Bonus 4000 euro Pmi per le spese di digitalizzazione: click day il 16 maggio

Doppio intervento del ministero degli Esteri per la digitalizzazione e l’export delle micro e piccole e medie imprese. Da un lato l’assistenza tecnica sui servizi digitali, offerta in maniera gratuita, per le Pmi. Dall’altro un contributo minimo di 4 mila euro per l’export digitale. E due date da segnare: quella del 28 aprile prossimo per l’apertura di uno sportello telematico informativo; e quella del 16 per la richiesta dei contributi a fondo perduto per la digitalizzazione delle imprese.

Bonus per la digitalizzazione delle Pmi, la misura arriva dal ministero degli Esteri

La misura deriva dal Patto per l’export del 2020, voluta dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio per il rilancio del Made in Italy. Nello scenario attuale, la misura andrà a vantaggio delle imprese, e nello specifico delle micro e Pmi, per l’urgente necessità di digitalizzazione delle attività commerciali e per superare gli ostacoli legati agli accessi alle piattaforme internazionali di commercio elettronico. Inoltre, la misura mira a colmare il gap culturale in ambito digitale delle piccole e medie imprese rispetto ai concorrenti degli altri Paesi europei.

Servizi digitali gratis per le piccole e medie imprese: di cosa si tratta?

Il primo ambito della misura in arrivo dal ministero degli Esteri per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese comprende l’assistenza tecnica e gratuita per i servizi digitali delle imprese. Otto provider tecnologici internazionali sono stati selezionati dal bando del ministero degli Esteri sulla base delle offerte presentate per assistere le Pmi italiane nei processi di transizione digitale. Si tratta di eBay, Italia Online, Adiacent, Nexi Payments, Bonucchi e Associati, Google Ireland, Statista.com e Metagorà.

In quali attività le piccole e medie imprese riceveranno supporto dagli otto provider di digitalizzazione dell’export?

Le tipologie di servizi offerti alle piccole e medie imprese riguardano per l’assistenza nella transizione digitale dell’export riguardano:

  • la diffusione via web delle attività di formazione;
  • la conoscenza degli strumenti promozionali per l’esportazione del Maeci;
  • l’aggiornamento del digital temporary export manager;
  • gli studi e le analisi sulla promozione del Made in Italy;
  • la condivisione di provider.

Bonus digitalizzazione delle micro e Pmi: in cosa consistono i contributi a fondo perduto?

Oltre ai servizi di assistenza per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, è previsto un contributo a fondo perduto per l’export digitale. Le risorse per la misura del ministero degli Esteri ammontano a 30 milioni di euro. L’incentivo prevede un incentivo per le micro e le piccole imprese di 4 mila euro per spese ammissibili pari a non meno di 5 mila euro; il contributo può salire a 22.500 euro per i consorzi di imprese che effettuino una spesa minima in strumenti digitali di 25 mila euro.

Quali spese sono ammissibili per il bonus digitalizzazione delle Pmi da 4 mila a 22.500 euro?

Le spese ammissibili per richiedere il bonus da 4 mila a 22.500 euro comprendono:

  • la realizzazione di piattaforma di commercio elettronico verso l’estero;
  • l’implementazione o il potenziamento di applicazioni mobili o di siti internet per le operazioni commerciali;
  • l’automatizzazione delle operazioni;
  • la gestione dei prodotti in via digitale e tramite il marketing digitale.

Come e quando presentare domanda per i contributi a fondo perduto delle micro e Pmi per la digitalizzazione dell’export?

Per la presentazione delle domande è necessario attendere la fine del mese. Il 28 aprile prossimo, infatti, a cura di Invitalia e Ice verrà aperto lo sportello elettronico per ricevere informazioni per usufruire dei contributi a fondo perduto per la digitalizzazione delle micro e piccole e medie imprese. La presentazione vera e propria delle domande è prevista per il 16 maggio 2022. Si tratterà di un click day e la richiesta dei contributi potrà essere presentata tramite il portale di Invitalia.

 

Imprese italiane ancora restie ad adottare le tecnologie digitali

In occasione della sua audizione in commissione Lavoro del Senato sull’impatto del lavoro della quarta rivoluzione industriale, Giovanni Alleva, presidente dell’Istat, ha lanciato un allarme che riguarda le imprese italiane.
A quanto pare, ma in molti già lo sospettavano, le aziende nostrane rimangono piuttosto diffidenti nei confronti delle tecnologie digitali, anche se l’Italia, questo occorre ammetterlo, si sta avvicinando alla media europea, assottigliando sempre più il gap finora esistente.

Ciò che, invece, rimane, almeno attualmente, è uno scarso sfruttamento delle potenzialità che le nuove tecnologie offrono, ad esempio nell’organizzazione dell’impresa, e in particolare nel commercio elettronico.
E infatti l’Italia è ad oggi il Paese europeo con la percentuale più elevata d’imprese a ritenere che non valga la pena sostenere i costi di vendere online, perché non ripagati dai benefici.

Per quanto riguarda, inoltre, la strategia Industria 4.0, Alleva ha dichiarato che “le imprese dei comparti manifatturieri che prevedono di adottare o incrementare, durante il 2017, le tecnologie Ict promosse dal piano Industria 4.0 (Crm, Scm, Erp2, additive manufacturing, cloud internet, machine-to-machine ecc.) sono ancora relativamente poche: ci puntano 6 comparti su 22 (autoveicoli, elettronica, apparecchiature elettriche, farmaceutica, metallurgia e macchinari)”.

Nel 2016, inoltre, il saldo positivo è stato registrato solo nei settori di apparecchiature elettriche e autoveicoli, ma sembra che le imprese che offrono servizi di mercato siano più propense ad adottare, entro la fine del 2017, tecnologie Ict. In questo caso, il saldo tra risposte positive e negative è positivo in 10 settori su 26, in particolare nei servizi postali e di corriere, nella consulenza informatica e nelle telecomunicazioni, e nel comparto della ricerca e della selezione di personale.

Vera MORETTI

Economia digitale e piccole imprese

 

Start up digitali, internet economy e internazionalizzazione delle imprese in una fase non propriamente florida di congiuntura economica. Sono questi i temi affrontati dal nono Rapporto Piccole Imprese stilato da UniCredit. Al centro la digitalizzazione delle aziende del made in Italy: la presentazione del rapporto è stata infatti accompagnata da una tavola rotonda sul tema “La digitalizzazione delle imprese italiane: efficienza, innovazione e conquista di nuovi mercati”, introdotta da Gabriele Piccini, Country Chairman Italy UniCredit.

Punto primo: la digitalizzazione ha profondamente cambiato l’interazione tra sistema scientifico-tecnologico e apparato produttivo, sempre più imperniata su due risorse immateriali: l’informazione e la conoscenza. Le tecnologie digitali hanno mutato il modo di produrre, di scambiare e di comunicare delle aziende di qualsiasi dimensione.

Ma quali sono le differenze e come ha impattato in misura diversa la nuova economia digitale su piccole, medie e grandi imprese in Italia? A questo quesito hanno cercato di rispondere gli analisti di Unicredit, su un campione di 6.000 interviste a piccoli imprenditori italiani, a cui si vanno aggiunti 1.000 imprenditori medi e 300 grandi, tutti clienti UniCredit.

Questi i risultati:

Indice di fiducia 2012:  l’anno corrente registra il più basso valore dell’indice di fiducia mai raggiunto dal 2004 (73 su un valore che varia da 0 a 200, dove 100 rappresenta la soglia oltre la quale prevalgono le opinioni positive), con una perdita di 8 punti rispetto allo scorso anno e di ben 20 punti rispetto al 2008.  Se si concentra però l’attenzione sull’utilizzo delle tecnologie digitali, sia le piccole sia le medie imprese si dichiarano molto più fiduciose  (+6% per le piccole, +7 per le medie). A convincere soprattutto è il settore dell’e-commerce.

Accesso al credito per le start-up digitali: il problema per le piccole, medie e grandi imprese resta quello di come finanziare i processi di digitalizzazione: la nuova economia digitale e difficilmente bancabile, perchè necessita di interlocutori e finanziatori in grado di comprendere la loro portata innovativa. E di assumersi il rischio di investire.

Internet Economy: la sua diffusione in Italia è ancora inferiore rispetto agli Stati Uniti e a nazioni europee come Svezia, Gran Bretagna, Francia e Germania. L’Italia sconta infatti un consistente digital divide, dovuto a ritardi nell’infrastrutturazione, nell’utilizzo di Internet e nell’impatto della Rete in diversi ambiti. Il “divario digitale” colpisce soprattutto le piccole imprese: in particolare a essere meno diffuse e utilizzate sono le cosiddette tecnologie avanzate (rete intranet aziendale, rete extranet, profilo su social network), mentre persiste un minore utilizzo di strumenti Internet che richiedono maggiore interazione (rapporti online con la PA, ecommerce).

Internazionalizzazione: ancora esigua la quota di piccole imprese che puntano e investono sull’ internazionalizzazione (12%, contro il 48,1% delle medie e il 56,4% delle grandi). Va sottolineato però il fatto che la quota di piccole imprese che guardano a nuovi mercati sia molto dinamica: negli ultimi dieci anni, un numero crescente di piccole imprese ha rivolto la propria attenzione ai mercati internazionali e questo processo è avvenuto con un’accelerazione progressiva proprio a partire dal 2007.

Innovazione: in Italia la presenza di imprese innovative nel triennio 2010-2012 è ancora insufficiente. Più propense all’innovazione sono le aziende di dimensione maggiore, ma il dato curioso è che l’innovazione di prodotto sembra portare un beneficio maggiore sul fatturato delle piccole imprese, a riprova di quanto ricerca e innovazione siano strategice anche per gli operatori di minori dimensioni (fatto 100 il fatturato totale realizzato nel 2011, la quota media ascrivibile a nuovi prodotti o servizi immessi sul mercato è pari al 30,9% nelle piccole imprese, contro il 25,7% delle medie e il 23,6% delle grandi).

Alessia CASIRAGHI

 

Digitale indispensabile per il progresso del Paese

Il digitale è diventato un supporto indispensabile delle aziende italiane nell’ultimo decennio ed ormai è parte integrante della nostra vita lavorativa. Ma la sua importanza non comporta solo uno snellimento notevole della mole di lavoro, poiché ha contribuito, nel corso degli anni, a creare posti di lavoro.

Quello che, dunque, negli anni Novanta sembrava un settore incerto, e sicuramente sconosciuto, ora è quanto mai attuale e saldo. Tradotto in cifre, ciò significa che, dal 1996 ad oggi, l’informatizzazione delle aziende ha permesso la creazione di 320mila posti di lavoro.

Ciò emerge da un rapporto redatto dal Digital Advisory Group, DAG, associazione formata da oltre 30 fra grandi aziende pubbliche o private, organizzazioni e università che operano in Italia e che puntano a contribuire allo sviluppo dell’economia digitale del nostro Paese che è in forte ritardo rispetto al resto del mondo.
Ne fanno parte, per fare qualche esempio, Telecom Italia, Google Italia, Microsoft, Cisco, Mastercard e università come il Politecnico di Torino e la Bocconi di Milano.

Il DAG inoltre, suggerisce 12 punti prioritari per garantire all’Italia un futuro digitale che possa dare impulso a crescita ed occupazione:
• Colmare il digital divide, aumentando la copertura wi fi e la banda larga
• Pianificare le reti di futura generazione
• Favorire l’armonizzazione della normativa digitale a livello europeo
• Creare un advisory board strategico per le politiche digitali
• Incoraggiare la propensione al web dei consumatori
• Promuovere nuove modalità di consegna degli acquisti online
• Ampliare l’offerta digitale, lanciando roadshow per le Pmi a livello regionale
• Sostenere l’attività di e-commerce delle Pmi
• Promuovere i servizi di e-government esistenti migliorandone la fruibilità
• Pianificare lo sviluppo di una formazione digitale di qualità
• Costituire una Digital Experience Factory, ossia una fabbrica vera e propria creata per accrescere la conoscenza del potenziale digitale e le e-skills di imprenditori e addetti, soprattutto delle piccole e medie imprese
• Incentivare le start up digitali

Stando alle stime odierne, l’economia digitale in Italia incide per il 2% sul Pil, con un contributo del 14% alla sua crescita negli ultimi 4 anni cui vanno aggiunti ulteriori 20 miliardi di impatto indiretto.
Questo impatto si è fatto sentire anche sulle Pmi, che sono aumentate del 10% sul web e hanno visto aumentare del 50% il loro margine operativo grazie a internet e alle tecnologie di larga scala. Nonostante ciò, però, la nuova occupazione digitale ha interessato soprattutto grandi aziende e istituti bancari, se consideriamo che il 46% dei contratti immobiliari e il 10% dei mutui sono andati a buon fine tramite web, e molto meno le piccole imprese, poiché per ogni posto di lavoro perso ne sono nati, negli ultimi 15 anni, solo l’1,03% contro l’1,8% della Francia e della Svezia, ha registrato il 3,9%.

Su questi dati pesa la diffidenza che ancora oggi gli italiani dimostrano nei confronti delle tecnologie digitali. Ma per progredire occorre che l’Italia colga le opportunità che l’evoluzione delle tecnologie in rete offre, sia per quanto riguarda la rete fissa, sia mobile.

A questo proposito, basti notare che le connessioni in fibra ottica sono state installate, per ora, solo in grandi centri urbani e che sono utilizzate solo da 2,5 milioni di abitazioni.
Troppo poco.

Vera Moretti