Confcommercio: “la pressione fiscale è un incentivo all’evasione”

 

“Tasse…Le cambiamo? Come ridurre la pressione fiscale e far emergere l’economia sommersa” è il titolo del consueto convegno annuale organizzato da Confcommercio a Roma sui temi del fisco e dell’economia sommersa.

Il sommerso economico in Italia è al 17,4% del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2012-2013. Una percentuale che porta l’imponibile ogni anno sottratto al Fisco alla bellezza di 272 miliardi, dunque decisamente più elevato rispetto alle altre economia industrializzate del mondo.

“Gli italiani sono un popolo di pagatori di tasse”, ha spiegato il direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, Mariano Bella, presentando i dati dello studio. Secondo l’associazione “l’alto livello della pretesa fiscale” in Italia è “il primo incentivo all’evasione”.

Spremuti e mazziati

di Davide PASSONI

Confcommercio ha suonato la sveglia: secondo il suo Ufficio Studi, noi italiani siamo il popolo più tassato del mondo e, di conseguenza, i nostri consumi sono finiti sotto ai piedi.

Il rapporto parla chiaro: “in Europa la pressione fiscale è oggi mediamente inferiore al valore della fine degli anni ’90. In Italia è superiore e si appresta a raggiungere, quest’anno, i massimi di sempre“. Eliminando dal Pil la quota derivante dall’economia sommersa, “la pressione fiscale legale, cioè quella gravante sui contribuenti in regola, raggiunge per l’Italia il 55%, portando il Paese al numero uno della classifica europea, e quindi mondiale“.

Cinquantacinque per cento! Lasciamo al fisco più della metà di quanto guadagniamo! Quando non di più, come nel caso degli imprenditori. E per avere in cambio che cosa? La qualità media dei servizi che lo Stato ci eroga, è sotto agli occhi di tutti…

Continua, impietoso, il rapporto: “Il salto indietro dell’Italia appare sempre più ampio: i consumi sono ai livelli del 1998, il Pil ai livelli del ’99. Non è più un decennio perso, ci avviciniamo al quindicennio“. Secondo Confcommercioin assenza di manovre Iva nel 2011 avremmo osservato un incremento della spesa reale delle famiglie residenti pari allo 0,4%, invece del dato di consuntivo pari a 0,2. Per il 2012 la previsione sarebbe stata di -2,1%, invece dell’attuale -2,7%. Per il 2013 e 2014 avremmo previsto +0,1% e +0,7%, invece di -0,8% e +0,6%. Il 2013 è l’anno più colpito dalle manovre Iva, perché si cumulano gli effetti tanto dell’incremento del 2011 quanto, soprattutto, il pieno dispiegarsi delle conseguenze dell’incremento di ottobre 2012“.

Nello studio si afferma poi che senza crescita economica, per l’Italia il “prezzo” del fiscal compact, il trattato intergovernativo firmato da 25 Paesi dell’Ue (restano fuori Gran Bretagna e Repubblica Ceca) che dovrebbe entrare in vigore nel gennaio 2013, previa ratifica da parte di 12 paesi dell’Eurozona, “sarà elevatissimo, forse insopportabile“. Il trattato, è il monito, “è perfettamente compatibile con un progressivo impoverimento dei cittadini italiani“.

Impoverimento. Parola inesorabile, specialmente in bocca agli specialisti di Confcommercio. Nel rapporto, il direttore Mariano Bella sottolinea che in Italia “il tasso di investimento per unità di lavoro a tempo pieno è fortemente decrescente, almeno a partire dai primi anni 2000. Questo compromette le possibilità future di crescita“. Per Confcommercioè necessario invertire tale tendenza e incrementare i livelli di investimento assoluti e per unità di lavoro“.

Le parole passano, le tasse restano. Anzi, aumentano.

Cara, carissima politica…

L’Ufficio Studi di Confcommercio ha messo a punto un’interessante analisi, “I costi della rappresentanza politica in Italia“, dalla quale emerge una fotografia impietosa degli sprechi e dei costi legati alla politica italiana. Secondo Confcommercio, infatti, la scarsa efficienza dell’apparato pubblico insieme all’eccessivo livello di spesa pubblica rendono indispensabile agire anche su questo fronte per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese.

Una possibile azione di contenimento della spesa pubblica potrebbe partire proprio dai costi della rappresentanza politica che, in Italia, ammontano a oltre 9 miliardi di euro l’anno, poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa.

Applicando ai circa 154mila rappresentanti politici dei vari organi nazionali e locali l’ipotesi della riduzione di poco più di un terzo del numero dei parlamentari si avrebbe un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all’anno, una cifra sufficiente a ridurre in modo permanente di circa 8 decimi di punto la prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti; in alterativa il risparmio permetterebbe di ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all’anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta. Sarebbe in ogni caso la più grande ed efficace operazione di redistribuzione mai effettuata nel nostro Paese.

Da molti anni la spesa pubblica nel nostro Paese si mantiene stabilmente al di sopra del 50% del Pil. È un dato comune alle principali economie europee, anche esse ispirate al modello che intende contemperare esigenze del mercato e coesione sociale, ma che presenta, nel caso dell’Italia, la scarsa efficienza dell’apparato pubblico e la modesta capacità delle politiche redistributive di attenuare/ridurre le disuguaglianze dal lato dei redditi. Ciò sarebbe possibile solo attraverso una graduale riqualificazione e una progressiva riduzione della spesa pubblica.

Nella definizione del perimetro dei costi, Confcommercio ha adottato un’impostazione restrittiva. Inoltre, per ragioni logiche e per l’esigenza di semplificare i conteggi, non è stata inserita nei costi della politica la spesa delle Pubbliche Amministrazioni per trattamenti di quiescenza. Sotto questo profilo, Confcommercio propone una possibile tassonomia dei costi della rappresentanza politica, distinguendo tra costi monetari e costi non monetari. I primi si suddividono in costi diretti (di rappresentanza), cioè riferiti agli emolumenti dei rappresentanti (eletti), costi di funzionamento, comprendenti sia le remunerazioni per personale dipendente e per le collaborazioni (costi indiretti), sia gli acquisti di beni e servizi intermedi della pubblica amministrazione (costi gestionali), strumentali all’esercizio effettivo della rappresentanza politica, e altri costi.

Nel complesso i costi monetari misurabili della rappresentanza politica, calcolati per il 2009, superano i 9,1 miliardi di euro e quindi, considerando i quasi 25 milioni di famiglie e gli oltre 60 milioni di abitanti, i costi della rappresentanza politica valgono circa 367 euro per nucleo familiare, pari a 152 euro a testa.

Quasi il 77% dei costi monetari è costituito dalle spese di funzionamento delle strutture di supporto alle assemblee legislative nazionali e locali. All’interno di queste, le sole spese denominate indirette, corrispondenti alla remunerazione dei dipendenti pubblici che operano in funzione di staff, valgono poco meno del 47% dei costi monetari totali. I costi diretti, invece, che rappresentano il totale delle indennità di funzione e di carica corrisposte ai rappresentanti politici, pesano per oltre il 19% del totale.

Infine, per ogni euro di risparmio sugli sprechi della politica, una catena di “euro” viene potenzialmente risparmiata grazie al fatto che le relazioni socio-economiche della collettività diventano più fruttuose e più dirette, grazie alla ridotta intermediazione e alla limitata invadenza della politica.

Saldi, saldi, saldi… Viva i saldi!

Finalmente sono iniziati i saldi, il momento in cui i commercianti fanno cassa (o almeno ci provano) e i consumatori fanno dei buoni affari (o almeno ci provano). Per questa tornata di saldi, la spesa media che ogni famiglia dedicherà all’acquisto di articoli di abbigliamento e calzature in saldo sarà di 274 euro, per un valore complessivo di circa 4,1 miliardi di euro (circa il 12% del fatturato totale annuo del settore abbigliamento e calzature). A dircelo è l’Ufficio Studi di Confcommercio che ha pubblicato un’indagine con la quale è stata fatta una stima sui consumi delle famiglie italiane durante la stagione estiva dei saldi.

Secondo Renato Borghi, Vicepresidente di Confcommercio e Presidente di Federazione Moda Italia, i saldi di fine stagione “rappresentano sempre un momento di forte impatto nell’immaginario delle famiglie che hanno sempre vissuto l’evento e continueranno a viverlo come un momento quasi magico. Una sorta di rito collettivo che detta modi, tempi e abitudini all’interno delle città: un pò come succede per le sfilate, le città temporaneamente mutano. Certo la situazione dei consumi in generale, ma in particolare per l’abbigliamento, permane difficile. Non ci attendiamo, quindi, una stagione di saldi particolarmente effervescente, ma ci aspettiamo una sostanziale tenuta rispetto ai ricavi dello scorso anno”.  Il settore dell’abbigliamento in questi primi mesi del 2011 ha registrato un andamento negativo con una flessione dello 0,3%. L’attesa per i saldi estivi è caratterizzata quindi anche dalla speranza che nelle prossime settimane si possa recuperare almeno in parte quanto è andato perduto finora. Il giro di affari stimato dovrebbe collocarsi sui livelli dell’anno scorso pari al 26% del fatturato stagionale. Ma quanto sconto ci sarà? Gli sconti iniziali si aggireranno nelle prime settimane sul 20-30% per gli articoli estivi e quelli di marca, ma arriveranno fino al 50% per i capi prettamente di stagione come i pareo, gli shorts, i top.

Ricordiamo per chi compra in saldo che la possibilità di cambiare il capo dopo la vendita è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme. Anche per la prova dei capi non c’è alcun obbligo e ci si affida al buon senso del negoziante.

Tutto chiaro? Allora buono shopping a tutti!

Confcommercio: Sud e turismo per la ripresa dell’Italia

È stato presentato nei giorni scorsi a Roma il Rapporto sulle “Economie Territoriali e il Terziario di Mercato 2011,” redatto dall’ufficio Studi di Confcommercio su dati Eurostat e Istat. I risultati del rapporto sono in linea con quanto da più parti lamentato riguardo allo stato attuale dell’Italia. In particolare, secondo quanto ha affermato il direttore dell’ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, “si ripresenta il tema della scarsa crescita che attanaglia l’Italia da dieci anni“.

Come avviare, dunque, la ripresa? Secondo l’ufficio Studi, è necessario potenziare e migliorare i servizi e valorizzare il Sud. Secondo Bella, il turismo è “il perno sul quale fondare una politica economica di rilancio. Il turismo è fatto di una pluralità di servizi – trasporti, logistica e infrastrutture – e l’intreccio turismo-mezzogiorno può essere una carta da giocare. Dobbiamo quindi riuscire a mettere a reddito il capitale turismo. Il Mezzogiorno ne beneficerebbe molto e ricordiamoci che senza il Mezzogiorno il Paese nel suo insieme non può crescere“.

In generale, l’ufficio Studi di Confcommercio ha rivisto al ribasso le stime sui consumi degli italiani per il 2011 e per il 2012. Secondo il rapporto, la spesa delle famiglie residenti, quest’anno, si attesterà a +0,7% dal +0,9% previsto a marzo. In calo anche la previsione per il 2012, con i consumi che cresceranno dell’1,2% rispetto all’1,5 previsto a marzo.