Il tessile made in Italy alla testa della ripresa

Quando si dice una non-notizia… secondo le stime del Centro studi di Sistema Moda Italia, presentate in occasione della 20esima edizione del salone italiano del tessile MilanoUnica, lo scorso anno il settore del tessile made in Italy ha chiuso in ripresa: fatturato superiore agli 8 miliardi (+3,8%), +3,3% di export.

In più, un saldo positivo di 2,4 miliardi per la bilancia commerciale del tessile made in Italy, che da sola fattura il 25% dell’intero settore tessile/abbigliamento, nonostante incida solo per il 15,3% sul fatturato totale. Una non-notizia, perché il tessile made in Italy è sempre stato un fiore all’occhiello della nostra eccellenza artigiana.

Secondo il Centro Studi Smi, questi dati “sembrano confermare il ruolo anticipatorio nella ripresa economica che la letteratura assegna al settore del tessile e in particolare alla tessitura”. La crescita del settore del tessile made in Italy si deve infatti, finalmente, anche alla ripresa della domanda interna (+4,4%), arrivata dopo diversi anni consecutivi di cali. La domanda estera, invece, è stata forte soprattutto negli Usa (+10% di export), mentre due mercati tradizionalmente ricchi e importatori come Hong Kong e Cina hanno fatto registrare cali a doppia cifra: rispettivamente -11 e -10%.

I dati Smi rilevano che la fase di espansione ha riguardato tutti i comparti del tessile made in Italy, con il settore laniero che da solo ha cubato quasi il 40% del fatturato totale. Buone notizie anche sul fronte della produzione industriale, stimata in crescita di quasi il 3% (+2,9%), e dell’occupazione nel settore del tessile made in Italy, in calo solo dell’1%.

Detto del calo dell’export registrato in Cina e a Hong Kong, questi due Paesi restano comunque il secondo mercato per le esportazioni del tessile made in Italy, dopo gli Stati Uniti. Buone le performance generali dell’import (+6,5%) anche in Paesi come il Pakistan che, insieme a Cina e Turchia, costituisce quasi il 50% del valore totale dei tessuti importati.

Tessile italiano da Milano al mondo

Il recente successo di Milano Moda Uomo è stato l’occasione per fare il punto sulla capacità del capoluogo lombardo e della regione di creare eccellenza e ricchezza nel settore del tessile e della moda.

Ci ha pensato l’ufficio studi della Camera di commercio di Milano, su dati Infocamere 2013 e 2012 e su dati Istat al III trimestre 2013 e 2012, e ha certificato come sia di oltre 14 miliardi l’interscambio lombardo nel settore della moda nei primi 9 mesi del 2013 (+1,6% rispetto al 2012). Milano è la capitale indiscussa, con circa 7 miliardi di interscambio (quasi 4 miliardi di esportazioni e 3,2 miliardi di importazioni).

In crescita l’export milanese (+6,4%), soprattutto verso i Paesi del Medio Oriente (17,9%), dell’Asia Orientale (11,8%), dell’America centro-meridionale e dell’Asia Centrale (6,7%). Oltre la metà delle esportazioni è diretta in Europa (il 31,4% nei Paesi dell’Unione Europea e il 20,6% verso gli altri Paesi europei) e oltre un quarto in Asia orientale. Tra i Paesi dell’Ue si esporta soprattutto verso Francia (37,4%), Germania (15,3%) e Regno Unito (11,5%). Tra gli altri Paesi europei si esporta soprattutto verso la Svizzera (48,4%) ed è di oltre 200 milioni di euro il valore delle esportazioni in Russia (25,6%).

In Asia orientale le principali mete di esportazione sono il Giappone (25%) e Hong Kong (23,1%). Forte la richiesta USA, il 10% dell’export milanese va in America settentrionale.

In Lombardia sono quasi 15mila le imprese attive nel settore della moda, di cui quasi una su tre a Milano (4.482): oltre 2.600 si occupano di abbigliamento e quasi mille sono industrie tessili e altrettante imprese del settore della pelletteria. Il capoluogo è anche al primo posto in Italia per numero di addetti (80.030), seguito da Napoli (42.304) e Firenze (37.605).

Secondo Pier Andrea Chevallard, segretario generale della Camera di commercio di Milano,“il settore della moda con tutta la sua filiera rappresenta un elemento di punta per rilanciare l’economia di Milano e dell’Italia. Per questo, come Camera di commercio collaboriamo attivamente con la Camera Nazionale della Moda Italiana per sostenere in modo particolare le iniziative rivolte ai giovani stilisti, così da offrire alle nuove generazioni di creativi occasioni di visibilità e la possibilità di sviluppare i propri progetti”.

L’Italia tesse il proprio futuro. O almeno ci prova…

di Davide PASSONI

L’inizio di gennaio ha visto, come da tradizione, i primi appuntamenti di prestigio per il tessile italiano, con i saloni fiorentini di Pitti e le sfilate di Milano Moda Uomo. Si tratta di due delle vetrine più prestigiose per una delle eccellenze della manifattura italiana, quella tessile appunto.

In un mercato mondiale nel quale i Paesi dell’estremo Oriente, Cina in testa, hanno ormai raggiunto una egemonia fatta di grandi volumi, prezzi bassi, costo della manodopera irrisoria ma qualità comunque in crescita, l’Italia è riuscita ancora a ritagliarsi un ruolo da leader. Questo nonostante la difficoltà tutta italiana nel fare impresa, la burocrazia, la fiscalità impazzita.

Nel disgraziato 2013 che ci siamo lasciati alle spalle, si è registrato comunque un export da record per la nostra industria. Il surplus ha toccato quota 110 miliardi di euro e, tra i comparti produttivi, l’Italia si è confermata prima al mondo nel tessile, nell’abbigliamento, nei prodotti in cuoio e nell’occhialeria. Un primato ottenuto a dispetto di tutto e di tutti che deve essere mantenuto e, se possibile, migliorato.

Ma ci sono le condizioni perché questo accada? Come si presenta il 2014 per la filiera tessile italiana. INFOIVA cercherà di scoprirlo questa settimana, attraverso dati, studi, testimonianze dirette. Perché se l’Italia vuole continuare a… filare, non può abbassare la guardia.

Filiera tessile, il rilancio nel 2015

Tra i tanti settori del sistema economico italiano che si distinguono, anche in questo 2013, per delle performance tutt’altro che brillanti, quello della moda parla una lingua diversa. Negli ultimi mesi sta infatti registrando che però non riuscirà a garantire per quest’anno una crescita del fatturato: la proiezione a fine anno parla infatti di un -1,7% a prezzi correnti. Secondo quanto ipotizzato dal chief economist di Intesa Sanpaolo Gregorio De Felice, durante il recente convegno “Made in Italy senza Italy – I nuovi scenari della moda e del lusso” organizzato dall’istituto torinese e da Pambianco, bisognerà aspettare il 2014 per registrare una ripresa, per quanto contenuta. Il vero rilancio è invece previsto nel 2015.

Secondo De Felice, “il settore moda esce dal 2013 con dati ancora negativi, anche se meno del 2012. Con il miglioramento degli ultimi mesi dell’anno la contrazione si dovrebbe ridurre all’1,7%” Stando alle stime di De Felice, il 2014 dovrebbe vedere una ripresa dell’1,4%, mentre un +3,3% è atteso per il 2015.

Nel periodo gennaio-agosto 2013 le imprese del tessile, dell’abbigliamento e della filiera della pelle hanno fatto registrare un calo del fatturato del 3,4%, un punto in meno rispetto al -4,4% rilevato nel 2012. Secondo le stime, gli ultimi 4 mesi di quest’anno dovrebbero vedere un miglioramento grazie a un andamento più positivo delle vendite al dettaglio sul mercato interno e dalla ripresa delle esportazioni verso i paesi Ue.

L’asfittica domanda interna ha infatti penalizzato maggiormente i risultati delle imprese del settore moda, le quali però hanno dimostrato tutta la loro forza di filiera integrata con un dato, il saldo commerciale positivo: un dato in controtendenza rispetto a quello, per esempio, della Francia e della Spagna e Francia, che hanno visto il saldo commerciale del sistema moda in negativo.

Il mercato estero sarà fondamentale anche nei prossimi anni per permettere un miglioramento anche degli indici di redditività: questi ultimi sono scesi ulteriormente nel 2012, con un ROI medio in discesa al 6,1% dal 6,7% del 2011. Secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, però, a causa della forte competitività dei mercati internazionali, questa ripresa di redditività non sarà netta ma progressiva e solo tra due anni sarà possibile tornare ai livelli pre-crisi del 2008.

L’Italia che tesse la ripresa è quella della filiera… tessile

di Davide PASSONI

L’economia dell’Italia delle piccole e medie imprese è fatta soprattutto di eccellenze. Eccellenze che scontano la precarietà del fare business nel nostro Paese e che a questa precarietà rispondono con capacità produttiva, tenacia, innovazione e prodotti di prima qualità

Una di queste eccellenze è la filiera tessile. Una delle ultime, vere filiere del nostro Paese e della nostra economia, che deve il suo successo al lavoro unico ed encomiabile di tante imprese, spesso piccolissime, che reggono sulle spalle proprie spalle tanti giganti della moda.

Un settore, quello del tessile, che come tanti altri in questi ultimi anni sta soffrendo, nonostante l’eccellenza che porta con sè e nonostante un export che, tutto sommato, tiene meglio di quello di altri comparti. Ci sono poi i prodotti, come la seta, icone dell’alta artigianalità di casa nostra, che si appoggiano a settori anticiclici come quello del lusso e, per questo, risentono molto meno della frenata dei consumi. Senza dimenticare, poi, il meccanotessile, vero fiore all’occhiello della nostra produzione meccanica. Le macchine tessili italiane sono infatti riconosciute le migliori al mondo; una qualità che, però, non le salva dalla crisi.

Insomma, una settimana vissuta da Infoiva sul… filo dell’impresa. Nel vero senso della parola.

Appuntamento a Canton per il tessile italiano

Manca meno di un mese, ormai, all’appuntamento di Canton, dove il 10 ottobre si terrà il simposio organizzato da ACIMIT, l’Associazione dei Costruttori Italiani di Macchinario Tessile, e da ICE, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, dedicato alla tecnologia italiana per tessili tecnici e non-tessuti.

Si tratta di un settore che sta diventando sempre più importante, grazie ad indici in costante crescita per l’industria cinese, tanto da rappresentare, per il comparto del Sol Levante, la voce in maggior crescita dall’inizio del 2013.

Raffaella Carabelli, presidente ACIMIT, ha commentato: “La richiesta proveniente dal mercato cinese per tessili tecnici e non-tessuti è in crescita. Gli investimenti nelle infrastrutture, il settore della filtrazione, quello medicale e dell’igiene personale spingono la domanda cinese di tessili tecnici e non-tessuti nei prossimi anni. Il simposio che si terrà a Canton ha lo scopo di far conoscere agli operatori cinesi la validità dell’offerta tecnologica italiana”.

L’evento di Canton rappresenta una “seconda puntata” rispetto a quanto fatto qualche mese fa a Nanchino, dove si era parlato delle tecnologie tessili sostenibili.

Ha continuato la presidentessa di ACIMIT: “Nonostante un calo delle vendite italiane (-24% nei primi cinque mesi dell’anno), il mercato cinese rappresenta per i costruttori italiani di macchine tessili la principale destinazione estera (130 milioni di euro nei primi cinque mesi dell’anno, pari al 20% dell’export italiano)”.

Vera MORETTI

Seta italiana, il filato a prova di crisi

C’è un settore della filiera tessile italiana che sembra non risentire dei colpi della crisi. Fantascienza? No, merito della capacità e dell’eccellenza di tanti piccoli imprenditori che fanno letteralmente la storia del filato di pregio italiano.

Parliamo dell’industria della seta di Como, una delle zone a più alta vocazione manifatturiera d’Italia che ha una fortuna e un pregio: la fortuna è quella di lavorare il filato più nobile – la seta, appunto -, il pregio è quello di saperlo fare con una maestria e una capacità senza eguali al mondo. Due aspetti che, in un momento difficile come l’attuale, preservano questo mercato dai colpi avversi dell’economia, come conferma a Infoiva il responsabile della sezione serica, gruppo filiera tessili, di Confindustria Como Guido Tettamanti.

Questa produzione, infatti, si salva dal naufragio perché una sua grossa fetta finisce sul mercato francese del lusso e delle grandi case di moda, ma anche in Spagna, Germania, Cina, Usa, Hong Kong. Tanto che nei primi 6 mesi del 2012 il fatturato è cresciuto di 5 punti. Perché le cose fatte bene piacciono, fruttano e portano ricchezza alla piccola impresa italiana.

Leggi l’intervista al responsabile della sezione serica, gruppo filiera tessili, di Confindustria Como Guido Tettamanti.

Como e la seta, una storia di successo

di Alessia CASIRAGHI

Taffetà, organza, chiffon, damasco, broccato e duchesse. Tanti nomi, tanti tessuti, tante declinazioni per un prodotto, come la seta, conosciuto e diffusi già più 8 mila anni fa. Dall’antica via della Seta a Como, quest’oggi Infoiva vi porta alla scoperta del segreto del distretto serico comasco, che produce, da solo circa il 95% della seta in Italia. Piccole aziende, dove produrre è sinonimo di creare, dare vita, regalare una storia a un prodotto che vive e si rigenera nel rispetto di una tradizione. La parola a Guido Tettamanti, Segretario della Sezione Serica Italiana di Confindustria Como. 

L’industria della seta di Como rappresentano un comparto storico del tessile e del manifatturiero in Italia. Qual è la situazione attuale dei setifici del comasco? Stanno soffrendo la crisi?
La crisi ha ridotto e continua a comprimere in un modo terribile il consumo in Italia, perchè dà vita a uno scenario difficoltoso dal punto di vista economico: le aziende hanno grossi impedimenti per l’ accesso al credito, sono penalizzate a causa dei ritardi sui pagamenti. Ma il prodotto serico comasco ha per sua stessa natura un vantaggio non indifferente: il 70-75% della seta che viene prodotta nel nostra distretto è destinata a mercati internazionali; in questo senso vedo una situazione del prodotto relativamente migliore rispetto alla situazione complessiva del nostro Paese. E i dati lo dimostrano: nella prima metà del 2012 il fatturato delle imprese seriche comasche è cresciuto di 4-5 punti percentuali e questo perchè il lusso va ancora bene e possiede un respiro internazionale. Attenzione però: Como non coincide con il lusso, non tutta la filiera tessile gode di questa situazione privilegiata, ma sicuramente la presenza di una produzione di lusso dà una mano a molte aziende. Dall’altra parte coesistono infatti aziende non esclusivamente specializzata nella produzione di altissima gamma che sono state costrette a ristrutturazioni profonde per via della crisi.

Che percentuale della produzione di seta a Como è destinata all’export?
Il 50% dei nostri tessuti viene esportato direttamente, mentre sussiste un 20-25% del prodotto che viene acquistato da confezionisti italiani e poi da loro esportato sotto forma di prodotto finito. Per questo quando parliamo di export della seta parliamo di percentuali che si attestano attorno al 70%. Il foulard, che è l’unico prodotto finito che proviene dal territorio comasco, ha una percentuale di esportazione sul fatturato che è del 75-80%.

Quali sono i maggiori Paesi compratori?
Il principale Paese di destinazione è la Francia, patria del lusso. Il secondo la Spagna, purtroppo in flessione da parecchio tempo; la Germania nel 2012 ha registrato invece risultati positivi e promettenti. Le esportazioni sono stabili verso gli Stati Uniti, mentre ad acquisire un ruolo sempre più importante ci sono da un lato la Cina e Hong Kong, anche se con una leggera flessione nel 2012, e la Russia, un Paese alla ricerca di un nuovo lusso e di stoffe sempre più pregiate.

La produzione di seta in Italia come si difende dalla concorrenza che proviene dagli altri Paesi, Oriente in testa?
Il lusso è già di per sé una risposta, e poi l’altissima creatività, lo stile e l’affidabilità dal punto di vista qualitativo e deontologico che contraddistingue da sempre la nostra produzione . Il mondo del lusso sa che il fornitore comasco è affidabile ben diversamente dal fornitore asiatico. Un’altra strategia vincente nella diversificazione è sotto il profilo del servizio: parlo del fenomeno del fast fashion, la capacità di fornire importanti quantitativi di tessuto moda in tempi rapidissimi; anche questa è una peculiarità italiana e soprattutto comasca.

Gli effetti della crisi sul comparto seta avranno delle ricadute sulle imprese del territorio a livello occupazionale?
Il fenomeno è in continua evoluzione perchè la crisi è stata molto violenta nel 2009, mentre il bienno 2010-2011 ha rappresentato un momento di ripresa, ma non per tutti. Mi spiego meglio: una delle caratteristiche del distretto è la fortissima concorrenza interna. Se da un lato questo rappresenta un punto di forza, perchè consente il ricambio continuo dei best players,  per le singole aziende significa però una vita molto difficile. Assistiamo in questo momento a fenomeni di ristrutturazione aziendale che coesistono con imprese in continua crescita.

Quali sono i numeri del distretto della seta comasco? Siete quasi gli unici in Italia a produrre un bene così ricercato come la seta?
Il 90% della seta in Italia è prodotta nel distretto comasco, l’unica zona alternativa a Como che fa tessuto serico per arredamento in Italia è quella di Caserta. Il più grande setificio di Como ha poco più di 500 addetti, 80-90 milioni di euro di fatturato. La maggior parte della aziende del distretto comasco sono realtà più piccole, aziende tradizionali ma che fanno continui investimenti e sono aperte al cambiamento tecnologico, anzi, come nessun altro distretto in Italia, sono in grado di valorizzare sempre più l’aspetto innovativo. E’ una tradizione attenta al futuro, capace di dare valore al nuovo e con una profonda conoscenza delle regole del mercato in cui opera. Non è una tradizione retriva, ma una tradizione feconda, proietta verso il domani.

Secondo lei, la presenza di tante piccole aziende e la produzione artigianale rappresentano il valore autentico del made in Italy?
Cura e amore artigianale sono gli ingredienti immancabili dei nostri prodotti: la seta è un prodotto che deve essere fatto su misura, non è industrializzabile, abbiamo a che fare con lotti molto piccoli. L’artigianalità è fondamentale ed è forse questa la ragione per cui il prodotto moda nasce qui: la filiera della seta è ben diversa da un tipo di produzione tessile industriale in senso stretto, sia per quanto riguarda i quantitativi, che per quanto riguarda l’attenzione e la continua ricerca di prodotto.