Perché la PA non paga le imprese?

di Davide PASSONI

Uno degli scandali più grandi dello Stato ladro che chiede, pretende e poco dà in cambio, è il ritardo cronico con cui salda i propri debiti alle imprese. Un ritardo che, spesso è un “mai”. Forse forse che lo Stato fa finta di nulla per anni per non aumentare il debito pubblico?

Una domanda che si è posta la santa Cgia di Mestre, la voce della coscienza delle imprese e dei professionisti italiani spremuti e mazziati, che da tempo si batte per ridurre i ritardi di pagamento tra la Pubblica amministrazione e le imprese private. Non per nulla, dalla Cgia ricordano che le imprese – a seguito di forniture, servizi od opere pubbliche eseguite – sono in credito con lo Stato di oltre 70 miliardi di euro, oltre 4 punti percentuali di Pil. Scandalo e vergogna.

Una domanda sorta osservando che, secondo il manuale del SEC95, che definisce le regole contabili che valgono per tutti i Paesi UE, i debiti commerciali verso le imprese private non devono essere contabilizzati nel bilancio pubblico. Gli effetti sulle casse pubbliche si fanno sentire solo nel momento in cui tali debiti vengono saldati, alimentando così il fabbisogno pubblico e peggiorando di conseguenza il rapporto tra debito e Pil. Pensa un po’ che furbata!

Tagliente, come sempre, Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre; “In linea di massima se lo Stato pagasse i 70 miliardi di euro che deve ai suoi creditori, il rapporto debito/Pil aumenterebbe di 4,3 punti percentuali, attestandosi attorno al 125%. Un risultato che, ovviamente, comporterebbe un aumento della spesa pubblica e il rischio di una caduta di credibilità e di fiducia dei mercati finanziari nei confronti del nostro Paese. Tuttavia questi mancati pagamenti stanno mettendo in gravissima difficoltà moltissime piccole imprese che, notoriamente, sono a corto di liquidità, con ricadute occupazionali molto preoccupanti”.

Infine, uno zuccherino al governo dei professori. La Cgia ricorda che il Governo Monti, grazie al decreto sulle liberalizzazioni, ha messo a disposizione della Pubblica amministrazione 5,7 miliardi di euro per saldare una parte dell’ammontare complessivo che deve ai privati e sta studiando, con il meccanismo del “pro solvendo”, una soluzione che potrebbe non trasformare questi debiti commerciali in finanziari. Se le cose andassero così, si potrebbe sbloccare il pagamento dell’intera massa di crediti che le aziende avanzano dallo Stato, scongiurando, da un lato, un’impennata del debito pubblico e garantendo, dall’altro, le più elementari condizioni di democrazia economica: ovvero, pagare i creditori dello Stato in tempi ragionevoli. Miraggio, pensiamo noi…

Voci dalla crisi – Basta Italia, vado all’estero

di Davide PASSONI

Un’altra lettera, un’altra storia, un’altra voce dalla crisi arrivata alla nostra redazione. La scorsa settimana era la storia di una farmacista, partitivista per forza e, a un anno dalla pensione, obbligata a pensare di dover continuare a lavorare in nero per poter vivere.

Oggi la testimonianza di un avvocato, una professionista che per poter vivere dignitosamente e sfuggire a un Fisco carogna e ai pessimi pagatori è stata costretta a fuggire all’estero. Fuga di cervelli, fuga di professionisti, fuga per la vita… Giudicate voi. Una lettera che, nel suo essere sintetico, trasuda indignazione verso un sistema che spesso, invece di valorizzare l’intrapresa, la castiga e la obbliga a rinnegare la propria missione.

La mia storia è semplice:
– conclusa giurisprudenza a Padova nei tempi più duri, “tiro su uno studio letteralmente dal nulla”, nel senso che ho scarse conoscenze e quindi scarse segnalazioni: i clienti e la loro fiducia me le devo proprio conquistare palmo a palmo;
– il tutto dal 1998 – anno in cui mi iscrivo all’Albo Avvocati, fino a fine 2008: senza fare parcelle stellari o evocare nei clienti l’immagine dell’avidità, riesco a mantenere una famiglia, costruire una casa in campagna, comprare una barchetta e un terreno;
– poi cambia tutto: parcelle di 5000 e più euro impagate, pochissimi nuovi incarichi;
– non ce la faccio a tenere in piedi un’attività professionale, mi metto alla ricerca di un lavoro dipendente;
– mi offrono un posto di lavoro oltralpe: vado. Fortuna che inglese, tedesco e spagnolo li ho imparati e sempre un po’ parlicchiati in varie occasioni;
– duemilatrecento euro per 14 mensilità: era un po’ che non entravano questi soldi netti e aiutano decisamente a farmi sentire un po’ tranquilla;
– ho 43 anni compiuti.
Cordialità.

Un avvocato

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Casa, gallina dalle uova d’oro. Per il Fisco

La casa diventa sempre più la croce degli italiani e la delizia del Fisco. Prima è toccato agli incrementi dell’Imu, adesso arrivano le maggiorazioni previste nel ddl sul lavoro per i proprietari di immobili che non applicano la cedolare secca.

Il risultato? Una doppia mazzata sulla rendita, che rischia però di riversarsi sugli inquilini in affitto, con un aumento dei cani stimato intorno al 20%. I conti li hanno fatti la Cgil e il Sunia, che hanno passato in rassegna gli effetti delle recenti misure di tassazione sulla casa, soprattutto per quanto riguarda famiglie in affitto con bassi redditi.

Secondo il sindacato, l’Imu per le seconde case, in assenza di una differenziazione per quelle date in affitto, vede aumenti che superano il 100% rispetto alla veccia Ici, “con il rischio serio che questi si riflettano sugli inquilini“. Calcola la Cgil che – secondo una parametro di riferimento medio dato da un’abitazione di circa 80 mq e ubicata in zona semicentrale – a Roma, per esempio, nel canale libero l’incremento è del 142%: da una vecchia Ici pari a 892 euro alla nuova Imu di 2.161, a fronte di un affitto mensile medio di 1.250 euro.

Per quanto riguarda Milano, invece, l’aumento dell’Imu è del 207%, per un totale di 1.958 euro e con un affitto medio mensile di 1.100 euro. A Bologna siamo al 198%, con un Imu pari a 1.915 euro a fronte di un affitto medio di 950 euro, mentre a Palermo si registra un +119% per un Imu pari a 834 euro rispetto a un affitto medio di 550 euro.

Laura LESEVRE

Tasse locali, quasi peggio di quelle statali

Lo Stato centrale sarà pure un ladro e una sanguisuga, ma gli enti locali non sono da meno. Lo conferma uno studio della Cgia di Mestre, secondo il quale le tasse locali pesano su ciascun italiano per 1.230 euro. Ma, secondo quanto emerso dallo studio dei Bortolussi Boys, il peggio deve ancora arrivare.

I cittadini più tartassati sono i lombardi, che nei primi 10 posti della classifica generale, riferita al 2011, ne occupano 8. In testa Varese, con una pressione tributaria locale pari a 1.714 euro pro capite, seguita da Lecco con 1.681. Al terzo posto ex aequo con una pressione tributaria locale pari 1.665 euro ci sono Bergamo, Monza e Bologna. Quarta Sondrio, con 1.650 euro poi Rieti e Pavia con 1630. Fanalini di coda Caltanisetta, con 789 euro pro capite, Agrigento con 767 e Lanusei, in Sardegna, con 671.

I risultati finali scaturiscono dalla sommatoria delle entrate tributarie versate da tutti i contribuenti al Comune, alla Provincia e alla Regione in rapporto alla popolazione residente.

Commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “Ricordo che il nostro sistema fiscale è basato sul principio della progressività; da ciò si evince che nelle realtà dove si versano più tasse i livelli di reddito sono mediamente più elevati e, quasi sempre, la qualità e la quantità dei servizi offerti sono migliori. Insomma, nei territori più ricchi si paga in misura maggiore, ma si riceve anche di più. Voglio altresì ricordare che la pressione tributaria locale della Lombardia è mediamente più elevata che nel resto del Paese perché è molto forte il carico fiscale riconducibile all’Irap. Una imposta, voglio ricordarlo, che, applicata dalle Regioni, viene pagata dalle imprese e non dai cittadini“.

L’elaborazione fornisce una stima del livello della pressione tributaria locale nei capoluoghi di provincia sulla base delle ultime informazioni disponibili, ossia quella riferita al 2011, subito prima della “raffica” di aumenti scatenata nel corso dell’anno con le due manovre d’estate approvate dal Governo Berlusconi (Dl 98/2011 e Dl 138/2011) e con il decreto “salva Italia” (Dl 201/2011). Mancano quindi l’IMU e l’aumento dello 0,33% dell’aliquota base dell’addizionale regionale IRPEF. Due misure che comporteranno un maggior gettito complessivo di 12,8 miliardi di euro che però finiranno completamente nelle casse dello Stato. Per avere più risorse Regioni ed enti locali dovranno mettere mano alle aliquote.

Pertanto – prosegue Bortolussiè certo che nel 2012 assisteremo ad una impennata impressionante della tassazione locale, con effetti per le casse delle Regioni e degli Enti locali molto modeste”.

Riguardo alle regioni si sono considerati unicamente i tributi propri (Irap, addizionale Irpef, bollo auto), quella parte di entrate tributarie sulle quali le Regioni hanno margini di manovra.

Per le Province si sono esaminate le entrate tributarie al netto della compartecipazione IRPEF, in quanto su questa voce le Province non hanno possibilità di intervento.

Anche per i Comuni, la pressione tributaria è stata calcolata considerando le entrate tributarie al netto della compartecipazione IRPEF. Tuttavia, non è stato possibile utilizzare i bilanci di previsione 2011 perché si sono riscontrate differenti modalità di compilazione dei bilanci stessi. Il 2011 è infatti il primo anno di applicazione del Fondo sperimentale di riequilibrio, alimentato da quote di tributi sugli immobili e dalla cedolare secca, che sostituisce i vecchi trasferimenti. Alcuni comuni hanno redatto il bilancio 2011 conteggiando le risorse del Fondo nel titolo 2 (dove figurano anche i trasferimenti dall’UE, dalla Regione e dalla Provincia), mentre altri hanno imputato le risorse del Fondo tra le entrate tributarie. Ricordiamo, tuttavia, che il Fondo non può essere considerato un tributo proprio, perché alimentato da tributi statali. Per tali ragioni e per garantire la massima confrontabilità possibile dei dati, si è preferito utilizzare i bilanci consuntivi 2010 (Ministero dell’Interno).

Un ultima precisazione sui dati del Comune di Venezia e della Regione Valle d’Aosta, depurati dai proventi dei rispettivi Casinò. Ma la sostanza non cambia: spremuti e mazziati.

Voci dalla crisi – “Capisco quelli che si danno fuoco”

di Davide PASSONI

Riceviamo e non volentieri pubblichiamo. Non volentieri per ciò che ci tocca leggere, non certo perché non vogliamo dare spazio a storie come questa.

Gentile redazione, sono una “vecchia” farmacista (63 anni), ho lavorato prima nella farmacia di mio padre, poi ne sono diventata titolare, per cui sempre iscritta solo all’ENPAF. Alcuni anni fa per problemi famigliari e di salute ho dovuto vendere la farmacia e da allora ho sempre lavorato con p. iva fino a due anni fa nella mia ex farmacia, poi nella farmacia di una mia amica. Non posso dire che cosa mi rimane in tasca tra le spese benzina, tasse, contributi ENPAF che devo pagare per intero, iscrizione ordine dei farmacisti e una grande stanchezza, visto la non più giovane età…

Ora sono stata lasciata a casa, lavoro solo due mezzi pomeriggi, perché con la nuova legge la mia amica ha paura di multe, perché faccio un lavoro continuativo presso un solo datore. Il 30/09/2013 arriverò alla pensione (folle cifra di 600 euro), se la salute regge vorrei continuare a lavorare, perché non posso permettermi di non farlo. Io ho venduto tutta l’argenteria di casa, i gioielli di mia madre e capisco quelli che si danno fuoco, che si buttano dai balconi!

Scusate per lo sfogo, grazie. (Lettera firmata)

Grazie a lei, signora! Questa lettera è stata scelta tra le tante arrivate alla nostra redazione perché offre diversi e amari spunti. Intanto, la nostra lettrice è una partitivista forzata. E, come partitivista, si ritrova a essere tartassata e additata come possibile truffatrice. Poi è una donna, una di quelle donne che intravedono il miraggio della pensione e sanno già che quello che, per tanti, è un periodo finalmente sereno, per lei sarà solo un altro vagone da attaccare al treno della propria vita lavorativa. Altro che relax, tè con le amiche e nipotini da curare. Dove vogliamo andare, oggi con 600 euro di pensione al mese.

Poi, ancora, è una di quelle persone che, nel momento in cui percepirà la pensione e continuerà a lavorare (come scrive), sarà additata come una donna spregevole che sottrae un posto di lavoro a un giovane, lavora in nero e, scandalo!, evade le tasse. L’alternativa a tutto questo? Morire di fame, forse.

Badate, con questo non diciamo che evadere è lecito o bello. Quante volte da queste pagine avete letto del nostro plauso a Befera e ai suoi collaboratori… Prendiamo solo atto di una situazione nella quale la nostra lettrice si trova ora e si troverà tra un anno e mezzo (“se la salute regge“, come ha scritto lei) e che è figlia non tanto della crisi quanto di un intreccio malato tra mercato del lavoro, sistema fiscale e sistema pensionistico i quali, ciascuno per la propria parte e con le proprie storture, finiscono per stritolare i soggetti meno protetti della società: coloro che non hanno la certezza di un reddito, non si possono ricollocare professionalmente, sono donne.

Cara lettrice, non guardi chi si butta di sotto o si dà fuoco. Tenga duro e si faccia sentire.

Cari professori al governo, questa è una delle tante lettere che arrivano non solo a noi ma anche a tante altre testate – di carta, sul web, in radio, in tv – in questo periodo nel quale la raccolta di tali testimonianze è diventata quasi una moda: fa lettori, fa opinione, fa vedere di essere “sul pezzo”. Per noi di Infoiva non è una moda, è una missione. Per voi, invece, deve diventare un’ossessione.

Non pensiamo, come quell’invasato di Antonio Di Pietro, che voi abbiate sulla coscienza i suicidi di chi non ce la fa più; pensiamo, più ottimisticamente, che abbiate le chiavi per fare in modo che non accadano. Chiavi che si chiamano tagli alla spesa pubblica, tagli agli sprechi, tagli alle inefficienze, tagli ai privilegi, tagli – conseguenti – alle imposte su imprese e cittadini, incentivi – conseguenti – alle imprese che, con chi le crea e chi ci lavora, tengono in piedi l’Italia. Frugate nelle vostre tasche piene – non come le nostre, vuote – e trovatele queste chiavi. E una volta trovate, usatele: ve lo chiedono in tanti che sono nelle condizioni della nostra farmacista.

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IMUrtacci tua! Un altro scivolone del governo Monti

di Davide PASSONI

Ve lo ricordate tutto il polverone sollevato qualche mese fa dalla decisione del Governo Monti di far pagare l’Imu agli immobili eccelsiastici che ospitino attività con finalità di lucro? Come no… Applausi, consensi, una vera e propria beatificazione del presidente del Consiglio che, in quattro e quattr’otto, aveva dato una botta a una questione che si trascinava da decenni.

Ora la sorpresa. Scopriamo infatti che, mentre la maggior parte degli italiani aspetta con timore la scadenza del 18 giugno per capire quanto dovrà versare di acconto Imu (e ancora, crediamo, non percepisce la portata della stangata che la aspetterà a dicembre con il saldo), da questa imposta sono esentati gli edifici che ospitano le fondazioni bancarie.

Sì, abbiamo capito bene. Le fondazioni bancarie non pagheranno l’Imu per gli immobili che le ospitano. Ma come, un convitto gestito dalle suore, attività evidentemente a fini di lucro, pagherà questa imposta e le fondazioni che controllano le banche (a loro volta non proprio delle Onlus) no? Plauso e merito all’opera delle fondazioni bancarie, in sé non lucrative; ma come la mettiamo con gli istituti che controllano? Mah…

Questo governo di tecnici ci lascia ogni giorno sempre più perplessi e cominciamo a credere che certe topiche e certi errori, che violano i principi di equità ed uguaglianza dei cittadini, non siano più errori dovuti a inesperienza politica quanto degli scivoloni dovuti a disattenzione. Ma è mai possibile che anche sotto la guida dei professori la spesa pubblica stia continuando a crescere? E’ mai possibile che l’Esecutivo sostenga di non poter tagliare la spesa corrente perché non ha avuto il mandato politico per farlo? E che cosa ce li hanno messi a fare allora ‘sti professori? Se lo facciano dare da Napolitano questo mandato politico, visto che i partiti, di destra e di sinistra, lo hanno avuto per decenni e non hanno fatto nulla, per non erodere consensi elettorali.

Dimostrino, Monti e i suoi, di avere davvero le mani libere non solo per continuare a infilarle nelle tasche di chi ha già e ha sempre dato, ma anche per tagliare spesa pubblica e inefficienze, privilegi non solo della casta, fare una seria spending review (dov’è, ministro Giarda? Dov’è?) e, con le miliardate che arriverebbero da un’azione del genere, abbassare veramente le tasse alle imprese e ai cittadini. Altrimenti la ripresa ce la sogniamo. Erodere il potere di acquisto significa ammazzare i consumi, ammazzare i consumi significa ammazzare l’economia, ammazzare l’economia significa ammazzare l’Italia.

E sorridiamo amaramente quando il premier, forse ancora scosso dal jet lag del suo viaggio in Asia, dice che in Europa la fase acuta della crisi è alle spalle. Pare di sentire il suo predecessore quando a ottobre, con l’Italia sull’orlo del precipizio, parlava di ristoranti pieni, aerei stracolmi, posti di vacanza tutti esauriti. Sveglia. Il vero bubbone sotto l’ascella dell’Italia è lì, nella spesa pubblica che NON SI VUOLE tagliare. L’evasione fiscale, al confronto, è un brufolo in mezzo alla fronte: più antiestetico e più evidente, ma forse un po’ meno mortale.

Fisco, avanti coi blitz. Azione o vessazione?

di Davide PASSONI

Show must go on, cantavano i Queen. Una canzone che al direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, doveva girare in testa quando ieri ha presentato il Rapporto sui risultati del 2011 e le prospettive per il 2012 dell’Agenzia. Sì, perché nel mare di cifre e dati uscito dal rapporto, la cosa che giornalisticamente fa più notizia è che i blitz in stile Cortina, Portofino eccetera continueranno: “Rientrano nella nostra attività ordinaria e proseguiranno – ha detto Befera -. Si tratta di operazioni che vengono messe in campo dopo una selezione accurata. Non controlliamo chi passa per caso“.

Venendo alle crude cifre, nel 2011 sono stati incassati 12,7 miliardi, +15,5% rispetto al 2010. Di questi, i versamenti diretti ammontano a 8,2 miliardi, il riscosso da ruoli a 4,5 miliardi. L’incremento delle somme incassate direttamente dall’attività di accertamento e di liquidazione delle dichiarazioni ha interessato tutte le tipologie di contribuenti: dai grandi (31% del totale del risultato) alle imprese di piccole dimensioni e i lavoratori autonomi (25%), alle persone fisiche (27%). A fronte di una diminuzione del numero di accertamenti (-1,2%, da 706mila a 697mila), la maggiore imposta accertata è aumentata del 9,3% e ha superato la quota di 30,4 miliardi contro i 27,8 del 2010.

Caso o non caso, intanto che i Befera Boys presentavano le cifre del loro lavoro nel 2011, l’Eurispes diffondeva il suo rapporto sull’economia sommersa: un fenomeno che, in Italia, vale 540 miliardi di euro, il 35% del nostro Pil. Le rilevazioni dell’Eurispes sono impietose: il 53% dell’economia in nero è rappresentato dal lavoro sommerso, il 29,5% dall’evasione fiscale di aziende e imprese, il 17,6% dalla cosiddetta economia informale. Un mondo che non interessa solo i grandi evasori: secondo Eurispes, coinvolge tanti cittadini comuni che lavorano in nero, magari come secondo lavoro.

Anche per questo i blitz dell’Agenzia delle Entrate continueranno. Sia chiaro, chi scrive è favorevole a questo tipo di iniziativa: certo, si fa come quando, a scuola, il professore entrava in classe e annunciava il compito in classe a sorpresa, di fatto veniamo trattati come dei bambini. Ma l’effetto psicologico dei blitz vale infinitamente di più delle somme che vengono recuperate. Non avete notato come sono diventati ligi allo scontrino i dettaglianti? Eppure bisogna stare molto attenti a distinguere queste iniziative dall’accanimento fiscale contro gli imprenditori onesti che non sono evasori per il solo fatto di avere un’impresa propria e che, come spesso accade, le tasse le pagano, anche oltre il lecito. Questo è il vero discrimine per separare l’azione dalla vessazione, visto che praticamente nulla si può fare per eliminare l’asimmetria fiscale per cui lo Stato pretende ed esegue quando è a debito, dilaziona e glissa quando è a credito. Quanti altri imprenditori onesti, sennò, decideranno ancora di darsi fuoco?

La busta? Non paga più

di Davide PASSONI

Conto alla rovescia per l’ennesima stangata contro di noi, cittadini-sudditi del Fisco. Il decreto salva-Italia, infatti, non salverà gli italiani che possono contare su un reddito fisso né gli imprenditori che vedono aumentare sempre di più il costo del lavoro e e pagano pesantemente la riforma in discussione in questi giorni in quel di Roma.

Se la prima, vera, sassata arriverà a giugno con l’Imu, già da questo mese lo stipendio dei lavoratori dipendenti e le pensioni dovranno essere zavorrate a terra, talmente saranno leggeri. Tutto merito (si fa per dire) delle addizionali regionali e comunali Irpef. I conti li ha fatti il Caf-Cisl nazionale, secondo il quale l’aumento del prelievo che scatterà per tutti sulle addizionali regionali sarà dello 0,33%. Un valore che, calato in esempi della quotidianità, significa che un lavoratore che percepisce 1.200 euro lordi al mese avrà trattenute ulteriori 51 euro in un anno, a partire da marzo. E deve sperare che il suo comune sia distratto: se ha già stabilito l’aumento dell’Irpef comunale, la trattenuta potrà arrivare fino a 98 euro all’anno.

C’è di buono che non tutte le amministrazioni comunali utilizzeranno l’aumento dell’Irpef per aumentare i propri introiti, come concesso dalla manovra di Ferragosto (opera del governo Berlusconi); una manovra che ha riconosciuto ai Comuni la possibilità di aumentare l’imposta sulle persone fisiche fino a un massimo dello 0,8%. Una manovra che lasciato più buchi che pezze e che fa sentire i sui effetti a quasi otto mesi di distanza.

Ma qualcuno pensa che qualche comune, alla fine, non aumenterà l’Irpef? Illuso! Prepariamoci, a meno che non abbiamo un reddito o una pensione talmente bassi da non pagare l’Irpef principale: in questo caso non dovremo subire aumenti di Irpef regionale e comunale. Ma dovremmo percepire una pensione massima di 7.535 euro all’anno (7.785 se over 75) o un reddito fino a 8.030 euro lordi all’anno. Praticamente 4 gatti, magari con un Suv in garage e casa a Cortina…

A proposito… Non dimentichiamo che l’aliquota base dell’Irpef è già passata da 0,9% a 1,23%, con facoltà, da parte delle regioni, di aumentarla ulteriormente all’1,73% fino a un massimo del 2,03%. Dipende dalla Regione, dipende da dove la sorte ci ha portati ad abitare. Perché con un fisco così, il caso e la sorte valgono più delle regole dell’economia.

Pmi nella morsa fiscale: non facciamole soffocare

di Davide PASSONI

Da queste pagine non amiamo diffondere allarmismi. Pensiamo che la crisi vada affrontata di petto, a testa alta ma senza incoscienza. Eppure siamo comunque grati a chi, con la sua opera quotidiana di studio e analisi, mette in luce i tanti aspetti critici del nostro sistema economico e produttivo.

Questa volta tocca a Confesercenti, che con uno studio sulle ricadute fiscali degli ultimi provvedimenti governativi sulle Pmi ha messo in luce come tra queste stia crescendo la preoccupazione per la morsa nella quale vengono sempre più strette, fra balzelli che aumentano e i nuovi maggiori costi che rischiano di abbattersi, solo su di loro, dalla annunciata riforma del mercato del lavoro.

Un esempio? Secondo Confesercenti, un piccolo imprenditore – fatturato 50mila euro, con un locale dove operare di 100 mq. – dovrà sopportare un onere aggiuntivo annuo che oscilla fra i 3530 euro e i 5180 a seconda della località in cui opera. tanta roba, specialmente di questi tempi.

Una mazzata che è la conseguenza dell’aumento dei contributi sociali (450 euro nel 2012, fino a e 1200 nel 2018), dei costi amministrativi che seguono l’uscita dal regime dei minimi su 500mila situazioni (1500 euro), dell’aumento dell’Imu (dai 700 euro di Milano fino ai 1600 di Roma), della nuova tassa dei rifiuti (30 euro) e del mancato trasferimento sui prezzi di metà dell’aumento dell’Iva (850 euro).

Una pioggia di ritocchi che si può facilmente semplificare:
IVA: aumento dell’aliquota ordinaria (dal 20% al 23,5%) e di quella ridotta (dal 10% al 12,5%), per un maggior prelievo di 20 miliardi e 600 milioni;
Tassa rifiuti: +1 miliardo all’anno, che grava soprattutto su locali commerciali e laboratori artigiani;
Aumento contributi per artigiani e commercianti: tra i 1200 e i 2000 euro l’anno, totale di 2,7 miliardi di euro;
Spese di passaggio al regime semplificato: oltre 1500 euro l’anno.

Avete notato? Su quattro voci, tre parlano di aumenti di tasse e imposte. Ma dove vogliamo andare? Lo abbiamo già scritto ieri: costruire gli avanzi primari dello Stato senza cedere parte del patrimonio dello Stato stesso e senza alleggerire la pressione fiscale sulle imprese, per far ripartire la crescita, è un’operazione a perdere. Lo dice anche Confesercenti, secondo cui “è profondamente sbagliato e assai poco lungimirante caricare le Pmi di nuovi oneri sul lavoro proprio mentre è in atto un forte appesantimento degli oneri sul piano fiscale e i consumi calano in modo sempre più allarmante“.

Pensare di risanare i conti pubblici soprattutto per via fiscale – lo ha fatto il contestatissimo governo Berlusconi, lo sta facendo di nuovo e di più il governo Monti (ma pare che nessuno se ne accorga…) – è una prassi che genera mostri. Sia su chi si ritrova delle buste paga leggerissime, sia su chi queste buste paga le deve erogare. E magari scopre di non essere più in grado di farlo, perché da una parte la crisi e dall’altra il fisco vorace gli hanno portato via tutto. A volte persino la dignità e la voglia di continuare non solo a essere imprenditore, ma anche la voglia di vivere.

Siamo tutti sudditi del fisco

di Davide PASSONI

E ci voleva il Garante della Privacy per ricordarci che, più che cittadini, siamo dei sudditi? Il professor Francesco Pizzetti è infatti arrivato alla fine del suo mandato di sette anni e ha calato il carico: una bordata contro i controlli degni della Stasi che lo Stato sta mettendo in campo a danno dei contribuenti onesti per contrastare (cosa sacrosanta) l’evasione fiscale. Un discorso che non ha lasciato spazio a fraintendimenti, specialmente in passaggi come questi:  “Comprendiamo le ragioni di tutto questo, legate a un’evasione fiscale e a forme di illegalità che richiedono interventi di straordinaria efficacia. Dobbiamo però essere consapevoli che siamo in presenza di strappi forti allo Stato di diritto e al concetto di cittadino che ne è alla radice”. “È proprio dei sudditi essere considerati dei potenziali mariuoli. È proprio dello Stato non democratico pensare che i propri cittadini siano tutti possibili violatori delle leggi. In uno Stato democratico, il cittadino ha il diritto di essere rispettato fino a che non violi le leggi, non di essere un sospettato a priori”.

Eccoci qua. Finalmente qualcuno che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno; perché, nonostante in tanti si riempiano la bocca dicendo che sì, le piccole e medie imprese sono l’ossigeno dell’economia italiana, che i professionisti sono una risorsa per il nostro sistema produttivo, la realtà è un’altra: lo Stato e il fisco trattano chiunque non sia sottoposto a sostituto d’imposta come un sicuro, nemmeno più possibile, evasore fiscale. Ogni cittadino che ha la sventura di scommettere su se stesso per emergere tramite la sua volontà d’impresa, si vede subito additato come un mariuolo (suddito!!) e, come tale, va vessato, oltre che con una pressione fiscale assurda, con richieste e trappole di ogni tipo per vedere quanto (non “se”) evade le tasse. Ogni imprenditore che lascia allo Stato ladro e al fisco vorace due terzi di quanto guadagna , si becca pure del furfante a priori. E ci voleva Pizzetti per ricordarci che è una bastardata?

Vero che questi “interventi di straordinaria efficacia” sono resi necessari da una quantità di evasione fiscale seconda, in Europa, solo a quella che si registra in Grecia, ma ci stiamo ancora a essere trattati da sudditi-capre da uno Stato che, quando è a credito, è rigido e inflessibile, mentre quando è a debito si prende il tempo che gli pare e fa e disfa leggi e regolamenti apposta per dilazionare i propri pagamenti? Noi no. E non ci stava nemmeno quella cinquantina di imprenditori che nell’ultimo anno si è tolta la vita proprio perché evadeva talmente tanto il fisco (brutti e cattivi lavoratori autonomi…) che non aveva di che pagare i propri dipendenti. Uomini che hanno anteposto la propria dignità di imprenditori onesti – non certo di evasori – alle carognate del fisco. Uomini che, pur di non lasciare in mezzo alla strada i propri dipendenti, si sono tolti di mezzo da sé. Pensiamo anche a loro prima di sparare contro il professor Pizzetti.