Tassazione sui trust: la circolare dell’Agenzia delle entrate

La tassazione sui trust cambia secondo quando stabilito dall’Agenzia delle entrate. Ecco le disposizioni in materia di tassa di successione.

Tassazione sui trust: il punto della situazione

La tassazione sui trust potrebbe essere diversa da quella finora prevista. Innanzitutto facciamo una precisazione, per trust si intende un fondo fiduciario, che serve a regolare una molteplicità di rapporti giudici di natura patrimoniale. Per la loro gestione sotto il profilo fiscale, soprattutto in materia di successione e donazione, si ci rifaceva alle circolari 48/E del 2007 e 3/E del 2008. Ebbene la regola prevedeva che l’applicazione dell’imposta venisse applicata alla costituzione dei vincoli di destinazione. In altre parole al momento della successione, o della donazione del trust stesso. Ma a dire il vero il legislatore mediante l’art.2 del D.L. n.262/2006, aveva già definito l’imposta sulle successioni e sulle donazioni, estendendone l’applicazione anche alla tematica dei trust.

Cosa contiene la bozza?

La circolare prevede dei cambiamenti in merito alle imposte diretta da pagare sui trust ai soggetti residenti in Italia. Attribuzione che derivano da trust stabiliti in giurisdizione con riferimento al trattamento degli stessi come fiscalità privilegiata. Inoltre l’Agenzia ha chiarito alcuni aspetti relativi al monitoraggio fiscale, all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) dovuta da trust residenti in Italia e all’applicazione dell’imposta del valore degli immobili detenuti all’estereo (IVIES).

Cosa cambia con la circolare dell’Agenzia delle entrate?

La novità pertanto cambia completamente l’ottica applicativa adoperata fino ad ora. Infatti ora è disposto che all’atto di donazione del trust non vi è un presupposto per l’applicazione dell’imposta proporzionale. Pertanto, le imposte saranno versate in un momento successivo. Questo deve coincidere con il momento in cui saranno dati al nuovo proprietario tutti i benefici derivanti dal trust. La circolare comunque non è ancora effettiva e l’agenzia delle entrate ha aperto le consultazioni in materia. Infatti i soggetti interessati hanno tempo fino al 30/09/2021 per inviare le proprie osservazioni e proposte di modifica o di integrazione, che verranno poi valutate dall’Agenzia, ai fini di un eventuale recepimento nella versione definitiva della circolare. È possibile inviare le proposte di modifica o di integrazione all’indirizzo mail dc.pflaenc.settoreconsulenza@agenziaentrate.it. Pertanto vedremo quali saranno i risultati della consultazione.

 

 

 

Che cos’è un trust e a cosa serve: chi sono i trustee

Il trust è un istituto preso in prestito da un modello di ordinamento giuridico di origine britannica, con il quale un soggetto costituisce un patrimonio separato, volto al raggiungimento di un mirato obiettivo.

Con la sua costituzione, il trustee beneficia di tutti i diritti di cui beneficiava il settlor o disponente sul patrimonio prima della costituzione del trust, gestendolo come se fosse il proprietario con una finalità ben precisa.

Tuttavia, la presenza di un beneficiario non è una condizione di validità del negozio che, talvolta, potrebbe non averne bisogno.

Il trust è stato introdotto in Italia con la ratifica nel 1992 della Convenzione dell’Aja del 1985. Tale istituto può perseguire le stesse finalità di ulteriori istituti come il negozio di fondazione, il fondo patrimoniale, del patto compromissorio, del mandato e di qualunque altro negozio di garanzia del fondo fiduciario: evitando di imbattersi in divieti e sanzioni per questi previsti.

Quando ricorre il trust

L’istituto ricorre quando il disponente sottopone uno o più beni, con atti di successione causa di morte o tra vivi, sotto il controllo del trustee, nell’interesse del beneficiario o per un ben preciso scopo.

La Convenzione di cui sopra, tra l’altro specifica che i beni del trust (anche se a lui intestati o comunque a un’altra persona) rappresentano una massa a sé, distinta dal patrimonio del Trustee.

Il trust detiene il potere e l’obbligo di amministrare o disporre dei beni, nella misura in cui lo ha stabilito la legge o l’atto costitutivo.

La figura fondamentale del trust è l’istitutore (settlor o disponente) che ne detta le regole, indicando uno o più obiettivi e che nomina uno o più trustee.

Solitamente, il disponente indica uno o più beneficiari, nonché uno o più protettori.

Il trustee, invece, diviene il proprietario dei beni destinati dal disponente al raggiungimento dello scopo prestabilito dal trust seguendo le indicazioni dello stesso settlor.

Un trust può avere anche una struttura complessa, in quanto composta da più trustee, dove il primo è nominato dal settlor e nel corso della durata del trust, sono previste anche le nomine di altri trustee, in aggiunta o in sostituzione dei precedenti.

Il Protector, o beneficiario o “il guardiano “è un soggetto nominato ai fini di esercitare una funzione di controllo sull’attività del Trustee.

I beneficiari

Come da regolamento, i beneficiari hanno diritto a percepire i redditi dei beni costituenti il trust durante la vigenza dello stesso o di ricevere la devoluzione del patrimonio del trust nel caso di sua cessazione. Non è obbligatoria la presenza di un beneficiario del trust, si può avere anche un trust di destinazione, i quali beni ad uno scopo mertitevole di tutela per l’ordinamento del Paese dove è stato costituito. In questo caso, si avvicina al negozio di fondazione.

Oggetto del trust possono essere beni immobili, mobili, crediti.

I beneficiari del Trust si suddividono in determinati o indeterminati; inoltre tra immediati (in quanto possono fruire immediatamente dell’utilità dei beni che compongono il Trust) e mediati che possono anche non coincidere con i destinatari finali.

Infine, per quanto concerne la durata del Trust, tale deve essere determinata dal Settlor con il limite che non può essere perpetua. (eccetto i Trust di scopo negli ordinamenti che li riconoscono e ammettono). Di regola il Trust è irrevocabile da parte del Settlor, se non è stabilito diversamente nell’atto costitutivo.

Tipologie

Principalmente, i trust si dividono in quelli d’interesse familiare o imprenditoriale e finanziario.

Tra i trust d’interesse familiare, sono compresi quelli volti all’assistenza di soggetti deboli e quelli relativi alla successione ereditaria.

I trust hanno vari principi base regolatori, ecco quali:

  • Il primo è che i beni che si vogliono vincolare in Trust escono dalla disponibilità di colui che lo istituisce.
  • Il secondo è che suddetti beni entrano nella disponibilità del Trustee, che dovrà disporne secondo le istruzioni ricevute dal settlor al momento della costituzione del Trust.
  • Il terzo è che i beni non sono suoi a tutti gli effetti perché interviene l’effetto che la giurisprudenza chiama segregazione.
  • Il quarto e ultimo principio è che il trustee è un fiduciario, ma diversamente da come è concepito dall’ordinamento italiano.

Se nell’ordinamento interno il fiduciario è colui che esegue quanto gli viene ordinato di volta in volta, il Trustee compie quanto gli è stato prescritto nell’atto costitutivo il Trust.

Chiarimenti sulla disciplina del trust

Il trust, che non ha una sua disciplina civilistica interna italiana, ha trovato la sua legittimazione a seguito dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985.

E’ quindi necessario riferirsi a questa caratterizzazione perché i trust, di derivazione estera, abbiano pieno riconoscimento giuridico in senso civilistico.
Dal punto di vista tributario, invece, in base alla Convenzione dell’Aja, spetta invece ai singoli Paesi regolamentare l’aspetto tributario medesimo del trust.

Per poter inquadrare la posizione fiscale in Italia dei trust, occorre ricordare il loro aspetto caratterizzante:

  • la separazione dei beni del trust rispetto al patrimonio del disponente (chi trasferisce i beni al trust), del trustee (il gestore) e dei beneficiari e/o dello scopo sociale;
  • l’intestazione dei beni medesimi al trustee;
  • il potere (che è anche un obbligo) del trustee di amministrare, gestire e disporre dei beni secondo il regolamento del trust o le norme di legge.

Alla luce di queste caratteristiche, emerge che l’atto iniziale del trust deve riguardare un vero e proprio trasferimento di beni e non solo una disposizione di trasferimento “fittizio” e “simulato” affinché possa parlarsi di trust, anche a fini fiscali.
Di conseguenza, non possono essere considerati fiscalmente operanti con la disciplina propria del trust, i trust in cui i beni continuano a essere sotto il controllo del disponente.
Il potere di gestione degli stessi deve appartenere al trustee non solo formalmente ma anche nella sostanza.

Vera MORETTI

Tutela del patrimonio: il trust

Il trust è uno strumento che non esiste nel nostro ordinamento, ma è stato accettato. In pratica, un trust italiano è regolato dalla legge estera a cui si riferisce (sono diverse le legislazioni a cui si può fare riferimento, ma bisogna sceglierne una sola, che regola interamente il trust).

Come funziona un trust? Il proprietario (disponente) di alcuni beni decide di proteggerli con un trust. Nomina un gestore (può essere anche se stesso), che amministri questi beni, e un beneficiario, che gode dei profitti come deciso nell’atto costitutivo. Può anche nominare un guardiano (protector), che sorvegli che il gestore esegua correttamente le volontà del disponente (ovviamente se il gestore è lo stesso disponente, il guardiano non serve). In pratica, c’è uno sdoppiamento della proprietà, che è in capo al gestore per ciò che riguarda l’amministrazione e in capo al beneficiario per ciò che riguarda il godimento.

Questo concetto è sconosciuto nel nostro diritto, per questo si utilizza il diritto estero (anglosassone in primis), quindi il trust è un’anomalia giuridica.

Cosa caratterizza un trust? I beni conferiti sono indistinti e non sono parte del patrimonio del gestore (trustee), ma sono a lui intestati (o ad altro soggetto definito dal gestore) ed è obbligato a gestire il trust secondo le legge e secondo quanto stabilito nell’atto costitutivo.

I beni conferiti, quindi, costituiscono un patrimonio separato dal patrimonio del  gestore, ma anche da quello del disponente (settlor) e dei beneficiari (beneficary).

Possono essere conferiti beni mobili o immobili e diritti reali di persone fisiche e/o società, ad esempio azioni, quote di società, denaro, opere d’arte, autoveicoli, arredi, sia con piena che con nuda proprietà.

Tuttavia il trust non può essere esente da azioni revocatorie fallimentari, né ledere la legittimità in caso di eredità di successione e in generale violare le norme che regolano le garanzie reali e il diritto di proprietà.

Perché allora costituire un trust? Ad esempio può essere utilizzato quando non esiste una famiglia (famiglie di fatto, coppie divorziate, conviventi, scapoli o nubili) oppure quando si vogliono tutelare terze persone.

Devono essere seguite alcune regole, per evitare il disconoscimento da parte dell’autorità fiscale: ad esempio il disponente non può designare se stesso come beneficiario e nemmeno può essere previsto in atto, così come non può modificare i beneficiari durante la vita del trust.

Esiste una normativa fiscale che riguarda tutti gli strumenti sin qui citati, abbastanza complessa, che non penso sia il caso di trattare in questa sede, anche perché non sono un fiscalista, ma che sarò ben lieto di estendere a coloro che me ne facessero richiesta.

La considerazione finale che mi permetto di fare è che, sempre, l’utilizzo di uno o più di questi strumenti deve essere fatto comprendendo quali sono le motivazioni reali che ci spingono a porre queste tutele e, sempre, avendo la visione d’insieme del patrimonio proprio e della famiglia, con l’ausilio di un consulente che non abbia niente da vendervi se non la propria professionalità.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: ecco il fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale è strettamente connesso alla famiglia: infatti, deve essere costituito per far fronte ai bisogni della famiglia e perde efficacia se la famiglia cessa di esistere (divorzio, morte di uno dei coniugi…). Deve essere costituito per atto pubblico da uno o entrambi i coniugi (o anche da un terzo, ma dev’essere accettato dai coniugi) e deve destinare uno o più beni, mobili o immobili (anche i diritti reali sugli stessi, come l’usufrutto o la nuda proprietà) e iscritti in pubblici registri, o titoli di credito e destinare i medesimi appunto ai bisogni della famiglia. Quindi non si può costituire se esiste una famiglia di fatto, in caso di separazione dei coniugi, se celibi o nubili o vedovi.

I beni conferiti nel fondo patrimoniale divengono inattaccabili dai creditori, sia per quanto riguarda un debito contratto dai coniugi esercitando l’attività d’impresa, sia per azioni di responsabilità civile e professionale riguardanti liberi professionisti, amministratori, sindaci e revisori.

La Corte di Cassazione, nel 1984, ha precisato che: “i bisogni familiari tutelati dal fondo patrimoniale non sono rappresentati esclusivamente dalle esigenze di prima necessità, ma ricomprendono anche quelle esigenze volte al mantenimento e all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi”. Come sempre, c’è spazio ad interpretazioni diverse su ciò che è voluttuario o speculativo.

Non è possibile vendere i beni del fondo, a meno che non sia previsto nell’atto costitutivo, e se vi sono figli minori, è sempre necessaria l’autorizzazione del giudice.

L’aggredibilità da parte del fisco non è ammessa, secondo la Cassazione, perché il debito fiscale è considerato non in relazione con le  necessità famigliari, quindi in base all’articolo 170 c.c., il fondo appunto non è aggredibile.

Il credito fiscale non ha alcuna attinenza con i bisogni della famiglia, ma sorge automaticamente quando si verificano i presupposti che determinano la nascita di un’obbligazione tributaria. Ovviamente valgono le regole generali sulla revocatoria ordinaria e su quella fallimentare (atti che arrecano pregiudizio ai creditori nei due anni precedenti il fallimento e quindi privi di effetto), così come le regole sulla fraudolenza (è reato costituire il fondo per sottrarsi al pagamento di imposte o sanzioni).

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Tutela del patrimonio: il contratto fiduciario

Con il contratto fiduciario, la società fiduciaria assume l’amministrazione dei beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni (legge n.1966 del 23 11 1939). In pratica, nel negozio fiduciario, il fiduciante trasferisce al fiduciario la titolarità di un diritto, limitandone l’uso con accordo tra le parti, per realizzare uno scopo che il fiduciario si impegna a realizzare, per trasferire poi il diritto allo stesso fiduciario o a terzi. In parole povere, si incarica una società fiduciaria di agire per conto proprio ma in suo nome, non comparendo mai come “mandanti”.

Ad esempio, si può acquistare un’azienda, ma l’acquisto sarà siglato dalla fiduciaria. E’ uno strumento che serve a mantenere la privacy e la riservatezza, utilizzando una struttura riconosciuta e qualificata, nonché monitorata dall’autorità pubblica. E’ un filtro, ma non serve ad occultare nulla, perché se l’autorità chiede alla fiduciaria il nome del fiduciante, questa è obbligata a riferirlo, e inoltre le fiduciarie sono obbligate a rispettare la normativa antiriciclaggio. A cosa servono allora? A molte cose: sono innanzitutto un filtro, come già detto, e possono assumere funzione di trustee e protector, come vedremo parlando di trust, possono essere sia contraenti che beneficiari di polizze vita, possono gestire passaggi generazionali, possono intestarsi quote di società, di fondi, di obbligazioni, di titoli, di patrimoni.

Inoltre, la società fiduciaria è l’unico intermediario “abilitato alla compensazione delle plusvalenze e le minusvalenze di quote di società non azionarie” (per esempio le Srl) “e di redditi diversi derivanti da contratti di natura finanziaria” (come per esempio i finanziamenti e le polizze assicurative) con le plusvalenze e le minusvalenze generate da altri strumenti finanziari trattati in regime di risparmio amministrato”(art. 6 D.lgs. n. 461/1997).

Tutela del patrimonio: fondi pensione e polizze vita

I fondi pensione e le polizze vita che garanzie danno?

Partiamo dal fatto che le pensioni sono pignorabili per un quinto, pertanto anche i fondi pensione seguono la stessa sorte.

Il discorso sulle polizze è più complicato. Esse possono essere caso vita, caso morte o miste. Quelle caso vita, a scadenza, possono prevedere la restituzione del capitale più gli interessi oppure una rendita; quelle caso morte invece possono essere temporanee o a vita intera, infine le polizze miste possono avere entrambi gli elementi, caso vita e caso morte. Quindi ci sono numerose variabili possibili.

Ripararsi dai creditori con le polizze vita non dà garanzie: la prima sezione della Corte di Cassazione ha dato una lettura restrittiva all’articolo 1923, proprio con l’obiettivo di scoraggiare chi, mediante i versamenti in un prodotto assicurativo, cercasse un espediente giuridico in tal senso. La sentenza riguarda i riscatti effettuati prima che l’evento oggetto di contratto si sia realizzato.

Le somme ricevute come riscatti anticipati da parte della compagnia a favore dell’assicurato o di chi risulta legittimato a riceverle possono dunque essere aggredite dai creditori e confluire nel fallimento.

In pratica, l’impignorabilità e la non sequestrabilità delle polizze miste, caso vita e morte, index e unit linked, sono diritti inviolabili se vengono portati a termine i contratti fino al verificarsi dell’evento assicurato, altrimenti se si effettua un disinvestimento anticipato, si presuppone che siano stati sottoscritti solamente con la chiara intenzione di eludere i creditori.

Anche un’altra sentenza della Corte di Cassazione del 2008 stabilisce che solo il fine previdenziale impedisce sequestro e pignoramento della polizza. Il problema è capire esattamente cosa si intende con fine previdenziale. Ad esempio, le polizze caso vita hanno fine previdenziale? Nessuno lo ha detto chiaramente, lasciando spazio ad interpretazioni e dubbi.

E i prodotti di capitalizzazione, come index e unit? Il tribunale di Parma nel 2010, a proposito delle polizze unit e index, ha stabilito che le polizze di tipo finanziario non hanno nessun fine previdenziale e quindi sono pignorabili. Tuttavia, per avere un minimo di certezza giuridica, sarà necessario attendere una nuova sentenza chiarificatrice della Corte di Cassazione.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Gli strumenti a tutela del patrimonio

Esistono strumenti per la tutela del patrimonio, anche se sono scarsamente usati in Italia. Sono il fondo patrimoniale, il trust, i vincoli di destinazione, il contratto fiduciario, le polizze vita. Vediamoli meglio.

Il vincolo di destinazione, ex art. 2645 ter c.c. serve a sottrarre i beni dalle eventuali azioni dei creditori. Infatti li “isola”  dal patrimonio “generale” del soggetto titolare, destinandoli al “perseguimento del fine”, per il quale l’atto di destinazione è  istituito.

Questa rappresenta una rilevante eccezione all’articolo 2740 cc, secondo cui ciascun soggetto “risponde delle proprie obbligazioni con tutti i propri beni presenti e futuri”.

Il vincolo di destinazione consente di aggredire il patrimonio del soggetto-debitore, ma non i beni oggetto del vincolo, che restano così “isolati” dal patrimonio del debitore.

Il vincolo di destinazione non pone limiti sulla natura del beneficiario, che può essere sostanzialmente “chiunque”; i beni, che possono formarne l’oggetto, devono essere “immobili o mobili registrati”; infine, i “vincoli di scopo” non hanno indicazioni particolari, dovendo solo realizzare “interessi meritevoli di tutela”.

In sintesi, l’unico limite di applicazione del vincolo di destinazione è l’interpretazione dell’interesse meritevole di tutela.

L’interpretazione più restrittiva considera il fine di pubblica utilità come unico motivo valido per costituire un vincolo di destinazione, mentre quella meno restrittiva, ed anche più applicata, ritiene che sia sufficiente che lo scopo perseguito sia lecito, ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Altro limite è il vincolo di durata, 90 anni al massimo.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Il pregiudizio del creditore

Nell’articolo precedente abbiamo iniziato ad introdurre l’argomento “tutela del patrimonio”. C’è un punto fondamentale, che è meglio chiarire da subito. Se vogliamo che la tutela sia realmente efficace, questa deve essere posta quando non esistono pregiudizi sul patrimonio. Mi spiego: un pregiudizio è, ad esempio, un debito verso un fornitore, un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, un danno causato ad un terzo. Se noi siamo a conoscenza di un qualsiasi elemento che possa ( a ragione o a torto) minacciare il nostro patrimonio, siamo in presenza di un pregiudizio.

Se esiste questo pregiudizio, qualsiasi strumento a protezione può essere revocato, a discrezione del giudice.

I presupposti dell’azione revocatoria sono oggettivi (esistenza del credito e pregiudizio alle ragioni del creditore), e soggettivi (conoscenza del pregiudizio da parte del debitore e, nei casi di atti a titolo oneroso, anche da parte del terzo).

Se una persona sa o sospetta di essere creditore di un’altra persona, o ente, o azienda e  compie degli atti (non necessariamente fraudolenti o consapevoli) che possono rendere più difficile la soddisfazione del creditore, questi atti possono essere revocati.

Un esempio chiarirà meglio. Nestore, mio debitore, ha un unico bene, una casa, che vende a Ulrico. Ulrico, che può essere anche la moglie, il figlio, o una persona che è d’accordo col debitore (quindi in questo caso c’è fraudolenza), sa che la vendita viene fatta per far sì che Nestore risulti nullatente e quindi io non riceva più nulla e Nestore non sia costretto a perdere il suo bene. Ora, se io creditore non riuscissi a revocare la vendita, mi troverei con un pugno di mosche in mano. Con l’azione revocatoria viene revocato l’atto di compravendita e quindi io creditore potrò, per ipotesi, iscrivere ipoteca su quella casa del mio debitore e successivamente chiederne la vendita ricevendone il ricavato fino alla concorrenza del mio credito.

Chiariamo anche il concetto di responsabilità. L’art. 2043 del vigente codice civile dice: “Qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

L’art. 2740 inoltre recita: “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabilite dalla legge” e poi che “Il patrimonio del debitore è la garanzia del creditore”.

Quindi è estremamente importante pensare a porre in atto i rimedi per tutelare un patrimonio prima che sorga, anche solo all’orizzonte, qualsiasi possibile creditore. Vedremo come con i prossimi contributi.

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

E’ legittimo il sequestro conservativo se il Trust è finalizzato a distrarre i beni

Il sequestro conservativo disposto sui beni che costituiscono il patrimonio di un trust ha valore se lo stesso è stato istituito con lo specifico intento di distrarre beni a danno di un creditore. Ciò anche nel caso in cui gli stessi beni siano già sottoposti a sequestro preventivo, in quanto si tratta di misure cautelari reali cumulabili e, quindi, possono concorrere sui medesimi beni. Questi i principi contenuti nella sentenza della Cassazione n. 25520 del 28 giugno.

La sentenza
Il tribunale della libertà di Roma respingeva l’istanza di riesame proposta dal trustee, legale rappresentante di un trust imputato in concorso con altri due imputati nell’ambito di un procedimento penale per circonvenzione di incapace, contro il decreto di sequestro conservativo emesso dal giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale. A sostegno della decisione, il tribunale di Roma, confermata l’indiscutibile fondatezza del reato ipotizzato, rilevava come l’immediato reimpiego da parte degli imputati delle ingenti somme ricavate dalla vendita degli immobili della persona offesa attraverso la segregazione in un trust, fosse un chiaro segnale della volontà degli stessi di distrarre i beni a garanzia del credito erariale riferito alle spese del procedimento.

Contro la decisione del tribunale, gli imputati ricorrevano in Cassazione, rilevando che le valutazioni del tribunale romano non avessero tenuto conto di alcuni rilevanti aspetti. A parere del difensore di parte, infatti, i giudici non avrebbero considerato l’esistenza di un vincolo cautelare già impresso sui beni del trust con il sequestro preventivo e non avrebbero indicato alcun sospetto concreto di dispersione dei beni sequestrati.

La Corte di cassazione ha ritenuto il ricorso degli imputati infondato. Il primo aspetto su cui si sono espressi i giudici della Suprema corte attiene alla possibilità che sui medesimi beni, frutto di un reato, possano coesistere contemporaneamente un sequestro preventivo e un sequestro conservativo. Entrambi rientrano nella categoria delle “misure cautelari reali” in quanto si tratta di provvedimenti a carattere giudiziale aventi l’obiettivo di garantire dal punto di vista patrimoniale l’esecuzione di una sentenza definitiva, ossia crediti dello Stato o crediti derivanti dalle obbligazioni civili scaturenti da un reato (sequestro conservativo), oppure di impedire che l’uso di una cosa pertinente a un reato possa agevolare le conseguenze dello stesso o la commissione di altri reati (sequestro preventivo).

A parere dei giudici della Cassazione, le finalità e le modalità di esecuzione del sequestro preventivo non sono di per sé idonee a realizzare quelle proprie del sequestro conservativo e, pertanto, è ammissibile non solo la coesistenza dei due sequestri sui medesimi beni, ma anche il succedersi nel tempo dei vincoli reali.

Partendo da tale assunto, l’adita Corte di cassazione ha sancito il principio per cui l’applicazione del sequestro conservativo presuppone un giudizio “che faccia fondatamente ritenere che le garanzie possano venire a mancare o essere disperse, sia per fatti indipendenti dalla volontà e, quindi, dal comportamento del debitore, sia per comportamenti addebitabili più strettamente al debitore”.
In questo modo il legislatore ha voluto contemplare tutte le possibili ipotesi che, anche astrattamente, potrebbero comportare la perdita delle garanzie, atteso che l’obiettivo primario è quello di “garantire e proteggere comunque il credito (dell’erario e/o dei privati)”.

Nel caso di specie era ravvisabile il rischio della perdita delle garanzie a tutela del credito erariale, tale da legittimare l’adozione del sequestro conservativo. Infatti, la costituzione di un trust, attività per sua natura complessa e articolata, avrebbe costituito, a parere dei giudici della Cassazione, una condotta distrattiva da individuarsi nella segregazione del patrimonio costituito dal ricavato di un reato (la vendita di immobili di persona incapace). In altre parole, i giudici hanno ritenuto che gli imputati/disponenti abbiano costituito il trust, il cui patrimonio è stato sequestrato, al precipuo scopo di distrarre un patrimonio che altrimenti sarebbe stato aggredibile in quanto costituente la garanzia di un credito di una persona terza (in questo caso, l’erario).

La sentenza in oggetto appare di particolare interesse in quanto il giudice ha compiuto un esame di merito riguardo alla costituzione del trust, andando a sondare le ragioni sottese all’operazione.
L’operato dei giudici è apprezzabile perché, se da un lato lo strumento del trust ha come finalità lecita quella di segregare un patrimonio a favore di un trustee affinché questi lo gestisca e lo amministri, ciò non esclude la possibilità che il trust stesso possa prestarsi a finalità elusive o distrattive e, in tale ottica, essere sottoposto a misure cautelari.