Cosa sono le Utility e perché molti investono in questo settore?

Si sente spesso parlare nel settore dell’economia e delle finanze di Utility, è arrivato il momento di capire di cosa si tratta e quali prospettive di investimento può offrire tenendo in considerazione che da molti il settore delle Utility è parificato ai beni rifugio, come l’oro.

Cosa sono le Utility?

Per Utility si intendono società quotate in Borsa che lavorano nel settore dell’energia e dell’elettricità. Il termine oggi è molto usato perché c’è un numero elevato di persone che decide di investire in questo settore che con la privatizzazione ha visto la diversificazione dei prodotti disponibili. I motivi degli investimenti sono evidenti, si tratta di settori che generalmente sono abbastanza stabili, e infatti hanno retto bene anche allo shock pandemico. Tra le utilities più conosciute e che hanno attirato numerosi investimenti ci sono sicuramente A2A, Hera, Acea, ma anche Ibedrola.

Quando si parla di Utility del settore energetico non si deve incorrere nell’errore di pensare che si tratti solo del settore dell’energia elettrica, infatti, tra le società quotate in Borsa che rientrano in questo settore vi sono anche i titoli petroliferi, come Repsol.

Perché molti investono in Utilities?

Una caratteristica che rende molto appetibili gli investimenti in questi settori è il fatto che le Utilities tendono a distribuire i dividendi agli azionisti e quindi vi possono essere dei ritorni di risparmio abbastanza costanti con pagamento semestrale o annuale. Infatti è possibile fare leva sullo scambio delle azioni e quindi su acquisto e vendita, oppure sulla distribuzione di dividendi. Per partecipare alla distribuzione dei dividendi di solito è chiesto un periodo minimo di possesso delle azioni.

I motivi per cui sono in tanti a investire nel settore delle Utility sono numerosi, quindi non c’è solo una buona tenuta e la distribuzione dei dividendi, ma anche il fatto che è un mercato poco speculativo, cioè è un mercato dove i valori sono abbastanza costanti, con rendimenti non elevatissimi, in media il 2%, ma non utilizzati per compiere operazioni speculative ad alto rischio al solo scopo di guadagnare sulla differenza di prezzo tra costo di acquisto e di vendita delle azioni.

Chi decide di investire nel settore delle Utility deve anche considerare che è preferibile mettere in conto investimenti di lungo periodo e non di breve periodo e questo appunto perché si tratta di un mercato non particolarmente speculativo, allo stesso tempo non particolarmente rischioso, ecco perché l’investimento può essere inserito in un piano di diversificazione del proprio portafoglio.

Affidabilità, possibilità di fare investimenti di lungo periodo, possibilità di fare previsioni sull’andamento andando a studiare un po’ i mercati, fanno in modo che questo settore sia particolarmente apprezzato anche da chi vuole costruire una rendita per il momento in cui si vuole godere della pensione.

Varie possibilità di investimento nel settore Utility

Il settore delle Utility può essere utilizzato anche per il trading online che prevede investimenti ridotti, visto che non è necessario acquistare pacchetti azionari. Naturalmente le oscillazioni non particolarmente elevate del prezzo non porteranno guadagni di tipo speculativo, ma sicuramente possono esserci guadagni interessanti anche per chi non è espertissimo di trading. Infine, è un ottimo mercato per i fondi di investimento, in questo caso si possono diversificare le azioni delle società che andranno a formare il fondo e allo stesso tempo si potranno tenere al sicuro i risparmi.

Per chi decide invece di investire su una sola società è bene tenere in considerazione alcuni principi, in particolare reggono meglio le Utilities che riescono a diversificare la proposta di fonti energetiche e sono aperte alle novità derivanti dalla transizione ecologica, ad esempio una società che propone anche energie da fonti rinnovabili. Hanno minore stabilità le società quotate che si specializzano in un unico settore e che si basano su tecnologie inquinanti.

Naturalmente queste sono linee guida molto generiche per coloro che sono attratti dagli investimenti nel settore Utility, ma è sempre bene affidarsi a consulenze di professionisti, diversificare e non correre troppi rischi con il proprio portafoglio di investimento.

Serve partita IVA per fare trading online?

Il mondo del trading online continua ad affascinare milioni di utenti italiani del web. Molti di loro, ignorano (erroneamente) l’aspetto fiscale di questa attività che, solo in alcuni rari casi porta dei guadagni, ossia, dove le transazioni effettuate tramite strumenti finanziari nell’arco di un periodo di tempo, portano ricavi superiori al capitale investito.

Premesso ciò, potremmo aprire un lunghissimo dibattito su come guadagnare costantemente sul web attraverso il trading online, ma stavolta, ci limiteremo a rispondere alle persone che ci chiedono se ci vuole la partita IVA per svolgere questa attività autonoma.

Trading online: serve la partita IVA?

Mettersi a posto con il fisco per effettuare il trading online, quindi, per lavorare sui mercati finanziari tramite seri e affidabili intermediari, come i broker, è una delle prime cose di cui un trader dovrebbe occuparsi.

Tuttavia, ciò non significa che per il trading online è necessario aprire od operare con partita IVA. Infatti, la tassazione su eventuali guadagni è già prevista al 26% a prescindere dalla partita IVA. Inoltre, chi opta per non aprire partita IVA per fare trading online, non è tenuto al versamento di contributi previdenziali.

Qualora si decidesse di fare trading online utilizzando la partita IVA come persona fisica è bene considerare che ci sarebbero anche dei contributi INPS da versare.

La partita IVA non è obbligatoria per il trading online, ma le tasse vanno pagate

Detto ciò, ribadiamo che per il trading online non è obbligatorio operare con partita IVA. I ricavi e le perdite vanno comunque dichiarate per poter applicare su eventuali guadagni generati un’imposta del 26%, così prevede la legge italiana.

Il sistema di tassazione varia a seconda del tipo di intermediario che chi fa trading online utilizza:

  • gli intermediari italiani applicano direttamente una ritenuta d’imposta pari al 26% delle plusvalenze generate, accreditando il relativo importo giù sul conto trader. Per tale motivo, il trader non è tenuto ad effettuare alcuna dichiarazione dei redditi;
  • gli intermediari stranieri (con le dovute eccezioni) non applicano la ritenuta d’imposta sulle plusvalenze, motivo per cui, nel caso ci fossero, il trader deve fare la dichiarazione dei redditi per tassare gli eventuali guadagni generati o plusvalenze.

Quando l’intermediario è estero, inoltre, va compilato il quadro RW della dichiarazione dei redditi e pagate l’IVAFE, che non è altro che un’imposta di bollo che si paga sui conti in Italia.

La Tobin Tax

A dirla tutta, esiste un’altra tassa chiamata Tobin Tax, la quale va applicata sugli strumenti finanziari posseduti sa fine giornata sottratti a quelli del giorno precedente. Tuttavia, questo tipo di tassazione è pari allo 0,1% e riguarda solo il caso di azioni di Società italiane quotate in Borsa e aventi una capitalizzazione superiore a 500.000.000 milioni di euro, oppure strumenti finanziari su mercati non regolamentati, dove la tassazione sale allo 0,2%. La Tobin Tax ammonta a misure fisse in base al valore del contratto nel caso di mercati derivati.

E’ da sottolineare che la Tobin Tax non si applica sulle transazioni intraday, ossia, quelle effettuate in acquisto o in vendita sullo stesso strumento finanziario. Inoltre, per gli intermediari italiani vige l’imposta applicata da loro stessi, in caso contrario è necessario ricorrere alla trasmissione della dichiarazione FTT all’Agenzia delle Entrate.

Per chi fa il trading online affidandosi a broker esteri, va chiesta la certificazione delle transazioni effettuate, per semplificare il compito di chi deve provvedere alla compilazione delle dichiarazioni.

Minusvalenze

Fino ad ora, ci siamo occupati della tassazione prevista sulle plusvalenze, ma nel caso, purtroppo frequente, di minusvalenze, quindi di perdite, cosa succede? Esse vanno sottratte alle pulsvalenze, per cui la tassazione in termini assoluti sarà inferiore. Nei casi in cui le minusvalenze siano superiori alle plusvalenze, i guadagni vengono azzerati, così come le tasse.

C’è da dire, che le minusvalenze possono essere riportate per un massimo di quattro anni, trascorsi i quali si perderanno. Se si utilizza un intermediario italiano per operare, sarà lui stesso a monitorare plusvalenze e minusvalenze (ovvero il così detto zainetto fiscale) e provvederà in autonomia alla compensazione.

E se vuoi operare con partita IVA da Trader Professionista?

Abbiamo parlato in modo molto generico di trading online, praticato in grande maggioranza da operatori amatoriali e senza partita IVA. Ma cosa succede se vuoi utilizzare azioni, obbligazioni e altri mercati mobiliari in nome proprio?

I trader si suddividono in speculatori che giocano a speculare sugli strumenti finanziari, in piccoli investitori (che sono la stragrande maggioranza) e il professionista. Nell’ultimo caso, devi aprire una partita IVA come farebbe qualsiasi soggetto che la richiede e, che pertanto, deve collegarla a un codice ATECO che nel caso specifico è il 66.12.00, rientrante in un’attività di negoziazione di contratti relativi a titoli e merci.

Come per tutte le altre attività, il trader professionista può decidere di scegliere il regime forfettario rispettandone i vincoli e iscrivendosi alla Gestione Separata INPS, oppure aderire al regime ordinario semplificato, sempre nel rispetto dei requisiti richiesti.

Trading online: ecco come essere a posto con il fisco

Se stai leggendo questo articolo, sicuramente ti sarai imbattuto in migliaia di spot online che riguardano il trading online come grande fonte di guadagno e senza che vi sia bisogno di ingenti investimenti. Oppure, ne hai semplicemente sentito parlare da un amico o da qualcuno che si spaccia per un esperto del settore.

Insomma, all’apparenza elevati guadagni con un impiego esiguo di risorse economiche o alla portata di molti. In realtà, le cose non stanno proprio così. Chi opera nel trading online da anni, ossia compra o vende azioni quotate in borsa, oppure apre una posizione d’acquisto, piuttosto che di vendita su una coppia di valute (forex), sa benissimo di cosa sto parlando. Guadagnare in questo mondo non è affatto semplice e comunque lo è molto meno di quanto non si voglia far credere.

Tuttavia, non sono qui per una spiegazione tecnica sull’utilizzo degli strumenti finanziari, né sulle varie analisi tecniche di ciascun grafico presente nei più svariati timeframe, tanto meno sull’incidenza della macroeconomia sull’andamento dei mercati finanziari, ma solo per asserire che se si opera in Borsa o si effettuano transazioni di trading online si devono rispettare gli adempimenti fiscali. I guadagni derivanti da tali attività devono essere dichiarati e quindi tassati.

Relazione tra trading e dichiarazione dei redditi

In linea generale, trading e dichiarazioni dei redditi sono a carico del contribuente, anche se alcuni adempimenti possono essere eseguiti dalla banca o dal broker. E’ fondamentale la scelta del regime: dichiarativo o amministrato.

Nel regime dichiarativo l’investitore deve presentare annualmente la dichiarazione dei redditi tramite l’ex Modello Unico. Il contribuente è chiamato a sommare e compensare tra di loro tutte le plusvalenze e le minusvalenze generate durante l’anno, anche tra quelle di più conti e dichiarando gli strumenti finanziari utilizzati. La tassazione avviene solo a seguito della presentazione della richiesta.

Nel regime amministrato, invece, il versamento viene effettuato su base giornaliera, limitando il trader nella gestione delle risorse da investire. Le minusvalenze realizzate possono essere compensate solo con le plusvalenze future ed esclusivamente all’interno dello stesso conto. L’investitore deve affidarsi al proprio intermediario finanziario che deve essere abilitato e appartenente a una stabile organizzazione in Italia. A differenza di quanto accade nel regime della dichiarazione, nel regime del risparmio amministrato, l’investitore è esente da tutte le operazioni di calcolo che sono a carico dell’intermediario.

I redditi da trading

Operare con gli strumenti finanziari può generare due tipologie reddituali:

  • Reddito capitale: i guadagni conseguiti da un rapporto finanziario per cui si è investita una quota di capitale proprio. Quindi, si parla di importi derivanti dagli interessi, dai dividendi e dalle cedole. Se fai operazioni di trading online, il tuo obiettivo è guadagnare comprando e vendendo strumenti finanziari. L’eventuale guadagno è considerato un profitto.
  • Reddito di natura finanziaria: i guadagni ottenuti dalla differenza tra il prezzo d’acquisto e quello di vendita di uno strumento finanziario.

Come funziona la tassazione sulle rendite finanziarie?

Le aliquote attuali applicate sulle rendite finanziarie sono pari al 12,5% per i proventi derivati dai Titoli di Stato (26% per tutti gli altri guadagni). Le attività di trading online devono essere riportate nella Dichiarazione dei Redditi annuali.

Quale regime conviene a chi fa trading online?

La scelta è assolutamente soggettiva. Nel regime amministrato affidi tutto al tuo intermediario autorizzato senza effettuare alcun tipo di calcolo, né su minusvalenze, né su plusvalenze, fino al versamento delle imposte. Inoltre, mantieni l’anonimato.

L’autonomia, invece, è senz’altro il punto forte del trader che sceglie il regime dichiarato, pur con l’incombenza di occuparsi di tutti i calcoli, fino al versamento delle imposte. L’investitore in tale regime si avvale della possibilità di abbattere la base imponibile e di pagare meno imposte.