Unimpresa: 4 aziende su 5 in ritardo per adempimenti fiscali

 

Sono numeri preoccupanti quelli snocciolati ieri da Unimpresa sul ritardo delle aziende sui versamenti effettuati con il modello F24 predisposto dall’agenzia delle Entrate, ma erano largamente prevedibili… Secondo l’organizzazione nata nel 2003 che e costituisce il sistema di rappresentanza delle micro, piccole e medie imprese, «l’81,3% delle imprese associate non ha rispettato i termini di legge previsti per il versamento di tasse e contributi previdenziali all’amministrazione dello Stato. L’introduzione del meccanismo della rateizzazione precompilata delle cartelle esattoriali, annunciata da Equitalia a partire dal 2015, fa sì che l’ente della riscossione si comporti in maniera non troppo diversa da un intermediario del credito».

«Così agendo, l’amministrazione dello Stato, di fatto – si specifica nella nota dell’organizzazione presieduta da Paolo Longobardi – prende atto che, a motivo della recessione o di situazioni individuali critiche e sempre piu’ diffuse, sia le famiglie sia le imprese non riescono ad adempiere correttamente agli obblighi e alle scadenze fiscali. La soluzione proposta e’ quindi un piano preconfezionato di pagamenti a rate, dando quasi per scontato che una buona fetta dei contribuenti non riuscira’ a saldare il conto in un’unica soluzione. Dilazionando i versamenti, tuttavia, i contribuenti non solo non cancellano il debito con il fisco, ma dovranno pagare anche gli interessi».

Secondo il presidente Longobardi «per la maggior parte delle imprese lo sforamento dei termini è una scelta obbligata: spesso si sceglie di lasciare i modelli F24 nel cassetto per avere la certezza di poter pagare gli stipendi».

JM

Banche: continuano le sofferenze dovute ai prestiti alle imprese

Continuano le sofferenze, da parte delle imprese, per quanto riguarda i prestiti da parte delle banche.
Se, da una parte, è ancora molto difficile ottenere un finanziamento, dall’altra, infatti, risulta altrettanto complesso riuscire a restituire il denaro ricevuto.

Secondo i dati di Bankitalia ripresi da una ricerca di Unimpresa, associazione delle imprese che ha il suo focus nelle pmi, nell’ultimo anno le sofferenze sono ancora cresciute del 25%, arrivando a superare il muro dei 166 miliardi di euro, in aumento di 33,1 miliardi.
Se si guarda al rapporto con il totale dei crediti, la percentuale è schizzata dal 9,14% all’11,6%.

Dal 2010 a oggi, inoltre, in valore assoluto le sofferenze sono più che raddoppiate, passando da 77,8 miliardi a 166,4.

Questo, per le banche, significa maggiori difficoltà nella concessione di crediti, anche a causa dei più stringenti requisiti patrimoniali.
Inoltre, con la crisi ancora in atto, l’ammontare complessivo dei crediti p in calo, anche se in termini minori rispetto agli anni precedenti.

Da aprile 2013 ad aprile 2014, il totale dei finanziamenti al settore privato è diminuito di 30,2 miliardi di euro passando da 1.458,07 miliardi a 1.427,7 miliardi.
Una riduzione che interessa sia le famiglie (-6,7 miliardi) sia le imprese (-23,5 miliardi). Le erogazioni degli istituti di credito sono scese, complessivamente, del 2,08%.

A questo proposito, Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Quella del credito resta una situazione gravissima e, di fronte alla sempre maggiore difficoltà, sia delle famiglie sia delle imprese, nel pagare le rate dei finanziamenti, assistiamo a un atteggiamento di superficialità da parte delle banche e anche delle istituzioni“.

Ha poi aggiunto Antonio Patuelli, presidente dell’Abi: “Le banche italiane stanno effettuando dei colossali aumenti di capitale che sono utili non solo per l’asset quality review e per gli stress test ma per avere molta più capienza per effettuare nuovi prestiti. La stagione degli aumenti non sarà mai finita, perché questa crisi ha cancellato la logica del minimo capitale. Se non riusciamo ad ottenere regole uniformi in tempi ragionevolmente brevi, l’Ue invece di diventare una grande chance per l’Italia rischierebbe di far esplodere le contraddizioni fin qui sopite“.

Vera MORETTI

Banche: calano i crediti ad imprese e famiglie

Niente da fare: ancora non accennano a calare le sofferenze da parte di famiglie e di imprese che, chiedendo finanziamenti alle banche, si vedono rispondere in modo negativo, o comunque non del tutto positivo.

Nonostante la situazione altamente difficile, e la necessità di avere accesso al credito per migliorare la propria condizione ed uscire dalla crisi, il trend non accenna a cambiare e sembra lontano il momento in cui si assisterà ad un’inversione di rotta.

Questo è quanto emerge dall’ultimo rapporto sul credito effettuato dal Centro Studi Unimpresa.
L’indagine prende in considerazione il periodo marzo 2013-marzo 2014, che evidenzia che nell’ultimo anno le erogazioni sono diminuite al ritmo di 2,5 miliardi al mese.
Il totale dei finanziamenti al settore privato è diminuito di 30,4 miliardi di euro, passando da 1.461,8 a 1.431,3 miliardi.
Questa riduzione interessa sia le famiglie (-6,9 miliardi) sia le imprese (-23,5 miliardi), che hanno portato ad un calo del 2,09% delle erogazioni totali da parte degli istituti di credito.

Le maggiori criticità sono relative alle imprese, che nell’ultimo anno si sono viste tagliare sia i prestiti a breve termine (-4,82%, da 323,1 miliardi a 307,5) sia quelli di medio periodo (-6,5%, da 130,4 miliardi a 121,9 miliardi). Sono leggermente cresciuti solo quelli a lungo termine, oltre 5 anni, passati da 401,7 a 402,2 miliardi.
In totale lo stock di finanziamenti alle imprese è sceso in un anno di 23, 5 miliardi, da 855,3 a 831,7.

Le famiglie, dal canto loro, non hanno di che sorridere, poiché in 12 mesi sono stati erogati meno credito al consumo per 1,8 miliardi (da 58,9 miliardi a 57,08) e meno prestiti personali per 550 milioni (da 182,9 miliardi a 182,3).
I mutui, pur in lieve ripresa negli ultimi mesi, su un orizzonte annuale sono calati: le erogazioni sono scese dai 364,6 miliardi del marzo 2013 a poco più di 360, rendendo ancora più difficile la ripresa del comparto immobiliare.
In totale, lo stock di finanziamenti alle famiglie è calato in un anno di 6,9 miliardi (-1,15%).

Ma non è tutto: peggiorano il quadro i dati sulle sofferenze, esplose in un anno del 25% (33,6 miliardi) arrivando a superare i 164 miliardi di euro.
Di questi, 116 (+32% rispetto a marzo 2013) fanno capo a imprese, mentre le rate non pagate dalle famiglie valgono oltre 31 miliardi (+9%) e quelle delle imprese familiari quasi 14 miliardi (+17%).
Superano il tetto dei 2 miliardi, poi, le sofferenze della pubblica amministrazione, delle assicurazioni e di altre istituzioni finanziarie.

Ciò significa che le sofferenze, secondo lo studio Unimpresa basato su dati della Banca d’Italia, adesso corrispondono all’11,3% dei prestiti bancari, in aumento rispetto all’8,96% di un anno fa.

Vera MORETTI

Imu, rischio collasso per i Caf

L’incertezza sulle modalità di pagamento della seconda rata dell’Imu è come una valanga che lungo la sua corsa trascina con sé tutto quello che trova e che si ingrandisce sempre di più, mano a mano che prosegue sul suo cammino. Un esempio? L’allarme arrivato da Unimpresa.

Secondo l’associazione che costituisce il sistema di rappresentanza delle micro, piccole e medie imprese così come individuate dalle norme dell’Unione Europea, è allarme nei Caf (i centri di assistenza fiscale) per il calcolo della seconda rata Imu. L’approvazione del decreto legge che cancella, solo parzialmente, il versamento di dicembre sulle abitazioni principali, è arrivata infatti troppo a ridosso delle scadenze.

Ma soprattutto la confusione generata dalla norma che consente ai comuni di far pagare la quota di imposta relativa all’eventuale aumento stabilito nel 2012 e nel 2013 rispetto all’aliquota ordinaria (4 per mille) rende molto probabili errori nella determinazione degli importi da pagare entro il 16 gennaio. Con l’elevatissimo rischio di dare il via a un contenzioso di grandi proporzioni tra contribuenti e amministrazioni locali. Sono 900 Centri di assistenza fiscale, distribuiti in 60 province in tutta Italia, che aderiscono a Unimpresa.

Il decreto legge approvato mercoledì, ricorda Unimpresa, prevede il pagamento per la quota di Imu superiore alla aliquota base fissata al 4 per mille; i proprietari di abitazioni principali dovranno corrispondere ai comuni il 40% di questa eccedenza mentre il restante 60% è a carico dello Stato. Su 8.000 comuni complessivi, finora sono stati approvati circa 4.000 regolamenti Imu: c’è tempo fino al 5 dicembre ed è molto probabile che si assisterà ad aumenti selvaggi. I bilanci delle amministrazioni locali sono in rosso e l’opportunità offerta dal Governo col decreto approvato mercoledì consente di fare cassa rapidamente. Il decreto, infatti, fa scattare il prelievo extra sia per i comuni che hanno deliberato l’aumento dell’aliquota nel 2013 o devono ancora farlo, sia per i comuni che hanno confermato una aliquota superiore a quella base approvata lo scorso anno.

L’altro grave problema ricordato da Unimpresa, è la determinazione degli importi, considerato che il decreto Imu prevede che solo una parte (il 40%) dell’imposta si effettivamente pagata. “Il decreto – osserva il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardiè una barzelletta. In un colpo solo sono stati spostati due termini, quello per le delibere comunali e quello per il versamento, ed è stata portata dal 16 dicembre al 16 gennaio la scadenza per i versamenti. E poi c’è l’aspetto politico. Il Governo di Enrico Letta si è rimangiato la promessa e alla fine, anche se per cifre non rilevanti, obbliga le famiglie a una ministangata”.

Successo per l’Italian Way China

Si è appena conclusa, a Sanya, città dell’isola cinese di Hainan presso il Sanya Serenity Marina, la prima edizione di Italian Way China, un’altra opportunità per stabilire contatti importanti con il Paese del Sol Levante.

Ad organizzare questo importante evento, che ha tenuto banco dal 21 al 24 novembre, è stato Unimpresa, insieme a Cnbo Expo e in collaborazione con l’Exhibition Yachting.

Nell’ambito della fiera dello yachting, la manifestazione ha saputo proporre un interessante mix di espositori che hanno potuto presentare la qualità del Made in italy in tutte le sue sfaccettature, esaltate ancora di più da un ambiente esclusivo ed intimo.

Obiettivo principale, centrato in pieno era quello di sostenere le piccole e medie imprese, che hano potuto esporre affiancando importanti e prestigiosi brand in tutti i principali settori: moda, casa, design e gastronomia.

Con il patrocinio delle istituzioni come il Consolato Generale d’Italia di Guangzhou, Ice, Enit, il sostegno della Cicc e la collaborazione di The Blenders, a Italian Way China hanno aderito 30 aziende tra cui marchi prestigiosi come Piaggio, Kiton, Smeg, Consorzio Liutai Antonio Stradivari Cremona.

Paolo Longobardi ha commentato così questa preziosa opportunità: “L’iniziativa è fondamentale e conferma l’importanza dell’export per le nostre aziende. L’Italia deve puntare sulle sue pmi e promuovere al meglio le sue eccellenze. Un impegno al quale, come associazione che rappresenta oltre 120mila micro, piccole e medie aziende, non intendiamo sottrarci”.

Vera MORETTI

Crisi, 3 aziende su 5 destinate al fallimento

Un’agonia senza fine che vede protagoniste moltissime – troppe –  aziende italiane impegnate nella lotta alla sopravvivenza. Dall’esito di un sondaggio promosso dal centro studi Unimpresa, svolto prendendo in considerazione un cospicuo campione di 130mila imprese, risulta che nei prossimi 4 mesi 3 aziende su 5 prevedono il fallimento.

I problemi sono diversi: difficoltà con le banche per la concessione di credito, difficoltà nel rispettare scadenze e adempimenti fiscali, ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione, mancati incassi da clienti privati, impossibilità di pianificare investimenti, scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione. Una serie di problematiche che hanno un denominatore comune, la crisi economica.

Nel 62,2 % dei questionari quello che emerge è il medesimo scenario: il baratro, la chiusura per le aziende, il licenziamento per i lavoratori, la disperazione delle famiglie. Ad essere additato come la concausa del possibile e papabile fallimento da parte delle imprese, oltre ai problemi con gli istittui di credito, sono le tasse.

La tassazione che soffoca ogni forma di attività, impedisce la sopravvivenza, figuriamoci lo sviluppo delle nostre imprese, e oltre a superare del 50% il tetto massimo, prevede per le aziende termini e adempimenti tributari difficili, se non impossibili da rispettare. Altro fattore allarmante è il ritardo nel pagamento  da parte di Stato centrale ed enti locali.  Anzitutto per lo stock da 90-100 miliardi di debiti della pubblica amministrazione che non viene sbloccato da amministrazioni centrali e locali, come recentemente denunciato dalle banche, a causa dello stallo nel meccanismo di certificazione dei crediti vantati dalle imprese.

Altra fonte di apprensione per le imprese è lo stop agli investimenti. Le nuove regole varate lo scorso anno dal Governo tecnico non hanno migliorato la situazione e non hanno risposto alla esigenza di maggiore flessibilità chiesta dai datori di lavoro.

Eloquenti le parole di Polo Longobardi, presidente di Unimpresa che sostiene che “la  situazione sia da allarme rosso. La massa di imprese che alzano bandiera bianca si estende a vista d’occhio giorno dopo giorno e non si vede una via d’uscita. Le imprese sono stremate e il fallimento, in taluni casi, è inevitabile. Al Governo di Enrico Letta abbiamo posto più volte l’esigenza di varare riforme serie, volte a dare speranza agli imprenditori e pure alle famiglie. Per rimettere in moto l’economia, e quindi per far ripartire l’occupazione, si deve dare impulso al credito e vanno tagliate le tasse”.

Sempre secondo il parere di Longorbardi “senza la liquidità delle banche e senza un abbattimento drastico della pressione fiscale il nostro Paese non ha futuro ed è destinato a morire”.

Francesca RIGGIO

Prestiti in calo per privati e aziende

Il Centro Studi Unimpresa ha reso noto un calo sostanziale dei prestiti da parte delle banche a privati e ad aziende. Nell’ultimo anno questa diminuzione è stata del 5,14%, pari a 46,1 miliardi di euro.
Ma anche il 2013 è caratterizzato da una diminuzione di mutui e finanziamenti, poiché marzo 2013 ha registrato prestiti pari a 3.433 miliardi rispetto ai 3.479 miliardi di marzo di un anno fa.

Tra i finanziamenti richiesti, e concessi, si nota inoltre, un calo di quelli a lunga durata, con un decremento di 17,3 miliardi, ma anche il prestito a medio periodo è in diminuzione, con una contrazione di 4,5 miliardi.
Gli unici ad aumentare sono i finanziamenti a breve periodo, saliti di circa 14 miliardi.

Questi dati hanno portato a conseguenze negative nelle famiglie italiane, che hanno visto diminuire il monte complessivo dei finanziamenti di circa 8,5 miliardi.
Quanto alla tipologia dei prestiti è crollato di 3,7 miliardi il credito al consumo, sono scesi, leggermente, i mutui di circa 3 miliardi e sono calati anche tutti gli altri prestiti di ben 1,8 miliardi.

Ma le aziende non se la passano certo meglio: l’ammontare dei prestiti ha subito una decurtazione delle erogazioni di circa 30 miliardi con una riduzione del 3,35%. Praticamente tutti i finanziamenti sono in calo: quelli a breve termine con una differenza di -11,8 miliardi, quelli a medio termine di -3,8 miliardi e quelli a lunga scadenza di ben -13,9 miliardi.

Insomma, nonostante le banche cerchino di mostrarsi ottimiste, la fiducia delle aziende è ridotta ad un lumicino, poiché i crediti vengono erogati con difficoltà e ciò, dato il periodo di crisi, rappresenta un ulteriore handicap verso una ripresa che, almeno ora, sembra ancora lontana.

Vera MORETTI

Il 2013 si preannuncia nero per le pmi

La crisi che ha investito le piccole e medie imprese nel 2012 si fa ancora sentire, tanto da non far presagire niente di buono per questo 2013.

A dir la verità, le pmi hanno aperto il nuovo anno con un forte pessimismo, tanto che, secondo un rapporto condotto dal Centro Studi Unimpresa, sono circa cinque aziende su sei che temono, entro la fine del 2013, di dover chiudere.

I principali motivi che impediscono di affrontare la realtà con il sorriso sono dovuti ai problemi con le banche per quanto riguarda l’accesso al credito, ma anche quelli legati ai ritardi nei pagamenti da parte della P.A.
Ci sono poi i mancati pagamenti da parte dei privati a rincarare la dose, e che, unitamente alle principali questioni, rendono sempre più difficile rispettare scadenze e adempimenti fiscali, insieme all’impossibilità di pianificare investimenti e la scarsa flessibilità nel gestire l’occupazione.

Il sondaggio, condotto dopo l’esito delle elezioni politiche su 130.000 imprese associate, dipinge uno scenario tutt’altro che roseo, con i prossimi dieci mesi che potrebbero annunciarsi funesti e caratterizzati da tanti dissesti finanziari e veri e propri fallimenti.

Vera MORETTI

La difficoltà di accesso al credito fa calare la fiducia nelle banche

Come era prevedibile, nel 2012 i prestiti delle banche a imprese e famiglie sono diminuiti di quasi 50 miliardi di euro: questo significa che i 200 miliardi che il sistema creditizio ha preso in prestito dalla BCE a condizioni agevolate è finito per lo più in titoli di stato italiani, investiti nel debito pubblico.

A rivelare questi dati è il Centro Studi Unimpresa, che segnala invece l’aumento dei prestiti alla Pubblica Amministrazione.
A rimetterci maggiormente sono state le imprese, mentre, per quanto riguarda le famiglie, il “giro di vite” da parte delle banche ha riguardato per di più credito al consumo (-3,8 miliardi, il 6,06%), mutui (-1,1 miliardi, lo 0,33%), altre tipologie di prestito (-2,2 miliardi, l’1,21%).

Nel 2012 le banche italiane hanno usufruito di due operazioni di rifinanziamento della BCE assicurandosi liquidità in più per 201,7 miliardi di euro a un tasso dell’1%. Di questi 200 miliardi, circa 140 sono stati usati per acquistare titoli di stato.

Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, ha dichiarato: “Una fotografia che certifica come è nata la stretta al credito per imprese e famiglie. Proprio in banca si è inceppato l’ingranaggio principale per sostenere la ripresa dell’economia: da una parte non viene sostenuta la piccola liquidità dell’impresa, che corre il rischio così di non poter onorare i pagamenti coi fornitori e, soprattutto, di non pagare gli stipendi ai lavoratori; dall’altra non viene concesso denaro alle famiglie e così si bloccano i consumi”.

Secondo Unindustria, “proprio il credito deve essere, insieme con un piano per ridurre il peso del Fisco, il primo punto su cui deve intervenire il nuovo Governo nella prossima legislatura”.

Anche la Banca d’Italia ha registrato il calo dei prestiti, con una flessione, pari al 3,9% del novembre 2012, che non si riscontrava dal novembre 2009.
Ciò ha portato le aziende italiane ad aumentare la sfiducia negli istituti bancari, che ora a malapena raggiunge la sufficienza.
A pesare su questi giudizi è probabilmente la difficoltà di accesso al credito: il 6,8% delle imprese ha ricevuto un rifiuto da parte delle banche e, ovviamente, maggiormente penalizzate sono le pmi.

Secondo l’ultimo bollettino statistico della Banca d’Italia, dicembre 2012, le imprese sono pessimiste sulla situazione economica. Sale al 41,9% (dal 37,1 di settembre) la percentuale di imprenditori secondo i quali nei prossimi tre mesi, dunque entro marzo 2013, le condizioni economiche in cui operano le imprese peggioreranno. Scende al 545 (dal 57%) il numero di coloro che si aspettano una sostanziale stabilità, e scende anche, al 3,9% (dal 5,8%), il già esiguo gruppo di chi invece vede un miglioramento.

Il pessimismo non diminuisce nemmeno pensando al futuro, poiché sale il numero di aziende convinte che la liquidità sarà insufficiente (al 28,6% dal 24,8) e aumentano le imprese che segnalano condizioni peggiorate nell’accesso al credito, (30,5% dal 26,1%).

Vera MORETTI

Un’impresa su tre rischia il fallimento

Analizzando i dati sulle sofferenze bancarie, Unimpresa afferma che una impresa su tre è a rischio fallimento entro il 2012. L’analisi si focalizza in particolare sulla probabilità di ingresso in sofferenza entro l’arco di un anno, che viene stimata attraverso una metodologia statistica che utilizza indicatori desunti dal bilancio dell’impresa e dalle segnalazioni delle banche alla Centrale dei rischi, che approssimano la presenza di tensioni sulle linee di credito.

I dati statistici elaborati dal Centro studi di Unimpresa sui bilanci delle banche provano che 8 imprese in osservazione su 10 peggiorano la loro performance e salute finanziaria nei 12 mesi successivi al segnale di rischio. Ebbene, l’analisi delle probabilita’ di default entro il 2012 evidenzia un chiaro peggioramento rispetto all’anno precedente: quasi un’impresa su tre.

In termini assoluti, contribuiscono al complessivo deterioramento soprattutto le imprese del comparto dei servizi (30.134 su 101.257), seguito da quello manifatturiero (22.073 su 40.178) e a breve distanza dal settore delle costruzioni (16.129 su 32.402). In termini percentuali sono, tuttavia, i comparti dell’industria e dell’edilizia che stanno peggio, con almeno un’una impresa su due in sofferenza.