostegno della piccola imprenditoria locale?
Lavoriamo in sinergia assoluta con tutte le realtà produttive del territorio. Il sindaco viene dal mondo imprenditoriale, così come buona parte della giunta: la sensibilità verso quel mondo c’è ed è forte, mi creda.

Turismo e florovivaismo sono le punte di diamante della vostra economia locale? Avesse solo 1000 euro da destinare e dovesse scegliere uno solo di questi settori, a chi li darebbe?
Direi a manifestazioni turistiche che promuovano l’eccellenza florovivaistica, come quella dei carri fioriti.

Risposta un po’ democristiana…
In questo periodo un po’ tutti dobbiamo esserlo (ride, ndr.)

Ci spieghi perché “Sanremo è Sanremo” anche dal punto di vista dell’economia locale…
Perché è un brand internazionale fortissimo. Anzi, invito tutti gli imprenditori che volessero investire su Sanremo a farlo, perché potremmo dare loro delle grandi soddisfazioni.

“Turismo da Festival? Marginale”

di Davide PASSONI

Prima puntata del viaggio di Infoiva a Sanremo: oltre il Festival, dentro all’economia locale. Oggi intervistiamo il presidente di Federalberghi Sanremo, l’ingegner Igor Varnero.

Il Festival è ancora un toccasana per il turismo in città?
Sicuramente consideriamo il Festival uno dei principali esempi di destagionalizzazione turistica. Al di là della crisi, da un punto di vista di immagine e di ricaduta immediata sulla città, non ha paragoni.

Durante la settimana festivaliera che cifre muove sul mercato dell’ospitalità alberghiera, in valori e percentuali, la macchina della kermesse?
Abbiamo stimato che il Festival può valere intorno alle 15mila presenze in 10 giorni, negli anni buoni anche 20mila. Sanremo, come capacità ricettiva conta su circa 1500 camere, in generale con tariffe molto buone.

Contate molto su un “effetto vetrina” del Festival?
Solo la Nazionale riesce a battere gli ascolti del Festival. Che è anche molto “esportato” all’estero: magari non come negli Anni ’80, ma gli stranieri lo seguono molto, soprattutto in Russia Sanremo È il Festival.

La Russia è per il vostro turismo un mercato di riferimento?
I russi sono i clienti estivi più numerosi, credo che in Russia Sanremo sia la quinta città italiana come percepito popolare, dopo le quattro maggiori città d’arte. In questo senso la ricaduta sulla nostra economia è rilevante ma difficile da calcolare.

Perché?
Il Festival assomiglia più a una fiera di settore che a un festival musicale. Il “turismo da Festival” è marginale, quello che fa lievitare le presenze è tutto il seguito di addetti ai lavori: manager, artisti, discografici, giornalisti…

Siete già al tutto esaurito?
No, contiamo ancora delle disponibilità; credo che al tutto esaurito si arriverà nel weekend finale. Veniamo da 5 anni di crisi molto dura e anche il Festival ne risente; una crisi i cui effetti sul mercato musicale sono stati acuiti dai fenomeni della musica online e della pirateria. Una volta c’era tutto un mondo di cui, non lo nascondo, abbiamo potuto godere e che oggi non c’è più: negli Anni ’80 quando si muoveva un cantante si muoveva con lui una cinquantina di persone, ora le cose sono diverse.

Festival a parte, come sono gli umori degli albergatori sanremesi che guardano alla prossima stagione estiva?
La situazione è complicata. A causa della crisi abbiamo pagato sul mercato italiano la stagionalità, ma tutto sommato le ultime stagioni estive sono andate bene. C’è stato un recupero della clientela straniera in generale e, come detto, di quella russa in particolare; tornano gli scandinavi e Sanremo stessa ha cambiato immagine e sostanza negli ultimi anni, modificando la percezione turistica della città: ora la riqualificazione del percorso della vecchia ferrovia e della passeggiata lungomare ne hanno cambiato il volto, l’hanno resa ancora più bella.

Che misure utilizzate per evitare che, in questa settimana, qualche albergatore faccia il furbo con i prezzi, come qualcuno accusa?
Il mercato è libero e non sono le associazioni di albergatori a fare pressioni per regolarlo in tal senso. I prezzi seguono la domanda: quando c’è, il prezzo sale. È una polemica che si può fare ovunque, da Milano a New York. Detto questo, i prezzi medi degli hotel a Sanremo durante il Festival non mi sembrano fuori mercato.

Pensa che le strutture ricettive della città siano all’altezza, in termini di quantità e qualità, di quanto il turista si aspetta da Sanremo?
Scontiamo un problema strutturale del turismo italiano, e ligure in particolare. Deve pensare che l’investimento in strutture alberghiere è molto pesante: solo per rifare una camera si possono spendere 20-25mila euro. Si parla quindi di milioni di euro per riqualificare le strutture. Siamo in crisi marcata dal 2002: l’11 settembre ci ha tolto il turismo americano e l’ingresso nell’euro ha ridotto pesantemente i margini per chi opera nel settore, rispetto a località del mondo nelle quali il lavoro, l’energia, i servizi costa la metà rispetto all’Italia. Capisce che la capacità di investimento delle aziende è rimasta segnata.

E la Liguria?
La Regione Liguria è molto debole negli investimenti sul turismo, perché è piccola e i finanziamenti agli hotel arrivano col contagocce. La Liguria investe 2 milioni e mezzo di euro all’anno in promozione, quando regioni come il Trentino o il Piemonte ne mettono sul piatto fino a 40. Di conseguenza le nostre aziende soffrono.

A scapito della qualità degli standard ricettivi?
La qualità media degli alberghi 3-4 stelle a gestione familiare di Sanremo è in linea con gli standard di mercato, altri invece hanno investito meno e si vede.

E la logistica?
La Liguria è tagliata fuori dagli investimenti ferroviari e i turisti, di conseguenza, si muovono su strada; peccato che abbiamo un’autostrada che risale agli Anni ’70 con tutti i suoi limiti e che, complici l’aumento delle tariffe e il caro benzina, andare in vacanza in auto stia diventando un lusso…

Vi sentite la “periferia dell’impero”?
Da Sanremo a Roma in treno ci vogliono 7 ore, 4 per andare a Milano, mentre da Ventimiglia a Parigi che ne vogliono 6. Abbiamo a mezz’ora di auto un aeroporto internazionale, Nizza, tra i più importanti della Francia e noi stiamo cercando di sfruttarlo creando un collegamento low cost con la Riviera. Noi, mentre qualcun altro avrebbe dovuto essere attento e pensarci… La politica non dà risposte all’economia: il turismo non si fa in un posto che non si può raggiungere o che si raggiunge con costi e tempi troppo elevati.

E quindi tocca agli imprenditori metterci una pezza…
La forza dell’Italia, anche nel campo alberghiero, sono le piccole imprese, che investono non solo per fare soldi ma anche per passione: secondo me questa visione è un trampolino di lancio, non un ostacolo. Ecco perché a Sanremo, così come e in tante altre parti d’Italia non ci sono multinazionali dell’hotellerie.

Il Festival di Sanremo visto con gli occhi dell’economia

di Davide PASSONI

Perché Sanremo è Sanremo, anche per l’economia. Passateci l’attacco poco originale, ma nella settimana in cui l’Italia lascia da parte le schermaglie della campagna elettorale e si mette davanti alla tv a godersi il Festival, noi di Infoiva non potevamo non cercare di capire che cosa significa la kermesse canora per la città ligure in termini economici.

Dietro al sipario del Teatro Ariston, infatti, ci sono tutto un mondo e un indotto che ruotano intorno al Festival e che hanno ricadute sul tessuto produttivo ed economico di Sanremo; in alcuni casi si tratta di un ritorno immediato, ma per lo più la kermesse canora ha effetti a medio termine sulla vita imprenditoriale della città. I settori che più rapidamente risentono dei benefici portati in Riviera dal carrozzone del Festival sono quello alberghiero e della ristorazione; per gli altri, che esista o no il Festival della Canzone Italiana, nell’immediato cambia assai poco.

Ma il Festival è anche un’occasione di business per il mercato discografico italiano. Se a farla da padrone sono sempre di più le major internazionali e se internet ha cambiato radicalmente il modo di creare, fruire e vendere musica, resta comunque il fatto che etichette indipendenti, studi di registrazione, agenti rappresentano tante sfaccettature del lato business della musica, quello che spesso passa in secondo piano rispetto al lato artistico.

Siccome però a noi di Infoiva dell’arte interessa poco ma preferiamo concentrarci sul business, ecco che questa settimana faremo quattro passi (metaforicamente…) in Riviera a sondare gli umori di imprenditori, commercianti, ristoratori. Per scoprire se Sanremo è veramente Sanremo anche per chi lavora e produce sul territorio.