Csr manager, professione in crescita

Il Csr manager (Corporate Social Responsibility Manager) sta diventando una professione sempre più richiesta dalle imprese che vogliono essere all’avanguardia in fatto di sostenibilità.
E infatti stanno nascendo molte strutture dedicate, come ha constatato Mario Molteni, direttore del Csr manager network e di Altis, Alta Scuola impresa e società dell’Università Cattolica di Milano.

Molteni, in occasione del salone dedicato alla Csr in corso fino ad oggi alla Bocconi di Milano, ha dichiarato: “il numero dei Csr manager delle imprese italiane è cresciuto. Qualcuno però ritiene che la gestione della Csr debba essere trasversale. Visto che la sostenibilità riguarda tutti non è giusto che ci sia una figura dedicata a questi temi. E‘ una visione irrealistica nel senso che affinché questa dimensione sia pervasiva ed interessi tutti ci vuole qualcuno che ne faccia di fatto il suo mestiere“.

E a riprova di ciò ci sono i dati, che parlano di dipartimenti e uffici dedicati alla Csr in continuo aumento, con un numero di persone che variano da sei a otto persone.

Vera MORETTI

Imprese sempre più etiche

Le imprese sono sempre più etiche e sempre più sensibili ai temi della responsabilità sociale d’impresa. Questo anche grazie ad un meccanismo di “contagio” e di “buon esempio”: un’impresa che attua pratiche virtuose viene spesso imitata dalle altre, sia in orizzontale, cioè tra imprese, sia in verticale, ovvero quando una grande azienda sensibilizza anche gli attori più piccoli della filiera.

Ed è proprio di “contagio” che si parlerà al convegno Dal dire al fare, il salone dedicato alla Csr, giunto all’ottava edizione, in programma all’Università Bocconi di Milano fino al 31 maggio.

Se sul fronte dell’impegno le aziende stanno migliorando, lo stesso non si può dire della comunicazione. Come spiega Rossella Sobrero di Koinética, in questo campo c’è ancora molto da fare. Sempre in occasione del Salone, quindi, si discuterà di Reporting Integrato, il sistema che permette alle imprese di documentare i risultati finanziari, ambientali, sociali e di governance attraverso uno strumento unitario.

Nel rispetto dei principi della sostenibilità, il salone quest’anno diventa ancora più digitale: tablet per poter navigare tra le buone prassi delle organizzazioni presenti, realtà aumentata attraverso la copertina del programma e del catalogo, Facebook, Twitter, coinvolgimento dei blogger e degli influencer della rete.

d.S.

Imprese familiari, scudo dell’occupazione

La cosa più importante? La famiglia. No, non è un refrain in stile “Il Padrino“, ma è un dato di fatto che si riscontra nel mondo dell’impresa italiana, piccola e media. Anche nelle difficoltà economiche dell’ultimo triennio, infatti, le imprese familiari hanno dato il contributo più significativo all’occupazione, come rileva la terza edizione dell’Osservatorio AUB su tutte le aziende familiari italiane di medie e grandi dimensioni. L’Osservatorio è stato realizzato da Guido Corbetta, Alessandro Minichilli e Fabio Quarato della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari della Bocconi in collaborazione con AIdAF (Associazione italiana delle aziende familiari), gruppo UniCredit e Camera di Commercio di Milano.

L’Osservatorio analizza le aziende italiane con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro (che sono 6.816) e si sofferma sulle caratteristiche e le performance di quelle a controllo familiare (3.893, il 57,1% delle medio-grandi imprese italiane, ridotte 2.423 dopo l’eliminazione delle sovrapposizioni dovute agli intrecci proprietari).

Nel periodo 2007-2009 le imprese familiari hanno accresciuto il numero di dipendenti del 12,1%, rispetto ai risultati più modesti di cooperative e consorzi (+3%) e coalizioni (+2%) e a quelli negativi di filiali di multinazionali (-4,2%), aziende statali (-10%) e controllate dal private equity (-14,3%).

Anche se il numero di imprese familiari di medio-grandi dimensioni si è ridotto, nell’ultimo anno, di 328 unità, le aziende familiari si sono dimostrate più resistenti di altre a operazioni straordinarie (solo 200 aziende ne sono state coinvolte) e solo nel 58,5% dei casi si trattava di operazioni di M&A (81% per le multinazionali, 75% per quelle a controllo statale; 68% sia per le coalizioni che per cooperative e consorzi).

Lazio, Puglia, Sicilia e Trentino Alto Adige, in controtendenza rispetto al dato complessivo, hanno visto aumentare il numero delle aziende familiari; le flessioni maggiori si sono riscontrate in Toscana, Friuli Venezia Giulia, Umbria e Abruzzo. Le regioni con le performance reddituali migliori sono Lombardia, Veneto, Liguria, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania.

Le aziende familiari sono tra quelle che hanno accusato di più la crisi, ma che sembrano aver risposto meglio ai primi segnali di ripresa. Nel 2010 hanno registrato una crescita del 7%. Anche la redditività è tornata a crescere nel 2010, attestandosi però ancora a livelli inferiori a quelli pre-crisi: il ROI è cresciuto dal 6% al 7,2%, ma nel 2007 era al 9,8%, mentre il ROE è cresciuto dal 4,3% al 6,7%, ma nel 2007 era al 10,7%.

Resta critico l’indebitamento, con oltre la metà delle imprese che denuncia un rapporto tra posizione finanziaria netta ed Ebitda superiore alla soglia d’allarme di 4, e una media che si attesta ben al di sopra (6,4). Il dato è però controbilanciato da due novità positive: l’incremento delle aziende con disponibilità liquide in eccedenza rispetto ai debiti finanziari (dal 16,3% del 2008 al 19,4% del 2010) e la riduzione delle aziende con Ebitda negativo (solo il 4,1%).

La sfida che le imprese familiari dovranno affrontare nei prossimi anni – sottolinea Guido Corbetta, titolare della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle aziende familiari – è quella della complessità. Le imprese familiari tendono a mantenere strutture proprietarie e gestionali piuttosto semplici, forti dei buoni risultati che queste conseguono. Quando la strategia si fa più complessa, anche la struttura deve diventare più complessa rendendo necessari innesti manageriali dall’esterno, che tuttavia occorre imparare a saper gestire con equilibrio“.