Colf e badanti: rivalutazione, accantonamento, anticipo Tfr e deducibilità fiscale contributi

Alla fine di ogni anno, per i lavoratori domestici è necessario calcolare la quota del Trattamento di fine rapporto (Tfr). Inoltre, colf e badanti possono richiedere un anticipo del trattamento di fine rapporto non più di una volta all’anno. Infine, le famiglie datrici di lavoro possono dedurre nella dichiarazione dei redditi circa 1550 euro all’anno di tutti i contributi versati a favore dei lavoratori domestici.

Colf e badanti, come si calcolano le quote di accantonamento del Trattamento di fine rapporto?

Alla fine di ogni anno in cui il lavoratore domestico ha prestato lavoro, è necessario procedere con la quota del trattamento di fine rapporto. Per il calcolo è necessario considerare la somma di tutto ciò che è stato corrisposto durante l’anno a favore di colf e badanti e dividerla per 13,5. Nel numeratore devono essere incluse le indennità di alloggio e di vitto se il lavoratore è convivente, e la tredicesima mensilità.

Come si rivaluta il Tfr di colf e badanti?

Le varie quote del trattamento di fine rapporto accantonate alla fine dell’anno precedente necessitano di essere rivalutate. Per la rivalutazione è necessario utilizzare due coefficienti:

  • il primo è quello annuale fisso ed è pari all’1,5%;
  • segue il coefficiente variabile corrispondente al 75% dell’aumento del costo della vita (inflazione) calcolato dall’Istat.

Pertanto, la quota di accantonamento del trattamento di fine rapporto della fine dell’anno in corso sommata agli accantonamenti degli anni precedenti (rivalutate con i due coefficienti), determinano il Tfr del lavoratore domestico che dovrà essere corrisposto al termine del rapporto di lavoro.

Qual è il Trattamento di fine rapporto spettante a colf e badanti al termine del contratto di lavoro?

Il Trattamento di fine rapporto che dovrà essere pagato a colf e badanti nel momento in cui termina il contratto di lavoro deriva dalla somma di quanto accantonato nell’ultimo anno di servizio con l’accantonamento totale degli anni precedenti. Il tutto deve essere rivalutato con i due coefficienti fino all’ultimo mese di servizio.

Possono colf e badanti chiedere degli anticipi sul Trattamento di fine rapporto?

Colf e badanti possono chiedere degli anticipi del trattamento di fine rapporto rispettando determinati vincoli. In primo luogo l’anticipo del Tfr si può chiedere al massimo una volta all’anno. Il limite di anticipo del Trattamento di fine servizio è pari al 70% delle quote maturate. Datore di lavoro e lavoratore domestico possono, in ogni modo, mettersi d’accordo per il pagamento di tutto il trattamento di fine rapporto maturato.

Lavoratori domestici, come possono richiedere l’anticipo del Tfr?

La richiesta di anticipo del Trattamento di fine rapporto deve essere presentata dal lavoratore domestico in forma scritta. La famiglia datrice di lavoro può rilasciare la ricevuta nel momento in cui corrisponda l’anticipo del Tfr. Nella ricevuta devono essere riportati gli elementi del calcolo delle quote del Trattamento di fine rapporto. In ogni modo, il datore di lavoro non è obbligato a consegnare la ricevuta.

Colf e badanti: il datore di lavoro può dedurre nel modello dei redditi fino a 1.549.37 euro per ciascun anno

È importante sottolineare che il totale dei contributi previdenziali obbligatori versati all’Inps a favore di colf e badanti possono essere dedotti in sede di dichiarazione dei redditi, sia nel modello Redditi che nel 730. Il limite di deducibilità nel 730 è pari a 1.549.37 euro per ciascun anno. La determinazione dei contributi che si possono dedurre segue le regole del pagamento per cassa.

Come calcolare la deducibilità dei contributi di colf e badanti?

Pertanto, per il calcolo dei contributi deducibile occorre prendere in considerazione tutti i contributi versati nell’anno solare entro le date:

  • il 10 gennaio (per i contributi del quarto trimestre dell’anno precedente);
  • 10 aprile (contributi del primo trimestre dell’anno);
  • il 10 luglio (contributi del secondo trimestre);
  • 10 ottobre (contributi del terzo trimestre).

Infine, per le spese che vengono sostenute per assistere a persone non autosufficienti si può procedere con la detrazione dell’imposta alla percentuale del 19% fino al limite di 2100 euro.

Tfr in busta paga, c’è il trucco

Nonostante l’ottimismo sconfinato del premier Renzi, nell’operazione Tfr non tutti i conti tornano: per quanto riguarda l’anticipo del Trattamento di fine rapporto in busta paga non ci sarà alcuna riduzione fiscale per per la liquidazione mensile. Il “Tfr in busta paga”, infatti, potrà essere “liquidato mensilmente dal primo gennaio” e la richiesta, se fatta, sarà “irrevocabile fino al 2018”. L’importo sarà assoggettato a tassazione ordinaria, quindi non potrà godere della tassazione agevolata della rendita (all’11% dal 2011).

Come ricordato nei giorni scorsi, la scelta davanti alla quale si troverà il lavoratore sarà quindi tra avere maggiore liquidità nel presente, nonostante un aggravio fiscale notevole, continuare ad accantonare la liquidazione in azienda per avere un «tesoretto» a fine carriera o in caso di licenziamento, o versare ai fondi pensione con l’obiettivo di avere una pensione integrativa.

Come dimostrano i calcoli della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, soltanto per i lavoratori con un reddito fino a 15.000 euro l’anno l’anticipo del Tfr in busta paga sarà conveniente visto il mantenimento, almeno, della tassazione ordinaria al 23%. Per i redditi superiori, invece, la richiesta di anticipo non sarà più conveniente perchè sarebbe tassata addirittura al 38% con oltre 300 euro di tasse in più l’anno. Per chi può contare su un reddito di 20.000 euro lordi l’anno, per esempio, il Tfr netto annuale sarebbe di 1.008 euro (84 euro al mese) a fronte dei 1.058 di Tfr netto annuale accantonato in azienda. Il lavorato, quindi, è chiamato ad una scelta non semplice “cercando di tenere in equilibrio libertà e responsabilità” come ha spiegato il presidente dell’Associazione bancaria Antonio Patuelli, che ne potrebbe condizionare seriamente il futuro.

Per quanto riguarda le imprese, invece, il meccanismo prevede che le banche che anticiperanno le risorse per pagare il Tfr in busta-paga avranno la stessa remunerazione che oggi viene garantita al Tfr in azienda (1,5% più lo 0,75% del tasso d’inflazione). Il provvedimento dovrebbe avere un arco temporale che terminerebbe nel 2018 (data che coincide con la scadenza delle Tltro, l’operazione di rifinanziamento prevista dalla Bce).

Jacopo MARCHESANO

Tfr in busta paga, sarà facoltativo

Nonostante le polemiche dei giorni scorsi, il decreto sul Tfr è entrato nel disegno di legge di Stabilità approvato ieri in Consiglio dei ministri. L’anticipo in busta paga del trattamento di fine rapporto sarà su base volontaria, possibile fino al 100% della somma maturata nell’anno, e riguarderà anche i lavoratori che hanno scelto di spostare il Tfr verso i fondi pensione. Ancora da limare gli ultimi dettagli: oltre ai lavoratori ai dipendenti pubblici, infatti, potrebbero rimanere fuori anche agricoltori e badanti.

Il ddl di Stabilità, approvato non senza tensioni all’interno della squadra di Governo, prevede interventi per 30 miliardi di euro, di cui 11,5 finanziati per ripianare il deficit, il resto in arrivo soprattutto da tagli di spesa. Per le imprese, grazie a Dio, diventerà più leggera l’Irap, l’Imposta sulle attività produttive, dalla quale sarà interamente deducibile il costo del lavoro per un valore di 6,5 miliardi, ma ad avvantaggiarsene ovviamente saranno quasi esclusivamente le grandi aziende mentre resteranno fuori quelle medio-piccole. Sempre dal lato delle imprese sul piatto c’è anche un miliardo di euro per azzerare i contributi sulle nuove assunzioni, quelle che saranno fatte con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs act, che però, dopo la bagarre a Palazzo Madama la settimana scorsa, deve ancora passare l’esame della Camera.

“Diciotto. Non come l’articolo, ma diciotto miliardi di tasse in meno. E’ la più grande riduzione di tasse mai fatta da un governo in un anno – ha dichiarato Renzi in conferenza stampa dopo un Consiglio dei ministri non semplicissimo per la sua squadra di Governo – ed è normale farlo, perché si era arrivati a un livello pazzesco di tassazione. Non è una decisione né di destra, né di sinistra. E’ una dimostrazione di grande forza, solidità e determinazione dell’Italia”.

Jacopo MARCHESANO

Tfr in busta paga, quasi unanime l’opposizione

Nonostante il Tfr in busta paga sia una possibilità sempre più concreta, il Governo ci punta con forza e potrebbe inserirla già nella prossima legge di stabilità, si allarga il coro di coloro che contianuano ad opporsi al provvedimento: «Basta fare welfare con i soldi delle piccole e medie imprese – è stato il commento di Paolo Galassi, presidente di CONFAPI INDUSTRIA -, secondo i piccoli e medi imprenditori questo progetto rischia di ripercuotersi sull’occupazione. Infatti – a fronte di una paventata ripresa dei consumi, tutta da verificare – viene aggredita una fondamentale fonte finanziaria delle imprese , già sottoposte alla stretta creditizia delle banche. Inoltre così si andrà a impoverire la liquidazione da sempre considerata una polizza per il futuro per i lavoratori e un sostegno previdenziale».

«Abbiamo già subìto i danni provocati dalla finanza creativa – ha concluso Galassi – tanti imprenditori e famiglie sono riuscite a far fronte alla crisi proprio grazie ai risparmi accantonati e alla logica della formica. Pensiamo piuttosto a mettere in atto azioni che diano vita a una ripresa stabile attraverso una politica industriale che si tramuti in sostegno agli investimenti in ricerca e sviluppo, all’internazionalizzazione e all’accesso al credito. Bisogna concentrarsi sulla riduzione degli sprechi, dei privilegi e della burocrazia in modo da consentire una concreta diminuzione delle tasse andando a prelevare soldi laddove non servono a produrre benessere».

Il Tfr in busta paga riscuote però consensi molto limitati anche tra i comuni cittadini: secondo l’ultimo sondaggio del buon Pagnoncelli, solo il 26% dei nostri connazionali (e il 21% dei lavoratori dipendenti) apprezzerebbe l’idea di avere qualche soldo in più mensilmente ad integrazione del proprio salario. Più di due terzi, nonostante il grave periodo di crisi economica, gradirebbe maggiormente lasciare tutto immutato e poter godere della classica liquidazione al termine del rapporto lavorativo. Anche in questo caso ci sono differenze apprezzabili tra privati (il 28% lo vorrebbe in busta paga) e pubblici (19%) ma in entrambi i segmenti di lavoratori la contrarietà alla proposta è netta.

Jacopo MARCHESANO