Partita IVA, come calcolare tasse e contributi

Oggi ci addentreremo nel mondo delle Partite IVA, per scoprire in una rapida guida come poterne calcolare tasse e contributi.

Partita IVA, come calcolare le tasse

Per poter calcolare le tasse su una Partita IVA, occorre ovviamente prendere in esempio un ipotetico fatturato del contribuente.

Bisogna, innanzitutto, chiarire che un professionista dotato di una partita Iva a regime ordinario è tenuto a pagare: l’imposta sul valore aggiunto (Iva); l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef); l’imposta regionale sulle attività produttive (Irap).

Differenza prevista, invece per chi ha una Partita IVA in regime forfettario. Il regime forfettario è, infatti, una agevolazione fiscale che permette di pagare un’ imposta sui redditi del 5% o 15% fino ad una fatturazione di 65.000 €.

Sebbene, a livello fiscale, il metodo per la determinazione del reddito imponibile e per il calcolo dell’unica imposta sostitutiva è identico per tutti i forfettari, in ambito contributivo le differenze si fanno più marcate, poiché sono le singole Casse o Gestioni a dettare le regole.

Esempi pratici di calcolo tasse e contributi

Prendiamo, per primo, il caso di un infermiere a partita IVA, con un fatturato annuo di 20.000 Euro.

Di seguito, scopriamo un sostanziale esempio di calcolo delle tasse e dei contributi previdenziali:

  • Fatturato lordo: 20.000 €
  • Coefficiente redditività: 78%
  • Costi deducibili: 22%
  • Contributi deducibili: 3.000 €
  • Reddito imponibile: 20.000 € – 22% – 3.000 = 12.400 €
  • Imposta sostitutiva: 1.860 €

Per quanto riguarda i contributi previsti, essendo un infermiere non è iscritto alla gestione separata INPS, a differenza ad esempio di altri rami della medicina, come il fisioterapista o il logopedista. In tal caso avrebbe dovuto versare il 25,72% del reddito imponibile. Da infermiere, invece, appartenente ad Enpapi, dovrà sottostare ad un regolamento interno, con le aliquote di ogni anno corrente, per poter versare i contributi.

Qualora, invece andiamo a prendere a modello un parrucchiere, inquadrabile quindi come artigiano in Partita IVA

Il rispettivo Codice Ateco è “96.02.01 per Servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere” e va a prevedere un coefficiente di redditività pari al 67%, mentre la quota dedotta per le spese aziendali corrisponde al 33%.

Ecco un rapido calcolo di esempio per un fatturato di 25 000 Euro, con un versamento di 4.500 Euro di contributi.

  • Fatturato lordo: 25.000 €
  • Coefficiente redditività: 67%
  • Costi deducibili: 33%
  • Contributi deducibili: 4.500 €
  • Reddito imponibile: 25.000 € – 33% – 4.500 = 12.250 €
  • Imposta sostitutiva: 1.873 €

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a prendere un altro esempio, quello di Partita IVA per commercianti.

Prendiamo il caso di un titolare di un e-commerce, dunque inquadrato come ditta individuale di tipo commerciale, che nell’anno 2020 ha fatturato ed incassato 50.000 euro lordi.

Il coefficiente di redditività associato al proprio codice Ateco è pari al 40%, per cui la percentuale dedotta per le spese aziendali corrisponde al restante 60%.

Il nostro esempio ci porterà ad un calcolo dunque pari al seguente:

  • Fatturato lordo: 50.000 €
  • Coefficiente redditività: 40%
  • Costi deducibili: 60%
  • Contributi deducibili: 4.000 €
  • Reddito imponibile: 50.000 € – 60% – 4.000 = 16.000 €
  • Imposta sostitutiva: 2.400 €

E per quanto va a riguardare la contribuzione un commerciante è tenuto a versare i seguenti contributi, con obbligo

  • Contributi minimi obbligatori (pari a 3.830 € circa), da corrispondere indipendentemente dal reddito
  • Contributi variabili con aliquota al 24,09%, obbligatori per i contribuenti che hanno sforato il reddito minimo stabilito dall’Inps (ovvero 15.953 €), da calcolarsi sulla sola parte eccedente.

Dunque, questo era quanto di più necessario, formativo, esaustivo ed utile vi fosse da conoscere in merito al calcolo delle tasse e al versamento dei contributi per possessori di Partita IVA.

Anno nuovo, tasse nuove?

A quanto pare, il 2013 si aprirà con una novità che non sarà molto apprezzata dalle imprese.

Da gennaio, infatti, entrerà in vigore il RES, tributo introdotto dal decreto Salva Italia che, certamente, andrà ad influire su una pressione fiscale già messa a dura prova.

Di cosa si tratta?
Il RES va a sostituire la tassa sui rifiuti, ma arriverà a pesare nelle tasche delle aziende ben il 290% in più.
Le imprese maggiormente colpite saranno quelle attive nel settore ristorazione, che subiranno incrementi superiori al +400%, ma anche le imprese ortofrutticole e le discoteche, per le quali sono previsti aumenti pari al +600%.

Questi rincari si spiegano con l’aggiunta, nel nuovo tributo, oltre alla quota ambientale per lo smaltimento dei rifiuti, anche di una quota servizi per sicurezza, illuminazione e gestione strade calcolato sulla base dei coefficienti contenuti nel DPR 158/1999, in attesa di un apposito regolamento ministeriale.

Luigi Bianchi, presidente della Commissione Ambiente e Energia di Confcommercio, ha definito il RES “l’ennesimo balzello che le PMI devono pagare. Siamo di fronte a una vera e propria emorragia continua nei confronti delle categorie che rappresentiamo. Ed è curioso che si dica sempre che le piccole e medie imprese rappresentano lo scheletro del sistema economico del Paese e poi si trovi ogni strada per affossarle“.

A denunciare questa situazione sono state anche due associazioni di Confcommercio, ovvero Ancra, che rappresenta Commercianti Radio, Televisione, Elettrodomestici, Dischi e Affini, che ha commentato: “Questa situazione ci mette in grande difficoltà, noi dovremmo avere una premialità per il lavoro di raccolta che facciamo dei rifiuti RAEE, e invece veniamo tassati due volte“; e Assofermet (Commercianti in Ferro e Acciai, Metalli Non Ferrosi, Rottami Ferrosi, Ferramenta e Affini): “Le imprese di commercio all’ingrosso esercitano su aree molto ampie e dunque il tributo pesa molto su queste imprese. Oltretutto con la RES devono essere coperti integralmente tutti i costi di raccolta e smaltimento di rifiuti“.

Per questi motivi, Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha scritto una lettera al ministro dell’Ambiente Corrado Clini chiedendo in prima istanza la sospensione fino al primo gennaio 2014 del nuovo tributo.

Vera MORETTI

Tasse locali? Un sacco e una sporta

Sembra che ultimamente uno degli esercizi più gettonati sia quello di calcolare quanto aumenta la pressione fiscale su imprese e famiglie ogni volta che il governo Monti mette mano alla finanza centrale o gli enti locali si inventano tasse per rimpolpare le loro casse esauste. Lo fanno associazioni di consumatori, lo fa spessissimo la benemerita Cgia di Mestre e lo fanno persono i sindacati.

Proprio da uno della Triplice arrivano infatti le ultime stime sulla intollerabile pressione fiscale a livello locale che sta investendo gli italiani. Secondo uno studio della Uil, tra tasse locali e imposte comunali nel 2012 per il contribuente italiano arriverà una mazzata media di oltre 1400 euro.

Una stangata dovuta in gran parte alla mistura mortale di Imu, addizionali Irpef, Tarsu e Imposta di soggiorno. Un mischione velenoso che costerà, mediamente, ai contribuenti 1.427 euro, di cui 177 euro a famiglia per l’Imu sulla prima casa, 865 euro per l’Imu sulla seconda, 143 euro di addizionale comunale Irpef per contribuente e 220 euro per la Tarsu.

E chi saranno i più “fortunati”? Sempre secondo lo studio della Uil, Roma è la città che denuncia il ‘salasso’ maggiore in quanto a imposizione fiscale locale: tra Imu, addizionale Irpef e Tarsu, il 2012 peserà mediamente sulle famiglie per 3.042 euro. A seguire, Bologna con un esborso medio di 2.580 euro, e Milano con 2.519 euro. Insomma, da dove viene viene, la realtà è sempre una e una sola: imprese e cittadini, cornuti e mazziati.