Quanto lavoro allo Standupificio!

Nei giorni scorsi abbiamo pubblicato una lunga intervista a Serena Basile, psicologa, psicoterapeuta, presidente dell’associazione Dentro un quadro, promotrice dello Standupificio. Ma sul progetto lavorano tante altre persone. Oggi vi portiamo le loro testimonianze.

Laura Ravanelli, psicologa, psicoterapeuta e segretario generale dell’Associazione Dentro un quadro: “Tutte le persone che hanno fatto i percorsi hanno compilato un questionario di valutazione. Dai dati raccolti, emerge come il percorso psicoeducativo sia stato percepito come utile soprattutto per affrontare il senso di frustrazione connesso con la mancanza di lavoro e con la difficoltà a rimettersi nel mercato, insieme all’ansia e alla rabbia. Inoltre, anche la metodologia utilizzata, volutamente creativa e non convenzionale, risulta aver facilitato in queste persone la possibilità di entrare in contatto con le proprie emozioni così come la possibilità di esprimerle”.

Isabella Magnifico, psicologa e psicoterapeuta, socia dell’associazione Dentro un quadro: “Il percorso psicoeducativo che proponiamo prevede un momento che abbiamo chiamato Change: alle persone viene chiesto di soffermarsi su un episodio inerente l’esperienza della perdita del lavoro, e sulle emozioni e i pensieri che emergono. Ed ecco che lì scoprono a poco a poco che emozioni come rabbia, tristezza o delusione sono legate a pensieri negativi rigidi e che cambiando i pensieri, cambia anche il modo in cui si sentono, arrivando a esperire emozioni meno angoscianti e paralizzanti”.

Edoardo Pessina, psicologo e psicoterapeuta, socio dell’associazione Dentro un quadro: “Ho incontrato persone che faticavano a concentrare l’attenzione su come si sentivano, essendo travolte da flussi di pensieri. Alcune delle attività, come quella in cui era chiesto alle persone di sfogare la rabbia su degli scatoloni, hanno permesso di dare spazio alle emozioni e di fare un primo passo per uscire dall’impotenza”.

Valerio Celletti, psicologo e psicoterapeuta, socio dell’associazione Dentro un quadro: “Riconoscere e saper gestire le emozioni non risolve il problema di trovare un lavoro, ma permette di smuovere tutte le risorse disponibili perché questo possa accadere”.

Perdere il lavoro, da dramma a opportunità

Di nuovo a tu per tu, dopo la prima parte di ieri, con Serena Basile che ci parla del progetto Standupificio.

C’è pudore da parte di chi ha perso un lavoro a chiedere un supporto?
Sì. Anche personalmente ho incontrato gente in cassa integrazione che riesce a dirlo solo dopo un mese, o persone che hanno perso il lavoro e che tutti i giorni si vestono ed escono di casa come se dovessero andare in ufficio. C’è una difficoltà ad accettare la perdita di un lavoro come ad accettare un lutto: in entrambi i casi si passa da una prima fase di intontimento, in cui non si accetta l’accaduto e questo non accettare è un aspetto che incide tantissimo. Pensa che una persona è venuta accompagnata allo Standupificio perché da sola non ce la faceva.

È più un problema interno alle persone o la paura di sentirsi giudicati?
Entrambe le cose. Intanto, è molto forte il discorso culturale. In Italia il lavoro è molto investito in termini di identità sociale e quindi di identità personale: io sono il lavoro che svolgo e nel momento in cui con questo non campo, non soffro solo a livello economico, ma anche a livello identitario mi si chiede una ridefinizione tale che rischio di ritrovarmi in ginocchio. Il tema del lavoro, in Italia, è molto sottovalutato per gli effetti che la perdita di quest’ultimo, se protratta nel tempo, può avere sulla salute delle persone e per l’impatto che questa perdita può avere a livello identitario. Le persone rischiano di sbriciolarsi, sono nude, specialmente se sul lavoro hanno investito tanto di sé.

Al momento operate solo su Milano?
Sì, ma non escludiamo di espanderci altrove nel momento in cui ci saranno terapeuti che condivideranno l’etica che sta dietro alla nostra iniziativa e che avranno voglia di portare l’esperienza nella loro regione.

Avete avuto contatti in questo senso?
Una collega dalla Sardegna, che conosceva l’associazione e ne aveva fatto parte, voleva lanciare lo Standupificio con un evento. Ora la sua iniziativa è però in stand by. Da Roma altri colleghi hanno chiesto del materiale per valutarlo e capire se possono portare sul loro territorio un’esperienza analoga. L’interesse c’è, così come la curiosità. È un progetto molto impegnativo, di cui stiamo mettendo a punto i percorsi e di cui stiamo cominciando anche a scrivere per poterlo meglio raccontare. Contiamo di allargarci.

Senza questa crisi non ci sarebbe stato lo Standupificio?
Lo Standupificio è il luogo in cui si ricomincia da sé e una persona potrebbe aver bisogno di ricominciare da sé per tanti casi della vita. Non saprei risponderti, magari lo avremmo inventato lo stesso per altri motivi. Può essere inteso anche come un luogo in cui dare alle persone delle risposte su un disagio sociale generalizzato e non necessariamente legato alla perdita di un lavoro. Di sicuro è nato studiando, con una esperienza di anni e parlando con le persone colpite dallo specifico disagio contro il quale opera.

Che tipologia di persone viene da voi?
Forse più donne, ma anche tanti uomini. Pochi giovani, la maggioranza delle persone che viene allo Standupificio è nella fascia 40-60 anni. E hanno professionalità varie, dall’impiegato alla libera professionista, al quadro della multinazionale al libero professionista ultra 60enne.

Chi viene da voi è già convinto di “rialzarsi” o siete voi a fargli prendere questa consapevolezza?
Molti ci scrivono per saperne di più e poi magari non si iscrivono. Ricordo una persona che, messa davanti a un percorso che la portava a diventare consapevole di un modo diverso di vedere le cose e alla possibilità di credere nuovamente in sé, ha risposto al terapeuta: “Voi siete pericolosi perché rischiate di illudere le persone”. La ribellione di chi rischia grosso se osa credere in se stesso. Non ho comunque avuto l’impressione di qualcuno che sia venuto con l’idea che lo aiutassimo a rimettersi in piedi. La gente viene sapendo che farà un percorso con dei terapeuti: quello che ne ricava, poi, è molto soggettivo. Dai questionari che abbiamo ricevuto emerge che le persone da noi si aspettano di recuperare gli strumenti contro la frustrazione, l’ansia e la rabbia.

In quanti siete a operare nello Standupificio?
In questo momento siamo cinque psicoterapeuti più una persona “jolly”, che è su un altro progetto dell’associazione e ci dà una mano quando abbiamo molte persone su cui lavorare. Facciamo un incontro al mese e ne abbiamo già fatti tre. Riprenderemo a settembre, poi ottobre e novembre e ripartiremo da gennaio 2017, anche se per il prossimo anno ancora non abbiamo le date fissate.

Lo Standupificio: perdere un lavoro significa ricominciare da sé

La perdita di un lavoro è un dramma personale prima che sociale. Spesso, chi resta disoccupato è solo con se stesso ad affrontare ansie, paure, frustrazione e depressione. Ricadute psicologiche pesanti, alle quali prova a dare risposte lo Standupificio, un progetto unico e prezioso, ideato e promosso dall’associazione Dentro un quadro. Un progetto del quale ci parla Serena Basile, psicologa e psicoterapeuta, presidente dell’associazione, che allo Standupificio dedica tempo, risorse ed energia insieme ad altri colleghi.

Quando è nato lo Standupificio?
Lo Standupificio è nato nel 2015, lanciato il 30 novembre alla Casa dei Diritti del comune di Milano, che ci ha concesso l’utilizzo gratuito della propria sede perché l’iniziativa è stata patrocinata dal comune. È nato in seguito a un convegno organizzato nella Casa sul tema del disagio da disoccupazione. Successivamente siamo entrati nel progetto ArtePassante, finanziato dalla Fondazione Cariplo e la cui capofila è l’Associazione Le Belle Arti, del quale facciamo parte come “rappresentanti” della cultura psicologica. Un bel riconoscimento da parte di Le Belle Arti, sensibili al disagio e alla drammaticità della fase socioeconomica che stiamo vivendo.

In che cosa consiste?
Oggi è un appuntamento mensile che permette ai cittadini che versano in una condizione di disagio di acquisire semplici strumenti di autoaiuto attraverso percorsi psicoeducativi gratuiti.

Perché è nato?
I numeri sulla disoccupazione in Italia sono mostruosi e, di conseguenza, è molto diffuso il disagio da disoccupazione. Un disagio che, dal punto di vista psichico, ha delle connotazioni ben precise, indicate anche dalla letteratura scientifica: chi è a casa disoccupato da più di 6 mesi tende a sviluppare ansia, depressione, si orienta al ritiro sociale, all’isolamento. Addirittura la perdita del lavoro è indicata tra i fattori di rischio del disturbo post traumatico da stress. Non parliamo quindi di un evento da poco, parliamo di un fatto che ha degli effetti psichici devastanti, con ricadute sulla salute fisica e conseguenti costi sociali.

Chi ha perso un lavoro sa di essere a rischio?
Negli ultimi anni io personalmente ho avuto a che fare molto spesso con casi di persone rimaste senza lavoro, dalle quali mi sono sentita dire: “Io non ho alcun disagio psichico, se a me dai un lavoro io sto bene”. Vedi, è un po’ come elaborare un lutto: come nel caso della perdita di una persona cara, così come con la perdita del lavoro. Magari chi è rimasto disoccupato, questo non lo sa, ed ecco che lo psicoterapeuta può essergli di aiuto.

E lì entra in gioco lo Standupificio…
Pensando al progetto, noi psicoterapeuti che poi lo abbiamo creato ci siamo detti che la cosa migliore, nel caso di chi ha perso un lavoro, è ricominciare da sé. “Che contributo possiamo dare?”, ci siamo chiesti. Ed ecco che abbiamo fatto nascere lo Standupificio, neologismo dall’inglese “to stand up”, rialzarsi: luogo in cui offriamo alle persone dei percorsi psicoeducativi gratuiti, sempre gestiti da psicoterapeuti dell’Associazione, che hanno l’obiettivo di aiutare persone rimaste senza lavoro a sviluppare consapevolezza del proprio disagio specifico per poi focalizzarsi sulle proprie risorse personali e sviluppare strumenti di auto aiuto.

In che modo?
L’esperienza psicoeducativa che proponiamo con Standupificio nasce da una rassegna della letteratura scientifica sull’argomento e gode di saperi mutuati dalla psicoterapia cognitivista e cognitivo comportamentale. Il percorso prevede una focalizzazione su sensazioni, emozioni e pensieri connessi con la perdita del lavoro: non escludiamo di apportarvi modifiche, stiamo raccogliendo e analizzando dati clinici e di efficacia proprio per questa ragione.

Vedremo domani chi si rivolge allo Standupificio, quali paure ha e come può essere aiutato a vincerle.