Tari, cosa cambia da marzo 2022?

Cos’è la Tari, per chi non sapesse di cosa si tratta, ma anche per coloro che già inevitabilmente sanno, andiamo a vedere cosa cambia in merito a questa tassa, dal marzo 2022. Tutto quello che c’è da sapere sul cambiamento della Tari, nella nostra rapida guida.

Tari, di cosa si tratta

Partiamo dalle basi della questione: per chi non fosse a conoscenza di questa parola, pur essendo un qualcosa che riguarda tutti i contribuenti, spieghiamo di cosa si tratta.

La TARI nonè altro che l’imposta destinata a finanziare i costi relativi al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Come spiega il sito del MEF, “è una tassa dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte suscettibili di produrre i rifiuti medesimi”.
Quindi, una tassa che riguarda affittuari, proprietari, sia di negozi che di case.
Ma cosa cambia in merito a questa imposta, dal marzo 2022? Scopriamolo nei prossimi passaggi della nostra guida.

Tari, cosa cambia da marzo 2022

Stando ai nuovi cambiamenti impostati da Arera (ovvero autorità che regola energia e ambiente) vi sarà un nuovo schema di obbligo per i comuni di tutto il territorio nazionale.

Partiamo subito col dire che le amministrazioni avranno tempo fino al 31 marzo 2022 per scegliere uno dei quattro schemi regolatori previsti da Arera e per adeguarsi alle nuove norme.

Ad ogni modo, queste nuove regole entreranno in vigore dal prossimo 1° gennaio 2023, ma gli enti territorialmente competenti sono tenuti a scegliere entro il 31 marzo 2022 uno dei quattro schemi regolatori previsti da Arera, introdotti con l’obiettivo di creare degli standard comunali omogenei a livello nazionale per garantire la qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Ma cosa è previsto dal nuovo set di obblighi? Per quanto concerne la qualità tecnica, i Comuni dovranno assicurare continuitàregolarità e sicurezza del servizio, mentre in relazione alla qualità contrattuale assumono importanza i seguenti fattori:

  • la gestione delle richieste di attivazione, variazione e cessazione del servizio;
  • la gestione dei reclami, delle richieste di informazioni e di rettifica degli importi addebitati;
  • le modalità e periodicità di pagamento, la rateizzazione e il rimborso degli importi non dovuti;
  • il ritiro dei rifiuti su chiamata;
  • disservizi e riparazione delle attrezzature per la raccolta domiciliare.

Utenti e Tari, cosa cambia

Ma, al di fuori di ciò che comporta il cambiamento per i comuni, cosa cambia in sostanza per gli utenti? Ovvero per i contribuenti che pagano le tasse.

Dunque, il nuovo quadro normativo andrà a comportare delle novità anche per gli utenti, è evidente. Ma, andiamo a vedere nello specifico, in che modo.

La prima di queste novità riguarderà il piano straordinario di pagamento dilazionato della TARI, in tal senso i Comuni dovranno garantire un’ulteriore rateizzazione per rate di importo minimo pari a 100 euro, od in caso superino del 30% il valore medio degli ultimi due anni, avremo le seguenti opzioni:

  • beneficiari del bonus sociale previsto per i settori elettrico, gas e idrico;
  • coloro i quali si trovano in condizioni economiche disagiate, da definire in base ai criteri comunali.

Per quanto riguarda, invece i reclami e le richieste di informazione e di rimborso degli importi addebitati erroneamente, stando ai nuovi standard si vanno a prevedere tempi di risposta pari a 30 giorni.

La verifica del bollettino TARI ed una sua eventuale rettifica delle somme addebitate dovrà essere inoltre effettuata entro i 60 giorni lavorativi, e i rimborsi saranno erogati entro 120 giorni di tempo massimo.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito ai cambiamenti e alle novità sulla Tari, previste da questo marzo 2022, ma che entreranno, come detto, in vigore dalla partenza del prossimo anno, nel 2023.

 

Approvato il nuovo MUD, ecco le novità

Il modello del nuovo MUD è stato approvato dal DPCM datato 28 dicembre 2017, documento che va utilizzato per la denuncia da effettuarsi entro il 30 aprile 2018.

Rispetto a quello vecchio, il modello nuovo ha mantenuto l’articolazione solita in una sezione anagrafica, composta dalla Scheda SA1, obbligatoria per tutte le sezioni, ad eccezione della Comunicazione Rifiuti semplificata, e dalla scheda autorizzazioni, obbligatoria per tutti i soggetti autorizzati a svolgere attività di gestione dei rifiuti, e altre sei comunicazioni:

  • Comunicazione Rifiuti
  • Comunicazione Veicoli Fuori Uso
  • Comunicazione Imballaggi, composta dalla Sezione Consorzi e dalla Sezione Gestori Rifiuti di imballaggio
  • Comunicazione Rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche
  • Comunicazione Rifiuti Urbani, Assimilati e raccolti in convenzione
  • Comunicazione Produttori di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche

Il MUD va inviato, entro la data stabilita del 30 aprile 2018, alla Camera di Commercio competente ed esclusivamente per via telematica all’indirizzo Mudtelematico.it.

Sono escluse le seguenti comunicazioni:

  • Comunicazione Rifiuti semplificata: la compilazione avviene inserendo i dati nel portale mudsemplificato.ecocerved.it, mentre la presentazione avviene via PEC all’indirizzo comunicazionemud@pec.it
  • Comunicazione Produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche: la presentazione deve avvenire esclusivamente tramite il portale dedicato, raggiungibile dal sito www.registroaee.it o dal sito www.impresa.gov.it

Tra le principali novità introdotte con il nuovo Modello, ne spiccano sicuramente due:

  • l’obbligatorietà dell’invio in forma telematica o tramite PEC della “Comunicazione Rifiuti” in forma semplificata. Viene sancita l’impossibilità, per queste due Comunicazioni, di invio tramite raccomandata, in forma cartacea o su supporto magnetico
  • la “Scheda autorizzazioni” della Sezione anagrafica, più articolata rispetto al passato e obbligatoria per tutti gli impianti autorizzati alla gestione dei rifiuti.

Vera MORETTI

Tari: ancora tante discrepanze sulle cifre da pagare

I dati della Camera di Commercio di Milano denunciano un fatto che, ormai, avviene regolarmente e che ad oggi non è stato ancora risolto.
I Comuni, infatti, continuano a far pagare la Tari anche nelle aree di interesse delle imprese, dove dovrebbero dunque essere queste ultime ad occuparsi dello smaltimento dei rifiuti. Risultato? Le imprese si ritrovano a pagare un servizio che di fatto il Comune non eroga, per uno spreco di denaro davvero spropositato.

Gli aggravi sarebbero, in media, del 50%, se non di più, e in alcuni settori le spese aggiunte sono davvero elevate: considerando le aree espositive, tipicamente di grandi dimensioni ma con una ridottissima produzione dei rifiuti, la reale area produttiva di rifiuti equivarrebbe al 15% dello spazio complessivo, mentre la tassa viene applicata su tutta la superficie.

Altro esempio eclatante di distorta applicazione della tassa sui rifiuti riguarda gli alberghi, generalmente soggetti a coefficienti fortemente squilibrati rispetto al potenziale produttivo di rifiuti.
In questo ultimo caso, c’è anche una sentenza del Tar della Puglia, che ha affermato la sproporzione tra la tariffa stabilita dal Comune di Brindisi per gli esercizi alberghieri con ristorazione (€ 11,13 a mq) o senza ristorazione (€ 8,90 a mq) e la tariffa stabilita per le abitazioni (€ 2,43 a mq).
L’albergo soggetto della sentenza, di superficie di circa mille mq, pagava una tassa di 8.941 € quando, in applicazione della sentenza, avrebbe dovuto pagarne 4.492 €.

Le discrepanze sono così evidenti anche a causa dell’aumento della tassa dei rifiuti, che negli ultimi sei anni è lievitata del 68%, corrispondente ad un incremento complessivo di 3,7 miliardi di euro. Una tassazione crescente che si è riflessa indifferentemente su tutte le principali categorie economiche del terziario, con problemi più diffusi per alcune attività.
Infatti, negli ultimi sei anni, ristoranti e pizzerie hanno registrato un aumento del 480% mentre ortofrutta e pescherie addirittura del 650%. Una tassazione crescente doppiamente ingiustificata se si considerano i dati riguardo alla produzione totale di rifiuti che, in controtendenza, ha subito un rallentamento.

E le spese non calano nonostante la produzione di rifiuti sia, nel frattempo, diminuita.

Altre problematiche sono emerse dal Rapporto sui rifiuti urbani – Ispra 2017, che rende noto come il costo di gestione dei rifiuti differenziati (15,12 centesimi di euro al kg) sia inferiore di circa un terzo rispetto a quello degli indifferenziati (40,79 centesimi di euro al kg). Un dato che letto congiuntamente al trend crescente di raccolta differenziata, presupporrebbe una contrazione della spesa complessiva, che invece è aumentata.

Inoltre, gli obiettivi relativi alla raccolta differenziata fissati a livello europeo non sono stati raggiunti, a dimostrazione che le aziende di gestione dei rifiuti non si sono, finora, dimostrate all’alatezza.

Vera MORETTI

Tassa dei rifiuti ancora in aumento

La tassa sui rifiuti è sempre più pesante per le famiglie italiane, che quest’anno si ritroveranno a pagare 9,1 miliardi di euro, ma anche per le attività produttive, i cui aumenti incideranno sull’inflazione.

Si prevede, infatti, che tra il 2017 e il 2018 i negozi di frutta, i bar, i ristoranti, gli alberghi e le botteghe artigiane subiranno un aumento della tariffa dei rifiuti oscillante tra il 2 e il 2,6%.
Per le famiglie, invece, l’incremento sarà leggermente più contenuto. Per un nucleo con 2 componenti la maggiore spesa sarà del 2%, con 3 dell’ 1,9% e con 4 dello 0,9%. Per l’anno in corso, viceversa, l’inflazione è prevista in aumento dell’1,2%.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, ha dichiarato: “Fintantochè non arriveremo alla definizione dei costi standard possiamo affermare con buona approssimazione che con il pagamento della bolletta non copriamo solo i costi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti, ma anche le inefficienze e gli sprechi del sistema. Ricordo che secondo l’Antitrust tra le oltre 10mila società controllate o partecipate dagli enti locali che forniscono servizi pubblici, tra cui anche la raccolta dei rifiuti, il 30% circa sono stabilmente in perdita. Una cattiva gestione che la politica locale non è ancora riuscita a risolvere”.

Gli aumenti vanno imputati anche alle tante novità che negli ultimi anni hanno caratterizzato il prelievo dei rifiuti, poiché si è passati dalla Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) alla Tia (Tariffa di igiene ambientale), ma nel 2013 ha fatto il suo debutto la Tares (Tassa rifiuti e servizi) e dal 2014, infine, tutti i Comuni applicano la Tari (Tassa sui rifiuti).

La Tari si basa sul principio, stabilito dall’Ue in realtà, secondo cui chi inquina paga, per un legame più forte tra la produzione dei rifiuti e l’ammontare del tributo. Questo principio ha portato però ad un forte incremento dei costi.
Con l’introduzione della Tari è stato ulteriormente confermato l’assunto che il costo del servizio in capo all’azienda che raccoglie i rifiuti deve essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento del tributo.
Il problema nasce da questo principio, perché le aziende di asporto rifiuti, che operano in condizioni di monopolio, comportano costi che famiglie e aziende devono necessariamente coprire, anche se gli importi sono davvero elevati.

Renato Mason, segretario della CGIA, ha commentato: “Proprio per evitare che il costo di possibili inefficienze gestionali si scarichi sui cittadini la Legge di Stabilità 2014 aveva previsto che, dal 2016, la determinazione delle tariffe avvenisse sulla base dei fabbisogni standard. Il Parlamento, successivamente, ha però prorogato tale disposizione al 2018. Pertanto, bisognerà attendere ancora un po’ affinché le tariffe coprano solo il costo del servizio determinato dai costi standard di riferimento”.

Vera MORETTI

Saran pure rifiuti, ma li paghiamo a peso d’oro

Che sia Tari, Tasi o qualsiasi altro balzello, una cosa è certa: imprese e famiglie italiane pagano salatissimo lo smaltimento dei propri rifiuti. La conferma viene, ancora una volta, dall’Ufficio studi della Cgia, che ha rilevato come tra il 2010 e il 2015 una famiglia con 4 componenti che vive in un casa da 120 mq ha subito un aumento della tassa sui rifiuti del 25,5%, 75 euro tramutati in denaro sonante.

È il bello deve ancora venire, perché nel 2015 verserà al comune 368 euro di Tari per l’asporto dei rifiuti. Male anche per la famiglia tipo di 3 persone con casa di 100 mq: +23,5%, pari a +57 euro e un versato di circa 300 euro nel 2015. Se la casa di queste 3 persone è di 80 mq, le cifre scendono, ma di poco: +18,2%, +35 euro, 227 euro di versato.

Quella della tassa sui rifiuti è una barzelletta tutta italiana, la cui storia da sola, con il variare del nome legato alla tassa la dice lunga sull’unica volontà del legislatore: fare cassa sempre e comunque. Fino a qualche anno fa gli italiani pagavano la Tarsu (Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), anche se molti Comuni l’avevano sostituita con la Tia (Tariffa di igiene ambientale). Nel 2013 il legislatore ha introdotto la Tares (Tassa sui rifiuti e servizi), che dal 2014  ha lasciato il posto alla Tari (Tassa sui rifiuti), introdotta con la Legge di Stabilità per sottostare al principio comunitario del “chi inquina paga”: più rifiuti si producono, più alta è la tassa.

La Tari ha confermato il principio che il costo del servizio sostenuto dall’azienda che raccoglie i rifiuti dev’essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento della tassa. Una fregatura. Infatti, nonostante in questi ultimi anni il l’impatto economico sulle famiglie della tassa sui rifiuti sia aumentato, dall’inizio della crisi a oggi la produzione dei rifiuti urbani ha subito una contrazione: nel 2007 ogni cittadino italiano ne produceva quasi 557 kg all’anno, nel 2013 (ultimo dato disponibile) meno di 500 (491 kg).

E, se per le famiglie è stato un bagno di sangue, inutile sottolineare che, sotto il profilo dei rifiuti, alle aziende e alle attività economiche è andata anche peggio. Ristoranti, pizzerie e pub con una superficie di 200 mq hanno subito un aumento medio del prelievo per la tassa sui rifiuti del 47,4%, +1.414 euro. Un negozio di ortofrutta di 70 mq ha registrato un incremento del 42% (+ 560 euro), un bar di 60 mq +35,2% (+272 euro). Il tutto nonostante una contrazione del giro di affari e del fatturato che, spesso, ha portato anche alla diminuzione della quantità di rifiuti prodotta.

Tasi, chi paga?

Tasi, chi paga? La macchina fiscale italiana è riuscita ancora una volta a dare il peggio di sé in quanto a farraginosità, superficialità e approssimazione con la telenovela della Tasi. La famigerata tassa sui servizi indivisibili, la cui prima rata dovrebbe andare in pagamento entro il 16 giugno è ancora in buona parte nebulosa grazie a una serie di rinvii, rimpalli e indecisioni che, ancora una volta, vanno solo a danno dei cittadini e delle imprese, contribuenti e sudditi.

Associazioni dei consumatori, professionisti e imprese sono sul piede di guerra, i cittadini non ci capiscono nulla e i Caf sono allo stremo, presi in mezzo tra le richieste dei contribuenti e le non risposte che arrivano a livello istituzionale. Ma a oggi, che cosa si sa?

Quello che è certo è che, visto il rischio di non incassare subito gli introiti della Tasi, molti Comuni che fino a pochi giorni fa non avevano deciso le aliquote si sono date una rapida mossa: il numero di amministrazioni pronte ha ora superato le 2mila. Se l’ultimo giorno utile per determinare il livello di imposizione della Tasi era venerdì 23 maggio, c’è tempo fino al 31 del mese per pubblicare sul sito dell’Agenzia delle Entrate il testo della delibera. La pubblicazione è discriminante per sapere se bisogna pagare la prima rata del tributo entro il 16 giugno o se bisognerà passare alla cassa dopo l’estate, se non a dicembre. 

Tanto per complicare le cose, la legge di Stabilità ha istituito il cosiddetto Iuc, tributo che dovrebbe raggruppare la Tasi e la tassa sui rifiuti, anche se, di fatto, ciascuno dei due tributi va per i fatti suoi: la prima rata della Tasi si paga entro il 16 giugno solo nei Comuni che hanno pubblicato entro il 31 maggio la delibera con le aliquote relative sul sito del ministero delle Finanze. Per gli altri Comuni, i termini di versamento saranno prorogati da un decreto governativo che posticiperà il versamento a settembre o a ottobre.

Più chiaro il discorso sull’Imu, visto che quella andrà pagata. La prima rata si verserà entro il 16 giugno in tutti i casi: se il Comune ha pubblicato la delibera 2014, l’acconto si calcola sulle aliquote aggiornate, altrimenti si paga con le regole del 2013.

Approvato il bollettino con cui pagare la Tares

E’ stato approvato il bollettino con cui dall’1 luglio sarà possibile pagare la Tares, la nuova tassa sui rifiuti.
In un unico bollettino si verserà il corrispettivo della tariffa e la maggiorazione prevista a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei Comuni.

Il contribuente potrà effettuare il versamento presso gli uffici postali grazie allo sportello telematico gestito da Poste Italiane SpA; in quest’ultimo caso il contribuente riceve la conferma dell’avvenuta operazione con le modalità previste per il Servizio di collegamento telematico.
Oltre alla conferma di avvenuto pagamento, l’utente riceve anche l’immagine virtuale del bollettino, che corrisponde al modello, o una comunicazione in formato testo contenente tutti i dati identificativi del bollettino e del bollo virtuale di accettazione.

Il numero di conto corrente è unico, e valido per tutti i Comuni: 1011136627. Il conto corrente postale per il versamento del tributo, della tariffa e della maggiorazione è obbligatoriamente intestato a “PAGAMENTO TARES”.

Vera MORETTI

Online le specifiche per lo scambio dati sulla Tares

Dopo che le modifiche relative alla Tares sono state rimandate a dicembre, ovvero alla terza rata della tassa sui rifiuti, i Comuni si apprestano a comunicare al Fisco i dati relativi alle superfici degli immobili iscritti al Catasto, per completare le verifiche necessarie al calcolo dell’imposta.

Sono infatti online, sul sito dell’Agenzia delle Entrate, le specifiche tecniche per lo scambio dati utili all’accertamento Tares nei Comuni, come previsto dal provvedimento del direttore del 29 marzo scorso: i dati catastali da segnalare al Fisco riguardano le unità immobiliari a destinazione ordinaria, iscritte in Catasto e corredate di planimetria.

Le specifiche contengono anche i formati utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per fornire ai Comuni le superfici calcolate, comprensive o meno delle aree scoperte, e quelli utilizzati dai Comuni per segnalare all’Agenzia gli immobili con scostamenti significativi tra le superfici calcolate e i dati in loro possesso.

Il tracciato è stato predisposto sulla base di quello già in uso per l’applicazione della Tarsu, che continuerà ad essere fornito.

In entrambi i casi sono presenti, per ciascuna unità immobiliare, anche l’identificativo catastale, gli intestatari catastali e l’indirizzo presente nella banca dati.

Vera MORETTI

Tares, l’Anci insiste: rinviarla al 2014

L’Anci torna alla carica sulla Tares. Fin da subito fortemente contraria alle tempistiche e alle modalità di applicazione della nuova tariffa sui rifiuti solidi urbani, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani fa di nuovo la voce grossa, questa volta in audizione sul decreto legge relativo al saldo dei debiti della PA, davanti alla commissione Speciale della Camera.

Naturalmente lo fa per mezzo del suo presidente Graziano Delrio. Il numero uno dell’Anci ha infatti portato all’attenzione della commissione i problemi che porterà con sé l’accoppiata Tares-Imu per i comuni, chiedendo nuovamente il rinvio della tassa sui rifiuti al 2014. Secondo Delrio, infatti, “la tassa era nata per finanziare i servizi indivisibili dei comuni perché non c’era l’Imu sulla prima casa“. Secondo il presidente, il rinvio a dicembre della Taresva bene, ma continuiamo ad avere dubbi sulla sua natura e quindi insistiamo per un suo rinvio al 2014″. Senza contare che “questo tributo va tutto allo Stato“, ha sottolineato.

In più, Delrio ha rincarato la dose ricordando l’impatto che la Tares avrà sui comuni, in concomitanza con l’Imu: “Sull’Imu abbiamo subito un taglio occulto di quasi un miliardo. I tagli dei fondi sono stati effettuati sulla base del gettito presunto Imu; peccato che si sia calcolato anche il gettito degli immobili di nostra proprietà, su cui ovviamente non paghiamo, pari a 300 milioni. Insistiamo che questi 300 milioni siano tolti dal calcolo“.

Infine, ha precisato Delrio, le riduzioni dei trasferimenti erano commisurate alla differenza fra il gettito Ici e quello dell’Imu. “L’aggiornamento dell’Ici doveva essere sull’ultima rilevazione Istat, ma poi è aumentato e questo ci è costato 400 milioni che nella verifica dovevano essere stornati e restituiti ai Comuni“. Un brusco scossone alle certezze del governo su quello che dovrebbe essere il gettito della tassa.

Tares, chi non la paga

Per quanto possa sembrare strano, c’è qualcuno che è esentato dal pagamento di una tassa dello Stato. Normale, direte voi… Vero, ma con l’andazzo di questo tempo, in cui lo Stato pur di far cassa sarebbe disposto a tassare persino l’aria, la cosa ci fa comunque pensare.

Parliamo, naturalmente, della Tares, sulla quale dal Ministero delle Finanze arrivano ora chiarimenti su chi è esente dal pagamento. Partendo dal fatto che ciascuna ditta o privato deve fare riferimento al regolamento del proprio Comune di residenza o di produzione, ricordiamo che la prima rata si pagherà a luglio 2013.

Diversi sono, in ogni caso gli immobili esentati dal pagamento. Intanto quelli destinati ad abitazione purché senza arredi e contratti di approvvigionamento. Le aree indirizzate alla sola attività sportiva si vedono soggette al pagamento solo nelle aree destiate ad usi differenti: biglietterie e uffici, punti di pausa, scalinate, spogliatoi e servizi igienici.

Niente Tares nemmeno per le stanze private che ospitano macchinari tecnologici: celle frigorifere, vani ascensori, cabine elettriche, silos, centrali termiche, stanze di stagionatura e disseccamento purché non ospitino trattamenti. Sono esentate anche le superfici invalicabili od ostacolate da un recinto e quelle destinate al passaggio o alla fermata di mezzi di trasporto gratuita.

Fuori le superfici scoperte come cortili, parchi, giardini, terrazze non coperte, balconi e posti auto non coperti e gli immobili in fase di miglioramento protetto o restauro edilizio, limitatamente al periodo dalla data di avvio dei lavori a quella di avvio della successiva occupazione. In caso di apparecchiature di distribuzione dei combustibili (aree di servizio) sono esentate le superfici non coperte e non usate o non fruibili in quanto invalicabili o escluse dall’utilizzo con recinto accessibile; quelle occupate dalle apparecchiature di lavaggio veicoli, quelle utilizzate all’entrata e all’uscita dei veicoli dell’area di attività e dal lavaggio.

Anche zone del condominio sono escluse dalla Tares: luoghi di transito, ascensori, scale, atri e locali stendibiancheria. Il condominio è esente anche nel caso di uso momentaneo di locali o superfici con durata al di sopra dei sei mesi nell’anno: in questo caso, il contributo spetta solo al proprietario dei locali e delle aree che sono a titolo di utilizzo, appartenenza, superficie, casa e usufrutto.

Nel caso di centri commerciali integrati e di vani posizionati in multiproprietà tocca alla persona che amministra le attività comuni il compito di versare l’imposta per i vani e le superfici non coperte di utilizzo comune e che siano in uso esclusivo ai singoli possessori o abitanti.