Gas e luce, aumenti record

Su Infoiva parliamo, per vocazione, di imprese e professionisti. Ma quando si tratta di mettere il dito nella piaga dello Stato ladro o degli aumenti del carovita, non ci dimentichiamo certo delle famiglie. Così come non si dimentica di loro la benemerita Ggia di Mestre, la quale, questa volta, ha puntato il dito contro la crescita spropositata della bolletta energetica.

Secondo l’associazione mestrina, infatti, tra il 2001 e il 2011 le bollette energetiche delle famiglie italiane sono aumentate del +48,3%. In termini assoluti, la maggiore spesa sostenuta è stata pari a 455 euro, spacchettati tra: 141 euro per l’energia elettrica, 314 euro per il gas. La variazione percentuale, invece, ha visto aumentare l’elettricità del +34,5% e il gas del +58,8%. Dati folli, se comparati all’aumento dell’inflazione nello stesso arco temporale: 15,7%. Complessivamente, il costo della bolletta energetica di una famiglia media italiana è stato, nel 2011, di 1.397 euro: quasi, dicono dalla Cgia di Mestre, lo stipendio mensile medio di un impiegato.

Con buona pace delle liberalizzazioni. Il settore del gas è stato infatti liberalizzato nel 2003 e da allora al 2011 le tariffe sono cresciute del 33,5%, contro un aumento medio dell’inflazione pari al 17,5%. Più calmo il settore dell’energia elettrica, liberalizzato dal 1° luglio 2007: da questa data alla fine del 2011, a fronte di un aumento del prezzo medio della luce dell’1,8%, l’inflazione è aumenta del +8,4% .

Commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre: “Per fortuna grazie alla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, gli aumenti sono stati in parte contenuti, anche se non dobbiamo dimenticare che i prezzi dei prodotti energetici sono fortemente condizionati dall’andamento dei costi delle materie prime e dal cambio euro/dollaro”.

La busta? Non paga più

di Davide PASSONI

Conto alla rovescia per l’ennesima stangata contro di noi, cittadini-sudditi del Fisco. Il decreto salva-Italia, infatti, non salverà gli italiani che possono contare su un reddito fisso né gli imprenditori che vedono aumentare sempre di più il costo del lavoro e e pagano pesantemente la riforma in discussione in questi giorni in quel di Roma.

Se la prima, vera, sassata arriverà a giugno con l’Imu, già da questo mese lo stipendio dei lavoratori dipendenti e le pensioni dovranno essere zavorrate a terra, talmente saranno leggeri. Tutto merito (si fa per dire) delle addizionali regionali e comunali Irpef. I conti li ha fatti il Caf-Cisl nazionale, secondo il quale l’aumento del prelievo che scatterà per tutti sulle addizionali regionali sarà dello 0,33%. Un valore che, calato in esempi della quotidianità, significa che un lavoratore che percepisce 1.200 euro lordi al mese avrà trattenute ulteriori 51 euro in un anno, a partire da marzo. E deve sperare che il suo comune sia distratto: se ha già stabilito l’aumento dell’Irpef comunale, la trattenuta potrà arrivare fino a 98 euro all’anno.

C’è di buono che non tutte le amministrazioni comunali utilizzeranno l’aumento dell’Irpef per aumentare i propri introiti, come concesso dalla manovra di Ferragosto (opera del governo Berlusconi); una manovra che ha riconosciuto ai Comuni la possibilità di aumentare l’imposta sulle persone fisiche fino a un massimo dello 0,8%. Una manovra che lasciato più buchi che pezze e che fa sentire i sui effetti a quasi otto mesi di distanza.

Ma qualcuno pensa che qualche comune, alla fine, non aumenterà l’Irpef? Illuso! Prepariamoci, a meno che non abbiamo un reddito o una pensione talmente bassi da non pagare l’Irpef principale: in questo caso non dovremo subire aumenti di Irpef regionale e comunale. Ma dovremmo percepire una pensione massima di 7.535 euro all’anno (7.785 se over 75) o un reddito fino a 8.030 euro lordi all’anno. Praticamente 4 gatti, magari con un Suv in garage e casa a Cortina…

A proposito… Non dimentichiamo che l’aliquota base dell’Irpef è già passata da 0,9% a 1,23%, con facoltà, da parte delle regioni, di aumentarla ulteriormente all’1,73% fino a un massimo del 2,03%. Dipende dalla Regione, dipende da dove la sorte ci ha portati ad abitare. Perché con un fisco così, il caso e la sorte valgono più delle regole dell’economia.

Un’ondata da 3 miliardi di tasse per il Nord

Una stangata da quasi 3 miliardi di euro per le sette Regioni del Nord Italia. Con lo sblocco dei tributi locali e regionali, previsto per il 2012, potrebbe arrivare a quota 3 miliardi di euro l’aggravio fiscale per le imprese lombarde, che va ad aggiungersi alla già salata Irap, l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive. Lo sblocco dei tributi locali e regionali, contenuto nel nuovo decreto sulle semplificazioni fiscali rischia di tramutarsi in un bagno di tasse per imprese e aziende del Nord Italia.

La denuncia arriva dal segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, che in base ai calcoli dell’ufficio studi sulla Relazione illustrativa che accompagna il decreto sulle semplificazioni fiscali, paventa il rischio reale di un aumento dell’aliquota Irap di circa un punto, portandola al limite massimo del 4,82%. L’aggravio fiscale sulle imprese raggiungerà secondo i calcoli la cifra di 3,5 miliardi di euro.

L’aggravio fiscale riguarderà in ogni caso solo le regioni del Nord Italia: Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Trento, Bolzano, Puglia, Calabria, Sicilia hanno dovuto infatti già da tempo alzare l’aliquota al livello massimo per ‘comprimere’ il disavanzo sanitario maturato in passato.

Restringendo lo sguardo alla sola Lombardia, l’aumento previsto potrebbe superare quota 1 miliardo e 300 milioni di euro. Una cifra da capogiro che metterebbe in serio pericolo aziende e imprese già strette nella morsa creditizia delle banche. Per la Regione Veneto, l’aggravio si attesterà su quota 500 milioni di euro, mentre per il Piemonte si fermerà a 400 milioni.

Una logica, quella dell’aumento dell’Irap, che usa le imposte per creare liquidità che serve a mantenere la spesa pubblica. Quindi se da un lato sono state promosse manovre volte all’incentivazione delle assunzioni di giovani, con un pacchetto di sgravi sull’imposta regionale, dall’altro lato molte aziende del Nord Italia si troveranno a fare i conti con un rincaro dell’Irap – calcolato secondo la logica del gettito – più che salato, che rischia davvero di mandare in fumo gli sforzi delle aziende italiane.

10 anni di euro, 10 anni di mazzate

Ma chi ci crede più alla favola dell’inflazione che sta intorno al 2%? Sorpresa sorpresa… la Bce. Si vede che i signori di Francoforte non vanno molto spesso a fare la spesa o che, in Germania, i panieri sono calcolati in modo differente. Fatto sta, che secondo un articolo pubblicato sul bollettino mensile della Banca centrale Europea, i beni energetici, soprattutto i carburanti, e gli alimentari hanno subito la maggiore impennata dei prezzi dal 2002, anno dell’introduzione dell’euro.

La scoperta dell’acqua calda. Sì, come sa bene ogni persona che fa la coda in cassa al supermercato o al distributore. Ma la sorpresa viene dalle percentuali. Se l’inflazione tendenziale nell’area è stata in media del 2,1% (ma dove???), il rincaro medio annuo dei prezzi dei prodotti energetici è stato invece del 5,4%: +9,6% per i carburanti liquidi. I prezzi degli alimentari trasformati, invece, sono aumentati in media annua del 2,8%.

I prezzi degli alimentari freschi hanno registrato un incremento medio dell’1,9%: 2,4% per il pesce, 2,2% per la frutta, 1,8% per la carne e 1,4% per la verdura. Per quanto riguarda i prezzi dei servizi, rileva la Bce, il tasso annuo di crescita dall’introduzione del contante in euro si è collocato al 2,2%, sostanzialmente in linea con l’inflazione media.

Nei dieci anni dell’euro, nella voce ‘saloni di parrucchiere e istituti di bellezza’ i prezzi sono aumentati del 2,2% all’anno, mentre nella categoria ‘ristoranti, bar e simili’ sono aumentati del 2,8%. Ditelo ai poveri cristi che 10 anni fa per pizza e birra spendevano 10mila lire e oggi se se la cavano con 30 euro possono accendere un cero di ringraziamento…

Complessivamente, dall’introduzione del contante in euro, i prezzi dei singoli prodotti e servizi nell’area, sottolinea la Bce, “hanno seguito andamenti fortemente divergenti. A fronte dell’impatto al rialzo dei prezzi dei beni energetici e alimentari dovuto agli shock sulle quotazioni mondiali delle materie prime, c’è stato l’effetto frenante dei prezzi dei beni Tlc, determinato dai progressi tecnologici in questo settore. Nel contempo, la dinamica dei prezzi dei servizi è rimasta sostanzialmente in linea con il tasso di inflazione armonizzata“. Signori della Bce: che film avete visto in questi 10 anni?

Luce e gas: mini stangata da gennaio

di Alessia CASIRAGHI

Da gennaio 2012 le tariffe di luce e gas potrebbero aumentare, rispettivamente, del 4,8% e del 2,7%. In cifre l’aumento costerà alle famiglie italiane oltre 53 euro. Lo annuncia Nomisma Energia che ha stimato i rincari medi per famiglia italiana, in attesa dell’aggiornamento dell’Authority per l’energia atteso entro fine 2011.

Nel dettaglio: le tariffe elettriche dal 1 gennaio 2012 dovrebbero crescere del 4,8%, con un aumento pari a 0,8 centesimi al chilowattora. Per un campione di famiglia tipo, che spende in media 2.400 chilowattora in l’anno e 3 kw di potenza impegnata, questo significa che l’aumento sarebbe pari a 21,5 euro su base annua. Le tariffe del gas cresceranno invece del 2,7%, ossia 2,3 centesimi al metro cubo: con 1.400 metri cubi di metano consumati in un anno l’aumento sarà pari a 32 euro annui. In soldoni l’aumento di luce e gas ruberanno dalle tasche delle famiglie italiane 53 euro l’anno.

“Dopo la stangata sui prezzi della benzina, che l’hanno spinta nei distributori italiani ai massimi d’Europa, arriva un’altra batosta con le tariffe di luce e gas – sottolinea Davide Tabarelli, esperto di Nomisma Energia – a conferma che l’energia è il bene più tartassato per i consumatori finali”.

Ma come sono state calcolate le stime di aumento per famiglie? Per il gas “il calcolo automatico è fissato dalle regole dell’Autorità che sconta gli aumenti dei mesi scorsi del greggio a cui si sommano alcune nuove componenti per il trasporto”. Più complesso il calcolo dei rincari per quanto riguarda l’elettricità: l’aumento è legato infatti ai maggiori costi di generazione elettrica sulla borsa, sommati al forte incremento degli oneri per finanziare i pannelli fotovoltaici e l’aumento dei costi di trasporto della corrente elettrica.

IMU: alle aziende costerà 1.159 euro l’anno

di Alessia CASIRAGHI

Stangata in arrivo per le imprese nel 2012 con l’introduzione dell’imu prevista dalla nuova manovra finanziaria. ”Nel 2012, l’introduzione dell’Imu comporterà un aumento medio delle imposte a carico delle attività economiche pari a 1.159 euro” denuncia Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. E per artigiani e industriali il conto finale potrebbe essere davvero salato, superando la cifra stellare di 1.500 euro all’anno.

I dati sono il frutto di una simulazione degli effetti economici che l’Imu potrebbe avere sui bilanci delle aziende italiane. Dal 2012, l’Imu interesserà le prime case, assorbirà l’Ici e l’Irpef sui redditi fondiari delle seconde case e sostituirà l’Ici sugli immobili strumentali. L’aliquota Imu, applicata agli uffici, ai negozi commerciali o ai capannoni produttivi, secondo le stime sarà nel 2012 del 7,6 per mille, mentre per il calcolo dell’Ici, si è fatto ricorso all’aliquota media nazionale applicata dai Comuni nel 2009, il 6,4 per mille.

L’equazione elaborata dalla Cgia tiene conto della rivalutazione dei coefficienti moltiplicatori applicati alle rendite catastali, che, a conseguenza del decreto ”salva-Italia”, sono passati da 34 a 55 per i negozi e le botteghe, da 50 a 80 per gli uffici e gli studi privati, da 100 a 160 per i laboratori artigianali e da 50 a 60 per i capannoni industriali e gli alberghi.

Il risultato? L’applicazione dell’Imu nel 2012 aumenterà la pressione fiscale sugli immobili produttivi di proprietà delle aziende per un valore complessivo di 1,57 miliardi di euro – pari ad un aumento medio per ciascuna azienda di 1.159 euro l’anno.

Ma come si arriva a questo coefficiente? 219,5 milioni di euro spetteranno ai negozianti (aumento pro azienda pari a 569 euro), 262 milioni di euro verranno distribuiti tra i liberi professionisti (+949 euro per ciascun proprietario), mentre 1,09 miliardi di euro saranno suddivisi tra gli industriali e gli artigiani (incremento annuo per ciascun imprenditore pari a 1.566 euro).

“Il risultato emerso da questa elaborazione ha confermato la grande preoccupazione sollevata in questi giorni da molti osservatori: lo scambio tra l’Ici e l’Imu rischia di non portare nessun vantaggio alle imprese – precisa Giuseppe Bortolussi. – Anzi è molto probabile che, se non saranno introdotte delle modifiche applicative, dal 2012 le imprese ed i liberi professionisti subiranno un ulteriore aggravio fiscale difficilmente sostenibile”.

Manovra, i consumatori: italiani spremuti

Mario Monti non fa sconti agli italiani, e nemmeno i consumatori. Avvezzi a fare i conti in tasca agli italiani e le pulci a chi ci fa le leggi o a chi cerca di fregarci ogni giorno, Adusbef e Federconsumatori non si sono fatti sfuggire l’occasione di calcolare quanto costerà la manovra salva-Italia ai comuni mortali, leggi no parlamentari né super-ricchi: 1.129 euro all’anno a famiglia al 2014, che, sommando anche le misure 2011 del governo Berlusconi, salgono a 3.160 euro. Un impatto sulla capacità di consumo pari al 7,6% annuo

Secondo i conti delle due associazioni, a regime le ricadute della manovra in via di approvazione saranno pari a 197 euro di tagli e 932 euro di imposte. I tagli: mancato adeguamento dell’indicizzazione delle pensioni oltre i 1.000 euro (34 euro l’anno), tagli agli enti locali (163 euro l’anno). Le imposte: evidenzia 270 euro da aumenti dell’Iva, 405 euro per l’Imu prima casa, 120 euro per le accise sulla benzina, 47 euro per il bollo sui depositi, 90 euro per l’addizionale regionale allo 0,3%. Il totale arriva a 1.129 euro l’anno, che salgono a 3.160 euro se si sommano le misure varate nel 2011 dal governo Berlusconi.

Pesante anche l’impatto sui consumi: nel 2014, una famiglia di tre persone con una retribuzione netta nel 2011 di circa 32mila euro registrerà una caduta nella capacità di consumo di circa il 7,6% annuo. Secondo le due associazioni, “una delle conseguenze di mancati interventi a sostegno del potere di acquisto delle famiglie con redditi medio-bassi (attraverso politiche fiscali e sostegni sociali) sarà quello di accentuare la recessione economica e le diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza“.