L’export Made in Italy parte anche dal Nord Est

Il Made in Italy è così apprezzato all’estero anche grazie alle imprese del Nord Est, capaci di cogliere tutte le occasioni buone per farsi conoscere dai mercati emergenti, quelli che in questi anni hanno contribuito a tenere alte le cifre dell’export dei prodotti italiani.

Per il solo 2013, è stato fatturata la cifra record di 70 miliardi di euro, dato confermato dal
report REthink presentato da Sace, un resoconto contenente le previsioni sui trend dell’export italiano per il 2014-2017.

Tra i settori trainanti che riguardano l’esportazione del Made in Italy dal Triveneto ci sono quelli delle tecnologie industriali e dei beni di consumo, seguiti dalla filiera agroalimentare, dal ramo dei gioielli e dei mobili, oltre, ovviamente, al settore moda.

Per quanto riguarda le stime per il futuro prossimo, Sace ha stilato una classifica dei comparti per i quali si prevede una crescita maggiore: al primo posto l’agroalimentare, seguito dalla meccanica strumentale, il tessile e l’abbigliamento.

A offrire le migliori opportunità sono non solo i Brics, ma anche alcune destinazioni come l’Arabia Saudita, Angola, Cile, Filippine e Thailandia.

Vera MORETTI

Imprese artigiane falciate dalla crisi

Le notizie di una timida ripresa, considerando la crescita del numero delle imprese nel primo trimestre 2014, non sono del tutto rosee.

L’analisi della situazione maturata negli ultimi 5 anni, infatti, non riporta nulla di buono, soprattutto se si considerano le imprese artigiane, che sono diminuite di ben 75.500 unità.
Di queste, circa 12.000 operavano nel Triveneto, considerato una zona ricca e particolarmente fiorente, ma, a quanto pare, non troppo.

Ciò conferma quanto la Cgia aveva previsto, ovvero che la recessione sarebbe stata particolarmente dura con il settore dell’artigianato. A soffrire particolarmente sono stati i comparti delle costruzioni, dei trasporti e del manifatturiero.

A questo proposito, Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha dichiarato: “Drastica riduzione dei consumi delle famiglie, forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e la restrizione del credito sono tra le cause che hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna. Non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell’attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare”.

Particolarmente dura la situazione in Veneto, dove mancano all’appello 9.800 imprese. Di queste, 2.187 operavano in provincia di Treviso, 1.949 a Verona, 1.848 a Vicenza e 1.836 a Venezia.
Si stima che in questo quinquennio la contrazione occupazionale dell’artigianato veneto sia stata di circa 28.000 unità.

La nati-mortalità delle imprese è stata calcolata come differenza tra le imprese artigiane iscritte in un periodo e le cessazioni non d’ufficio avvenute nello stesso lasso di tempo. Ai fini del calcolo sono state utilizzate le cessazioni non d’ufficio, in modo che il saldo risulti pulito da eventuali operazioni di revisione degli archivi.

Vera MORETTI