Bruscino: il Sud non è figlio di Dio minore

Le esternazioni del presidente del Consiglio Renzi sulla situazione del Mezzogiorno alla luce del dati dello Svimez non sono andate giù a molti. Uno di questi scontenti è senza dubbio il presidente nazionale dei Giovani di Confapi Angelo Bruscino, che ha preso carta e penna e, sull’argomento ha scritto una lunga lettera aperta al premier.

Egregio Presidente – esordisce Angelo Bruscino -, sono giorni di acceso, ennesimo, dibattito sul Mezzogiorno, scatenato dai dati del rapporto Svimez, con i quali si certifica, in sostanza, il definitivo tracollo nel baratro del sottosviluppo di un’area fondamentale per il paese, abitata da circa 20 milioni di persone, con un potenziale economico, turistico, agricolo e culturale inespresso, che da solo rappresenta la migliore occasione di rilancio del Pil nazionale”.

Ma se questo non bastasse a risvegliare interesse e menti – continua Bruscino -, converrebbe ricordare che le regioni sotto il Garigliano rappresentano il primo e più importante mercato di prossimità, a cui l’intera industria italiana dovrebbe puntare per risvegliare i consumi interni. Ciò malgrado, nello Stivale da quasi 60 anni si aggira un assassino, terribile e senza scrupoli, che porta sulla sua coscienza infrastrutture, fondi europei, buona politica, servizi e, purtroppo, tra le vittime eccellenti, il nostro futuro e la speranza di molti”.

Come in una partita a Cluedo, le ipotesi sull’identità di questo lestofante sono molte, ma vi assicuro non è il maggiordomo il vero colpevole, anzi i migliori indiziati sono proprio gli abitanti di queste splendide terre, che non sono riusciti ad esprimere con forza una classe dirigente capace di fare la differenza. Le occasioni non sono mancate, abbiamo avuto uomini importanti, potere, soldi, ma in definitiva tutto speso male: non siamo riusciti a creare una cultura dell’impegno che desse alle nostre terre la dignità che meritano per storia, tradizioni e cultura; ci siamo fatti conquistare e abbiamo dato ai vincitori non solo le nostre spoglie, ma anche la possibilità di infierire ogni giorno”.

Alcuni – prosegue Bruscinoparlano di ladrocinio perpetrato, io penso invece che sia stato un deliberato abbandono, soprattutto nel passato, quando si poteva ancora scegliere se restare e tentare di cambiare o semplicemente fuggire portando via il meglio che si poteva. Certo, il resto degli italiani ha la responsabilità di essere stato egoista e miope, sciocco addirittura nel pensare che una parte del paese potesse affondare senza portarsi dietro tutti gli altri. Per questo non posso che essere d’accordo con chi nell’industria, nella società civile e nella politica chiede a gran voce, non assistenza, ma pari dignità, chiede ai nostri giovani di restare, alle imprese di stato, in primis e, ai privati dopo di investire, come applaudo con entusiasmo al rinnovato vigore che scorgo nelle intenzioni ad esempio di Vincenzo De Luca, neo governatore della Campania”.

Anche se sarebbe ipocrita non ricordare o tacere un fatto, non si può chiedere a noi di credere nel futuro se alcune cose non cambiano subito nel presente. Io per primo che ho deciso di restare e continuare ad investire nel Sud Italia, ho atteso 3 anni che la burocrazia si esprimesse sull’apertura di un piccolo stabilimento che si occupa della rigenerazione delle plastiche”.

Vi è poi – rincara Bruscinol’attesa infinita di chi da anni attende un pagamento dalla pubblica amministrazione, rischiando di fallire per credito, di chi aspetta il rifacimento di una strada, l’allaccio del metano o dell’elettricità nelle aree industriali, la connessione a internet via fibra. Una miriade di piccole e grandi disfunzioni e ritardi che rendono sempre meno attraente e più difficile pensare di realizzare qui la propria impresa e in definitiva il proprio domani”.

Eppure le splendide avventure non mancano e sono d’accordo con Lei, quando dice che a Napoli come a Bari, Cagliari o Cosenza, si continuano a esprimere eccellenze, dall’industria, alla ricerca, alla cittadinanza attiva, alla buona politica. Solo che, invece di essere l’eccezione, dobbiamo tutti impegnarci a farne la regola, dobbiamo insomma fare in modo che la speranza sia più forte della triste e terribile realtà rappresentata nel rapporto Svimez ed in questo il suo governo potrà tracciare il confine tra un periodo di abbandono ed uno nuovo fatto di investimenti, coraggio riforme, di fatti e non di piagnistei”.

Siamo ancora in tempo, ma, come sempre, dipende tutto da Noi, in primis dai cittadini di quella Italia del Mezzogiorno che troppo spesso è stata dimenticata nel vivere quotidiano e nell’impegno personale, per essere ricordata poi solo nel pianto di un figlio o di un genitore che vede l’abbandono o la partenza come unica via di sopravvivenza”.

Abbiamo tutti, Lei in primis me lo conceda – conclude Bruscino -, il dovere di realizzare la ‘Svolta Buona’, fosse solo per evitare altre lacrime e per l’orgoglio che dobbiamo al nostro retaggio storico. Quindi, mai come in questo momento, è fondamentale rimboccarsi le maniche, prima per testimoniare chi siamo e poi per rivendicare giustamente uno stato equo ed attento anche a queste latitudini. Non siamo figli di un dio minore, anzi, se proprio dobbiamo riconoscerci in un archetipo, ricordiamo che il brand Italia si è diffuso nel mondo partendo con i nostri migranti che portavano con se le nostre canzoni, il nostro cibo, il nostro stile e quella splendida nostalgia che, lontani da queste splendide terre, non ti abbandona mai, perché noi che ci viviamo lo sentiamo dentro questo paradiso che per incuria a volte trasformiamo in inferno”.

Le Pmi del Sud e la Svimez: secondo uno studio sono le più forti nel triennio 2004-2006

Le piccole medie imprese del Mezzogiorno sono cresciute molto di più delle grandi imprese meridionali nel triennio 2004-2006 per numero di addetti, di fatturato, di export e di spesa in ricerca.

A stabilirlo è  una ricerca sulla competitività delle piccole e medie imprese del Sud condotta da Cristiana Donati e Domenico Sarno (sarà pubblicata sul trimestrale della Svimez, Rivista Economica del Mezzogiorno, diretto da Riccardo Padovani) che ha verificato che ad aver permesso il sorpasso delle pmi sulle grandi attività è stato il contenimento dei costi di produzione grazie ad una maggiore commistione con il sommerso e alla profonda diversità del modo di fare impresa  rispetto al Nord Italia.

L’analisi

Lo studio è stato condotto su un campione Unicredit di oltre 5mila anziende del settore manifatturiro aventi un numero di addetti compreso fra le 11 e i 250 unità.

Le osservazioni sono state effettuate su alcuni rilevatori distinti fra il triennio 2004-2006 e il precedente 2001-2003 e in particolare:

numero di addetti: fra il 2004-2006 le pmi sono passate dal – 0,8% a + 2,6% con un aumento nelle aziende fra 11-20 addetti che sono passate da -11,3% al +3,4% del 2004-2006.

fatturato: le imprese del campione hanno aggiunto un +3% dal primo triennio (dal +7% del 2001-2003 al + 10,3% del 2004-2006). In valori assoluti, gli oltre 9 milioni di euro di fatturato medio per azienda del 2004 diventano più di 10 nel 2006 con un progresso avuto soprattutto nelle piccole imprese (11-20 addetti) con oltre 12 punti percentuali nel tasso di crescita (da – 0,4% del 2001-2003 al 12% nel 2004-2006).

export: le crisi d’inzio 2000 le pmi (11-20 addetti) sono passate dal 49,5% sul totale delle piccole imprese del campione nel 2003, al 30,9% nel 2006. Boom di crescita del fatturato di quasi 14 punti per le pmi più resistenti, dal 26,2% sul proprio fatturato complessivo del 2003 al 39,9% del 2006.

produttività: +3,4% di crescita nel 2004-2006, quasi un raddoppio del +1,8% del triennio precedente.

All’opposto, lo studio pubblicato su Svimez registra per le aziende delle classi 21-50 addetti e 51-250 unità rispettivamente – 5,4% (dal +14,8%del 2001-2003) e – 0,1% (contro il -2,2%).

Risultati

L’analisi, secondo la Svimez, ha fatto emergere la maggiore tenuta e capacità di reazione delle aziende della classe 11-20 addetti rispetto alle maggiori realtà della struttura industriale meridionale e grazie a “una maggiore commistione con l’economia sommersa”.

Secondo il Direttore della Svimez Riccardo Padovani, alla realtà imprenditoriale meridionale manca la capacità di appartenere “a una rete che consente il rapido trasferimento di capacità, tecnologie e informazioni”, “un tessuto produttivo maggiormente integrato a livello territoriale e più aperto alle reti internazionali”.
“Gli obiettivi guida di politica industriale per rilanciare il Mezzogiorno”
– ha continuato – “dovrebbero essere: riqualificazione del modello di specializzazione produttiva e organizzativa, attraverso il sostegno all’innovazione tecnologica; aumento delle dimensioni medie dell’impresa meridionale, attraverso il sostegno alla formazione di reti di imprese e a un maggiore accesso al credito; promozione e arricchimento di filiere produttive,; crescita del grado di apertura verso l’estero; pieno inserimento delle agglomerazioni delle imprese meridionali nei progetti di innovazione di ‘Industria 2015’; rilancio delle politiche di attrazione”.

Paola Perfetti