Il 2012 è stato… Speciale. Il 2013 lo sarà ancora di più (speriamo…)

di Davide PASSONI

Carissimi lettori di Infoiva, anche questo 2012 è arrivato alla fine. Lo so, ci avete seguito assiduamente durante tutto l’anno e in molti di voi lo hanno fatto fin da quando siamo nati, quasi tre anni fa. Ragion per cui, forse per molti di voi quello che abbiamo pensato per chiudere l’anno e aprire il 2013 con nuovo slancio è qualcosa di già visto… Ma noi parliamo a tutti, anche a chi in questo 2012 si è perso qualcosa delle nostre news. Ecco dunque qui sotto tutti i nostri speciali da luglio in poi. Buona lettura e buon anno.

LUGLIO 

Saldi estivi

Sicilia a rischio default

Le imprese turistiche si preparano all’estate

 

SETTEMBRE

Imprese turistiche, come’è andata l’estate

Filiera italiana dell’auto

Filiera italiana del tessile

Srl semplificata

 

OTTOBRE

Imprenditori suicidi

Filiera italiana della ceramica

Smau 2012

Buoni pasto

 

NOVEMBRE

Imprese funebri

Mediazione obbligatoria

Apprendistato

Franchising

 

DICEMBRE

Natale, previsioni sui consumi

Professioni non regolamentate

Filiera italiana dell’edilizia

Veicoli commerciali, retromarcia inserita

 

Che il mercato dei veicoli privati fosse in netta contrazione, dopo il calo vertiginoso delle immatricolazioni in Italia denunciato la scorsa settimana, appare ormai purtroppo come una dato consolidato. Gli italiani hanno meno da spendere, le tasse hanno risucchiato portafogli e desideri sopiti di una nuova quattro ruote. Ma, è il dato stavolta appare ancor più preoccupante, a risentire della contrazione del mercato non sono solo i privati cittadini.

Unrae, l’Associazione delle case automobilistiche estere in Italia, rivela infatti che il mercato italiano dei veicoli commerciali in Italia ha chiuso il mese di agosto 2012 un calo del 23,6%. Un dato preoccupante che ci riporta indietro di quasi 20 anni:  bisogna ritornare infatti al 1994 per riscontrare un dato più negativo. Il 2012 non era certo partito nel migliore dei modi: i dati infatti stimavano una diminuzione delle vendite di auto a scopi commerciali con punte del -30%.

Una riflessione più profonda ci spinge a considerare che il calo di immatricolazioni di veicoli destinati ad attività commerciali (autocarri con peso totale a terra fino a 3,5t), denunciano una verità forse più preoccupante: le piccole e medie imprese, artigiani e piccoli industriali si trovano a fare i conti con una crisi che appare più dura di quanto finora stimato. A pesare sulle aziende di piccole e medie dimensioni l’assenza di liquidità, la difficoltà di accesso al credito e anche ad ottenere finanziamenti in leasing. Non solo: il dato sul calo dell’acquisto di mezzi da lavoro e da trasporto traduce il segno meno anche sul settore del trasporto merci. E questo non segna di certo un punto a favore per il commercio.

I numeri non sono consolanti: nei primi 8 mesi del 2012 i veicoli da lavoro immatricolati sono stati 78.448, vale a dire con una contrazione del 35,1% rispetto alle 120.785 vetture vendute nel 2011.

L’inversione di marcia appare l’unica via d’uscita.

Alessia CASIRAGHI

 

Crisi dell’auto: meglio le vetture estere o il made in Italy?

 di Alessia CASIRAGHI

Quanto sono esterofili gli italiani quando si parla di motori? Il quesito diventa ancora più pregnante in un momento di fortissima contrazione del mercato dell’auto in Italia, come quello che stiamo vivendo. In breve, in tempi di crisi, gli italiani puntano su vetture made in Italy o preferiscono le auto straniere? Per rispondere a questa domanda Infoiva oggi ha interpellato Romano Valente, Direttore Generale di Unrae, l’Unione Nazionale dei Rappresentanti Veicoli Esteri. 

Il mercato delle auto straniere in Italia soffre maggiormente rispetto al comparto nazionale? 
Direi di no, la crisi dell’auto è assolutamente trasversale e gli italiani mantengono una preferenza sostanzialmente stabile su circa il 70% del mercato occupato oggi dalle vetture straniere, la maggior parte delle quali sono di costruzione europea e utilizzano componentistica italiana. Un giro d’affari da 8,5 miliardi di euro.

Il calo del fatturato della vendita di auto straniere in Italia rappresenta una minaccia per la filiera e l’indotto in Italia?
Ripetuto che il calo del fatturato è generalizzato e non riguarda solo le case automobilistiche estere, è accertato che il calo del fatturato e soprattutto dei ricavi sia tale da mettere a rischio l’intera filiera, in particolare le reti di vendita. Il rischio chiusura riguarda ad oggi il 10% degli imprenditori con un problema occupazionale su circa 10.000 addetti diretti. Sulla filiera intera la stima del rischio diventa 20 volte più grande.

Il settore dei veicoli commerciali riesce a resistere maggiormente alla crisi?
I veicoli commerciali sono i primi a risentire della crisi, oggi stimiamo un calo del 30% delle vendite sull’intero 2012 con numeri che ci riportano indietro al 1994. Il dato puntuale ad agosto presenta un calo del 35% sull’immatricolato degli 8 mesi rispetto all’anno precedente.

Come vedono le case automobilistiche estere la situazione del mercato dell’auto in Italia?
L’auto in Italia soccombe stretta nella morsa delle due manovre economiche che sono state introdotte nell’ultimo anno, con un peso sul comparto auto pari a 8,7 miliardi di euro. Il conseguente aumento delle tasse, delle accise sulla benzina (7 aumenti in un anno, oggi siamo sopra i 2 euro/litro), delle assicurazioni, dei pedaggi autostradali sono diventati un macigno che ha di fatto bloccato la domanda di auto nuove. Più in generale la pressione fiscale sulle famiglie e la loro ridotta capacità di spesa ha un impatto devastante su tutti i beni durevoli. Senza un intervento strutturale del governo che alleggerisca la pressione fiscale sulle famiglie e ne aumenti la capacità di spesa, sarà ben difficile parlare di crescita e di ritorno a condizioni di mercato normali, anche, e soprattutto per l’auto.

Secondo la sua esperienza e conoscenza di mercati esteri, quali misure dovrebbe intraprendere il Governo italiano per favorire il mercato dell’auto in un momento di forte contrazione come quello che stiamo vivendo?
Ogni mercato ha condizioni politiche, sociali, culturali diverse, difficili da confrontare direttamente, il caso italiano è pertanto specifico ed UNRAE ha più volte richiesto un riallineamento delle politiche sull’auto a quanto stabilito dalle norme europee (p.es. il CARS 21) per andare verso una normativa orientata alla neutralità tecnologica (cioè indipendente dal tipo di alimentazione della vettura) e premiante in funzione dei livelli di emissione più bassi.

Quali sono le vostre previsioni sul futuro?
Pur volendo mantenere un approccio positivo, senza interventi strutturali di alleggerimento del peso fiscale sulle famiglie e di rilancio dei consumi, a breve sarà difficile vedere un’inversione di tendenza. Tuttavia, non potrà essere così per sempre e quindi ci auspichiamo tutti che nel medio periodo si ricreino le condizioni per un mercato più robusto.

Federcarrozzieri, la realtà indipendente italiana

 di Alessia CASIRAGHI

Crisi del comparto dell’auto, italiani poco disposti a spendere (tenendosi anche i graffi sull’auto) e egemonia incontrastata delle Compagnie Assicurative. La vita non è facile per le carrozzerie indipendenti in Italia, che a marzo 2012 hanno deciso di unirsi in un’associazione, la neonata Federcarrozzieri, che riunisce le carrozzerie non fiduciarie in Italia. Infoiva ha intervistato il suo Presidente, Davide Galli.

In che misura il vostro settore ha risentito della crisi del mercato dell’auto?
Il primo sentore di crisi lo abbiamo ravvisato qualche anno fa, quando è stata introdotta la patente a punti e il nuovo codice della strada: una misura che ha sicuramente sensibilizzato i cittadini a guidare con maggior attenzione e responsabilità, e che dall’altra parte ha segnato un calo drastico dei sinistri. Sottolineando l’importanza di un tale provvedimento, è evidente che per noi che ripariamo vetture incidentate, questo ha rappresentato un primo balzello verso il declino del mercato delle riparazioni. Con l’arrivo della crisi vera e propria, quella economica, sono cominciate invece a mancare anche le riparazioni a pagamento, ovvero quelle non direttamente connesse a un sinistro.  Oggi il cliente privato, quando deve decidere se riparare una piccola botta, o un graffio o effettuare una qualsiasi manutenzione straordinaria sulla vettura, magari ci pensa 4 o 5 volte.

Gli italiani quindi rinunciano all’estetica della loro autovettura in tempo di crisi?
Rinunciano all’estetica ma anche alla funzionalità: il privato infatti non è in grado di stabilire se il tipo d’urto o il danno presente sulla sua vettura sia un danno estetico o funzionale. Per scoprirlo è necessario  effettuare delle misurazioni, perchè un urto contro un marciapiede, per esempio, che va a compromettere sia carrozzeria che meccanica, solo in caso di frenata particolarmente brusca ci si rende conto che la vettura non è più allineata come prima. Un altro punto va evidenziato: i circuiti di revisione dell’auto obbligatori per legge non prevedono ad oggi una verifica della carrozzeria o del telaio della macchina, che quindi circola non riparata e spesso, purtroppo, risultando pericolose sia per il conducente che per la collettività stessa.
Da ultimo non vanno dimenticate tutte quelle vetture incidentante che hanno ricevuto un indennizzo dall’assicurazione, ma che l’assicurato decide di non riparare. Qualche hanno fa era stata introdotta una legge che obbligava la vittima di sinistro a fornire alla propria compagnia assicurativa un documento fiscale che certificasse l’avvenuta riparazione, per poter ricevere l’indennizzo. Oggi questa legge non c’è più, con la conseguenza, come molto spesso accade, che la vettura non venga riparata o il lavoro di riparazione venga effettuato presso carrozzerie non esistenti (il sommerso) a prezzi bassissimi. I dati oggi parlano di un riparato di ragione che si aggira attorno al 30%, mentre il 70% risulta non riparato.

Gli italiani rinunciano ad acquistare nuove vetture e aggiustano le vecchie. Questo ha favorito il settore dell’autoriparazione?
Si, anche se ad oggi si è intravisto solo un piccolo spiraglio. Nell’ultimo semestre, diciamo da febbraio 2012, si è registrato un lieve segno più sulla riparazione di vetture che normalmente non transitavano più in carrozzeria. Faccio un esempio: fino a qualche anno fa, ma anche l’anno scorso, in caso di  classico tamponamento con una Punto, dal valore tra i 2000 e i 3000 euro, l’autovettura veniva di preferenza demolita o venduta, in ogni caso non riparata, oggi la stessa auto viene sottoposta a riparazione. Questo per noi rappresenta chiaramente un un vantaggio, ma attualmente si tratta di un indotto che presenta cifre talmente basse, e in ogni caso non in grado di bilanciare l’ammanco dovuto alla crisi e economica.

Il settore dei veicoli commerciali presenta sostanziali differenze rispetto al circuito privato?
Per quanto riguarda le aziende il discorso è diverso:  nel caso di auto che hanno subito danni anche di leggera entità – parliamo di danni risolvibili con un investimento di 3 – 4 000 euro – le aziende, proprietarie del veicolo, preferiscono sostituire la vettura. La sostituzione è in ogni caso ancora privilegiata in caso di veicoli commerciali perchè l’acquisto di una nuova vettura presenta per l’azienda dei vantaggi a livello fiscale, essendo detraibile dalle tasse.

Avete riscontrato problemi con i rientri dei pagamenti assicurativi? 
Il discorso è ampio e difficilmente generalizzabile. Ci sono zone d’Italia che hanno ancora molte difficoltà ad incassare dalle compagnie assicurative le liquidazioni dei sinistri riparati: i motivi vanno ricercati non necessariamente negli uffici sinistri, ma si parla di pratiche ferme talvolta negli uffici locali. In altre zone d’Italia al contrario i pagamenti arrivano sistematici e puntuali. Il dato generale ad oggi che riguarda un po’ tutto lo stivale è l’assenza dei ritardi storici di una volta da parte delle compagnie assicurative. Il problema è semmai ancora nel passato: molte carrozzerie presentano ancora un conto salato da incassare dalle assicurazioni risalente al passato recente, parlo di 2-3 anni fa. Oggi la legge prevede l’incasso a 30 giorni in caso di doppia firma, e 60 giorni in caso di monofirma con assenza del Cid.

Quali sono i problemi che riscontrate attualmente con le compagnie assicurative?
Da un lato va sottolineato il predominio di 3 o 4 compagnie assicurative a livello nazionale, che determinano in alcuni casi leggi in grado di penalizzare l’indipendenza della categoria degli autocarrozzieri. Mi spiego meglio: a febbraio 2012 è stato inserito nel decreto legge un articolo, poi fortunatamente cancellato, l’art. 29, che obbligava, in caso di incidente, l’assicurato a recarsi presso una carrozzeria convenzionata. In caso contrario, l’assicurato veniva penalizzato del 30% sulla liquidazione. Questo ci è apparso da subito anticostituzionale, perchè anche nel caso di carrozzerie convenzionate, generalmente la convenzione è prevista con 1 o 2 compagnie assicurative. Una legge che penalizzava assicurato e carrozziere, e che favoriva unicamente, come appare evidente, la Compagnia Assicurativa, che si ritrovava a incassare il 30% della liquidazione sempre e comunque. Abbiamo lottato come Federcarrozzieri e la legge, fortunatamente non è passata. I metodi, tuttavia,che le compagnie assicurative adottano per cercare di manipolare il sinistro e poterlo risarcire il meno possibile però esistono: dalla scatola nera in cui viene inserito un modulo Cps in grado di registrare i dati del sinistro e di comunicare in tempo reale con la centrale operativa, facendo si che l’auto ritirata dal carro attrezzi venga condotta verso una carrozzeria convenzionata, ad altri piccoli metodi adoperati dalle compagnie affinchè il sinistro rimanga proprio e non venga riparato da terzi, con tariffe magari differenti.

Che cosa chiedereste al Governo per sostenere un settore vitale dell’economia nazionale come il vostro?
Da un lato chiediamo maggiore controllo. Si tratta di un problema di base che affligge la categoria e che purtroppo il Governo non potrà risolvere nell’immediato: i controlli in Italia sono ancora latitanti. Oggi esistono 14/15 000 carrozzerie da Nord a Sud, delle quali una buonissima parte appartiene al sommerso. E’ impensabile che chi investe, chi assume personale in regola, chi rispetta le normative sia giuridiche che fiscali venga fortemente penalizzato dall’esistenza di un sommerso, che, in un momento di crisi economica e di scarso potere d’acquisto del singolo cittadino, riesce a vincere essendo maggiormente competitivo. Chi può abbassare il prezzo oggi? Chi ha meno costi perchè non rispetta la legge.
Sempre in tema di controllo, vorremmo rivolgere l’attenzione del Governo su un altro punto:  in Italia l’Antitrust e gli organi di Vigilanza sulle assicurazioni non sono mai esistiti. Quello che chiediamo è che ci sia almeno il rispetto delle regole della libera concorrenza, che non vengano perpetrati condizionamenti da parte delle assicurazioni nel riparare l’auto presso centri convenzionati, che all’automobilista sia lasciata libera scelta. Proprio in questo giorni si sta discutendo la possibilità di mettere mano all’indennizzo diretto, nato nel 2007, voluto e a solo vantaggio delle Assicurazioni: quello che noi come Federcarrozzieri ci auspichiamo è che venga operata un correzione dell’indennizzo in senso più liberale.

La scelta di riunirvi in un’associazione, la Federcarrozzieri, sul modello di quanto fatto in Germania, quali benefici ha avuto e avrà sul vostro settore?
Se guardiamo il passato, un’associazione  di carrozzieri che potesse difendere l’indipendenza non esisteva. Esistevano ed esistono ancora oggi le Confederazioni, che però vedono affiancati al loro interno, tra gli associati, sia carrozzerie indipendenti che carrozzerie fiduciarie. Questo crea un evidente conflitto di interessi. A marzo 2012 è nata la Federcarrozzieri, per poter difendere chi prima non si sentiva difeso e rappresentato. Non solo, il fatto di aver creato un organismo più snello e così specializzato ha eliminato i tempi morti: tutto quello che è idea, che è sviluppo viene tradotto immediatamente in azione e solo nel giro di pochi mesi sono stati portati avanti quattro grandi progetti. L’ultimo riguarda una campagna di marketing di massa attraverso l’utilizzo di coupon che permettono di ottenere sconti presso le carrozzerie aderenti, mentre a giugno scorso abbiamo sottoposto una denuncia all’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) riguardante due compagnie assicurative (Zurich e Vittoria), che avevano inserito nella loro polizza una clausola che obbligava l’assicurato a non cedere il credito al carrozziere, nel caso in cui non si fosse recato presso una carrozzeria convenzionata. La nostra denuncia insieme ad altre sigle impegnate nella tutela dei consumatori, ci ha permesso di fare qualcosa di concreto, per noi e per gli assicurati, quasi sempre ignari di questi metodi poco liberali.

Federauto al governo: via i “disincentivi” al settore

di Davide PASSONI

Dopo Anfia, riflettori puntati oggi, per il focus di Infoiva sulla filiera dell’auto italiana, su Federauto, la Federazione Italiana Concessionari Auto. Perché ogni concessionario è una piccola impresa e, come tale, soffre i morsi della crisi globale, oltre a quelli della crisi dell’automobile. La parola al presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
La filiera dell’automobile in Italia, dalla produzione alla commercializzazione, fattura l’11,4% del Pil, partecipa al gettito fiscale nazionale per il 16,6% e occupa con l’indotto 1 milione e 200mila persone. Questi dati reggono con un mercato medio di 2 milioni di vetture immatricolate all’anno. Nonostante la media degli ultimi 5 anni dia proprio 2 milioni, il 2011 è stato il primo anno dove siamo andati abbondantemente al di sotto della soglia di sopravvivenza del settore: 1 milione e 748mila unità. Il 2012 sta flettendo del 20% rispetto a un anno pessimo, il 2011, e si concluderà attorno ai 1 milione e 370mila pezzi. In questo mercato le vendite ai privati, alle famiglie, scendono sotto il milione di pezzi, il resto riguarda le vendite ad aziende, a noleggi e autoimmatricolazioni delle case e dei concessionari: i famigerati chilometri zero. Con 1 milione e 370mila pezzi crollerà la filiera; e si prevede che il 2013 si attesterà sugli stessi volumi. Chi soffre di più? I concessionari italiani di tutti i brand commercializzati in Italia che pur distribuendo per il 70% prodotto straniero, sono tutte PMI italiane che pagano le tasse in Italia, locali e nazionali, e danno occupazione. I Costruttori, tutte multinazionali, possono recuperare le perdite italiane nei mercati esteri, tipo Brasile, India e Cina, mentre i concessionari Italiani vivono o muoiono all’interno dei confini nazionali. Il problema principale è che sono a rischio ben 220mila posti di lavoro. Gli addetti passeranno così dagli ammortizzatori sociali, largamente utilizzati, alla disoccupazione. Tasse che mancano all’appello, contrazione di volumi, disoccupazione esponenziale ma lo Stato è completamente assente. Anzi, ha varato solo provvedimenti per distruggere la filiera.

Anche sul fronte dei veicoli commerciali la situazione è tutt’altro che rosea …
Se le auto sono la spesa più elevata, dopo gli immobili, che si trova ad affrontare una famiglia o un’impresa, lo stesso vale per i veicoli commerciali e industriali. Sono mezzi per il business. Ma se l’economia stagna, l’edilizia e il commercio sono in crisi nera, dei veicoli commerciali non c’è bisogno e chi ce l’ha, spesso, non può cambiarlo o preferisce stare alla finestra per capire ciò che accade. Essendo mezzi di lavoro sono i primi ad andare in crisi ma, se e quando ci sarà una ripresa, saranno i primi a ripartire. Ora fanno un -30% circa, ma erano già scesi lo scorso anno.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
L’umore è pessimo. Siamo nel centro di un lungo tunnel buio di cui non si vede l’uscita. Questo a causa sia della crisi internazionale, sia dei “disincentivi” varati dal governo Monti. Una valanga di tasse e balzelli per colpire gli autoveicoli e gli automobilisti: aumenti di Iva, IPT, bolli, accise, Rc, pedaggi e varo del superbollo per le auto prestazionali. Sembra che si faccia di tutto per uccidere l’autoveicolo. E il primo danneggiato è lo Stato che, per effetto della contrazione dei volumi, introiterà 3 miliardi di tasse in meno dalla nostra “mucca da mungere”. Ma se ammazzano la mucca non potranno più avere latte. I concessionari sono basiti anche dall’immobilismo dei manager dei Costruttori che non riescono a convincere i loro vertici che per il mercato Italia ci vuole una ricetta diversa rispetto agli altri paesi europei, che passa attraverso l’alleggerimento o la soppressione degli standard, l’eliminazione dei meccanismi legati solo alle quantità e ai volumi, in un mercato che non tornerà più ai fasti di una volta. I concessionari da 3 anni chiedono di rivedere integralmente le regole della distribuzione ma i Costruttori pensano solo a produrre più auto di quello che il mercato può assorbire, questo perché il nostro mondo è malato da tempo. E questa è la madre di tutti i problemi. L’altra chiave di lettura, come espresso l’8 settembre su Sky dal direttore di Quattroruote, Carlo Cavicchi, è che le Case guardano solo alle quote di mercato, ossia quante vetture ogni 100 auto vende una marca, senza invece darsi obiettivi di redditività. E’ anche per questo che moltissimi producono in perdita, i casi eclatanti sono sotto gli occhi di tutti, e distruggono i margini delle reti di distribuzione. Un sistema ormai marcio fino al midollo destinato a scoppiare come una bolla finanziaria.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
Fiat soffre in Europa al pari degli altri Costruttori; ricordo che spesso anche quelli che fanno volumi non fanno utili nella zona Euro. Questo a causa di una lotta sui prezzi senza quartiere. Ci si dimentica sempre che quando è arrivato Marchionne, Fiat era un’azienda virtualmente fallita e ora ha accesso ai grandi mercati mondiali. Lo scarico delle multinazionali, tutte, sulle concessionarie è un gioco antico che si poteva praticare quando c’erano margini positivi. Ora è difficile estrarre sangue da un muro, cioè dai dealer. Inoltre se le vetture vanno distribuite attraverso i Concessionari, e si vogliono avere i clienti soddisfatti che poi possono diventare fedeli anche all’assistenza, bisogna che in primis i Concessionari siano soddisfatti, anche economicamente. Solo chi guadagna può lavorare bene, investire, e disporre di personale motivato per incontrare le aspettative della clientela.

L’auto in Germania, invece, continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
In Germania c’è un ricorso abnorme alle chilometri zero per cui “non è tutto oro quello che luccica”. Che la crisi sia il momento per intervenire e costruire un presente e un futuro diverso non c’è dubbio. Ma i Costruttori, l’altra metà della luna, sono spesso assenti. Non vale per tutti e per tutti i marchi, ma per la stragrande maggioranza.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Nel 1964 c’erano un’infinità di dealer e di marche in meno. Ergo: concorrenza molto blanda rispetto all’esasperazione odierna. E con gli stessi volumi i concessionari marginavano moltissimo. Il paragone quindi non tiene. Gli italiani, privati e aziende, sono da un lato uccisi dalle tasse, oramai a livelli indecenti, dall’altro colpiti dalle chiusure dei negozi, delle imprese, dalla delocalizzazione, dalla perdita, in ultima analisi, di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Senza che i disoccupati trovino chance in altri settori. E anche chi potrebbe spendere ha paura e si è bloccato in attesa degli eventi. Che fare? Esattamente il contrario della cura Monti: meno tasse sulle aziende, perno della nostra economia, meno tasse sulle buste paga dei dipendenti, meno accise e: tagliare la spesa pubblica senza se e senza ma. Via tutte le Province, via tutte le auto blu, grigie e bianche, abbassare le RCA fissando il limite ai risarcimenti e contrastando le truffe, fissare un tetto massimo ai costi dei carburanti. Insomma: far ripartire questo paese, tenere le aziende in Italia, cercare di attrarre con degli sgravi gli investitori esteri. Ma io non sono un Professore universitario per cui se la ricetta Monti piace, avrà ragione lui. Ai posteri l’ardua sentenza.

Che cosa chiede Federauto al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
Che ritiri i “disincentivi”, li annulli. Che vari un piano per lo svecchiamento del circolante triennale, a scalare e non legato a un fondo a esaurimento. Piano che si autofinanzierebbe. Che annulli il porcellum varato per agevolare le auto a basso impatto ambientale che partirà il 1 gennaio 2013. Un piano che è una bufala e che farà buttare allo Stato centinaia di milioni di euro, destabilizzerà il mercato e non produrrà solo che danni e confusione. Piano varato contro tutti, dico tutti, gli attori della filiera. Che allinei la fiscalità delle auto aziendali ai principali Paesi europei. Che vari un tavolo di lavoro permanente perché la mobilità di domani va costruita con le scelte di oggi. Di considerare che occupiamo 1 milione e 200mila occupati e che versiamo il 16,6% delle tasse totali nazionali e che penalizzando noi, o non dandoci ascolto, alla fine penalizzano l’intero sistema-Paese.

Auto, un settore industriale in via di estinzione

di Davide PASSONI

La scorsa settimana i dati presentati sul mercato dell’auto in Italia nel mese di agosto hanno fatto tremare le vene ai polsi a più di un addetto del settore: poco più di 56mila immatricolazioni con un calo del 20% rispetto ad agosto 2011. Cifre che riportano ai volumi di quasi 50 anni fa, del 1964.

Per capire quanto questi numeri impattino sulla filiera dell’auto che, in Italia, è un settore vitale per l’economia ed è fatto principalmente da piccole e medie imprese, questa settimana Infoiva ascolterà alcuni degli attori principali della filiera. Partiamo da Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, forse il termometro più attendibile per misurare la febbre del settore. Ecco che cosa ci ha raccontato il presidente Roberto Vavassori.

Che cosa c’è oltre i numeri freddi del mercato? Dove soffre maggiormente oggi la filiera dell’auto italiana e perché?
Ci sono due aspetti molto preoccupanti, di cui si vede il primo ma il secondo un po’ meno. Il primo è che esiste in Italia una domanda di veicoli molto bassa; il 2012 chiuderà con 1 milione e 400mila autovetture vendute, anche se bisogna considerare che parte del calo è strutturale e non congiunturale: un calo dovuto a un cambio culturale nel rapporto con l’auto che ne ha fatto calare l’appeal, non solo in Italia. Pensi che qualche anno fa in Giappone l’auto era al 6° posto nella classifica dei beni più desiderati e in Germania al 2°: l’anno scorso è scesa rispettivamente al 17° e 23° posto.

E il secondo?
Dietro al calo della domanda c’è anche il fatto che in Italia produrremo poco più di 400mila autovetture quest’anno, un numero che era la produzione della sola Mirafiori degli anni d’oro. Siamo a 1/5 della Spagna, a 1/4 della Francia e a un 1/12 della Germania. La nostra filiera dell’auto è in pericolosissima apnea, un settore che per la componentistica nel 2011 ha esportato per oltre 19 miliardi di euro mentre ora la base industriale sta venendo clamorosamente a mancare.

Mentre in Germania…
In Germania per il 2012 è prevista una produzione di 5 milioni e 700mila autovetture e le case stanno lavorando con player di livello assoluto come Bosch e Continental, per esempio, per sviluppare modelli e tecnologie del futuro. Ora come ora non abbiamo una base produttiva forte in Italia e non si percepisce il fatto che dietro al calo della domanda – il quale, per inciso, riguarda per l’70% veicoli esteri – abbiamo un settore industriale che sta scomparendo.

E quindi?
Drogare il mercato finale non serve, in Italia abbiamo 600 auto ogni 1000 persone e il nostro è un mercato di pura sostituzione, non possiamo aspettarci centinaia di migliaia di auto nuove ogni anno sulle strade. Quello italiano è un mercato che va seguito e sostenuto, visto che siamo l’unico Paese industrializzato con un solo costruttore di veicoli. Dobbiamo tornare a essere un Paese “normale”: come possiamo produrre meno auto di Iran e Thailandia? Siamo il secondo Paese manifatturiero in Europa, il sesto industrializzato al mondo e stiamo buttando via un settore trainante per l’intera economia.

Quanto soffre la filiera dell’auto italiana la difficoltà di un grande player come Fiat? Come evitare che la difficoltà di un “grande” si scarichi sui “piccoli”?
In realtà questa difficoltà si è già scaricata in maniera pesantissima. Non siamo stati capaci di fare sistema, non possiamo andare avanti in ordine sparso: ci vuole la convinzione sistemica che dobbiamo invertire la rotta. Abbiamo tutti i mezzi per farlo, siamo più produttivi della Baviera, numeri alla mano, un nostro metalmeccanico ne vale 3 francesi per specializzazione e produttività, ma negli ultimi 40 anni non abbiamo fatto programmazione e pianificazione industriale e continuiamo tuttora a non farne.

Com’è l’umore dei vostri associati? Che richieste o segnalazioni vi arrivano “dal basso”?
Tutti hanno ancora voglia di fare, ma incontrano difficoltà: dall’accesso al credito, ai costi energetici, alla burocrazia. Ostacoli che, alla lunga, rischiano di vanificare la voglia di fare impresa in Italia e la voglia di continuare a fare fatica nell’impresa di famiglia. In un quadro di difficoltà crescente, o ci si muove tutti insieme o si soccombe.

Tornando alla Germania… Lì l’auto continua a tirare. Merito anche di politiche industriali e sindacali che, negli anni pre-crisi, hanno ben “seminato”. La crisi non potrebbe essere l’occasione per intervenire anche da noi in questo senso e rivedere il sistema dalle basi?
Sì, non è impossibile, se si ha voglia di fare. Tenga conto che quando sento gli industriali tedeschi, ben pochi sono contenti del sistema di cogestione attuale, segnale che quel sistema non è la panacea per i mali del settore.

Dove sta il segreto, allora?
La differenza tra noi e la Germania è che i tedeschi riescono a pianificare e fare sistema molto meglio di noi. Pensi che con i clienti tedeschi oggi le nostre imprese chiudono contratti con scadenza 2017-2018. A differenza della Germania, ci siamo avviluppati in una spirale negativa, mentre loro hanno la capacità, anno dopo anno, di pianificare e investire. In questo senso sono stato contento che Lamborghini sia stata acquistata dal gruppo Audi, perché così ha avuto i fondi necessari per fare gli investimenti che le servivano.

Va bene la crisi, va bene l’euro boccheggiante, ma leggere di un mercato ai livelli del 1964 significa che gli italiani non ne hanno più da spendere. Che fare?
Spingere la leva dell’export; politiche sociali e fiscali che aiutino imprese e lavoratori; puntare sui prodotti che sappiamo fare bene e sul loro export; dare più ossigeno alle aziende. Quando leggo che in Spagna vengono stanziati dal governo milioni di finanziamenti a tasso 0 per 10 anni alle Pmi che fanno ricerca e sviluppo, mi viene da pensare. Per non parlare della Francia, il cui governo ha varato misure straordinarie a sostegno dell’industria dell’auto mettendosi contro ai costruttori stessi.

Che cosa chiede Anfia al governo per sostenere un settore vitale come il vostro per l’economia italiana?
In primo luogo di aumentare l’output delle auto prodotte in Italia: i nostri associati chiedono volumi. Noi li stiamo aiutando a internazionalizzarsi, perché ormai l’Italia non basta più come mercato e anche l’Europa è quasi satura: per cui mettiamo a disposizione le esperienze di grossi player come Brembo e altri, già ben posizionati su diversi mercati mondiali, che si condividono esperienze, know how, strategie con i colleghi più piccoli per aiutarli.

Guardare avanti sempre, insomma…
Io sono un ottimista convinto, ma bisogna invertire la tendenza, altrimenti rischiamo davvero grosso. Sui mercati odierni, se non si ha la capacità di reagire agli eventi e di controllarli, si rischia di scomparire. Prendiamo esempio dal mercato americano, passato in pochi anni da un -50% ai livelli precrisi attuali, senza piangersi addosso ma adottando politiche industriali serie. Tornando alla Germania, pensa che la sua crescita di questi ultimi 5 anni sia dovuta all’industria? No, per i 2/3 è cresciuta grazie alle infrastrutture e agli investimenti nel settore pubblico. In Italia, invece, ci troviamo a tagliare nel pubblico e a non investire nelle infrastrutture, che sono un volano di ripresa economica. Le imprese tedesche si finanziano a tassi vicini allo 0%, vanno bene nei loro mercati di export e così
guadagnano vantaggio competitivo per cui non hanno alcun interesse a risolvere questa crisi, almeno nel breve periodo. Per cui il mio appello è: non molliamo, prendiamo in mano la situazione, mettiamo da parte i campanilismi, rimbocchiamoci le mani e lavoriamo insieme a politiche industriali serie per il Paese.