Stellantis Melfi, a rischio l’indotto? l’azienda pensa di internalizzare alcune attività

Aria di preoccupazione a Stellantis, nello stabilimento di località San Nicola di Melfi. Se c’è uno stabilimento industriale italiano che oggi sta vivendo una fase assai particolare vista la grave e perdurante crisi questo stabilimento è senza dubbio quello Stellantis di Melfi. Nella fabbrica ex Fiat ed ec FCA sita in Basilicata, a Melfi, in Provincia di Potenza, la situazione sembra diventare sempre più incandescente. Parliamo di uno stabilimento dove notoriamente prima FCA e adesso Stellantis, producono oltre la metà delle auto che generalmente l’azienda produce in Italia ogni anno. Quindi, l’importanza dello stabilimento è evidente sia per le questioni industriali della casa madre che per il tessuto sociale ed economico della zona. Lo stabilimento di località San Nicola di Melfi infatti è la più grande fonte di PIL dell’intera Regione Basilicata.

Cosa è messo a rischio a Melfi viste le iniziative di Stellantis

Al netto della notoria rilevanza dello stabilimento, c’è uno spaccato interno alla fabbrica e all’intero polo produttivo che è più di altri sta vivendo una situazione, per così dire, drammatica. Questo settore è senza dubbio l’indotto. Nel grande stabilimento di Stellantis a Melfi, non c’è solo la fabbrica interna del gruppo italo francese nato dalla fusione di PSA con FCA. Non c’è solo la fabbrica dove effettivamente vengono prodotte le auto del quarto produttore mondiale di automobili qual’è effettivamente Stellantis. Il polo produttivo di località San Nicola di Melfi è composto da tante piccole e medie realtà industriali che compongono il cosiddetto indotto. Ed è proprio la situazione nell’indotto quella che è più allarmante secondo politici, sindacati e lavoratori.

Le allarmanti voci dall’indotto di Melfi

Portare alcune attività di cui oggi ha cura l’indotto, all’interno di Stellantis non può che allarmare. Infatti gioco forza significa mettere a repentaglio diversi posti di lavoro. Significa potenzialmente un netto taglio di posti di lavoro e smentite non ne arrivano. L’uncia certezza è che effettivamente l’indirizzo di Stellantis sembra essere proprio quello di portare diverse attività al di fuori del perimetro dell’indotto. E questa cosa è nota a tutti come il fatto che i lavoratori dell’indotto hanno meno tutele rispetto a quelli della casa madre. La potenziale chiusura di piccole e medie realtà dell’indotto mettonoin serio pericolo i posti di lavoro ma anche il tessuto sociale della Basilicata. E sono cose queste, molto importanti.

Il presidio in Basilicata davanti la Regione per lavoratori dell’indotto Stellantis

A Melfi si inizia a muovere il malcontento. La dimostrazione è il presidio terminato alle 22:00 del 6 agosto sotto la sede del palazzo della Regione a Potenza. I sindacati si stanno muovendo, chiedendo alla politica di aprire tavoli e all’azienda di fermare ipotizzabili lettere di licenziamento. Presto ci saranno aggiornamenti, anche se la preoccupazione è sempre in aumento.

Stellantis: l’indotto destinato a sparire? ecco le ultime notizie

Dopo la mobilizzazione di venerdì scorso con tanto di sciopero dei lavoratori del settore logistica dello stabilimento Stellantis di Melfi, sono diverse le novità che emergono per quanto riguarda la fabbrica di auto Lucana. Ma sono novità che per forza di cose finiscono con l’essere interessanti anche per tutte le altre sedi produttive dell’ex FCA. In località San Nicola di Melfi sorge uno dei più importanti poli produttivi del colosso dell’Automotive nato dalla fusione di PSA con FCA. Ormai da tempo sono balzate agli onori della cronaca le vicissitudini del colosso italo francese dell’industria automobilistica. È tra i settori in sofferenza in tutti gli stabilimenti Italiani nel gruppo, senza dubbio l’indotto, naturalmente servizi compresi.

Cosa sta accadendo all’indotto di Stellantis in Italia

Stellantis è il quarto produttore di auto al Mondo, un autentico colosso del settore automobilistico che ha diversi stabilimenti in Italia, da Nord a Sud. A Melfi da tempo si parla sempre di lunghi periodi di cassa integrazione, di chiusure periodiche delle lavorazioni, di esodi incentivati o contratti di solidarietà. E gli operai si mobilitano. Con lo sciopero del settore logistica di venerdì scorso sono emerse alcune considerazioni relative all’indirizzo che sta prendendo la direzione aziendale di Stellanti nello stabilimento di località San Nicola di Melfi in Basilicata. Uno dei settori forse sottovalutato, ma oggettivamente tra i più importanti da sempre, è rappresentarlo all’indotto. In Italia si tratta di uno spaccato degli stabilimenti produttivi dell’ex Fiat, composto per lo più da tante piccole realtà industriali. Piccole fabbriche che danno lavoro a tantissimi operai. E che, soprattutto in Basilicata, rappresentano una soluzione al problema occupazionale quasi pari pari a quelle di Stellantis intesa come casa madre.

Dall’esterno all’interno, ecco cosa succede alle lavorazioni di Melfi

Pare che dal punto di vista organizzativo l’azienda stia vertendo verso l’internazionalizzazione di numerose attività che prima erano dislocate proprio alle piccole fabbriche della linea dell’indotto. Stellantis in parole povere sta portando molte delle attività dell’indotto all’interno di Stellantis stesso. Gli operai interni della società iniziano già a svolgere attività che prima non svolgevano proprio perché assegnate all’esterno. “Stellantis vuole produrre tutto da sola”, questo è quello che molti lavoratori hanno esternato il giorno dello sciopero che ha riguardato proprio l’indotto. Come si legge sulle pagine del sito “basilicata24.it”,  c’è addirittura chi pensa che presto saranno gli stessi operai assunti direttamente da Stellantis ad occuparsi perfino di servizi quali le pulizie o la gestione degli spazi comuni del polo produttivo.

La linea aziendale è stata chiara fin da subito

Abbattere i costi di produzione è uno dei principali obiettivi che è il CEO Carlos Tavares si è prefissato film dal momento del suo insediamento a capo del gruppo. Il manager portoghese ha immediatamente criticato le modalità produttive italiane, stabilendo la necessità di contenere i costi. E ridurre i costi significa, secondo gli allarmismi dei lavoratori, anche eliminare gran parte delle produzioni prima riservate proprio all’indotto. Secondo i lavoratori presto molti di loro dovranno svolgere attività che prima non erano loro demandate. Il principale timore è quello che è presto in Stellantis si adotterà anche in Italia quello che molti considerano il modello francese. In altri termini, ciò che succede in Francia per le produzioni di Peugeot. Produzioni quindi senza indotto, con l’azienda madre che fa tutto da sola.

Nonostante lo sciopero, auto prodotte comunque a Melfi da Stellantis

La dimostrazione si è avuta, anche se a ritmi ridotti, proprio venerdì con lo sciopero dell’indotto. Infatti pare che è le auto siano state prodotte lo stesso, anche se in numero inferiore rispetto al solito. In altri termini le attività dell’indotto sono state coperte durante lo sciopero dal lavoratori interinali, i cosiddetti somministrati. È quello che emerge dalle dichiarazioni di alcuni lavoratori rilasciate proprio al sito primato; e il segnale che conferma i timori di una azienda madre che vuole annettere al suo interno gran parte delle attività che portano all’auto finita è completata.

Crisi del settore e carenza semiconduttori: Stellantis a Melfi chiude di nuovo

Continuano gli alti e bassi di produzione per lo stabilimento Stellantis di località San Nicola Melfi. Continuano quindi i periodi di chiusura con relativa cassa integrazione dei lavoratori dello stabilimento ex FCA in Provincia di Potenza. È da quando si è insediata Stellantis, cioè da quando a seguito di fusione tra gli italiani di FCA e i francesi di PSA è nato il quarto produttore mondiale di auto, che a Melfi come negli altri stabilimenti del gruppo, continuano i periodi di chiusura. E notizia dell’ultima ora è che la settimana prossima a Melfi si tornerà a chiudere. Nuova chiusura e sempre per le stesse motivazioni. Infatti ecco di nuovo la carenza dei semiconduttori, a cui però stavolta si aggiungono le mancanze di altre componenti.

Nuove chiusure nello stabilimento Stellantis di Melfi

Stellantis ferma lo stabilimento di Melfi la settimana che va dal 6 giugno prossimo al 12 giugno. La carenza dei soliti microchip di provenienza asiatica, è alla base di questa nuova fermata. Ma la notizia, resa pubblica e confermata dai rappresentanti sindacali dei lavoratori, mette in evidenza che sono anche le altre componenti delle auto a mancare. Un problema in più quindi per il proseguo dell’attività in fabbrica. Si blocca di nuovo quindi la fabbrica dove Stellantis costruisce circa la metà di tutte le auto che ogni anno produce in Italia. Infatti ancora oggi nello stabilimento Lucano di Melfi, l’azienda produce le Fiat 500X e le due Jeep la Renegade e la Compass. E lo stabilimento sarà presto interessato dalla produzione di 4 nuovi veicoli elettrici al posto di quelli prima citati.

Ecco cosa sta per accadere a Melfi per lo stabilimento ex FCA

La chiusura è stata ufficializzata come avevamo detto, dai sindacati. È la UILM, cioè la branca dei metalmeccanici della UIL, per voce di Marco Lomio ha confermato che sono proprio le carenze di componentistica a minare la prosecuzione delle attività. Dopo il mese di maggio dove tutto era filato via liscio come l’olio, con attività costante e senza interruzioni, ecco che si torna a chiudere. Nuove giornate di stop quindi confermate e Stellantis chiuderà le operazioni per 5 giorni. Interessati 7000 e più operai che prestano servizio a Melfi. Lo stop si collega ad un periodo di ferie con tanto di ponte introdotto dal 2 giugno a seguito della ricorrente festa della Repubblica. Si presentano quindi gli stessi problemi per lo stabilimento lucano in Stellantis. E si torna a parlare di soldi di dubbi che accompagnano la permanenza a livello occupazionale e laboratori nella struttura.

Stellantis: cos’è il contratto di agenzia che ha cambiato o concessionari

Tutto pronto per i contratti di agenzia nel 2023. Tutto era già previsto da tempo. Ma, come si legge sul sito di Quattroruote, anche nella galassia Stellantis parte il mandato di agenzia dal prossimo anno.

Cosa cambia nell’universo Stellantis con il contratto di agenzia

Ricapitolando, via ai contratti di agenzia nel 2023 per i concessionari Stellantis. Il tanto discusso cambiamento di rotta si materializza in pieno quindi. E dopo le polemiche iniziali, la realtà si abbatterà sugli utili per queste tipologie di attività. Per i contratti di agenzia, come scrivono su Quattroruote, la commissione dovrebbe assestarsi sul 5%. Oggi invece molto più alte le commissioni che si caricano le concessionarie. È anche vero però che si abbatteranno notevolmente i costi. La head sales & marketing Enlarged Europe di Stellantis, cioè il manager Maria Grazia Davino, durante la Kermesse dell’Automotive Dealer Day ha presentato il progetto.

Un progetto che sarà graduale

Nella Kermesse che si è tenuta a Verona, la rappresentante di Stellantis ha sottolineato che si partirà per gradi, perché ci sarà una fase di sperimentazione per un progetto che vedrà nell’anno 2026 quello decisivo per la sua definiva entrata in funzione a macchia d’olio. Austria, Belgio e Olanda daranno i Paesi dove inizialmente si partirà con questo progetto. E riguarderà i marchi DS, Lancia ed Alfa Romeo. Poi ad estate inoltrata dovrebbe toccare ai concessionari dei furgoni, cioè dei veicoli commerciali leggeri. Il 2026 come già detto sarà l’anno conclusivo.
Contratto di agenzia quindi, ma con un meccanismo premiale. Un modo per tenere sul pezzo i cosiddetti dealer. Il concessionario che diventa di fatto agente dovrà per forza di cose aumentare i servizi offerti alla clientela. In sostanza, si guarda al mondo del noleggio a lungo termine per un salto di qualità dell’intero settore dell’Automotive.

Stellantis e Gigafactory a Termoli, le ultime notizie

La mobilità su gomma ormai è indirizzata verso la sostenibilità. Dai motori termici e endotermici, a benzina o a gasolio, si passerà ai motori elettrici. Ormai è più di una certezza questa. Tanto è vero che adesso anche le attività nelle fabbriche italiane del colosso dell’Automotive nato dalla fusione tra PSA ed FCA, stanno per essere cambiate. Produrre auto elettriche è un’altra cosa rispetto a quelle con propulsori diesel o benzina. Lo dimostra il fatto che a Termoli, in uno degli stabilimenti Stellantis italiani, siamo alle porte della riconversione da fabbrica di motori a fabbrica di batterie. Naturalmente batterie per auto elettriche.

Termoli, come Stellantis è arrivata a scegliere il Molise

E dall’estate 2021 che Stellantis ha deciso di costruire in Molise la prima fabbrica Italiana di batterie per veicoli elettrificati. A Termoli sorgerà la prima Gigafactory italiana del colosso dell’industria automobilistica, la multinazionale italo francese Stellantis. La terza fabbrica di batterie per auto elettriche del gruppo in Europa, dopo quella tedesca a Kaiserslautern e quella francese a Douvrin. In questo l’Italia ha vinto la concorrenza con la Spagna, che era una delle candidate a sede della terza Gigafactory in Europa per Stellantis. E Termoli a sua volta ha vinto la concorrenza agguerrita, dei due stabilimenti più importanti di Stellantis nella Penisola, cioè Mirafiori e Melfi.

Ancora nulla si muove a Termoli per la Gigafactory

A Mirafiori ci sono rimasti anche male nel momento in cui i vertici aziendali di Stellantis hanno deciso di puntare sul Molise e su Termoli per la Gigafactory italiana del gruppo. A Torino infatti Stellantis ha deciso di creare il “Turin Manifacturing Center”, centro all’avanguardia per la mobilità elettrica. A tal punto che adesso, tutto si è ampliato. E dopo la chiusura della fabbrica ex Bertone di Grugliasco, a Mirafiori è finita pure la Maserati. Con tutti i suoi futuri veicoli elettrici. Inevitabile che la scorsa estate Torino fosse la candidata numero uno ad ospitare la prima fabbrica di batterie elettriche del gruppo in territorio italiano.

Oltre a Mirafiori, battuta la concorrenza di Melfi per la Gigafactory Stellantis

E invece, a sorpresa, la scelta ricadde su Termoli. Nemmeno a Melfi, dove c’è la promessa di costruire ben 4 veicoli elettrici sulla piattaforma SLA Medium e dove Stellantis sforna la metà delle auto che sforna in tutta Italia. Il nocciolo della questione è che la notizia della Gigafactory di per sé è ottima sia come importanza che viene data allo stabilimento molisano che come produttività ed occupazione.

Cosa sta succedendo adesso a Termoli

Al momento però si brancola nel buio. Siamo fermi alla dotazione che il governo ha deciso di destinare a sostegno dell’iniziativa Stellantis e alla conferma che la Gigafactory si farà dello scorso mese di marzo.  La Gigafactory a Termoli nascerà come “società per la produzione di batterie per veicoli elettrici. Ed avrà una partecipazione alla pari di  Stellantis, Mercedes e Total. Si parlò a marzo di ampliare la filiera collegata alla Gigafactory, portando in zona anche altre produzioni. Parliamo della raffinazione metalli e delle lavorazioni chimiche. Ma anche della produzione di catodi. Tutte attività che sono spostate in Cina adesso.

Proprio da quell’Asia da dove tra l’altro arrivano i problemi di oggi per la carenza dei microchip che vessano la produzione i tutti gli stabilimenti italiani del gruppo. Resta il fatto che sulla pagina di reclutamento di Stellantis sono uscite alcune posizioni aperte che richiamano proprio alla Gigafactory anche se non espressamente per Termoli. Presto però potremmo avere delle novità, o almeno questo è il buon auspicio visto che sembra tutto confermato.

Melfi: sta succedendo di tutto nella fabbrica ex Fiat, operai preoccupati

Non tira buona aria a Melfi nello stabilimento Stellantis in località San Nicola in provincia di Potenza. Ci sono almeno 4 problemi che non sembra si risolvano. E tutti riguardano le precarie condizioni di lavoro nella fabbrica.

Melfi, dal 2021 regna l’incertezza

Da quando Stellantis è nata, cioè da quando ha visto i natali il quarto produttore mondiale di auto, molto è cambiato per gli operai. Da gennaio 2021, a fusione completata tra PSA ed FCA, a Melfi sono cambiate le cose. Una cosa che è rimasta inalterata è il numero di modelli prodotti. Sono sempre i soliti 3 e sono sempre gli stessi modelli. A Melfi vengono prodotte le Jeep Compass, le Jeep Renegade e la Fiat 500 X. Per il resto, nulla è come prima.

L’occupazione in calo, solo chi non vuole vedere non si rende conto

Melfi per Stellantis, è uno degli stabilimenti principali della sua attività in Italia. Addirittura sopra Mirafiori in Piemonte, che resta la fabbrica numero uno anche come storia. A Melfi Stellantis ha continuato a produrre con la stessa forza che utilizzava quando era Fiat o quando era Fiat Chrysler Automobiles (FCA), cioè prima della fusione con in francesi di PSA. A Melfi escono fuori circa la metà delle auto che ogni anno Stellantis produce in Italia. Ma anche Melfi è interessata da una serie di incentivazioni all’esodo. In accordo coi sindacati, l’azienda offre incentivi a chi vuole andare via. Da una parte sfruttando le agevolazioni statali ai prepensionamenti, tra contratti di espansione e isopensione. Ma l’appeal con offerte di decine di migliaia di euro per le dimissioni volontarie, ha riguardato anche i giovani. I critici sostengono che siano progetti di riduzione di organico mascherati da dimissioni volontarie. Fatto sta che la forza lavoro in questo modo diminuisce.

Indotto e servizi, l’altro lato negativo del periodo Stellantis a Melfi

L’indotto èun altro argomento molto caldo nell’universo Stellantis. A differenza di quello francese, dove le fabbriche dell’indotto sono di aziende grandi quasi come la casa madre, in Italia spesso sono piccole realtà imprenditoriali. Realtà che nella gran parte dei casi lavorano sulle commesse di Stellantis. Naturale che il venir meno di ordini, perché Stellantis, vuoi per la crisi economica o per la carenza dei microchip, produce meno, si abbatte sull’indotto. E sono piccole realtà che spesso non hanno i paracadute tipici degli ammortizzatori sociali che una grande azienda riesce ad avviare. E molti lavoratori rischiano il porto, sempre che non siano già rimasti a casa.

I precari invece, sono un altro lato della stessa medaglia. I lavoratori interinali, cioè i lavoratori con contratto di somministrazione, sono quelli che pagano dazio in maniera ancora più evidente. Le chiusure delle attività portano la casa madre a non avere necessità di manodopera aggiuntiva, ed i primi a restare a casa sono quelli somministrati dalle Agenzie di Lavoro Interinale. Infine, il capitolo servizi. Le pulizie e la mensa vivono momenti di crisi sempre per via del momento di crisi della casa centrale. Meno operai in fabbrica significa meno lavoro per la mensa e meno lavoro per i servizi, come quelli di pulizia per esempio. E si ha notizia di molti lavoratori lasciati a casa anche in questo ambito.

Tra mix produttivo, cassa integrazione e turni, cosa sta cambiando per Stellantis a Melfi

Sono molte le segnalazioni di lavoratori di Stellantis a Melfi, che si lamentano di molte cose che stanno accadendo in Località San Nicola in provincia di Potenza. A Melfi la scorsa primavera si materializzò quello che fin da subito apparve chiaro. Parliamo della riduzione delle linee di produzione. Il CEO di Stellantis, il Manager Portoghese Carlos Tavares, fin dalla prima visita in Italia, aveva sottolineato che nel Bel Paese produrre auto era troppo costoso. Occorreva contenere i costi e ridurre gli sprechi.

Melfi, da Stellantis una linea in meno

A Melfi si è passati da tagli ai già citati servizi, a taglio di una intera linea produttiva. Infatti a Melfi la linea della Jeep Compass è stata cessata. Una linea adesso completamente svuotata di tutto, e sulla quale non è chiaro cosa l’azienda voglia fare adesso. Si parlava di portare all’interno della casa madre alcune attività dislocate all’esterno, inserendole in quella linea. Ma ad oggi tutto fermo.

Però a Melfi si continuano a produrre sempre tre veicoli. La Jeep Compass già citata, la Jeep Renegade e la Fiat 500 X. Tutte prodotte su una unica linea di montaggio, con quel sistema che è stato ribattezzato mix produttivo. Sull’unica linea arrivano tutte e tre le auto ogni turno e senza un ordine o un programma preventivo. Significa che i lavoratori vanno in grandi difficoltà, perché essendo auto diverse, qualcosa cambia di volta in volta.

Le 4 nuove auto elettrificate per Melfi

Il mix produttivo è duramente contestato, perché i lavoratori vanno inevitabilmente sotto forte stress. Soprattutto nei giorni in cui si lavora. Perché le chiusure continuano ad essere un problema. Il ricorso alla cassa integrazione è diventato una costante per Melfi e per il suo stabilimento. Proseguono le chiusure per le solite ragioni relative alla carenza di componentistica. I semiconduttori asiatici, di cui tutte le aziende dell’Automotive e dei prodotti ad alta tecnologia hanno sempre più bisogno, mancano. L’approvvigionamento classico da Taiwan, Cina e Corea per esempio, sta vedendo delle difficoltà. E in Italia le fabbriche chiudono a periodi alterni. Con i lavoratori che iniziano a subire il contraccolpo in termini di reddito annuo prodotto (la Cassa integrazione è sempre inferiore allo stipendio) e in termini di mancata maturazione dei ratei.

Le utilitarie meglio delle auto di grande taglia?

Resta il fatto che a Melfi, quando Tavares presentò il piano industriale lo scorso 1° marzo 2022, fu confermato che si produrranno 4 nuovi veicoli elettrici. Al posto della attuali auto, si passa a 4 veicoli, con ogni probabilità DS ed Opel. Ma saranno auto di fascia alta, che stridono con i numeri di veicoli prodotti oggi e in passato a Melfi. Una cosa è costruire le Punto o come accade a Mirafiori, la Fiat 500. Una cosa un SUV della DS, marchio di nicchia che fa capo a Citroen. A Pomigliano per esempio, la conferma almeno fino al 2026 della Fiat Panda fa stare più tranquilli rispetto alle novità di Melfi con le sue 4 auto elettriche da costruire sull’unica linea e con l’unica piattaforma (STLA Medium, ndr).

La nuova turnazione non piace

Anche i turni stanno diventando una specie di telenovela. Alla pari delle ripetute cassa integrazioni o del fatto che si è esteso fino ad agosto il contratto di solidarietà. Notizie e provvedimenti che prende Stellantis, che spesso appaiono in controtendenza tra loro. L’accordo di giugno, che faceva salire i turni lavorativi da 17 a 20, è stato disatteso. La scorsa estate con la notizia delle 4 auto elettrificate da produrre, si pensò alla necessità di aumentare le giornate di lavoro, con 3 turni in più comprensivi anche del week  end con turnazioni a scalare tra i lavoratori. Nel frattempo però, la prima indicata crisi dei semiconduttori, portò all’esatto opposto. I turni da 17 scesero a 15.

Le questioni inerenti il reddito dei lavoratori non possono essere tralasciate

E per evitare tagli di personale, fu prolungato il contratto di espansione difensiva, tipico della aziende in crisi. L’orario di lavoro veniva ridotto agli operai e spalmato tra più lavoratori. Anche in questo caso con ricadute non certo marginali sui redditi . Da lunedì prossimo invece si passa a 17 turni, o meglio si ritorna ai 17 di prima.

Ma è un ritorno al passato che non piace ai lavoratori. Infatti si potrebbe verificare un altro inconveniente non da poco. Per le ripetute fermate, spesso si va a recupero. Le ore di lavoro da recuperare, se i turni tornano a 17 comprensivi del sabato, rischia di far perdere dei soldi ai lavoratori. I soldi del lavoro straordinario se il recupero cadrà di sabato.

La crisi dei microchip: difficoltà per le imprese di tutti i settori e prospettive

Siamo pronti all’evoluzione digitale? La risposta sembra essere proprio “no”, infatti la crisi dei microchip, di cui si sta molto parlando, porterà inevitabilmente a nuovi equilibri che per ora sono difficili da immaginare, ma cos’è la crisi dei microchip e da cosa è generata?

Crisi dei microchip: come impatta su aziende e lavoratori

Il mondo sta cambiando, ce ne siamo accorti, forse, ma è altrettanto vero che non eravamo pronti e non siamo preparati all’improvvisa svolta tecnologica determinata anche dalla pandemia. La crisi dei microchip ce lo sta dimostrando e sta impattando sulla vita quotidiana di ognuno di noi, anche se la maggior parte di noi non ha ben chiara l’importanza di questa “crisi”. I primi ad essersene accorti sono i lavoratori del settore automobilistico, infatti molti stabilimenti di Stellantis (FCA, la vecchia FIAT,+ PSA) stanno affrontando l’inverno con molte ore di Cassa Integrazione a causa della difficoltà di approvvigionamento dei microchip. Non va meglio a Toyota che ha tagliato la produzione di auto al 40% a causa della crisi dei microchip.

Il problema reale è che non si trovano e tale scarsità sta anche facendo aumentare i prezzi, aumento che si ripercuoterà sui consumatori finali. A voler essere precisi mancano i semiconduttori, cioè diodi, resistori e transistor che sono alla base dei microchip e che hanno un’elevata conducibilità elettrica. Il mercato dei microchip però non interessa solo le auto, ma le aziende di tutti i settori, partendo da telefonia, computer, elettrodomestici (piccoli e grandi) e tutto ciò che prevede l’applicazione di nuove tecnologie e oggi praticamente tutto è basato su queste.

Il colosso dei chip attualmente è TMSC che si trova a Taiwan e che fornisce microchip a livello globale alle varie aziende. TMSC ha annunciato già l’aumento dei prezzi dei microchip, ma sono molte le aziende che stanno pensando all’autoproduzione, il problema resta la scarsità dei semiconduttori che sono alla base dei funzionamento dei chip e allora come si esce da questa crisi?

Le origini della crisi dei microchip: forte aumento di domanda

Le origini della crisi sono determinate da due fattori principali: la diffusione del 5G che utilizza i microchip nel settore della comunicazione, d’altronde lo sviluppo sempre più massivo del 5G ha avuto un’accelerazione in seguito alla crisi pandemica che ci ha costretto allo smartworking, alla DAD e alla digitalizzazione dei servizi e questa per funzionare bene ha bisogno di una rete efficiente e stabile e le attuali tecnologie non sono in grado di assicurare questo.

Ce ne accorgiamo ogni giorno, quando facendo la fila alle Poste o in qualunque altro ufficio ci sono problemi di connessione che ritardano i pagamenti, ce ne accorgiamo quando tentiamo di guardare un film con il nuovo televisore smart, o quando i figli hanno difficoltà con i collegamenti con la classe in DAD…

Allo stesso tempo il settore automobilistico sta avendo uno sviluppo ragguardevole e usa sempre più tecnologie avanzate, si studiano auto elettriche e a guida autonoma e queste hanno bisogno di chip. Le auto utilizzano i microchip per molte funzioni, dal monitoraggio costante delle funzioni all’airbag, passando per i sistemi di comunicazione presenti in auto, i sistemi di gestione da remoto, i sistemi audio. A ciò deve aggiungersi lo sviluppo della domotica, computer e smartphone che ci accompagnano quotidianamente nella vita e svolgono molteplici funzioni, sono diventati anche un sistema semplice di identificazione per l’accesso ai servizi: basti pensare al Green Pass e alle varie App “pubbliche”. C’è quindi un aumento esponenziale nella domanda a cui non corrisponde un aumento proporzionato della produzione e il sistema va in tilt generando effetti a catena.

Come reagiscono i Paesi al dominio dei colossi dei microchip

L’estremo bisogno di chip ha portato anche ulteriori conseguenze, cioè un inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, qui il colosso Huawei sembra abbia accumulato scorte di microchip. Proprio per questo sono in molti a credere che la crisi dei microchip sia costruita ad arte.

Se questa crisi ha sicuramente un impatto negativo in molti settori, da un altro potrebbe avere un impatto positivo, infatti è molto probabile che saranno generati nuovi posti di lavoro ad elevata specializzazione. La crisi dei microchip dovrebbe durare fino al 2023, questa è la previsione fatta dal colosso Intel, nel frattempo sono in molti a correre al riparo, anche per proteggersi da rilevanti perdite in borsa. Una soluzione potrebbe arrivare dalle multinazionali dell’informatica che sono spesso esortate a trovare soluzioni all’obsolescenza tecnica dei loro dispositivi cercando di renderli più longevi (di fatto dal punto di vista economico questa soluzione è poco interessante per le multinazionali che fanno affidamento proprio sul costante ricambio delle tecnologie).

Non solo, infatti i Paesi stanno adottando strategie volte all’indipendenza dai colossi di Taiwan e della Corea (TMSC e Samsung) attraverso la predisposizione di piani pubblici. Per gli Stati Uniti c’è l’Innovation and Competition Act che prevede un piano infrastrutturale del valore di 50 miliardi di dollari per l’industria americana dei chip e 52 miliardi di dollari da investire nel settore dei semiconduttori. L’Europa dal suo canto reagisce con l“European Chips Act” che ha come obiettivo la produzione di almeno il 20% dei chip mondiali entro il 2030. Il piano è sicuramente attraente, ma la realizzazione entro il 2030 sembra davvero un po’ tarda.

I colossi di Taiwan e Corea del Sud non indietreggiano

Sicuramente questi investimenti sembrano rilevanti, ma se confrontati all’obiettivo della Corea del Sud che ha annunciato 451 miliardi di dollari di investimenti nel settore, ci rendiamo conto che sono briciole. Il principale attore di questa strategia resta Samsung che quindi non vuole cedere il podio di questo importante segmento dell’industria globale. TMSC (Taiwan) risponde con 100 miliardi di dollari di investimenti nei prossimi tre anni per la progettazione e la realizzazione dei microchip. Messa così sembra che la carenza di chip sarà soltanto temporanea e che semplicemente si stia cercando di avere la fetta più grossa di mercato e mantenere i prezzi della tecnologia alti. TMSC vanta le fonderie di semiconduttori più evolute e intende investire anche in Arizona, quindi negli Stati Uniti.

Di sicuro dalla soluzione della crisi dei microchip dipendono le sorti globali in termini di occupazione e concentrazione di ricchezza a livello globale e si spera che ci sia uno sguardo in più ai deboli della società attraverso uno sviluppo equo e il più possibile inclusivo.