Usucapione di un terreno: ecco cosa serve sapere

Quante volte avrete sentito parlare di usucapione, ma cosa vuol dire sostanzialmente e come si applica ad un terreno. Vediamo nella guida di seguito cosa serve sapere in merito a questa questione.

Usucapione, di cosa si tratta

Partiamo da quella che potremmo definire la definizione di tale termine: usucapione, cosa vuol dire?

L’usucapione non è altro che un modo di acquisto a titolo originario della proprietà mediante il possesso continuativo del bene immobile o mobile per un periodo di tempo determinato dalla legge.

In pratica, l’acquisizione di uno spazio per continuità di permanenza.

L’usucapione si compie con il decorso di venti anni per i diritti reali su beni immobili. Quella abbreviata di diritti reali su beni immobili si compie invece con il decorso di dieci anni dalla data della trascrizione del titolo astrattamente idoneo.

Usucapione di un terreno

Vediamo, nello specifico come funziona l’ usucapione di un terreno.

La primaria regola alla base dell’usucapione prevede le seguenti considerazioni:

  • il bene da usucapire deve essere posseduto in modo continuo e senza interruzioni, ma non in clandestinità;
  • usucapione deve essere utilizzato per un tempo di almeno 20 anni.

Nel caso in questione specifico di un terreno, il soggetto che ha un terreno confinante a quello che vorrebbe usucapire dovrà avviare una causa per dimostrare al giudice del tribunale competente di possedere il terreno da almeno 20 anni, senza alcuna interruzione e in modo non violento né clandestino.

Quindi, ottenuti tali requisiti si potrà ottenere definitivamente la sentenza che gli possa consentire di acquisire il terreno per usucapione.

Cambia qualcosa per i terreni montani?

Andiamo a vedere se vi sono variazioni in merito ai terreni montani nel prossimo paragrafo.

Stando al Codice civile viene disciplinata anche una particolare tipologia di usucapione, ovvero quella relativa ai fondi rustici che risiedono in Comuni montani e con redditi bassi: in tale caso i tempi dell’usucapione sono ridotti rispetto a quelli che abbiamo visto in precedenza.

A tal proposito, all’articolo 1159-bis del Codice civile si dichiara quanto segue:

La proprietà dei fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani dalla legge si acquista in virtù del possesso continuato per quindici anni.”

Quindi, chi compera in buona fede da chi non è proprietario, in merito di un titolo che sia idoneo a trasferire la proprietà e che sia debitamente trascritto, un fondo rustico con i fabbricati annessi, situati in comuni classificati montani dalla legge, ne ottiene l’usucapione in proprio favore col decorso di un tempi di cinque anni dalla data di trascrizione.

Usucapione di un terreno, come evitarlo

Andiamo a vedere come porsi dalla parte di chi non vorrebbe vedere il proprio terreno acquisito da un altro per usucapione.

Poniamo ad esempio che il proprietario di un terreno si renda conto che il suo confinante non è in realtà in possesso delle condizioni che potrebbero permettergli di acquistarlo per usucapione: in che modo potrà tutelarsi?

Le possibilità di agire in giudizio nei modi di seguito:

  • con l’azione di spoglio, disciplinata dall’articolo 1168 del Codice Civile che permette di recuperare il possesso del proprio terreno solo se lo spoglio si è verificato da meno di un anno;
  • attraverso un azione di rivendicazione, la quale trova disciplina giuridica all’articolo 948 del Codice civile e con la quale si deve fare richiesta al giudice di accertamento della proprietà del bene (in questo caso specifico si parla del terreno) e della sua successiva restituzione.

Questo, dunque, è quanto di più utile e necessario vi sia da sapere in merito alle modalità e funzionalità di usucapione di un terreno, secondo la legge italiana.

Come posso difendere il diritto di proprietà su un immobile

Generalmente quando si ha un titolo in cui rileva la proprietà di un immobile e lo stesso è iscritto nei pubblici registri dei beni immobili, o semplicemente catasto, si può stare tranquilli e non è necessario difendere diritto di proprietà su un bene immobile. Vi sono però delle situazioni che richiedono tutela, ecco come difendere il diritto di proprietà su un immobile.

Il diritto di proprietà

Nonostante l’articolo 832 del codice civile sia abbastanza chiaro nel definire il diritto di proprietà come “diritto reale che attribuisce al suo titolare il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”  possono esservi delle azioni di disturbo da parte di altri soggetti, spesso un vicino, oppure è necessario rivendicare il diritto di proprietà nei confronti di chi la possiede in modo illegittimo. Il diritto prevede diverse azioni giudiziarie per difendere il diritto di proprietà su un immobile, qui si proverà una sintesi, rimandando a ulteriori approfondimenti già presenti sul sito e ricordando che in ogni caso per difendere il diritto di proprietà è necessario avvalersi della collaborazione di un avvocato specializzato in diritto civile e rapporti di vicinato che possa effettivamente introdurre un giudizio.

Difendere il diritto di proprietà: l’azione negatoria

Le situazioni che possono verificarsi sono diverse e ognuna deve essere trattata in modo adeguato. La prima cosa che può capitare è che ci sia un soggetto che disturba il mio diritto di proprietà affermando che lui ha un valido titolo di acquisto per questa stessa proprietà e che quindi vuole ottenere il bene.

In questo caso per evitare di essere costantemente disturbati da questo soggetto, si può esercitare un’azione negatoria, disciplinata dall’articolo 949 del codice civileIl proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno”.

Tale azione giuridica è ammessa per far cessare il disturbo altrui, quindi non può essere una mera azione di accertamento generico, deve esserci il disturbo altrui costituito in minacce, tentativi di effrazione o azioni simili, in caso contrario la domanda viene rigettata per mancanza dell’interesse ad agire, senza entrare nel merito.

In giudizio chi esercita l’azione, cioè il soggetto che subisce le altrui rivendicazioni deve semplicemente provare di avere un valido titolo di acquisto del bene, ad esempio un atto di compravendita regolare, non viziato, un testamento, o una successione legittima. L’azione negatoria è importante anche ai fini dell’usucapione, infatti questa evita che un soggetto che magari per anni ha coltivato senza titolo un fondo possa usucapirlo.

Difendere il mio diritto di proprietà: Azione di regolamento confini e apposizione termini

Un altro caso comune riguarda i confini, capita purtroppo spesso che il vicino del proprio fondo tenti di appropriarsi di strisce di terreno confinanti, magari inizia a coltivarci un piccolo orto, pianta qualche albero o addirittura costruisce una recinzione, magari confidando nella scarsa attenzione del vicino. In questo caso per difendere il diritto di proprietà su un immobile c’è l’azione di regolamento di confini disciplinata dall’articolo 950 del codice civile.  L’azione di regolamento dei confini presuppone che i termini di confine siano contestati o non chiari e di conseguenza sia necessario accertare nuovamente gli stessi. Ciascuna delle parti può provare con ogni mezzo il limite del proprio fondo. Il giudice però può anche non tenere in considerazione gli elementi di prova portati dalle parti e avvalersi semplicemente delle mappe catastali laddove queste riescano comunque a dare certezza dei confini.

L’articolo 951 del codice civile va oltre, infatti descrive l’azione di apposizione dei termini e stabilisce che quando i termini non sono apposti, non sono più visibili o sono irriconoscibili, ciascun proprietario ha il diritto di chiedere che questi siano apposti e le spese sono sostenute da tutte le parti coinvolte.

Ulteriori azioni a tutela del diritto di proprietà

Per difendere il diritto di proprietà su un immobile è possibile esercitare anche l’azione di rivendicazione, la stessa è già stata ampiamente discussa nell’approfondimento.

Leggi l’approfondimento sull’azione di rivendicazione.

Il diritto di proprietà può essere difeso anche nel caso in cui un soggetto vanti un’usucapione sull’immobile.

Scopri i requisiti per maturare l’usucapione;

Come evitare l’usucapione;

Scopri come provare l’usucapione.

Azione di rivendicazione: come si prova il diritto di proprietà

L’azione di rivendicazione è una particolare azione giudiziaria riconosciuta in favore di chi ritiene di essere stato ingiustamente spogliato di un bene di sua proprietà. Nel diritto italiano, a parte alcuni singoli casi in cui è prevista l’inversione dell’onere probatorio, chi afferma un fatto, deve dimostrarlo. Ciò capita proprio con l’azione di rivendicazione, ecco di seguito una disamina su come si prova la proprietà ai fini dell’azione di rivendicazione.

Che cos’è l’azione di rivendicazione

L’azione di rivendicazione è disciplinata dall’articolo 948 del codice civile che sottolinea: Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede  o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione  anche  se  costui, dopo la domanda, ha  cessato,  per  fatto  proprio,  di  possedere  o detenere la cosa. In tal caso il convenuto e’ obbligato a ricuperarla per l’attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.                                                                                     Il proprietario, se consegue direttamente dal  nuovo  possessore  o detentore la restituzione della  cosa,  e’  tenuto  a  restituire  al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.   L’azione di rivendicazione non  si  prescrive,  salvi  gli  effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione.

Si evince da questo articolo che l’azione di rivendicazione può essere esercitata nei confronti di chiunque, anche dei soggetti che successivamente hanno acquistato il bene ritenendo di acquistare dal legittimo proprietario.  Si può quindi esercitare l’azione anche nei confronti del terzo in buona fede.

Come provare il diritto di proprietà nell’azione di rivendicazione

Naturalmente la prova della proprietà non è così semplice come può sembrare. Per i beni immobili e per i beni mobili registrati solo erroneamente si può ritenere che sia più semplice fornire la prova. Ad esempio se anche si è titolari del diritto di proprietà per aver ricevuto il bene in seguito a un atto di compravendita oppure per una successione testamentaria o legittima, occorre provare anche che il soggetto da cui si è ricevuto il titolo, lo ha ottenuto e trasmesso in modo legittimo.

Chi esercita l’azione di rivendicazione, a meno che il titolo non sia stato acquisito a titolo originario,  deve provare il titolo del dante causa a ritroso fino al momento di arrivare all’acquisto a titolo originario del bene. In questi casi si è parlato anche di prova diabolica e tra gli strumenti utilizzabili vi è la visura storica sull’immobile. In alcuni casi gli archivi cartacei però sono andati distrutti.

Chi esercita l’azione di rivendicazione non solo deve provare i vari passaggi visti, ma deve provare anche la legittimità degli stessi.

L’azione di rivendicazione è un’azione reale, petitoria, o restitutoria.

La giurisprudenza sull’azione di rivendicazione

A supporto di questa tesi vi è la sentenza 5257 del 2011 della Corte di Cassazione che afferma: La prova della proprietà dei beni immobili non può essere fornita con la produzione dei certificati catastali, i quali sono solo elementi sussidiari.

Inoltre la sentenza del Tribunale di Catania 167 del 13 gennaio 2017 afferma che una domanda riconvenzionale che eccepisce l’usucapione da parte del convenuto non mitiga l’onere probatorio in quanto mira solo a difendere il proprio titolo, spetta comunque a chi esercita l’azione di rivendicazione provare la sua proprietà del bene oltre ogni ragionevole dubbio.

Tra l’altro l’usucapione, come si evince dal comma 3 dell’articolo 948, può portare alla prescrizione dell’azione di rivendicazione, imprescrittibile in tutti gli altri casi.

Altrettanto difficile è la prova della proprietà di un bene mobile, infatti qui si applica il principio del “possesso vale titolo” quindi chi detiene un  bene, ad esempio un gioiello, si ritiene ne sia il legittimo proprietario e chi afferma il contrario deve provarlo oltre ogni ragionevole dubbio, ma non essendovi registri la prova è ancora più ardua.

L’azione negatoria

L’azione che fa da contraltare all’azione di rivendicazione è l’azione negatoria, disciplinata dall’articolo 949 del codice civile e che mira a far smettere le pretese altrui su un bene, infine c’è l’azione di regolamento di confini (950 del codice civile) che mira a delineare i confini di un bene immobili al fine di far cessare l’incertezza determinata da pretese altrui. In questo caso trattasi di azioni di accertamento.

I mezzi di prova nell’azione di rivendicazione

Si è detto che nell’azione di rivendicazione la prova può essere considerata diabolica perché non è semplice provare la proprietà di un bene detenuto da altri, la legge però ammette che possono essere utilizzati tutti i mezzi di prova (per alcune azioni vi sono dei limiti) quindi è possibile portare in giudizio dei testimoni, oppure delle prove documentali.

L’azione di restituzione: differenze

L’azione di rivendicazione deve essere tenuta distinta dall’azione di restituzione che ha natura personale e non reale ed è volta ad ottenere la restituzione di un bene e si fonda sulla “insussistenza o sul sopravvenuto venir meno di un titolo di detenzione del bene da parte di chi attualmente lo detiene per averlo ricevuto dall’attore o dal suo dante causa, ed è rivolta, previo accertamento di quella insussistenza o di quel venir meno, ad ottenere conseguenzialmente la consegna del beneCass. civ. sez. III, 10 dicembre 2004, n. 23086.

Questa sentenza continua affermando che in questo caso non deve essere fornita dall’attore la prova diabolica che si è vista per l’azione di rivendicazione, ma l’attore deve solo provare i motivi dell’insussistenza e del venir meno del titolo a causa di invalidità, inefficacia, decorso del termine di durata, esercizio dell’eventuale facoltà di recesso. La domanda di restituzione e quella di rivendicazione possono essere presentate contestualmente  nello stesso giudizio in via alternativa o subordinata.

 

Come scoprire se su un immobile o un terreno grava una servitù?

La servitù di passaggio è un diritto reale di godimento su beni altrui. Rispetto ad altri tipi di godimento dei beni altrui, ha comunque dei limiti, infatti il fondo servente non può essere utilizzato per la coltivazione o per costruire, ma solo per il passaggio.

Sintesi sulla servitù di passaggio

La servitù di passaggio è regolata dall’articolo 1027 del codice civile che dice: La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. Prevede la presenza di due fondi: il fondo dominante che ha bisogno del passaggio e il fondo servente che è appunto utile al passaggio. Questo vincolo può essere stabilito volontariamente tra le parti, che si accordano e stabiliscono gli elementi del contratto, oppure in modo coattivo, quindi anche contro la volontà del proprietario del fondo servente che vede limitati i suoi diritti.

In base alla normativa, la servitù coattiva può essere costituita a favore di un soggetto che ha un fondo senza accesso alla via pubblica o con un accesso non utile allo scopo in quanto insufficiente o inutilizzabile. In questo caso viene riconosciuto il diritto di passaggio che però deve prevedere l’uso del tragitto più breve per l’accesso alla pubblica via e quindi con il minor sacrificio possibile per il proprietario del fondo servente. Il proprietario del fondo servente deve comunque essere remunerato, anche quando la servitù viene costituita in modo coattivo con sentenza. Una volta stabilita, coattivamente o volontariamente la servitù di passaggio, hanno diritto al passaggio non solo il titolare, ma anche tutti coloro che devono accedere al fondo, ad esempio ospiti del proprietario del fondo dominante, ecco perché è bene porre attenzione prima di concedere una servitù prediale.

Come scoprire se su un immobile grava una servitù di passaggio

Fatta questa premessa, è importante capire come scoprire se sul proprio fondo, su quello che si vuole acquisire oppure oggetto di eredità, c’è una servitù di passaggio. In concreto cosa può succedere, magari si è permesso per anni al proprio vicino per comodità di passare sul proprio terreno, ma ad un certo punto si vuole utilizzare quella porzione per propria utilità, ad esempio per un piccolo orto.

Il vicino obietta dicendo che in realtà su quella porzione lui ha una servitù di passaggio, oppure il terreno è stato ereditato e quando si entra nel fondo per coltivarlo, c’è il vicino che pretende la servitù di passaggio. A questo punto si può avere interesse a scoprire se effettivamente il vicino può vantare un diritto. Se sei sempre stato proprietario di quel terreno, dovresti ricordare se c’è stato un contratto con il vicino con cui hai costituito una servitù prediale oppure se c’è stata una sentenza che lo ha stabilito.

Servitù di passaggio acquisita per usucapione

Se il proprietario del fondo dominante dice di averlo acquisito per usucapione,  possiamo fin da ora dire che l’usucapione della servitù è possibile solo se la stessa è apparente (art.1061 del codice civile), cioè se vi sono delle opere visibili che lascino presupporre la stessa servitù di passaggio, ad esempio la creazione di una vera e propria strada che arriva fino al fondo dominante. Non solo, infatti la sentenza 5733 del 2011 della Corte di Cassazione stabilisce che tali opere devono essere presenti fin dal momento iniziale in cui si ritiene sia iniziato il possesso continuato e non violento del bene. In ogni caso anche l’usucapione della servitù di passaggio deve essere trascritta nei pubblici registri e deve attivarsi il proprietario del fondo dominante per farla trascrivere.

Per saperne di più su come evitare l’usucapione leggi la guida .

Il registro dei beni immobili

Se hai acquistato il bene rispetto a chi dice di avere una servitù di passaggio sei un terzo e per risolvere il dubbio puoi “interrogare” il registro immobiliare più conosciuto come catasto.  I beni immobili in Italia sono soggetti a iscrizione nel pubblico registro dei beni immobiliari detenuto da ogni Regione. I pubblici registri vanno a racchiudere quella che può essere considerata la storia dei beni stessi, quindi in essi sono iscritti gli acquisti del beni immobili per compravendita, a titolo originario, per donazione o per successione mortis causa. Inoltre devono essere iscritti tutti gli atti inerenti il bene stesso, ad esempio un’ipoteca, privilegi agrari e speciali.

Ciò implica che chi detiene un atto, ad esempio una contratto per la costituzione di una servitù di passaggio, oppure una sentenza, deve farla trascrivere sul registro, solo in questo modo può essere opposta ai terzi. Di conseguenza i terzi possono tranquillamente andare al catasto e verificare i pesi gravanti sull’immobile, senza particolari formalità,  prima dell’acquisto, o in seguito a pretese da parte del vicino.

Servitù di passaggio non citata nel contratto

Nel caso in cui tu abbia acquistato il bene, devi sapere che il venditore ha l’obbligo di informare il compratore prima dell’acquisto dei diritti altrui gravanti sul fondo. Nel caso in cui non lo abbia fatto, puoi chiedere la risoluzione del contratto di compravendita dell’immobile e il risarcimento del danno. Il principio generale dice che la servitù di passaggio è un “diritto ambulatoriale” cioè segue il bene, quindi se il terreno su cui vi è la servitù di passaggio viene venduto, la servitù segue il bene, ma l’eventuale acquirente non consapevole viene tutelato, quindi:

  • deve risultare trascritta la servitù di passaggio;
  • oppure deve esser menzionata in modo esplicita nel contratto di compravendita.

Se nessuna delle due ipotesi si verifica, l’acquirente che non poteva sapere, riceve tutela chiedendo la risoluzione del contratto.

Il principio di ambulatorietà della servitù è valido anche nel caso in cui sia il proprietario del fondo dominante a cedere l’immobile, in questo caso il nuovo proprietario “acquista” anche la servitù di passaggio.

Il caso

Nel caso concreto, io decido di acquistare un terreno in una zona urbana e voglio usare lo stesso per costruire una casa, inizio i lavori e arriva il vicino che mi dice che non posso usare una porzione di quel terreno perché lui ha la servitù di passaggio, ma nel contratto non c’era menzione di questo diritto altrui. E’ ovvio che se io compro il terreno con lo scopo di costruirci la mia casa e poi non posso farlo perché un terzo vanta dei diritti, io debba essere tutelato, soprattutto nel caso in cui il precedente proprietario non ha provveduto alla registrazione del contratto che costituisce la servitù oppure della sentenza. Infatti se avesse provveduto alla trascrizione dell’atto nei pubblici registri, il notaio prima di redigere l’atto di compravendita avrebbe capito dal controllo degli atti che sullo stesso insisteva un diritto altrui.

In sintesi: per capire se su un immobile esiste una servitù di passaggio è necessario controllare presso il registro degli immobili se risulta la trascrizione di tale atto, oppure se ne fa menzione il contratto/atto (ad esempio contratto di compravendita o testamento) che ha ad oggetto il bene. Se non risulta, è possibile opporsi alle pretese altrui. Se il soggetto titolare del fondo dominante comunque dimostra di avere la servitù ( sebbene non ci sia menzione di ciò nel contratto e non risulti dai pubblici registri), l’acquirente può chiedere la risoluzione del contratto di compravendita e il risarcimento dei danni.

Come evitare l’usucapione: i comportamenti da porre in essere

Può capitare di avere un immobile che non si usa, ad esempio un casolare di campagna ereditato, un pezzo di terreno che non si coltiva, oppure dei beni mobili non usati, in questo caso il rischio è che qualcuno utilizzi tale bene al nostro posto e che in seguito faccia riconoscere la proprietà su essi, ma come si può evitare l’usucapione?

L’usucapione

Purtroppo non sempre è facile gestire i propri beni, ad esempio, se si deve emigrare per il lavoro può purtroppo capitare di dover abbandonare dei terreni o delle case, però ciò senza l’obiettivo di spogliarsi della proprietà. Nel frattempo qualcuno, approfittando della distanza, potrebbe iniziare a usare il bene come se fosse suo e maturare così il diritto di proprietà per usucapione. Per evitare questi esiti, è bene porre attenzione e avere dei comportamenti che possano interrompere l’usucapione.

Vuoi saperne di più sull’usucapione? Ecco una guida

Guida: come dimostrare l’usucapione

Dopo aver letto queste due guide sicuramente sarà più chiaro anche capire come evitare tale esito.

Perché è possibile usucapire un bene?

Perché il legislatore consente di usucapire beni altrui? La risposta è molto semplice perché si ritiene che se un soggetto per un lasso di tempo medio lungo non si interessa dei propri beni, rischiando anche che gli stessi perdano valore o possano danneggiare un terzo ( ad esempio un campo non coltivato per molti anni si arricchisce di sterpaglie che se andassero a fuoco potrebbero danneggiare il vicino, che magari ha un uliveto produttivo proprio vicino al fondo dalle cui sterpaglie è partito il fuoco), non abbia interesse a tale proprietà.

Di conseguenza, se un soggetto si occupa di tale bene in modo costante nel totale disinteresse del proprietario, che neanche si palesa come tale, viene in un certo senso premiato, o meglio viene premiato l’essersi comportato di fatto come un proprietario. Deve però essere sottolineato che la giurisprudenza applica regole abbastanza rigide per provare l’usucapione e questo per il proprietario è un vantaggio.

Come evitare l’usucapione

Per evitare l’usucapione la prima cosa da fare è  dare in locazione o in comodato d’uso il bene stesso, naturalmente deve essere stipulato un contratto. Già questo comportamento è idoneo a dimostrare che in realtà non stai abbandonando l’immobile, ma semplicemente, non potendotene occupare o non avendo bisogno di esso, lo cedi a soggetti terzi, senza però volerne perdere la proprietà.

Un errore comune è quello di vivere la propria vita lontano dal fondo e magari, siccome non si ha bisogno di soldi, si è riconoscenti al soggetto terzo perché si occupa dell’immobile e si è a conoscenza delle difficoltà economiche del terzo, non si richiede il canone. Si tratta di un errore perché questo comportamento tenuto in buona fede, potrebbe far maturare l’usucapione, quindi è bene sempre esigere il canone anche se a prezzo ridotto, l’importante è conservare le ricevute dei pagamenti, anche se saltuari o sporadici. Si tratta di un atto molto importante perché implica che il soggetto che era in possesso dell’immobile non poteva avere l’animus del proprietario (carattere essenziale per maturare l’usucapione).

Comodato d’uso e usucapione: come evitare rischi

Nel caso in cui tu per riconoscenza abbia stipulato un comodato ad uso gratuito, devi stilare un contratto che sia ben chiaro, cioè deve essere chiaro che tu ti riconosci come proprietario, che concedi l’uso del bene a un soggetto terzo, questo trattiene i frutti e non paga il canone, ma in cambio cura il fondo/immobile, evitando così che possa perdere valore.  Naturalmente se si stipula tale contratto è bene comunque non abbandonare del tutto il bene, ma andare di tanto in tanto sul posto, chiamare un altro vicino per chiedere se il bene viene curato adeguatamente e avere altri comportamenti che possano essere considerati concludenti e che palesino pubblicamente la qualità di proprietario. Potrebbe essere consigliato in modo costante recarsi da un notaio per rinnovare il contratto di comodato.

Come interrompere l’usucapione

Per interrompere la prescrizione è possibile invitare colui che sta maturando l’usucapione a firmare, alla presenza di testimoni, e se possibile anche di un notaio, un atto in cui dichiara di essere consapevole di non essere proprietario del bene e riconoscere il diritto di proprietà altrui. Nel caso in cui non siano stati tenuti questi comportamenti per non perdere la proprietà è bene invitare il soggetto a lasciare l’immobile o a restituire i beni mobili prima che siano trascorsi i termini per l’usucapione.

Se questo volontariamente non lascia il bene, il consiglio per evitare l’usucapione è quello di proporre un atto di citazione verso il soggetto che sta usucapendo il bene, intimando la consegna immediata dei beni. La citazione costituisce un atto dal quale si può evincere che il titolare non voleva perdere la proprietà dell’immobile. Non è detto che il giudizio debba proseguire, infatti questo semplice atto introduttivo redatto da un legale basta a provare che non si intende rinunciare alla qualità di proprietario e a interrompere l’usucapione.

Differenza tra interruzione e sospensione dell’usucapione

Tutti questi atti, ad esempio la citazione, la richiesta del pagamento del canone, la stipula di un contratto che rinnova il comodato sono atti interruttivi, questo vuol dire che interrompono il termine per maturare l’usucapione, che poi inizia nuovamente a decorrere. Ad esempio Tizio paga la mensilità del canone di locazione il giorno 20 marzo 2021, a questo punto i termini ripartono da zero.

Diverso è invece il caso in cui si verifica la sospensione dell’usucapione, questo succede quando tra le parti vi sono dei particolari rapporti, ad esempio di coniugio, oppure quando il proprietario risulta interdetto. In questi casi alla cessazione del fatto che ha interrotto i termini, gli stessi ricominciano a decorrere, ma non ex novo, bensì dall’interruzione. Ad esempio Tizio usa il bene di Caio per 2 anni senza che Caio rivendichi il bene, Caio a un certo punto subisce un’interdizione per vizio di mente, questo fatto interrompe i termini per l’usucapione, nel momento in cui l’interdizione viene meno e quindi viene meno il vizio di mente che aveva portato al provvedimento, i termini ricominciano a decorrere, ma non ex novo, bensì dall’interruzione.

Come provare l’usucapione in un eventuale giudizio

Si è detto in precedenza che l’usucapione è un modo per acquistare la proprietà di un bene immobile o mobile a titolo originario, ma come si può provare l’usucapione?

Come matura l’usucapione

Abbiamo visto nell’articolo presente QUI che l’usucapione è disciplinato in modo abbastanza dettagliato dal codice civile e che matura in tempi diversi al mutare del bene stesso, 20 anni per un immobile, 10 anni per un bene mobile, 15 anni per i fondi rustici, 10 anni, 5 anni o 3 anni nel caso in cui ci siano i presupposti per l’usucapione abbreviato. Affinché maturi l’usucapione, il proprietario effettivo del bene non deve produrre atti in cui  ne rivendica la proprietà, anche un semplice citazione in giudizio per la restituzione del bene, va ad interrompere i termini per la prescrizione.  I termini sono interrotti anche dal pagamento di un canone di locazione, anche se lo stesso viene pagato saltuariamente e in ritardo comunque interrompe i termini. Fin da ora è bene ricordare che la prova dell’usucapione ricade su chi rivendita tale modo di acquisto della proprietà.

Quali elementi devono essere provati?

Per ottenere l’usucapione devono essere provati tutti gli elementi che costituiscono la fattispecie.

Si è anche visto che il possesso:

  •  non deve essere interrotto in tutto il lasso temporale previsto per la maturazione dell’usucapione, tra l’altro sia il tribunale di Castrovillari ( sentenza 253 del 4 marzo 2020), sia quello di Cassino, hanno stabilito che il lasso temporale deve essere provato in modo specifico, non basta dichiarare di avere il possesso del bene da oltre 20 anni;
  •  il soggetto deve comportarsi come se fosse il proprietario, possesso uti dominus, e  non deve occultare tale animus, cioè deve essere noto alle persone con cui si entra a contatto che un determinato bene è del soggetto che lo sta utilizzando. Non è richiesta però la buona fede;
  • non deve essere entrato in possesso del bene in modo violento.

Si è anche detto che per trascrivere il diritto di proprietà nei pubblici registri occorre avere una sentenza che dichiari un soggetto proprietario o un accordo che è frutto di mediazione civile. Per arrivare a sentenza o accordo è necessario trovare una controparte, cioè il soggetto che in un qualche documento risulta essere proprietario. Se questo è contumace si procede comunque alla dichiarazione di proprietà e trascrizione degli atti. Può però a questo punto succedere che la controparte decida in realtà di difendersi da tali pretese. In questo caso spetta a colui che ritiene di aver acquistato il bene provare l’usucapione. Ciò che cercheremo di capire qui è quali prove si possono utilizzare per la dimostrazione dell’usucapione.

Come provare l’usucapione

Una delle prove che solitamente viene portata in giudizio sono le ricevute inerenti l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, queste possono essere importanti anche per dimostrare il trascorrere del tempo, infatti se la ricevuta è datata nel periodo iniziale dell’usucapione è più facile dimostrare che è trascorso il lasso temporale previsto per legge. La prova nel nostro ordinamento ricade su chi afferma un fatto, quindi se il proprietario rivendica di aver più volte chiesto il pagamento del canone di locazione, spetta a costui dimostrarlo.

La prova testimoniale

Per dimostrare l’usucapione si è anche soliti chiedere la testimonianza di persone con cui si entra in contatto e in particolare i vicini che possono appunto testimoniare di aver sempre visto Tizio abitare l’immobile o prendersi cura del fondo e che proprio per questo lo hanno sempre considerato il proprietario.

La prova testimoniale è vista con particolare favore anche dalla giurisprudenza, infatti la sentenza 7962 della Corte di Cassazione del 1999 stabilisce che la testimonianza può essere anche l’unica prova portata in giudizio, naturalmente deve trattarsi di una testimonianza di particolare valore.

Sulla stessa linea c’è anche una recente sentenza del Tribunale di Modena con la sentenza 261 del 24 febbraio 2020. In questa sentenza i testimoni dichiaravano che effettivamente un determinato immobile era sempre stato abitato dal padre e dallo zio del soggetto che reclamava la proprietà per usucapione e poi dal 1964 dallo stesso che tutti si erano comportati da proprietari, al punto che loro (vicini) non avevano mai saputo dell’esistenza di un altro proprietario, che in tale giudizio era comunque contumace. In questo caso si può però notare che vale la sola prova testimoniale, ma si tratta di un usucapione di durata molto più lunga dei canonici 20 anni, infatti è un immobile trasmesso addirittura per diverse generazioni.

A questo punto ci si potrebbe chiedere a cosa serve provare l’usucapione in giudizio per ottenere la proprietà di un bene se nessuno lo rivendica? Semplice, per poter risultare proprietari nei pubblici registri e quindi poter disporre del bene, ad esempio concederlo in locazione oppure venderlo.

Come provare l’usucapione: i giudici richiedono prove che diano certezza

Tuttavia non mancano sentenze particolarmente rigorose, infatti la giurisprudenza più recente ha fatto leva soprattutto sul fatto che in realtà l’usucapione comporta il sacrificio del diritto di proprietà altrui e di conseguenza i requisiti devono essere ben ponderati dal giudice per evitare delle ingiustizie. Ad esempio i giudici della Corte di Cassazione nella sentenza 9325 del 2011 hanno sottolineato che non basta la coltivazione di un fondo per dichiararsi proprietari dello stesso.

Usucapione: quali sono i requisiti temporali e psicologici per maturarlo

Da molti anni stai curando un fondo che risultava abbandonato oppure vivi in un immobile senza pagare il canone e senza che nessuno abbia mai rivendicato i suoi diritti? In questo caso potresti aver maturato i requisiti per l’usucapione, ecco come funziona.

Usucapione: requisiti temporali

Il nostro ordinamento prevede l’usucapione nell’articolo 1158 del codice civile che stabilisce: La proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento sui beni medesimi si acquistano in virtù del possesso continuato per venti anni”. L’articolo 1161 c.c. invece regola l’usucapione per i beni mobili e stabilisce che in questo caso il termine previsto è di 10 anni.

L’articolo 1159 c.c. invece contempla un’unica possibilità di usucapione abbreviata a 10 anni per i beni immobili, si tratta del caso in cui un soggetto ritenga di aver idoneamente acquistato il bene e trascritto un atto che poi sia risultato nullo.  In questo caso quindi vi è un atto, ma evidentemente lo stesso è viziato e non per fatto dovuto all’acquirente. Queste sono le regole di base, ora vediamo quali ipotesi possono verificarsi.  La prima cosa da sottolinearsi è che il termine per il maturare del’usucapione si considera interrotto sia da un atto del reale proprietario volto a riscattarne la proprietà, sia nel caso in cui vi è un evento naturale che porta il soggetto a non comportarsi come proprietario per un anno.

Vi sono però dei casi particolari in cui i termini per usucapione sono più brevi, l’articolo 1159 bis del codice civile si occupa dell’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale e stabilisce il termine ordinario in 15 anni e il termine abbreviato in 5 anni. La norma ha a oggetto i terreni agricoli ubicati in un comune montano, oppure fondi rustici in comuni non montani, ma il cui reddito dominicale non superi 180,76 euro.

Non possono essere usucapiti i beni demaniali, del patrimonio statale o comunque pubblici.

Requisiti usucapione: il possesso continuato e l’animus proprietario

Non basta però il solo possesso per acquisire la proprietà, infatti ci vogliono ulteriori elementi che possono essere definiti psicologici.

La proprietà di un bene si può acquistare a titolo derivato, ad esempio compravendita, successione, donazione, oppure a titolo originario quindi un titolo precedente non esisteva e nasce ex novo, l’usucapione è un acquisto a titolo originario, questo perché non c’è un proprietario oppure, pur essendovi, non si sa chi sia e di fatto ci si comporta su quel bene come se si fosse proprietari.

Ad esempio una persona ha una casa e si accorge che il fondo vicino è abbandonato e che nessuno se ne occupa mai, a un certo punto, non sapendo chi è il proprietario e anche per evitare danni alla propria proprietà, si decide di ripulirlo dalla erbacce e poi di iniziare a coltivarlo. Intanto passa il tempo e nessuno reclama la proprietà dell’immobile e ci si comporta come proprietari del fondo, cioè si ha l’animus del proprietario.

Atti interruttivi

Affinché maturi l’usucapione devono però trascorrere gli anni previsti dalla legge senza che nessuno reclami la proprietà dell’immobile. Nel caso in cui per quell’ immobile si stipula un contratto di affitto, non si può maturare l’usucapione. Se dopo 5 anni che si sta coltivando il terreno abbandonato, arriva il proprietario, si palesa come tale e di fatto stipula una sorta di accordo per cui chi sta coltivando il terreno continua a farlo e ne tiene i frutti, non può maturare l’usucapione perché c’è appunto un soggetto che si palesa come proprietario e che non dichiara certo di voler rinunciare alla proprietà, interrompendo così i termini. Il possesso quindi deve essere:

  • continuato;
  • non deve essere stato acquisito con la forza;
  • deve essere pubblico, cioè non deve essere occultato o nascosto alle persone con cui generalmente si entra in contatto. Ad esempio coltivare il fondo di notte per non far sapere al vicino chi coltiva, potrebbe far venir meno l’usucapione.

Come trascrivere un atto di proprietà acquisita per usucapione

Dal punto di vista tecnico affinché si risulti proprietari dell’immobile su cui si ritiene di aver maturato l’usucapione è comunque necessario far emergere dai pubblici registri questa proprietà e per farlo occorre un atto che abbia una rilevanza pubblica.

Vi è stato un periodo in cui si riteneva che bastasse una dichiarazione fatta davanti al notaio in cui si disponeva di possedere un bene immobile da oltre 20 anni senza che nessuno ne avesse mai reclamato la proprietà, tale dichiarazione doveva essere resa nota a un eventuale acquirente. La Corte di Cassazione è però intervenuta su tale posizione chiarendo che non basta tale dichiarazione, ma è necessaria una sentenza.

Sentenza

Ciò implica che è necessario attivare una causa nei confronti di un soggetto che in un qualche modo in un atto, nei pubblici registri, risulta essere stato proprietario. La procedura può andare avanti anche in contumacia e quindi senza che il contro interessato si presenti in giudizio. Si arriva quindi all’atto finale cioè alla sentenza, che però non è scontata, infatti il contro interessato potrebbe anche presentarsi e reclamare la proprietà dell’immobile, offrendo comunque delle prove del fatto che in realtà non vi era mai stata l’intenzione di far acquisire la proprietà a terzi soggetti.

In sede processuale è colui che ritiene di aver acquistato la proprietà per usucapione a dover dimostrare che il possesso è stato continuato e, in base a una sentenza del tribunale di Cassino, è necessario indicare in modo preciso il momento in cui è iniziato il possesso, non basta sottolineare di aver sempre avuto la disponibilità del bene (sentenza 823 del 2011 Tribunale di Cassino). Per dimostrare l’avvenuto acquisto della proprietà tramite usucapione è possibile chiamare in giudizio anche testimoni, ad esempio i vicini che in molti casi possono essere risolutivi.

Gli accordi di mediazione

La procedura giudiziaria oggi è però superata, infatti, nel 2013 è stato inserito nell’articolo 2643 del codice civile (atti soggetti a trascrizione) il comma 12 bis che assoggetta a trascrizione nei pubblici registri  “gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”. Con tale accordo viene sostituita la sentenza, naturalmente all’accordo di mediazione deve prendere parte l’eventuale contro interessato. Se non si raggiunge l’accordo si può procedere in via giudiziaria.