Per gli stranieri, il turismo è Made in Italy

Italia regina delle mete vacanziere 2013. In tempi di crisi, che costringono quasi la metà degli italiani a rinunciare alle ferie, ci pensano gli stranieri ad affollare spiagge e siti culturali del Belpaese.
Attratti anche dall’alta qualità dell’enogastronomia Made in Italy, i turisti scelgono il nostro mare e le nostre montagne per staccare la spina e dedicarsi a divertimento e relax.

A confermare questa tendenza c’è l’Osservatorio nazionale sul turismo di Unioncamere e Isnart nella sua indagine sul turismo organizzato internazionale: un terzo dei viaggi venduti dai tour operator internazionali che hanno l’Italia nei propri cataloghi hanno come meta finale proprio il Belpaese.

Insomma, anche se i valori sono ancora inferiori rispetto al periodo precedente la crisi, si registra, per questa estate 2013, un incremento di 3 punti percentuali rispetto all’anno passato, salendo così al 30%, contro il 38% del 2008.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha dichiarato a proposito: “La domanda di viaggi e vacanze, dicono gli operatori internazionali, e’ sempre più esigente. L’Italia, che nell’immaginario collettivo e’ la terra della bellezza, della cultura e della unicità delle proprie produzioni, deve continuare a investire sulla qualità, che è la strada maestra per assicurarsi il gradimento dei turisti internazionali“.

Ma cosa spinge il turista straniero a varcare i nostri confini?
Prima di tutto, il binomio, sempre vincente, cultura-enogastronomia (secondo il 60-64% dei tour operator internazionali), poi la sua storia (41%), il patrimonio naturalistico-ambientale (29%) e lo stile di vita italiano (26%).
Queste caratteristiche hanno sbaragliato, almeno per quest’anno, Francia e Spagna.

Questo successo, comunque, dipende molto dal peso che l’Italia ha nei diversi mercati.
Ad esempio, il Belpaese rappresenta oltre la metà della quota di venduto sul totale dei viaggi organizzati quest’anno dai turisti olandesi (l’anno scorso arrivava al 26%), il 48% di quelli australiani (14 punti percentuali in più del 2012), il 47% di quelli statunitensi (+12 punti percentuali), il 45% di quelli russi (era il 28% l’anno scorso), il 43% di quelli argentini (+7 punti percentuali), il 41% dei canadesi (11 punti in più), il 37% dei giapponesi (in aumento di 9 punti percentuali).

E se l’estate 2013 non è ancora entrata nel clou, c’è già chi pensa a quella dell’anno prossimo, con previsioni di stabilità per quanto riguarda le mete preferite,, da parte del 73% dei tour operator internazionali che vendono viaggi e vacanze nel nostro Paese, mentre un operatore su quattro considera possibile un‘ulteriore crescita.

Belle sorprese potrebbero arrivare dai Paesi del Nord Europa, tra i quali l’Austria, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia, oltre alla Cina e alla Corea.

Vera MORETTI

Un premio per gli imprenditori stranieri eccellenti

di Davide PASSONI

Che gli imprenditori stranieri siano bravi, noi di Infoiva lo abbiamo ripetuto più volte. Che questa bravura meriti un premio e un riconoscimento è un’idea che è venuta ad altri, nello specifico a MoneyGram, leader globale nel settore dei trasferimenti di denaro in tutto il mondo. Il gruppo ha istituito quattro anni fa MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia, proprio per dare un riconoscimento agli immigrati che hanno saputo distinguersi nell’imprenditoria. Ce ne parla Alessandro Cantarelli, Marketing Director MoneyGram Balkans, Italy, Greece and Cyprus

Come nasce l’idea del MoneyGram Award?
L’idea del MoneyGram Award, Premio all’Imprenditoria Immigrata in Italia è nata nel 2009 con la volontà di promuovere l’eccellenza tra le aziende gestite e fondate da imprenditori stranieri nel nostro Paese. Il Premio ha l’obiettivo di raccontare e valorizzare le storie di successo dell’imprenditoria immigrata e l’integrazione tra tradizioni lavorative e culturali diverse. La nostra azienda è da sempre molto attenta al valore dell’integrazione sociale degli immigrati, che, abbiamo notato, passa sempre più spesso da un’integrazione economica, attraverso lo sviluppo di nuovi business nel nostro sistema economico.

In che cosa consiste il premio?
Il MoneyGram Award, giunto quest’anno alla sua quinta edizione, è un riconoscimento alla capacità imprenditoriale e all’impatto importante e positivo del lavoro degli immigrati sull’economia italiana. L’iniziativa è dedicata ai più brillanti imprenditori immigrati che durante l’anno hanno saputo dimostrare capacità di visione, coraggio e leadership nel fondare o condurre le proprie aziende. Il Premio prevede un riconoscimento assoluto intitolato “MoneyGram Award all’Imprenditore Immigrato dell’Anno” ed è assegnato al titolare dell’azienda che risulta eccellente in tutte le categorie di valutazione e che ha favorito l’integrazione tra la cultura nativa e quella del paese ospitante. Ci sono poi 5 Premi di categoria a seconda che l’imprenditore si sia distinto per la Crescita del Fatturato, per l’Innovazione, l’Occupazione, l’Imprenditoria Giovanile e per la Responsabilità Sociale. 

Da quali Paesi provengono, dal vostro punto di vista, gli imprenditori con maggior entusiasmo, idee e coraggio?
Nelle passate edizioni del Premio abbiamo potuto apprezzare doti manageriali in diverse nazionalità di immigrati. Non c’è un Paese particolare nel quale posso dire di aver visto imprenditori più bravi in assoluto. Sudamericani, albanesi, rumeni, marocchini, ma anche cinesi, iraniani e africani, tutti quanti, con le loro peculiarità, hanno dimostrato e continuano a dimostrare un grande impegno e forza di volontà nel portare avanti i loro progetti in Italia, superando tutti i problemi legati ai pregiudizi, che spesso ancora noi italiani abbiamo nei loro confronti.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
I dati che fotografano il fenomeno dell’imprenditoria immigrata parlano chiaro: le imprese straniere, nonostante la crisi, hanno chiuso il 2011 con un saldo positivo di oltre 26mila unità, nello stesso periodo quelle italiane sono diminuite di 28mila unità. Siamo di fronte ad un fenomeno in crescita, che ci mostra come gli stranieri siano in grado di rispondere meglio alla crisi economica, adattandosi al cambiamento del mercato e, forse, rischiando di più.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Coraggio, spirito di sacrificio e tenacia, sono sicuramente valori importanti, ma anche una propensione al rischio più elevata è molto importante.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
Sicuramente la globalizzazione ha aiutato questo fenomeno ma c’è di più: c’è anche la voglia, da parte degli immigrati, di riscattarsi e di avere una seconda possibilità.

“Imprenditori immigrati, risorsa per la nostra economia”

di Davide PASSONI

Le cifre le hanno presentate loro alla fine della scorsa settimana e da lì siamo partiti per approfondire il discorso su Infoiva. Parliamo di Unioncamere e del rapporto presentato su dati Movimprese e relativo alle imprese italiane guidate da stranieri, che sfiorano ormai le 480mila unità. Oggi abbiamo chiesto direttamente al presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, di commentare con Infoiva questo fenomeno inarrestabile.

Le imprese guidate da stranieri sembrano rispondere meglio e più rapidamente di quelle italiane alla crisi. È vero? Perché?
Per molte persone che provengono da altri Paesi, soprattutto da quelli in via di sviluppo, l’impresa rappresenta la strada maestra per crearsi una occupazione, magari mettendo a frutto l’esperienza acquisita lavorando precedentemente come dipendente presso altre aziende. Sono spesso giovani e molto motivati, capaci anche di grandi sacrifici, come del resto lo sono i tanti giovani neoimprenditori italiani che anche in questa fase di crisi hanno scelto di mettersi in proprio.

In molti casi la parabola degli imprenditori stranieri ricorda quella di tanti italiani che, dopo la guerra, hanno trovato il riscatto sociale nell’imprenditoria. Concorda? Perché?
Credo che le due esperienze siano in molti punti assimilabili. Anche noi italiani abbiamo un passato da emigranti in cerca di lavoro e di fortuna in tanti Paesi del mondo. E, come avviene ora per l’imprenditoria immigrata, anche noi abbiamo creduto (e, fortunatamente, crediamo anche oggi) nel valore dell’impresa, quale scelta di vita, opportunità di realizzare le proprie aspirazioni e di valorizzare i propri talenti.

Che cosa hanno in più o in meno gli imprenditori stranieri rispetto a quelli italiani?
Oltre l’80% delle imprese gestite da immigrati sono ditte individuali, la forma giuridica meno strutturata e quindi più soggetta alle oscillazioni del mercato e dell’economia. La loro fragilità è del tutto analoga a quella delle imprese individuali gestite da italiani, le quali però, in rapporto al totale, sono molto meno numerose grazie anche alla sensibile crescita delle società di capitali verificatasi negli ultimi anni. La differenza in questo ambito, semmai, la fa l’anagrafe. Molte imprese individuali gestite da italiani hanno come titolare persone di età avanzata, mentre i titolari immigrati sono mediamente più giovani.

La loro affermazione è solo figlia della globalizzazione o c’è qualcosa di più dietro al fenomeno?
La globalizzazione certo, ma anche i fenomeni migratori che stanno portando verso l’Occidente più ricco e industrializzato tante persone provenienti da Paesi poveri.

Che cosa risponde Unioncamere a chi teme che questi imprenditori “rubino” mercato agli italiani?
Che gli imprenditori immigrati che operano rispettando le regole del mercato e della concorrenza non sono una minaccia ma una risorsa per la nostra economia.

Imprenditori stranieri: capacità, volontà ma anche formazione

Se in Italia il numero delle imprese guidate da stranieri veleggia serenamente verso il mezzo milione, come reso noto da Unioncamere, il merito è senza dubbio degli imprenditori stessi ma anche delle molte iniziative che, sull’intero territorio italiano, tendono a valorizzarne le capacità.

Una di queste è il progetto “INTERLAB – Laboratorio di mestieri e di impresa“, organizzato dalla Provincia di Firenze, che intende favorire l’occupabilità dei cittadini stranieri, in particolare donne, attraverso azioni di accompagnamento alla creazione di attività di lavoro autonomo o imprenditoriale, promuovendo inoltre la nascita e lo sviluppo di attività economiche sostenibili in campo artigianale, avviate da imprenditori o lavoratori autonomi stranieri, anche in rete con altre imprese italiane.

Un progetto in due fasi, la prima delle quali si è conclusa e ha puntato a elevare la cultura di impresa dei cittadini stranieri. In particolare, è stata realizzata una ricerca-azione delle opportunità imprenditoriali offerte dal territorio, attraverso l’acquisizione di informazioni socio-economiche di base e uno studio documentale realizzato con l’Ufficio Statistica della Camera di Commercio di Firenze.

È ora in corso di attuazione la seconda fase di progetto, relativa all’inserimento lavorativo dei migranti attraverso l’autoimprenditorialità. Sono stati infatti selezionati 25 cittadini stranieri che hanno preso parte al percorso di orientamento e formazione laboratoriale di 56 ore volto alla messa a punto del progetto imprenditoriale. Sono invece 10 i migranti che sono stati selezionati per le attività di orientamento professionale della durata di 6 mesi, per un totale complessivo di 480 ore, in settori quali pelletteria, sartoria, vetreria.

A coronamento del progetto è stato, realizzato il sito www.progettointerlab.org, che raccoglie i materiali promozionali realizzati, insieme a una video-intervista nella quale gli aspiranti imprenditori e lavoratori autonomi raccontano la loro idea di impresa, in attesa di iniziare la formazione in bottega o di mettere a punto il loro business plan. Una importante azione di supporto alla imprenditorialità straniera in una regione come la Toscana, da sempre attenta al valore della formazione e della imprenditorialità.

I nuovi imprenditori? Stranieri e rampanti

I dati sono di quelli che fanno riflettere. Per fortuna, almeno per una volta, in senso positivo. Le imprese che, in Italia, sono guidate da cittadini stranieri si avviano di gran carriera verso il mezzo milione. Nello specifico, sono poco meno di 480mila, con un aumento di 24.329 nel 2012, +5,8%. I dati sono stati diffusi da Unioncamere sulla base di Movimprese, la rilevazione statistica condotta da Infocamere. Per le imprese individuali il Paese leader rimane il Marocco, con 58.555 titolari. A seguire Cina (42.703) e Albania (30.475). In termini assoluti sono aumentati di più gli imprenditori del Bangladesh (+3.180 imprese) e in termini relativi quelli Kosovo (+37,6%).

Numeri di tutto rispetto, la cui importanza non è sfuggita a Unioncamere. Secondo l’associazione, il contributo degli imprenditori immigrati alla crescita delle imprese nel 2012 “si è rivelato determinante per mantenere in campo positivo il bilancio anagrafico di tutto il sistema imprenditoriale italiano (cresciuto, lo scorso anno, di sole 18.911 unità)“.

Secondo il Presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello, “la geografia dello sviluppo dei territori e del rilancio del Paese passa anche per la valorizzazione di queste forze imprenditoriali, che scelgono la via del mercato per integrarsi prima e meglio nella nostra società. Sono per lo più forze giovani, con una grande motivazione alle spalle e dunque capaci di offrire opportunità di lavoro che, in questa fase, possono essere importanti nel recupero dei livelli occupazionali“.

Scendendo più nel dettaglio dei dati, alla fine del 2012, le 477.519 imprese a guida di cittadini stranieri rappresentano il 7,8% del totale, con punte superiori al 10% in due regioni, Toscana (11,3%) e Liguria (10,1)%, ed in dodici province tra cui spiccano Prato (23,6%), Firenze (13,6%) e Trieste (13,2%). In termini assoluti, le attività più presidiate sono quelle del commercio al dettaglio (129.485 attività) e dei lavori di costruzione specializzati (101.767). Molto distante il numero delle attività in ristorazione (31.129) e commercio all’ingrosso (29.646).

In termini di incidenza percentuale, le attività alla cui guida ci sono cittadini immigrati sono presenti soprattutto nelle telecomunicazioni (34,9%), nella confezione di articoli di abbigliamento (24%), nei lavori di costruzione specializzati (18,9%). Dal punto di vista della struttura organizzativa, come è lecito aspettarsi, nella grande maggioranza (385.769 imprese, l’80,8% del totale) le attività degli imprenditori immigrati sono costituite da imprese individuali, le più semplici, mentre le società di capitale (46.239 unità) sono il 9,7%. Interessante il dato della società cooperativa, strumento che comincia a diffondersi: sono quasi 8mila, cresciute nel 2012 al ritmo dell’8,2%.

Hanno più fame e sono più “incoscienti” di noi. Gli imprenditori immigrati ci salveranno

di Davide PASSONI

Ce lo sentiamo ripetere ormai da anni: l’Italia sarà salvata dagli stranieri. No, nessun nuovo Piano Marshall per il nostro Paese, disastrato dalle tasse, dalla mala politica, dalla burocrazia. Parliamo del fenomeno, silenzioso ma inarrestabile, degli immigrati che assumono un peso sempre più rilevante nella vita sociale ed economica italiana.

Siamo a crescita quasi zero dal punto di vista demografico e, allora, ci pensano gli stranieri molto più prolifici di noi ad aumentare la media di nuovi nati. Le imprese italiane chiudono a mazzi, strette tra crisi, fisco, folle burocrazia e allora ecco che, anche in questo caso, ci vengono in soccorso le imprese costruite e gestite da immigrati, che nascono senza paura e vivono anche più a lungo di quelle a guida italiana.

Proprio di questo aspetto vogliamo parlare questa settimana su Infoiva, partendo da una rilevazione di Unioncamere sul numero di imprese costituite e gestite da immigrati nel nostro Paese che fa pensare. Un dato di fatto, certificato dai numeri, che è quello di una grande capacità dello straniero di fare impresa e rischiare del proprio. Certo, molto spesso di tratta di imprese individuali, piccolissime, messe in piedi con un capitale minimo, frutto di risparmi e accantonamenti fatti da dipendente, ma sempre di rischio d’impresa si parla. Un iter che somiglia in molti casi a quello dei nostri padri o dei nostri nonni i quali, decenni fa, stanchi di lavorare “a padrone” e sicuri di far fruttare un capitale di esperienza e di saper fare acquisito in anni di lavoro dipendente, fecero il grande salto, si misero in proprio, allestirono la loro “fabbrichetta” che, negli anni, divenne poi l’azienda di famiglia: vanto, orgoglio, risultato tangibile della voglia di fare e di riscatto sociale.

Ecco, mentre ora centinaia di migliaia di queste chiudono tristemente i battenti, altrettante gestite da immigrati entrano con spavalderia e con un pizzico di sana follia imprenditoriale sul mercato delle imprese italiane, non solo a colmare un buco ma anche a portare una nuova filosofia d’impresa. Durante questa settimana cercheremo di capire i perché di questo fenomeno, se e quanto è destinato a durare e se, in un mondo e in un mercato sempre più globalizzati, ha senso parlare ancora di imprese straniere in Italia o se non sarebbe ora di parlare di imprese in Italia, punto e basta.

Immobili, dove comprano gli stranieri

L’incertezza economica che ha caratterizzato gli ultimi anni ha avuto anche ricadute sul mercato immobiliare; in particolare gli stranieri trovano molto conveniente comprare casa in Italia.
Sono principalmente francesi, tedeschi e inglesi che storicamente arrivano nel nostro Paese per investire nel mattone, anche se con mete estremamente diverse: i tedeschi preferiscono zone in cui le loro seconde case possono essere molto sfruttate, come i laghi del nord Italia e la riviera romagnola, anche se ora a queste località si sono affiancate la costa del Veneto, quella della Liguria, il Conero Marchigiano e il Salento. Nel 47% dei casi l’investimento tedesco nel mercato immobiliare italiano si orienta nella fascia di spesa compresa fra i 200.000 e i 300.000 euro.

Stesso budget per i francesi, che però continuano a non volersi allontanare troppo da casa scegliendo la Liguria: fra Ponente e Levante si concentra il 21% delle richieste provenienti da questa nazione. Al secondo posto delle preferenze la Toscana, seguita da Roma: la capitale è il luogo in cui il 5% degli investitori francesi vorrebbe comprare casa.
Gli inglesi in Italia sono ormai numerosissimi e si concentrano in Toscana e nel centro Italia, nella zona collinare tra Siena e Firenze. La regione raccoglie il 29% delle richieste inglesi, staccando nettamente Venezia (19%) e Roma (18%), mentre Roma raccoglie il 16% delle preferenze. Il budget che stanziano gli inglesi per comprare casa in Italia è compreso fra i 300.000 e i 500.000 euro.

Un’analisi di Immobiliare.it ha però evidenziato altri due profili di acquirenti che recentemente si stanno interessando agli immobili nel nostro Paese: russi e austriaci. A disporre del budget più alto sono i primi, che nel 77% dei casi sono disposti a spendere non meno di 500.000 euro per la loro casa italiana, ma che in genere non ne spendono meno di 900.000.
Le loro ricerche si focalizzano su Roma e Sardegna, dove, neanche a dirlo, cercano ville di lusso. Anche gli austriaci sembrano sempre più interessati al mattone italiano: la ricerca più frequente è quella di un trilocale a Lignano Sabbiadoro, ma non disdegnano Veneto e Umbria.

Francesca SCARABELLI