Confcommercio fa le pulci alla spesa pubblica

Non passa giorno che non vengano prodotte prove a sostegno del fatto che la cosiddetta spending review sia stata una operazione di facciata. Sprechi e risorse mal spese continuano a esserci, tanto a livello centrale quanto locale e periferico. Lo testimonia il Rapporto dell’Ufficio Studi Confcommercio “La spesa pubblica locale”, presentato nell’ambito del convegno “Meno tasse meno spesa, binomio della ripresa” svoltosi nei giorni scorsi a Roma nella sede nazionale della Confederazione.

Secondo il rapporto di Confcommercio, “la riduzione delle inefficienze e degli sprechi nelle Amministrazioni pubbliche è la condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per intraprendere un percorso di graduale, sicura e generalizzata riduzione del carico fiscale su famiglie e imprese“.

Dallo studio di Confcommercio quella che dovrebbe essere la centralità della spending review per riportare la spesa pubblica sotto controllo. Con dati in chiaroscuro. Per esempio, la spesa per i consumi finali, tra il 2012 e il 2014 è calata di quasi 1,4 miliardi e dello 0,1% (dal 19,6% al 19,5%) in rapporto al Pil. Contemporaneamente, però, nello stesso periodo le uscite complessive delle Amministrazioni pubbliche sono aumentate di poco più di 6 miliardi, passando dal 50,8% al 51,1% in rapporto al Pil.

Ma i dati più interessanti, Confcommercio li ha rilevati a livello regionale, dove ha scoperto che la regione con la spesa pro capite più bassa è la Puglia (2.963 euro), seguita dalla Lombardia (2.579 euro) e dalla Campania (2.676 euro). La spesa massima è della Val d’Aosta (6.943 euro), che precede Trentino Alto Adige e Sardegna.

Dal quadro tracciato da Confcommercio emerge che le Regioni a statuto speciale spendono più delle altre, in media 3.814 euro, contro i 2.812 euro di quelle a statuto ordinario. Ma la conclusione più interessante cui è giunto l’Ufficio Studi di Confcommercio è che la spesa pubblica gestita localmente è pari a 176,4 miliardi di euro, dai quali si potrebbero risparmiare più di 74 miliardi di euro, ossia il 42% del totale nazionale.

Se si prendono come base di confronti i prezzi della Lombardia – la Regione campione per calcolare gli sprechi, dal momento che ha livelli di servizio superiori a tutte le altre – i servizi pubblici locali in Italia potrebbero costare 102,3 miliardi di euro, ossia i 74 miliardi in meno di cui sopra. Tolto il 70%, reinvestito nel miglioramento dell’output pubblico, rimarrebbero quasi 23 miliardi di euro di risparmi netti. Quasi la metà di questi risparmi proverrebbe dalle Regioni a statuto speciale, dove risiede solo il 15,2% dei cittadini. Nelle regioni più grandi il risparmio potrebbe arrivare a 4,2 miliardi di euro.

Credito alle imprese, i numeri del crollo

L’Ufficio studi di Confcommercio ha rilevato che tra il giugno del 2010 e il settembre del 2014 il credito alle imprese piccole e medie che le banche non hanno erogato è stato di ben 97,2 miliardi di euro.

Se poi si somma il credito alle imprese mancato a quello negato alle famiglie, dice Confcommercio, nello stesso periodo la percentuale di calo arriva a un significativo 6,6%. Si tratta naturalmente di una media: il calo dei prestiti alle famiglie è stato dell’1,1%, mentre il calo del credito alle imprese si è rivelato ben più consistente: -8,3%.

Oltre al danno, la beffa: le Pmi italiane che sono riuscite ad accedere al credito alle imprese hanno pagato e pagano interessi più alti di quanto accade negli altri Paesi dell’Eurozona. Se in Italia a ottobre 2014 i tassi per credito alle imprese fino a un milione di euro erano al 3,3%, in Francia nello stesso periodo di è registrato un 1,5% medio. Stanno peggio di noi in Spagna, dove i tassi per il credito alle imprese sono al 4,4%, meglio in Olanda (2,7%) e Germania (1,9%).

Confcommercio ha analizzato anche il capitolo oscuro dei costi accessori del credito alle imprese e anche su questo fronte non arrivano buone notizie. Oltre il 60% delle imprese ha registrato un aumento tra ottobre 2013 e marzo 2014. Tornando al paragone con i nostri competitor europei, a fronte di una media dell’Eurozona che parla di un +45%, in Francia siamo di poco sopra al 50%, mentre in Germania a meno del 20%.

Non stupisce quindi, secondo i dati di Confcommercio, il fatto che il numero di imprese finanziate sia calato del 17,4% (dal 22,2% del 2009 al 4,8% del terzo trimestre 2014). In termini percentuali, dal 2009 è anche sceso di molto il numero di realtà che ha chiesto alle banche credito alle imprese che è poi stato loro concesso: dal 64,2% al 29% del 2014.

Al via il Forum di Confcommercio

E’ tutto pronto, al Grand Hotel Villa d’Este di Cernobbio, per ospitare l’annuale Forum di Confcommercio, che vi si svolgerà il 21 e il 22 marzo.

Tra gli argomenti che verranno trattati, troveranno ampio spazio spesa pubblica e burocrazia, ma anche riforma fiscale, il lavoro e lo scenario economico internazionale.
Ad aprire i lavori sarà, come sempre, Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, che, in occasione della conferenza stampa di inaugurazione, presenterà un’analisi dell’Ufficio Studi sull’andamento dell’economia e sulla spesa pubblica.

Titolo della quindicesima edizione del Forum è “I protagonisti del mercato e gli scenari per gli anni 2000” e, tra i partecipanti, ci saranno, venerdì 21 marzo, Luigi Angeletti, Francesco Caio, Maurizio Castro, Antonio Catricalà, William Cline, Luca Ricolfi, Nicola Rossi, Serena Sileoni, Pierre Thènard, Jole Vernola e il Ministro Giuliano Poletti.

Sabato 22, invece, interverranno Richard Baldwin, Raffaele Bonanni, Renato Brunetta, Susanna Camusso, Vladimir Dlouhy, Barry Eichengreen, Gian Maria Gros-Pietro, Filippo Taddei, il Ministro Federica Guidi e il Ministro Pier Carlo Padoan.
Nel pomeriggio di sabato è prevista una tavola rotonda con la partecipazione dei leader dei principali partiti.

Vera MORETTI

Saldi: in quanti ne approfitteranno?

La stagione dei saldi è ufficialmente entrata nel clou e le famiglie italiane, dopo aver calcolato di quanto possono disporre, si accingono a fare quello shopping che si erano precluse durante i mesi scorsi.

Le stime dell’Ufficio Studi di Confcommercio, prevedono una spesa di 229 euro a famiglia, per comprare articoli di abbigliamento e calzature in saldo.
Meno di 100 euro a testa, dunque, per un valor complessivo di 3,6 miliardi di euro.

Nonostante la crisi, comunque, gli sconti rappresentano sempre un grande richiamo per gli italiani, ch comunque devono far i conti, letteralmente, con il bilancio familiare, purtroppo quest’anno particolarmente esiguo.

Renato Borghi, Vice Presidente di Confcommercio e Presidente di Federazione Moda Italia, ammette la situazione di estrema criticità: “Siamo consapevoli delle difficoltà che attraversano le famiglie italiane dal punto di vista del reddito disponibile. Siamo peraltro fiduciosi che i saldi, che preferisco definire di ‘inizio stagione’, sapranno incontrare le più diversificate esigenze dei consumatori, sia per quantità, qualità e assortimento dei prodotti invenduti, che per gli sconti che prevediamo possano superare il 40%. Le vendite in questo periodo, insomma, pur in un contesto difficile, potranno dare effervescenza alle vendite e rappresentare per i consumatori italiani e i turisti stranieri un’occasione per acquistare quei capi d’abbigliamento desiderati nel corso della stagione”.

Vera MORETTI

Saldi: si parte già con i prezzi dimezzati

Sono partiti col turbo, i saldi estivi 2013: già dalla prima giornata, che quasi in tutta Italia è stata fissata per il 6 luglio, ad eccezione di Basilicata, Campania e Molise, che hanno inaugurato la stagione dei ribassi il 2 luglio, le vetrine dei negozi hanno esposto la loro merce scontata del 50%.

A differenza degli anni passati, dunque, i negozianti hanno deciso di passare subito alle “maniere forti”, considerate il rimedio migliore contro una stagione pessima, caratterizzata da una contrattura notevole delle vendite.

Famiglie e turisti che hanno atteso prima di fare qualsiasi acquisto, possono finalmente varcare la soglia dei negozi e cercare l’oggetto desiderato senza dover dar fondo a tutti i risparmi.
Il budget, tuttavia, che i consumatori hanno a disposizione per questa tranche di acquisti, è parecchio ridotto rispetto a qualche tempo fa, poiché ogni nucleo familiare è intenzionato a spendere circa 229 euro, ovvero meno di 100 a testa.

E se il 2012 era stato considerato un anno di “vacche magre”, con una spesa di 103 euro a testa durante la stagione dei saldi, il 2013 sta andando ancora peggio, come confermano i dati di Confcommercio.
I negozianti, però, ci sperano, in una ripresa proprio sul filo di lana, poiché si stimano in 15,7 milioni gli italiani che approfitteranno di questa opportunità.

Le associazioni dei consumatori, Codacons in testa, invece, arricciano il naso e prevedono un crollo delle vendite del 22% rispetto al già negativo 2012, con una spesa pro capite che non supererà i 70 euro.
Più ottimisti Federconsumatori e Adusbef, che prevedono un calo dell’8-9%, con una famiglia su tre che si dedicherà allo shopping, per una spesa di 117 euro a famiglia e un giro d’affari che si fermerà a 936 milioni di euro.

Vera MORETTI

Iva al 22%: 135 euro di spese in più per gli italiani

Se c’è qualcuno che sta cantando vittoria da quando ha sentito la notizia della sospensione della prima rata dell’Imu, prevista a giugno, forse riceverà un duro colpo quando, a luglio, troverà ad attenderlo l’aumento dell’Iva.
Quando l’estate starà per toccare il suo apice, infatti, l’aliquota salirà al 22%, un punto percentuale in più rispetto all’attuale 21, che, tradotto in “soldoni” dovrebbe costare 135 euro all’anno per ciascuna famiglia media italiana.

Questa è la previsione effettuata da Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, che spiega l’incremento della spesa considerando che l’aumento andrà a impattare sul 70% dei consumi totali.
Ovviamente, per il 2013 si tratterebbe di “soli” 70 euro famiglia, che raddoppierebbero dal 2014 in poi e che porterebbero, ulteriormente, “a deprimere i consumi”.

La situazione, tra l’altro, non è rosea neanche ora, e in particolare per le imprese del commercio: si profila un annus horribilis con almeno 26mila aziende a rischio chiusura causa crisi.

Vera MORETTI

Famiglie ed imprese sfiduciate nei confronti del futuro

Il rapporto stilato da Censis-Confcommercio sulla fiducia di famiglie ed imprese nei confronti di una ripresa dell’economia interna ha riportato dati a dir poco sconcertanti.
Ciò che prevale, nella maggioranza degli intervistati è un sentimento di incertezza, che spesso sfocia in paura, per il futuro.

A conferma di ciò vi è un calo dei consumi che non si registrava dalla metà degli anni Novanta, e in continua flessione da ben quattro anni.
Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, ha dichiarato: “Con il livello attuale di fiducia di famiglie e imprese è impossibile una ripresa nel giro di qualche mese. Negli ultimi mesi il 23% delle famiglie ha avuto problemi con il mondo del lavoro, fatto che non può che influenzare poi il reddito e quindi la fiducia delle famiglie stesse“.

E le cose non migliorano per le imprese, in particolare per quelle che operano nel settore dei servizi e del commercio, mentre il manifatturiero sembra reggere, pur manifestando un certo affanno.
A peggiorare le condizioni delle imprese, si sa, è la questione, ormai insostenibile, dei finanziamenti: nel primo trimestre 2013 solo l’11,5% delle imprese ha chiesto un prestito e appena il 29,6% lo ha ottenuto. La percentuale di imprese finanziate è quindi in totale del 3,4%, un numero pressoché irrisorio che non permette al Paese di crescere.

Giuseppe Roma, direttore del Censis, vede come fenomeno più rappresentativo della crisi la diminuzione della capacità di risparmio delle famiglie: solo il 12% riesce a mettere qualcosa da parte contro il 17% costretto ad erodere i propri risparmi e il 71% che riesce ad essere in pari.
Per tirare avanti il 43,6% delle famiglie usa i risparmi accumulati in passato, ma soprattutto si posticipano i pagamenti (la relativa percentuale è passata dal 13 al 32%). Si chiede poi un prestito in banca (il 6,4%) o ad amici (il 26,5%).

Continua Roma: “il vero crollo dei consumi c’è stato nel 2012 e oggi viviamo la crisi più lunga della storia italiana che ha fatto bruciare 114 miliardi di Pil“.
I consumi non crescono “perché si deteriora il mercato del lavoro: il 12% delle famiglie ha un componente che teme di perdere il lavoro e il 30% dei lavoratori dipendenti ha visto diminuire il proprio reddito. Il sentimento delle famiglie è di grande difficoltà e deriva soprattutto dalla preoccupazione per la condizione lavorativa. Per la ripresa dei consumi bisogna saper contare sulla capacità di reagire delle famiglie italiane. Quindi più politica per le imprese, ma anche più politica per le famiglie“.

Vera MORETTI

Consumi fermi a dicembre. Ma niente crolli

Italiani consumatori? Forse un tempo, ora molto meno. La conferma viene ancora una volta dall‘indicatore dei Consumi Confcommercio (ICC), che a dicembre 2011 è rimasto fermo in termini tendenziali ed è aumentato dello 0,3% rispetto a novembre.

Secondo l’Ufficio Studi Confcommercio, questi sono dati che “appaiono meno negativi se confrontati con quelli dei mesi precedenti e vanno letti con estrema cautela“. Nella media del 2011 l’indicatore è sceso dello 0,4%. In termini di media mobile destagionalizzata a tre mesi il dato segna un’ulteriore flessione. La tenuta della domanda “sembra riflettere più il tentativo delle famiglie di tenere invariato il livello dei consumi in un periodo come quello delle festività di fine anno, che un’inversione di tendenza“, sostiene l’Ufficio Studi Confcommercio.

L’ICC a gennaio indica un aumento dell’1,5% della domanda di servizi e una riduzione della spesa per i beni (-0,3%). Si evidenzia un deterioramento della domanda per quasi tutte le macrofunzioni di spesa che compongono il paniere dell’ICC. Fanno eccezione i consumi per i beni e i servizi per le comunicazioni (+9,4), la cui domanda continua ad essere sostenuta quasi esclusivamente dalla componente relativa ai beni per l’ICT domestico. Particolarmente negativa, anche a dicembre, la dinamica relativa alla domanda per i beni e servizi per la mobilità (-6,6%). Situazioni di forte difficoltà si sono registrate per la domanda di beni e servizi per la casa (-3,5%), tra i quali mobili ed elettrodomestici continuano a segnalare un netto ridimensionamento, e per alimentare, bevande e tabacchi (-2,4). Riguardo alle spese per i beni e servizi ricreativi si segna una diminuzione (-1,7%), fatta eccezione per giochi, lotterie e scommesse.

In termini di dinamiche congiunturali, il miglioramento registrato nell’ultimo mese del 2011 non ha consentito di recuperare quanto perso nei mesi precedenti. Si ha una moderata crescita della domanda sia per i servizi (+0,2%) che per i beni (+0,3%). La contenuta tendenza al recupero ha interessato quasi tutte le macro funzioni di spesa con l’unica eccezione della domanda per l’abbigliamento e le calzature (-0,7%). Il miglioramento più significativo si è registrato per i beni e servizi per la mobilità (+1,4%), che ha determinato un minimo recupero rispetto al segno meno che han caratterizzato quasi tutto il 2011. In moderata crescita anche i consumi per gli alimentari e le bevande (+0,2%), fenomeno su cui paiono pesare le spese per le festività di fine anno più che una modifica nei comportamenti.

Resta comunque la sensazione che a dicembre non si sia avuto alcun crollo della domanda da parte delle famiglie, che manifestano ancora importanti segnali di tenuta della propensione al consumo. Per quanto riguarda i prezzi, per febbraio viene stimata una variazione congiunturale dello 0,3% dell’indice dei prezzi al consumo. un dato che porterebbe a una stabilizzazione del tasso tendenziale al 3,2%, analogamente a quello registrato a gennaio.

Confcommercio: spese fisse sempre più alte per le famiglie italiane

Un’analisi effettuata dall’Ufficio Studi Confcommercio su come è cambiata negli ultimi quaranta anni l’incidenza delle spese obbligate sui consumi e sul potere di acquisto delle famiglie mette in luce una situazione che fa riflettere: tra il 1970 e il 2010 la quota di consumi assorbita dalle cosiddette spese obbligate (bollette, affitti, servizi bancari e assicurativi, carburanti…) è quasi raddoppiata ed è passata dal 23,3% sul totale dei consumi a poco meno del 40%. Nello stesso periodo, la quota di consumi “liberi” delle famiglie – quelli per beni e servizi commercializzabili – si è ridotta dal 76,7% al 61,2%, con una forte contrazione per gli alimentari la cui quota si è più che dimezzata, dal 36,1% del 1970 al 15,1% del 2010.

Entrando nel dettaglio dello studio, si scopre che tra le spese fisse, le maggiori quote, in valore, sono destinate all’abitazione (57,4%) e ad assicurazioni e trasporti (25%). Quanto alle dinamiche dei prezzi, i consumi obbligati hanno mostrato, tra il 1970 e il 2010, un’inflazione mediamente superiore al 60% rispetto a quella delle spese libere. Gli over 65 che vivono da soli destinano ai “consumi di base” oltre i tre quarti della spesa media mensile. Sul totale dei consumi liberi, le coppie senza figli spendono più di un terzo per i servizi; per le famiglie numerose con 3 o più figli, invece, quasi i tre quarti delle spese libere se ne vanno per l’acquisto di beni, soprattutto alimentari. Secondo il direttore dell’Ufficio Studi Mariano Bella, la crisi attuale, almeno fino al luglio scorso “era una crisi di produzione e reddito, non di consumi“. Ma la caduta della fiducia dei consumatori che si è registrata ad agosto comporta un grave rischio, ovvero “una nuova recessione se le famiglie ridurranno la propensione al consumo“. Per il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, “lo studio ci indica qual è la situazione reale del Paese: bassa crescita, consumi stagnanti, redditi fremi, tassazione alta, aumento delle spese obbligate. E ci dice che sono molti i settori con ampi margini per una maggiore apertura alla concorrenza“.

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Ecco i dati relativi al settore terziario in Italia

L’Ufficio Studi Confcommercio ha aggiornato alcuni dati del Rapporto sulle economie territoriali e il terziario di mercato: nel 2010 in aumento i negozi di informatica e telecomunicazioni, mentre risentono della crisi mobili e arredamento per la casa.

Vediamo i dati nel dettaglio: in Italia i piccoli esercizi a fine 2010 erano circa 758mila, in modesta crescita (+0,4%) rispetto all’anno precedente. Il tasso maggiore di sviluppo si è registrato nelle regioni centrali (+1,1%), quello più basso nel Mezzogiorno (+0,1).
La Regione che ha fatto registrare il maggior incremento (+2%) è risultato il Lazio, mentre in Sardegna si è registrato il calo più sensibile (-1,4%).

Per quanto riguarda le medie e grandi superfici di vendita, che comprendono, quindi, supermercati e ipermercati, ma anche grandi magazzini e grandi superfici specializzate, hanno avuto uno sviluppo positivo soprattutto nel Centro-Sud, con un incremento complessivo di 341 punti vendita (66% del totale) nello scorso anno.

Più dinamico lo sviluppo degli esercizi non food (aumentati dello 0,5%) rispetto a quelli dell’area food (+0,1%) e, tra i singoli comparti merceologici, spicca la crescita in quasi tutte le regioni dei negozi di informatica e telecomunicazioni, in controtendenza rispetto ad un calo sostanziale del numero di negozi di mobili e arredamento per la casa.

Un ruolo non secondario nel sistema distributivo italiano hanno anche altre forme distributive come il commercio ambulante, il commercio elettronico e la vendita attraverso i distributori automatici, che negli ultimi anni hanno dimostrato una forte dinamicità in termini di sviluppo d’imprese e giro d’affari.

Vera Moretti