Il lato umano del Governo? Mah…

di Davide PASSONI

Qualcosa sembra incrinarsi nella immagine tutta di un pezzo che il governo Monti si sforza di dare di sè. Due giorni fa è toccato al ministro Fornero fare il mea culpa sugli esodati. Ieri è stata la volta del ministro dello Sviluppo Economico, Passera, che per la prima volta ha fatto parlare l’Esecutivo con toni sinceramente preoccupati della situazione grave in cui si trova la nostra economia. E dei suoi riflessi omicidi sulle categorie più deboli: “Il disagio sociale diffuso – ha detto Passera – è legato alla mancanza di lavoro in Europa in generale ma che nel nostro Paese è più ampia di quello che le statistiche dicono. A rischio è la tenuta economica e sociale del Paese“. Alleluja, se n’è accorto anche lui.

Così come se ne accorge tutti i giorni, da mesi e mesi, il presidente di Rete Imprese Italia, Marco Venturi. Sempre ieri, durante l’Assemblea dell’associazione, Venturi ha mostrato a Passera & c. il lato vero della crisi. Lungi dal tirare gufate, Venturi ha parlato con la cognizione di causa che può avere solo chi è tutti i giorni in trincea a difenderesi dalle mitragliate del mercato che muore, della Pubblica amministrazione che non paga, delle banche che non scuciono. Venturi ha infatti ricordato come in Italia stia montando “un clima di insofferenza, di scoramento, di disperazione“, incarnato dai “drammi vissuti dagli imprenditori che arrivano all’atto estremo di togliersi la vita. Un dramma di fronte al quale non si può rimanere indifferenti. Anzi, deve aumentare da parte di tutti l’impegno perché il Paese cambi passo“. Ma come fare con una pressione fiscale oltre il 45%, l’Imu incombente e “la mannaia dell’Iva“?

Non abbiamo parlato a caso di trincea: Venturi ha infatti fatto riferimento a “un vero e proprio percorso di guerra lungo il quale rischiano di cadere molte imprese, con enormi costi per l’intero Paese“. “Con questa pressione fiscale – ha proseguito – non ci sarà alcuna ripresa degli investimenti, alcun rilancio dei consumi, alcun allargamento dell’occupazione. La pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro deve scendere sensibilmente e in tempi rapidi. Questa è la vera priorità. Le banche tornino a sostenere le nostre imprese e lo Stato paghi i propri fornitori. Settanta miliardi di debiti sono una cifra mostruosa, immorale, non tollerabile“.

Capito Passera? Bene dire che “è rischio la tenuta economica e sociale del Paese” ma, come dicono gli inglesi… and so? Possibile che tutti, da Rete Imprese alle associazioni di categoria, dai rappresentanti di categoria ai consumatori dicano la stessa cosa e nessuno, dal Palazzo, sembri ascoltarli? Pure la Marcegaglia ieri ha parlato di ripresa lontana. E allora? Mica sono marziani. Avranno pure un minimo di ragione, no? Certo, pare che qualcosa si stia muovendo per quanto riguarda il rimborso dei crediti Iva ma, al di là di certe prese di coscienza, sembra che i veri marziani continuino a essere loro. Anche ieri non una parola sugli imprenditori e i lavoratori suicidi. E anche ieri, tre croci in più nel cimitero di questa guerra civile: un imprenditore edile a Pompei (con violento j’accuse verso Equitalia), un 55enne in mobilità in Toscana, il titolare di una impresa di impiantistica a Bari (con crediti dagli enti pubblici). Siamo al ritmo di 3 al giorno. A che media vogliamo arrivare prima che i signori del Governo smettano di minimizzare e di fare paragoni con i numeri greci e si rendano conto che siamo di fronte a un’ecatombe?

Anche i prof sbagliano. E lo ammettono

di Davide PASSONI

Incredibile. I professori fanno autocritica. E non un professore qualunque, no: la più prof delle prof, il ministro del Lavoro Elsa Fornero. Quella che con il ditino alzato, non più tardi di qualche giorno fa aveva etichettato la media degli studenti italiani come dei somari (forse con qualche ragione). Proprio lei, quella che con le lacrime agli occhi parlava dei sacrifici chiesti ai pensionati, anziché ai parlamentari, per raddrizzare l’economia dell’Italia. Un’autocritica che ha come oggetto proprio, tra gli altri, i pensionati: Fornero ha infatti ammesso che riguardo “all’attenzione ai segmenti più deboli, forse siamo in ritardo. Ammetto una qualche mia responsabilità, è mancata forse una maggiore attenzione a quelli che sono i più sofferenti nel Paese“.

Beh, se n’è accorta adesso, ma non è il caso di dire meglio tardi che mai. Pensionati, esodati, famiglie monoreddito, piccole imprese, artigiani: una minima parte dell’elenco dei sacrificati sull’altare del salva-Italia. Perché, anche se Fornero sostiene che l’Esecutivo ha puntato sul rigore per uscire dalla crisi pensando a una crescita a breve “che non si è avuta e si è pensato che ci sarebbe stata più attenzione ai segmenti più deboli“, non basta come autocritica. Sbagliare sulla pelle e sulla vita delle persone non è accettabile, né se lo fanno i politici né se lo fanno i tecnici.

Un’affermazione tanto irritante quanto quella fatta dal premier Monti in riferimento ai suicidi di imprenditori e lavoratori dipendneti provocati dalla crisi: “Le conseguenze umane come quelle economiche che derivano dalla crisi sono grandi visibili ed evidenti” salvo poi aggiungere che quanto accade “dovrebbe far riflettere chi ha portato l’economia in questo stato e non chi da questo stato sta cercando di farla uscire“. Un’autoassoluzione che lascia basiti. Noi non siamo di quelli alla Di Pietro che sostengono che il Governo sia responsabile delle morti per crisi, ma pensiamo che, con certe misure, abbia peggiorato una situazione già tetra. Abbiamo chiesto da queste pagine che il premier battesse un colpo sull’argomento con una parola di vicinanza a quanti hanno subito un lutto. Ha scelto il modo peggiore per non farlo, scaricare la colpa su chi lo ha preceduto e dimostrare ancora una volta una freddezza sconcertante. Forse è giusto così, forse il personaggio Monti e il suo ruolo non prevedono che si sbilanci ma solo che salvi il Paese dall’abisso. Caro Monti, lo si può fare anche dimostrando un minimo di umanità, glielo assicuriamo.

Il silenzio dei colpevoli

di Davide PASSONI

Lo abbiamo scritto più volte su queste pagine. A noi non interessa fare i macabri pallottolieri della morte. E non siamo nemmeno di quelli che si svegliano adesso e scoprono che la crisi fa più morti, quasi, della mafia.

Però in queste ultime 96 ore la serie di suicidi legati in qualche modo alle difficoltà economiche si è fatta impressionante. Ieri, lunedì 7 maggio, un agente immobiliare di 52 anni è stato trovato morto in un parco di Vicenza, vicino a una scuola materna. L’altroieri, domenica 6 maggio, un artigiano veneziano di 40 anni, in difficoltà con le rate del mutuo, si è ucciso con un cavo elettrico fissato al soffitto del suo appartamento. Sabato 5 maggio, un precario siciliano si è impiccato nel garage della sua villetta nell’Ennese e un pensionato di 72 anni di Pozzuoli ha tentato il suicidio mentre si trovava all’interno della sua officina per il rimessaggio delle barche: aveva ricevuto una cartella esattoriale per svariate migliaia di euro, non è morto ma non ci sono speranze di salvarlo. E sempre ieri, lunedì 7 maggio, un imprenditore di Calolziocorte, nel Lecchese, ha tentato di impiccarsi nel suo giardino, disperato per i debiti e per le cartelle esattoriali: la figlia 16enne lo ha visto in tempo tenuto sollevato fino all’arrivo della madre. L’uomo è grave ma non critico all’ospedale di Lecco.

E dal governo? Nemmeno una parola, neppure di fronte alla marcia delle vedove della crisi che venerdì scorso, a Bologna, ha attraversato la città come uno sfregio. Una prova, o una scelta, di distacco (non vogliamo dire indifferenza, ma forse…) che da un Esecutivo è tanto più incomprensibile e vigliacca quanto più lo stesso Esecutivo manda in prima linea in questa guerra (perché di guerra si tratta, quando ci sono di mezzo i morti) i signori di Equitalia, defilandosi dai cittadini, dai contribuenti, dalla vita di ogni giorno in nome del rigore, del risanamento dei conti, dell’Europa che vuole l’Italia virtuosa a ogni costo. A ogni costo, anche a quello di disgregare il tessuto produttivo che la sorregge insieme alle prospettive di futuro di imprese e cittadini che, ormai, vedono nello Stato un nemico e non un alleato. Vi sembra forse che i morti di Fisco siano stati uccisi da fuoco amico a caccia di sporchi evasori?

Crisi e suicidi, ecco i numeri dell’orrore

di Vera MORETTI

La notizia non stupisce, anche perché la cronaca, giorno per giorno, ci fa capire che ci troviamo davanti ad un fenomeno tristemente in aumento.
Se, infatti, la crisi economica ha causato, negli ultimi anni, un calo di vendite ed assunzioni, ha contribuito ad accrescere i licenziamenti e il precariato.

Ma non sempre si ha la forza di reagire e, quindi, il risultato, quando la disperazione prende il sopravvento e non fa intravedere nessuno spiraglio positivo, è quello più drammatico: il suicidio.
Se, infatti, già nel 2009 i suicidi per motivi economici avevano subito un’impennata ed erano arrivati a 357, nel 2010 sono stati ben 362, quasi uno al giorno.

Questi preoccupanti dati sono stati resi noti dal secondo rapporto Eures “Il suicidio in Italia al tempo della crisi”, che delinea una situazione particolarmente a rischio soprattutto nel Centro-Nord, con il Centro in crescita: un record che nessuno avrebbe voluto raggiungere.

La fascia più vulnerabile riguarda l’età compresa tra 45 e 64 anni, in particolar modo se si tratta di esodati e di coloro che hanno perso il lavoro, con poche speranze di ottenerne un altro a breve.
Sono soprattutto uomini, che, dal 2008 al 2010, sono aumentati del 45%, a conferma che il ruolo sociale maschile rimane molto forte, e spesso rappresenta l’unica risorsa economica di un’intera famiglia o, comunque, colui che porta in casa più soldi. E se viene a mancare il suo apporto, è difficile tirare avanti e trovare soluzioni alternative.

Le categorie colpite dalla crisi profonda che ancora non accenna a calare sono, ahimè, tutte: dai lavoratori precari o subordinati agli imprenditori che, vedendo sfuggirsi dalle mani il lavoro di una vita, rimangono senza niente e senza speranze. Tra i lavoratori autonomi, per entrare nel dettaglio, negli ultimi due anni si segnalano ben 343 suicidi nel 2009 e 336 nel 2010. In quest’ultimo caso, poi, i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) che si sono tolti la vita sono 192, mentre sono 144 gli imprenditori e liberi professionisti che hanno trovato nel suicidio l’unica, ultima soluzione al loro fallimento. Tra loro, il 90% è costituito da uomini.

Un fenomeno che, inoltre, sta diventando sempre più rilevante riguarda i suicidi nella fascia 45-64 anni (+5,8% nel 2010 rispetto al 2009 e +16,8% rispetto al 2008), anche perché, nel 2010, la disoccupazione ha colpito la popolazione della fascia 45-64 anni più delle altre, con un incremento del 12,6% (+13,3% nella fascia 45-54 anni e +10,5% in quella 55-64 anni), a fronte di una crescita complessiva dell’8,1%. E tra loro ci sono gli esodati, ovvero quei lavoratori usciti dal mercato del lavoro attraverso canali di protezione sociale e che l’attuale riforma Monti-Fornero del sistema pensionistico rischia di lasciare totalmente privi di reddito.

Ciò fa emergere un ulteriore dato: l’aumento dei suicidi che cresce più l’età aumenta. Perché, più l’età avanza, più cala la fiducia nel futuro.

Lunga vita alle imprese. Mica tanto

Il dramma dei suicidi tra gli imprenditori, che finalmente pare aver cominciato a godere dell’attenzione che merita, è la faccia più tragica di un altro fenomeno silenzioso ma devastante: quello della moria delle imprese.

Secondo un’indagine della Cgia di Mestre, un’impresa su due (il 49,6%) chiude entro i primi 5 anni di vita. I motivi di questa strage sono ben chiari a Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre: “Tasse, burocrazia, ma soprattutto la mancanza di liquidità sono i principali ostacoli che costringono molti neoimprenditori a gettare la spugna anzitempo. E’ vero che molte persone, soprattutto giovani, tentano la via dell’autoimpresa senza avere il know how necessario, tuttavia è un segnale preoccupante anche alla luce delle tragedie che si stanno consumando in questi ultimi mesi”.

E la mente corre subito alle decine di suicidi tra i piccoli imprenditori che si sono registrati dall’inizio dell’anno: “Il meccanismo si sta spezzando – prosegue Bortolussi; questi suicidi sono un vero grido di allarme lanciato da chi non ce la fa più. Le tasse, la burocrazia, la stretta creditizia e i ritardi nei pagamenti hanno creato un clima ostile che penalizza chi fa impresa. Per molti, il suicidio è visto come un gesto di ribellione contro un sistema sordo e insensibile, che non riesce a cogliere la gravità della situazione”.

La nota preoccupata della Cgia si chiude sottolineando l’importanza delle piccole micro imprese in chiave occupazionale. Se, come risulta da dati dell’Unione Europea, il 58% dei nuovi posti di lavoro è creato dalle imprese con meno di 10 addetti e se, come risulta dai dati Istat, il 60% dei giovani italiani neoassunti nel 2011 è stato assorbito dalle microimprese con meno di 15 addetti, il Governo non può non intervenire abbassando il carico fiscale sulle imprese e in generale sul mondo del lavoro. Esattamente la direzione opposta rispetto a quella presa dall’Esecutivo con le sue ultime misure, tra le quali la delega fiscale.

Veneto: approvato il fondo di solidarietà suicidi

“Sul modello approvato oggi dalla Regione Veneto, si istituisca anche a livello nazionale un fondo di solidarietà gestito dalle Prefetture in collaborazione con i Consorzi Fidi”. E’ questa la proposta avanzata dal segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi, al premier Monti, dopo che qualche settimana fa aveva rivolto lo stesso invito alla Regione Veneto. A seguito di questa proposta, proprio oggi, la Giunta Regionale veneta ha approvato un fondo con a disposizione 6 milioni di euro. Obbiettivo ? Tentare di bloccare l’emorragia di suicidi che ha colpito decine e decine di imprenditori. “In linea generale – commenta il segretario della CGIA di Mestre, Giuseppe Bortolussi – quegli imprenditori che in un primo momento si vedono rifiutare un prestito dalle banche per mancanza di solvibilità o per non essere in grado di offrire nessuna garanzia reale per la quasi totalità del prestito richiesto, potranno, almeno nel Veneto, ricorrere a questo fondo per ottenere le coperture necessarie per assicurarsi il prestito richiesto, evitando situazioni di disperazione che in alcuni casi possono portare al suicidio. Ringrazio sentitamente l’Assessora Isi Coppola e il Presidente Zaia per la celerità con la quale hanno approvato questa misura.

Adesso, però, bisogna intervenire anche a livello nazionale: per questo chiediamo anche al Premier Monti di fare altrettanto”. Dalla CGIA fanno notare che molti dei piccoli imprenditori che nei mesi scorsi hanno compiuto questo gesto estremo, si erano visti negare dalle banche prestiti per importi di poche migliaia di euro. “Questa misura, gestita dal Ministero dell’Interno sul modello del fondo anti-usura – prosegue Bortolussi – non comporterebbe un gran dispendio di risorse pubbliche. Penso che a livello nazionale un centinaio di milioni di euro potrebbe essere più che sufficiente per dare una seria risposta a chi oggi ha bisogno di un po’ di ossigeno per mantenere in piedi la propria attività”. Il pericolo che la situazione precipiti non è da escludere. “Con l’avvicinarsi delle scadenze fiscali che quest’anno saranno particolarmente pesanti – conclude Bortolussi – è probabile che nei prossimi mesi molti piccoli imprenditori si troveranno ancor più a corto di liquidità. Per questo è importante che il Governo prenda coscienza che, di fronte ad una situazione emergenziale, si prendano misure emergenziali”.

Lo comunica la Cgia di Mestre in una nota.

Fonte: agenparl.it

Suicidi, si alza il velo dell’indifferenza

di Davide PASSONI

Finalmente la cortina di indifferenza, che sembrava continuasse ad avvolgere il dramma degli imprenditori e dei lavoratori suicidi per essere falliti o aver perso il lavoro, pare sollevarsi. Negli ultimi giorni, infatti, diverse grandi testate nazionali che si occupavano del fenomeno solo quando ci scappava il morto, hanno cominciato a dedicare alla cosa un’attenzione che va al di là della cinica conta dei morti.

Certo, nell’informazione funziona sempre così: il fatto di sangue tira, poi l’attenzione cala fino a nuovo sangue. Peccato, però, che i suicidi di imprenditori e lavoratori siano diventati faccenda quotidiana; difficile chiudere gli occhi, difficile far finta che si tratti di casi isolati, difficile dare solo la colpa alla crisi. Eh sì, perché la crisi è bastarda di per sé e se poi ci si mettono una burocrazia impazzita, un prelievo fiscale che sottrae ossigeno e risorse ai soliti noti (leggi lavoratori soggetti a sostituto d’imposta e imprese), una spesa pubblica che non si ha intenzione di tagliare (perché??) il mix diventa mortale. Almeno quanto l’indifferenza.

E allora salutiamo con soddisfazione un’altra importante iniziativa che è stata tenuta a battesimo ieri in Veneto, la nascita dell’associazione dei familiari degli imprenditori vittime della crisi, “Speranza al lavoro”, costituita a Vigonza (Padova) da Adiconsum e Filca-Cisl e della quale avevamo già anticipato la notizia su Infoiva nei giorni scorsi. Presidente Laura Tamiozzo figlia dell’imprenditore vicentino Antonio Tamiozzo, morto suicida a dicembre. Un’associazione che conterà su un numero verde e un pool di psicologi, un po’ come l’analoga iniziativa messa in campo della Confartigianato di Asolo-Montebelluna e dal suo presidente Stefano Zanatta.

Consentiteci due riflessioni finali. La prima. Speriamo che questa associazione non conti su ulteriori soci, mai più. La seconda. Quando sentiamo parlare di associazioni delle vittime di qualcosa, e le vediamo nascere, ci vengono alla mente momenti storici e situazioni terribili: che cosa evocano, infatti, l’associazione dei familiari delle vittime del terrorismo, della strage di Bologna, della strage di Ustica e via di questo passo? Momenti bui, periodi tragici, di emergenze sociali e di ordine pubblico, di spirali di dolore che sembrano avvitarsi su se stesse senza fine. Se qualcuno ancora aspettava un segnale per capire quanto fosse profondo l’abisso nel quale ci siamo spinti, eccolo qui. Per fortuna, però, che questo segnale dimostra che ci sono persone e imprese che hanno voglia di reagire e riemergere. Non dimentichiamole, aiutiamole.

Voci dalla crisi – La burocrazia mi ha fatto fallire

La crisi morde e la burocrazia ci uccide? La soluzione, per tanti imprenditori che non vogliono darsi fuoco, è quella di chiudere baracca e burattini (o quello che ne resta, dopo le razzie del fisco) e andare all’estero.

Ecco un’altra lettera giunta in redazione. Signori professori del Governo: vogliamo dare una prospettiva a imprenditori come questi? Visto che il 95% delle nostre imprese è fatto da loro, che succede se scappano tutti dall’Italia? Sveglia!!

Questo è un brutto periodo, da diversi anni ormai le piccole imprese soffrono, nessun aiuto, tasse sempre più soffocanti, poco lavoro data la crisi e banche che voltano le spalle e una burocrazia che può uccidere. Certo è più facile, anche se difficoltoso, per chi ha una liquidità propria.

Questo è il mio spirito, sono una donna di 47 anni nata e cresciuta nell’imprenditoria; dai miei ricordi di crisi ne ho viste e come mi ha insegnato il mio babbo (imprenditore) ci si rialza e si va avanti, magari rimettendosi in gioco, avendo il coraggio di cambiare settore. L’azienda del mio babbo è passata da sas a snc poi srl e ora da diversi anni è una spa. Gli è andata bene, i tempi erano diversi e sicuramente era più facile allora per una azienda crescere. Ho sempre avuto davanti a me un bell’esempio di imprenditoria fatta di testa, mani e passione.

Per me non è andata così… Ho aperto anch’io una piccola azienda nel settore alimentare con le mie sole forze, mettendo in ipoteca la mia casa per ottenere un mutuo che prontamente ho saldato tutto nel giro di quattro anni per poter acquistare macchinari per l’azienda. Nonostante il lavoro massacrante per gli orari, la fatica a gestire contemporaneamente lavoro e contabilità, sono riuscita ad assumere personale. Contenta di come andava avanti e avendo ottenuto bilanci in attivo, decisi di trasferire l’azienda in un’altra regione, avevo bisogno di più spazio (lo spirito imprenditoriale è quello di crescere). Non l’avessi mai fatto!

Mi sono scontrata con una burocrazia che dire lenta è poco….E questa purtroppo mi ha sotterrato. Da ottobre a maggio dell’anno successivo non sono riuscita ad aprire attività grazie all’asl. Lenta a rilasciare permessi con un sacco di documentazioni e planimetrie fatte fare da un geometra. Ho scoperto lì un nuovo mondo… aprire un’impresa non è uguale in tutte le regioni. Ho chiesto nel frattempo nuovi finanziamenti alla banca: mi sono stati rifiutati. Ho cercato di informarmi per finanziamenti all’imprenditoria femminile e lì c’è stato da “ridere”.

Esiste un ufficio a Roma (ho telefonato lì) che si occupa proprio di questo e mi dicono che non ci sono finanziamenti. Eppure l’ufficio c’è. con dei dipendenti, pagati pure. Sono riuscita con un piccolissimo finanziamento dalla Confcommercio a tirare avanti ancora per un po’ e pagare le aziende che hanno lavorato per la messa in opera di tutta l’impiantistica dell’azienda. Ho dovuto litigare con l’asl perché aveva le mia richiesta con tutti i documenti allegati ferma in una scrivania insieme ad un faldone di domande e chissà quando l’avrebbero presa in mano. Ho aperto con tutta la mia forza e voglia di continuare il mio lavoro interrotto l’anno prima, ma non è bastato, è servito a poco e nulla. Dopo pochi mesi ho dovuto chiudere, avevo perso in quel periodo lungo di chiusura troppi soldi. Avevo perso tutto. Riaprirò, non più in Italia ma all’estero.  (Lettera firmata)

AVETE ANCHE VOI UNA STORIA DA RACCONTARE? SCRIVETECI A infoiva@ejournal.it

Voci dalla crisi – Basta Italia, vado all’estero

di Davide PASSONI

Un’altra lettera, un’altra storia, un’altra voce dalla crisi arrivata alla nostra redazione. La scorsa settimana era la storia di una farmacista, partitivista per forza e, a un anno dalla pensione, obbligata a pensare di dover continuare a lavorare in nero per poter vivere.

Oggi la testimonianza di un avvocato, una professionista che per poter vivere dignitosamente e sfuggire a un Fisco carogna e ai pessimi pagatori è stata costretta a fuggire all’estero. Fuga di cervelli, fuga di professionisti, fuga per la vita… Giudicate voi. Una lettera che, nel suo essere sintetico, trasuda indignazione verso un sistema che spesso, invece di valorizzare l’intrapresa, la castiga e la obbliga a rinnegare la propria missione.

La mia storia è semplice:
– conclusa giurisprudenza a Padova nei tempi più duri, “tiro su uno studio letteralmente dal nulla”, nel senso che ho scarse conoscenze e quindi scarse segnalazioni: i clienti e la loro fiducia me le devo proprio conquistare palmo a palmo;
– il tutto dal 1998 – anno in cui mi iscrivo all’Albo Avvocati, fino a fine 2008: senza fare parcelle stellari o evocare nei clienti l’immagine dell’avidità, riesco a mantenere una famiglia, costruire una casa in campagna, comprare una barchetta e un terreno;
– poi cambia tutto: parcelle di 5000 e più euro impagate, pochissimi nuovi incarichi;
– non ce la faccio a tenere in piedi un’attività professionale, mi metto alla ricerca di un lavoro dipendente;
– mi offrono un posto di lavoro oltralpe: vado. Fortuna che inglese, tedesco e spagnolo li ho imparati e sempre un po’ parlicchiati in varie occasioni;
– duemilatrecento euro per 14 mensilità: era un po’ che non entravano questi soldi netti e aiutano decisamente a farmi sentire un po’ tranquilla;
– ho 43 anni compiuti.
Cordialità.

Un avvocato

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