Fipe si prepara a smascherare le sagre estive fasulle

Ora che la stagione estiva è ufficialmente partita, Fipe ha annunciato di essere particolarmente agguerrita in favore della legalità, che in estate viene sempre minacciata dall’abusivismo commerciale, a cominciare dalle sagre fasulle che in questi mesi sono presenti più o meno in tutte le località turistiche da Nord a Sud.
Si stima, infatti, che si tratti di 27.300 iniziative, per un fatturato di 558.909.000 euro, secondo i dati dell’Ufficio Studi della Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Ma i numeri di chi esercita attività di ristorazione senza però sottostare ai vincoli previsti dalla legge sono sicuramente molto complessi e riguardano in primis falsi agriturismi, ma anche circoli culturali e sportivo-ricreativi, che fatturano 5,2 miliardi di euro.

Ha detto Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe, a proposito: “Numeri davvero impressionanti che corrispondono ad una perdita di imposte dirette e contributi pari a 710 milioni di euro. Il proliferare incontrollato di queste attività e in particolare delle cosiddette finte sagre, che non promuovono prodotti tipici e non hanno legami con il territorio di riferimento, è un grave danno per l’erario e per tutti quei bar e ristoranti che operano nel pieno rispetto della legalità dando i propri servizi ogni giorno e non solo quando è più conveniente. Auspichiamo che almeno sul tema della regolamentazione e del contrasto dei finti circoli privati il decreto legislativo di riforma del terzo settore ora all’esame delle Camere possa dare un importante contributo di chiarezza”.

Per quanto riguarda le sagre, Fipe chiede che le istituzioni diano però la priorità ad eventi gastronomici con una riconosciuta valenza di tradizione, dunque che coinvolgano soprattutto gli operatori del territorio, magari creando collaborazioni con i ristoranti della zona per proporre menù tipici.

Esempio positivo di questo scambio è la Regione Lombardia, che, quando si tratta di commercio su aree pubbliche e sagre, si procede con l’invio ai Comuni di linee guida per riconoscere le sagre autentiche e che introduce un calendario annuale delle manifestazioni con multe per chi opererà senza esservi stato inserito.

Vera MORETTI

Confturismo Veneto: investire nel settore, via tasse e rigidità

di Davide PASSONI

Continua il “giro di tavolo” di Infoiva tra i vari operatori regionali del turismo per avere un commento sulla stagione estiva ormai agli sgoccioli. Dopo il presidente di Federalberghi Emilia Romagna, Alessandro Giorgetti, oggi tocca al collega veneto Marco Michielli, presidente anche di Confturismo Veneto. E anche all’ombra della Serenissima, la situazione fa riflettere…

Un primo bilancio a caldo sull’andamento, in Veneto, della stagione turistica che si sta concludendo.
Partiamo dicendo che non commento i dati di partenze e arrivi, in quanto non danno la vera fotografia della situazione. Parlando sotto il profilo aziendale posso dire che, tutto sommato, se sono corretti i dati che leggo provenienti dal resto d’Italia, il Veneto complessivamente ha tenuto più di altre regioni. Il dato di fondo è che negli ultimi 3 anni la forbice tra incassi e margini operativi si sta divaricando paurosamente. Se, come è vero, fare buoni margini operativi significa avere buone capacità d’investimento, l’apertura della forbice è un grosso problema.

Ovvero?
Una volta le banche, per concedere un finanziamento a una struttura turistica guardavano prima di tutto il valore dell’immobile. Oggi non basta più, oggi le banche guardano la produttività dell’azienda e se questa cala o è quasi nulla il finanziamento non viene erogato. Se poi lo spazio per l’autofinanziamento è azzerato, diventa fondamentale il ricorso alle banche, che però non erogano: è un cortocircuito che mi preoccupa.

Nonostante un’offerta di prim’ordine…
Nel panorama nazionale la nostra offerta turistica è buona, per qualità e varietà. Certo, negli ultimi anni la clientela italiana ha alzato il proprio target perché ha cominciato a viaggiare all’estero, in Paesi nei quali trova strutture di dimensioni e livello molto alto, con decine di addetti e pensa, una volta che va in vacanza in Italia, di ritrovare gli stessi standard. Non sapendo che, per esempio, costruire o pagare del personale in Egitto costa infinitamente meno che da noi.

Com’è l’umore dei vostri associati? C’è ottimismo, pessimismo…
Basso, perché guardiamo con terrore al prossimo anno. Prevediamo già che a giugno 2013 avremo le strutture. Austriaci e tedeschi, che costituiscono buona parte della nostra clientela, faranno le vacanze a maggio, per cui prevediamo un buon maggio, ma con i prezzi di maggio. Se a giugno non arrivano loro e gli italiani non avranno soldi per andare in ferie – come è prevedibile -, chi verrà in quel mese? Rischiamo di trovarci con grosse problematiche da gestire a livello territoriale.

Chiusure…
Certo. Pensi che ci sono alberghi a Venezia che hanno chiesto di diventrare stagionali. A Venezia! Senza contare che, per esempio, la nostra montagna è incastrata tra Trentino Alto Adige e Friuli, regioni a statuto speciale che hanno finanziamenti e norative diverse e più vantaggiose rispetto alle nostre, non solo in ambito turistico.

Capitolo Imu. Che impatto ha avuto e avrà sul settore alberghiero regionale?
Secondo un calcolo che abbiamo fatto, a noi in Veneto ha portato in media un aumento dell’80% rispetto all’Ici. Dico io, abbiamo le tasse sugli utili più alte del mondo: peccato che le paghiamo su utili che non facciamo più.

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa gli chiederebbe come priorità per il turismo in Sicilia?
Il turismo è l’unica azienda che può dare immediata occupazione e immediata risposta alla crisi. Bisogna investire sul turismo ma abbiamo delle rigidità allucinanti e dei non senso come la tassa di soggiorno: ovunque sia stata applicata, non è mai finita a finanziare iniziative legate al turismo ma solo a tappare i buchi delle amministrazioni comunali.

Per non parlare delle tasse di stazionamento per le barche, dei controlli sui pagamenti in contanti…
Personalmente posso non essere d’accordo con un certo modo di ostentare la ricchezza, ma se ho, poniamo, un magnate russo che viene nel mio porto con lo yacht e mi lascia sul territorio qualche decina di migliaia di euro, mica lo faccio scappare con tasse assurde: faccio di tutto per farlo tornare, magari con gli amici. O se la stessa persona mi stappa 80 bottiglie di champagne in una notte, lo faccio perquisire dalla Finanza così non lo rivedo più nel mio locale? Ecco alcune delle rigidità che danneggiano il settore.

C’è dell’altro per Gnudi, vero?
A livello strategico è necessario un ripensamento della delega del turismo alle regioni. Si è trattato di un errore clamoroso. Abbiamo il marchio piu prestigioso al mondo che è il made in Italy, rispolveriamolo per il turismo, trasferiamo le competenze a livello centrale, basta al turismo degli assessori che vanno a far promozione all’estero alle proprie città: si vada alle fiere internazionali promuovendo centralmente l’Italia. Poi ciascuna regione o ciascun comune, se vuole, anche vada per conto suo. Poi chiederei anche una forte integrazione del sistema aeroportuale: è necessario trasferire su ala almeno il 30% del nostro turismo nei prossimi 10 anni, o saremo fuori mercato. Vuole un esempio? Noi come Veneto sosteniamo che il 60% della nostra clientela è tedesca, ma in realtà è bavarese. Perché in poche ore d’auto e di autostrada sono qui. Gli altri tedeschi vanno in Spagna o in Egitto: in aereo ci mettono meno e sono direttamente in spiaggia.

Italia.it, un’occasione persa?
Italia.it, una cosa vergognosa. Ci è costata 179 milioni e la sua efficacia è pari a zero. Dovrebbe essere il sito che fa entrare gli stranieri in Italia, dalla presentazione del Paese alla prenotazione dell’hotel, e invece per le prenotazioni ci siamo fatti superare da siti da come Booking o Expedia che fanno margini e profitti alle spalle dei nostri hotel. Se questi siti fossero italiani, almeno i soldi delle commissioni che incassano resterebbero qui, ma se un hotel deve arrivare a lasciare loro tra il 18 e il 40% e più di commissione, come fa a far crescere il fatturato? Più percentuale di incasso ti lascio, più persone mi mandi… Un sistema malato, a dispetto dei numeri.

Federalberghi Emilia: lasciateci liberi di fare impresa

di Davide PASSONI

Noi di Infoiva abbiamo tenuto un occhio vigile per tutta l’estate sull’andamento del turismo in Italia. Un’industria dalle enormi potenzialità, fatta quasi solo da piccole e piccolissime imprese e che, in quanto tale, non può che godere di un trattamento di sfavore da parte del governo e del fisco. Avevamo incontrato a luglio il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, e ci eravamo fatti raccontare i primi mesi del 2012 visti dalla parte di chi opera nel campo dell’hospitality. Ora che, come cantavano i Righeira (miti assoluti) “l’estate sta finendo”, facciamo il punto con alcune Federalberghi regionali per capire che stagione si è lasciata alle spalle chi fa dell’accoglienza una professione. Cominciamo da Federalberghi Emilia Romagna e dal suo presidente, Alessandro Giorgetti.

Un primo bilancio a caldo sull’andamento, in Emilia Romagna, della stagione turistica che si sta concludendo.
La stagione è stata difficile, un po’ per tutte le regioni ma, credo, per noi più che per altri per via della comunicazione che è stata fatta sul terremoto di maggio, che ha rallentato le prenotazioni in due mesi cruciali come maggio e giugno. Da quello che si raccontava sui media sembrava che il terremoto avesse investito tutta la regio ma, naturalmente, non era così; da questo è derivata per noi la difficoltà a stare sul mercato e tante vendite non sono andate a buon frutto. Nonostante questo abbiamo mantenuto numeri importanti, un po’ in calo a luglio e ad agosto.

Cifre?
In termini spannometrici, non avendo ancora dati certi e completi, stimo un -10% di presenze e -15% di fatturato come media.

Tanta della vostra clientela storica è straniera: che ne è stato?
Trovo positivo che gli stranieri siano tornati: è sinonimo di un appeal sul mercato internazionale che non abbiamo perso.

E gli italiani?
Abbiamo pagato la crisi che coinvolge il ceto medio, che era la clientela base della nostra zona; impiegati, artigiani, piccoli commercianti hanno subito e subiscono la pressione delle manovre economiche del governo, la riduzione del loro potere d’acquisto e in tanti hanno tagliato le spese superflue, tra cui le vacanze. Non è solo una mia impressione, è un punto di vista suffragato da molte relazioni che vengono dal territorio.

Quali tipologie di strutture hanno privilegiato i turisti? Il piccolo albergatore tipo “Pensione Marisa” riesce ancora a trovare il suo spazio?
La “Pensione Marisa” della situazione lavora perché ha clienti abituali che mantengono nel tempo una relazione di fiducia quasi familiare. Più difficile la situazione di altre realtà, dove magari le persone pretendono di pagare meno degli anni scorsi per avere gli stessi standard di servizio alti che avevano in passato. La qualità va pagata, se non posso mantenere i prezzi non posso dare servizi all’altezza. Spesso, invece, la gente vorrebbe avere i servizi che ha, che so, a Sharm o sull’altra sponda dell’Adriatico, con schiere di camerieri al proprio servizio, ma non si rende conto che là il costo della manodopera è nettamente incomparabile al nostro.
Tornando alla “Pensione Marisa”, il suo rischio è che quando la sua clientela non ci sarà più, sarà fuori mercato. Come Federalberghi stiamo lavorando proprio per dare a questo tipo di imprese gli strumenti per evitare che ciò accada e che possano emergere: investiamo molto sulle capacità delle imprese e degli imprenditori, vogliamo resistere con capacità e passione per andare avanti.

Com’è l’umore dei vostri associati? C’è ottimismo, pessimismo…
Basso, c’è pessimismo perché si sentono compressi da normative e burocrazia, specialmente per quanto riguarda l’obbligo di segnalare all’autorità fiscale i pagamenti in contanti di somme ingenti, le spese per vacanze superiori a 3600 euro e via dicendo. Pressioni e verifiche fiscali stanno minando l’equilibrio dei nostri imprenditori, che già combattono in una stagione difficile come questa. Per fortuna almeno il tempo ci ha assistito, ci ha aiutato, ma il clima di sfiducia nel futuro e le difficoltà di tante imprese a rivedere la propria mission rimangono.

Capitolo Imu. Che impatto ha avuto e avrà sul settore alberghiero regionale?
In alcuni comuni abbiamo scambiato il tetto massimo dell’Imu al 10,6 per mille in cambio del non pagamento della tassa di soggiorno. Capiamo le esigenze di cassa dei comuni e la necessità di rispettare i patti di stabilità, ma vogliamo che i comuni turistici abbiano un trattamento diverso. In questo senso va la nostra alleanza con gli enti turistici per far capire alle istituzioni che il meccanismo va cambiato; pensi che in alcuni casi con il passaggio all’Imu è stato raddoppiato l’importo che si pagava con la vecchia Ici: aspettiamo la seconda rata per capire la mazzata che ci arriverà. Hotel, pensioni eccetera sono come edifici industriali, che danno lavoro e occupazione: perché devono essere tassati così?

Se potesse fare un appello al ministro Gnudi, che cosa gli chiederebbe come priorità per il turismo in Emilia Romagna?
Soprattutto di migliorare la logistica. Qui in regione abbiamo un problema di logistica oggettivo; aeroporti, autostrade, siamo indietro di decenni: il passante di Bologna che da 4 corsie passa a 2, siamo tagliati fuori dalla Tav… Nei Paesi vicini in pochi anni le infrastrutture cambiano il volto di città e regioni, qui non ce la facciamo mai. Sappiamo che alcune volte queste cose non dipendono direttamente dal ministro, così come i fondi che abbiamo chiesto per riqualificare le imprese, vediamo… Poi sarebbe necessario un regolamento diverso, a livello nazionale, sulla tassa di soggiorno. Insomma, logistica, tasse, fondi per la riqualificazione sono
elementi importantissimi per poter competere e restare sul mercato. Su questo vogliamo che si lavori, con basi di programmazioni serie in una nazione che sta ai primi posti nel mondo per patrimonio e potenzialità turistiche: dimostri con i fatti e non con le chiacchiere di essere all’altezza di questo ruolo.

In una parola…
Vogliamo essere liberi di fare impresa.