Superbonus 110%: si può ottenere anche per immobili con uso promiscuo?

L’Agenzia delle Entrate con la circolare 23/E 2022 fornisce chiarimenti su molti dubbi interpretativi della materia, tra questi vi è il caso in cui un immobile sia utilizzato in modo promiscuo anche per esercizio di attività di impresa oppure quando la categoria catastale non coincide con l’effettivo uso dell’immobile. Ecco come sono regolamentati questi casi.

Interventi agevolabili su immobili ad uso promiscuo

L’articolo 9 lettera B dell’articolo 119 del decreto Rilancio ( decreto Legge 34/2020) prevede che siano agevolabili gli interventi di efficientamento energetico effettuati «dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni, su unità immobiliari, salvo quanto previsto al comma 10» In una precedente circolare, cioè la 24/E del 2020 l’Agenzia ha chiarito che la locuzione “al di fuori dell’esercizio di attività di impresa arti e professioni” implica che non siano agevolabili gli interventi su beni che possono essere considerati strumentali all’esercizio dell’attività di impresa come individuati dall’articolo 65 e 54 comma 2 del Tuir.

Diventa però essenziale verificare la strumentalità avendo come punto di riferimento la destinazione e l’effettiva utilizzazione dell’immobile indipendentemente dal rapporto giuridico che lega l’utilizzatore (proprietario, detentore, possessore all’immobile).

Di conseguenza risultano sicuramente esclusi dai benefici del Superbonus 110% gli immobili delle categorie catastali:

  • A/10: uffici e studi privati;
  • B: funzioni pubbliche;
  • C: funzioni commerciali e pertinenze;
  • D: funzioni industriali e commerciali speciali;
  • E: funzioni di interesse collettivo.

Sono altresì esclusi dal beneficio del Superbonus 110% gli interventi su immobili strumentali per destinazione, ad esempio un’abitazione in categoria catastale A/2 adibita a studio professionale comunque non può fruire delle detrazioni previste per il bonus 110%.

Sorgono però dubbi quando gli immobili sono ad uso promiscuo, ad esempio nel caso in cui all’interno di un’abitazione che potrebbe fruire delle detrazioni è presente anche una stanza utilizzata come studio professionale. Con lo sviluppo dello smart working questa ipotesi non è per niente residuale, anzi costituisce una fattispecie molto comune.

Si può ottenere il Superbonus 110% per interventi su immobili ad uso promiscuo?

L’Agenzia delle Entrate in questo caso ribadisce che se l’immobile è utilizzato in modo promiscuo la detrazione spetta al 50%, come previsto dall’articolo 16 bis del Tuir che per estensione si applica anche a Superbonus, Sismabonus ed Ecobonus. L’Agenzia sottolinea che questa norma si applica anche in caso di Bed and Breakfast.

La riduzione al 50% non viene invece applicata nel caso in cui l’abitazione sia usata in modo promiscuo da imprenditore che svolge attività tipicamente in “cantieri” ad esempio l’imprenditore edile o imbianchino che fissa la sede amministrativa della propria attività presso l’abitazione, infatti si tratta soprattutto di una soluzione logistica e non di un vero uso promiscuo. In questo caso non vi è riduzione al 50% e si può usufruire delle detrazioni anche con cessione del credito o sconto in fattura al 100%

Leggi anche: Sei un professionista del Superbonus 110% Scarica l’ultima circolare AdE

Green pass, tutto quello che c’è da sapere su come comportarsi dal 15 ottobre

Dal presentare il Green pass all’entrata in azienda a chi deve fare i controlli, dalla possibilità che il datore di lavoro chieda in anticipo se si ha il documento verde alle sanzioni previste e a chi le paga, dal blocco della retribuzione alla possibilità di chiedere le ferie, ecco tutto quel che c’è da sapere su come comportarsi dal 15 ottobre 2021.

Green pass, chi fa i controlli all’entrata del lavoro?

A fare le verifiche all’entrata a lavoro può essere direttamente il datore di lavoro. Si pensi, ad esempio, alle aziende e alle realtà più piccole. Diversamente il datore di lavoro indica addetti che dovranno controllare appositamente i Green pass all’entrata. Se il datore di lavoro svolge attività lavorativa all’interno dell’azienda si ritiene che egli stesso venga controllato. Non è escluso che l’azienda possa servirsi per il controllo del documento verde anche di vigilantes. E dunque di personale esterno.

Anche ai fornitori e ai liberi professionisti viene chiesto il Green pass?

Chiunque entri in realtà aziendali per svolgere un’attività lavorativa è sottoposto al controllo del Green pass. Pertanto, anche i fornitori o i liberi professionisti che si rechino in azienda dovranno esibire il documento verde. L’obbligo vige anche per chi entri a titolo di formazione o di volontariato. All’entrata può essere richiesto anche un documento di identità: la finalità è quella di accertare che chi esibisce il Green pass sia effettivamente la persona in regola con la vaccinazione o con il tampone.

Chi fa la sanzione in caso di comportamento irregolare sul Green pass?

La violazione dell’obbligo di Green pass deve essere segnalata dal datore di lavoro, anche sulla base dei controlli dei verificatori dell’azienda, ai prefetti. Per il lavoratore senza Green pass la sanzione va da 600 a 1500 euro. Ma è prevista anche la violazione del datore di lavoro nel caso in cui non abbia effettuato i dovuti controlli. Ad esempio, in caso di ispezione in azienda, se dovessero essere trovati a lavorare dipendenti senza Green pass (sanzione da 600 a 1500 euro), il datore di lavoro verrebbe sanzionato da 400 a 1000 euro.

Chi fa i controlli ai datori di lavoro?

La sanzione per il datore raddoppia in caso di recidiva. Inoltre, è ancora in discussione se la sanzione possa essere comminata per ciascun giorno di violazione. L’azienda può subire i controlli dall’Asl e dall’Ispettorato al lavoro. Inoltre, possono procedere con i controlli le forze di polizia, la polizia municipale e, in caso di necessità, anche le forze armate.

Chi sono i verificatori del Green pass in azienda?

Prima del 15 ottobre prossimo le aziende dovranno procedere con la scelta dei responsabili a verificare i Green pass. L’incarico deve avvenire mediante la delega scritta a cura del datore di lavoro e devono essere fornite anche le linee guida per svolgere al meglio il compito assegnato. Negli studi associati (di liberi professionisti) il responsabile è il legale rappresentante. Diversamente, il compito può essere assegnato anche a un addetto al controllo. In caso di irregolarità e di sanzioni comminate allo studio, è il legale rappresentante o chi sia stato investito del controllo a individuare il responsabile della violazione.

Green pass, l’azienda può chiedere al dipendente se ne è (sarà) munito in via preventiva?

Nel decreto “Capienze” degli ultimi giorni è stato indicato che, per ragioni organizzative, i datori di lavoro possano chiedere in via preventiva se i dipendenti sono muniti di Green pass (o, soprattutto, se lo saranno dal 15 ottobre). Ma rimane ovviamente assodato che il controllo del certificato verde debba avvenire solo a partire dal 15 ottobre prossimo e fino al 31 dicembre 2021.

Cosa avviene se il lavoratore non ha il Green pass?

I dipendenti senza Green pass sono considerati assenti ingiustificati. Ciò comporta la loro assenza dal lavoro e la sospensione della retribuzione, compresa anche la maturazione del Trattamento di fine rapporto. L’assenza ingiustificata comporta, altresì, la mancata copertura dei contributi ai fini pensionistici, l’esclusione dei giorni per le detrazioni fiscali, del trattamento integrativo, della spettanza dei permessi della legge 104 del 1992 e, in proporzione all’assenza, dell’assegno del nucleo familiare. La perdita di retribuzione avviene per tutte le giornate nelle quali il dipendente è sprovvisto di Green pass.

Senza Green pass, il datore di lavoro può mettere il dipendente in ferie?

Il lavoratore senza Green pass deve essere posto nella situazione di risultare come assente ingiustificato. Pertanto, il datore di lavoro non può mettere in ferie il dipendente senza il certificato. L’assenza ingiustificata rappresenta, pertanto, una diretta e automatica conseguenza della mancata esibizione del Green pass.

Controlli ai lavoratori in somministrazione e appalto

Si presume, inoltre, che la disciplina applicata ai lavoratori dipendenti dell’azienda venga applicata anche ai lavoratori in somministrazione. I controlli, in attesa di ulteriori chiarimenti, devono essere effettuati dall’azienda utilizzatrice. Lo stesso principio è valido nel caso in cui l’azienda edile ha anche dipendenti di un’altra impresa, nel caso di appalti. I controlli dell’impresa, dunque, si estendono anche ai dipendenti di altre imprese e, in generale, anche ai lavoratori autonomi che entrino nell’ambiente di lavoro per svolgere una prestazione lavorativa.

I clienti dei professionisti devono avere il Green pass?

Ancora in alto mare la risoluzione della questione se i clienti di uno studio professionale debbano esibire il Green pass per entrare. Ad oggi, infatti, il decreto di riferimento (il 127 del 2021) parla di controlli solo a carico dei lavoratori. Si attendono quindi novità sul punto che potrebbero arrivare in sede di conversione del decreto stesso.

Colf, badanti e babysitter, devono avere il Green pass?

Anche colf, badanti e babysitter devono avere il certificato verde. E deve essere la famiglia, in questo caso nelle vesti di datore di lavoro, a controllare la regolarità del Green pass. Per la famiglia, infatti, in caso di controlli e di mancava verifica del certificato verde del lavoratore domestico spetta la sanzione da 400 a 1000 euro. Per il lavoratore domestico la sanzione va da 600 a 1500 euro.

Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Il professionista che impiega un apprendista part-time, dovrà pagare l’Irap

Avere un apprendista part-time presso il proprio studio professionale, vuol dire avere un’attività autonomamente organizzata, con la conseguenza che il titolare dello studio dovrà pagare l’IRAP.

Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21536 del 20 ottobre 2010, respingendo il ricorso di un avvocato che aveva chiesto il rimborso dell’imposta dato che impiegava nel suo studio una sola collaboratrice, non ritenendo sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione.

La Corte, concordando con i giudici di merito che decidevano per la soggezione all’imposta del professionista, ha ribadito che il requisito dell’autonoma organizzazione necessario per configurare l’esercizio di attività di lavoro autonomo, diversa dall’impresa commerciale, come presupposto dell’IRAP “sussiste tutte le volte in cui il contribuente che eserciti l’attività di lavoro autonomo: sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; impieghi beni strumentali eccedenti la quantità che secondo l’id quod plerumque accidit costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo occasionale di lavoro altrui”.