Tredici rimedi contro lo stress lavoro-correlato

Dello stress lavoro-correlato abbiamo già parlato altre volte su Infoiva, rimarcandone la pericolosità e la necessità di non sottostimarlo. Su tratta, infatti, di una vera patologia. In Italia soffre di stress lavoro-correlato 1 lavoratore su 4 e ogni anno vengono perse per malattia 30 milioni le giornate lavorative, con un danno economico per lo Stato pari a 3 miliardi di euro.

Sono questi i dati sullo stress lavoro-correlato che emergono dal progetto-laboratorio sul Benessere organizzativo, promosso dalla Fiaso, Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere all’interno di 19 Asl italiane.

Nel suo progetto, però, la Fiaso non si limita a calcolare l’entità del problema, ma prova a offrire alcune soluzioni. Per la precisione 13. Sono infatti 13 i fattori antistress per combattere lo stress lavoro-correlato che la federazione suggerisce, ciascuno con un punteggio di importanza da 1 a 5, sperimentati nelle 19 Asl del progetto:

  • abilità (4,26);
  • capacità di utilizzo delle proprie risorse (4,20);
  • chiarezza di ruolo (3,95);
  • soddisfazione lavorativa (3,92);
  • capacità di fronteggiare gli eventi avversi (3,92);
  • condivisione degli obiettivi (3,77);
  • senso di comunità (3,58);
  • autodeterminazione (3,55);
  • identificazione organizzativa (3,49);
  • influenza dell’azienda sulle motivazioni rispetto agli obiettivi (3,42);
  • riconoscimento professionale (3,33);
  • capacità di conciliare vita lavorativa e privata (3,27);
  • tendenza ad evitare le criticità (2,56).

Dopo l’applicazione di questi fattori nelle 19 aziende campione, oltre il 77% dei dipendenti ha ammesso di stare “benissimo” sotto il profilo psicologico, mentre la percentuale dei dipendenti nonostante ancora stressati si è ridotta a meno del 10%.

Ma in che modo sono stati messi in pratica nelle 19 Asl queste iniziative a contrasto dello stress lavoro-correlato? Con diverse iniziative: dall’assistenza allo studio e nel tempo libero per i dipendenti della Asl di Bergamo, ai percorsi di team building della Asl Cuneo 2; dalle giornate per l’inserimento dei neo-assunti organizzate dalla Asl di Firenze, al training per l’inserimento degli infermieri in prima linea delle aree di emergenza/urgenza.

Il rientro dopo una lunga malattia: questione aperta per le aziende

di Caterina DAMIANO

Tornare a lavorare dopo una malattia lunga o difficoltosa può risultare stressante per il dipendente, ed il rientro del dipendente malato è ancora un problema aperto per le aziende. Questo è quanto emerge da una ricerca della Fondazione Giancarlo Quarta, che ha voluto dare voci ai lavoratori malati gravi e cronici.

Una selezione di questi lavoratori ha ricevuto un questionario sul tema, e per scoprire l’attenzione della imprese a questo problema, lo stesso questionario è stato inviato anche a direttori generali e del personale.

Purtroppo è doveroso precisare che su 2.500 questionari inviati solo 119 sono stati rispediti, cosa che sottolinea come l’attenzione al percorso di questo tipo di dipendenti sia minima e sottovalutata, questo nonostante buona parte delle aziende contattate dalla Fondazione (il 70%) abbiano dichiarato di notare l’espansione del problema e di conoscere dipendenti in queste condizioni. Per quanto riguarda invece i questionari rispediti, il problema risulta di gran rilievo non solo per il malato ma anche per l’azienda.

Il dipendente è spinto a rientrare subito quando gli è possibile per lo più per un motivo: quello di tornare alla normalità dopo un grosso scompenso dovuto alla patologia. Questa aspettativa lo porta però ad essere assalito da paure e angosce d’ogni sorta: da quelle di venire visto come un debole, a quello di essere messo da parte o di percepire pietà negli atteggiamenti di collaboratori e superiori. Nel caso ad ammalarsi sia un dirigente, inoltre, questo viene amplificato: la posizione importante stressa e da maggiori responsabilità, e l’idea che i dipendenti diano più spazio alla pena che alla posizione di guida diviene un grosso ostacolo da superare.

Il punto di vista dell’azienda nei confronti del malato, inoltre, è ancora instabile: divisa tra imbarazzo, problemi di approccio e di inesperienza, crea maggiori insicurezze al soggetto interessato. Nonostante la maggior parte delle aziende (il 42%) sostenga che il malato debba essere trattato con pari dignità e con maggiore attenzione, un numero minore lo vede come un problema organizzativo o un caso umano. Gran parte delle aziende inoltre dimostrano di non sapere in cosa consista un percorso di sostegno per i malati, cosa che sottolinea quanto ci sia ancora da lavorare.