Riparte Vinitaly International

Trainata da un export che nel 2015 ha visto l’enologia italiana mettere a segno un nuovo record con 5,4 miliardi di euro stimati dei quali 1,4 negli Usa, riparte il 17 gennaio l’attività all’estero di Vinitaly International.

Quest’anno le tappe saranno a San Francisco (17-19 gennaio) al Winter Fancy Food, a New York (7-9 febbraio) e a Miami (10 febbraio). Si tornerà poi a New York a maggio, dopo Canada e Cina a febbraio e marzo, e poi a giugno sarà la volta di Chicago al Fmi Connect (20-23 giugno) e di nuovo di New York con la partecipazione al Summer Fancy Food (26-28 giugno).

La focalizzazione sul mercato statunitense è frutto di una scelta strategica di lungo periodo impostata da Veronafiere, che ha portato Vinitaly International a diventare braccio operativo del ministero dello Sviluppo Economico e dell’Ice nel Piano Speciale Usa per la promozione dei beni di consumo e dei prodotti enoagroalimentari, lanciato nel 2015.

Il consumo di vino negli Usa continua a crescere – come ricorda il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani -, ma si tratta di un mercato con due facce, come emerso durante i numerosi workshop che gli abbiamo dedicato durante wine2wine, il forum del vino svoltosi nel dicembre scorso: per certi versi è maturo, e questo lo vediamo dalla curiosità espressa dai consumatori per vini meno famosi, espressione di territori ancora sconosciuti; d’altro canto, però, ci sono Stati dove solo ora si inizia a consumare vino. Con Vinitaly International siamo negli Stati Uniti dal 2002 e continuiamo a potenziare la nostra attività di anno in anno, proprio per aprire sempre nuovi spazi commerciali per le cantine italiane e per attrarre buyer americani a Vinitaly, dove già rappresentano il 15% delle presenze estere”.

Nello specifico, le iniziative di Vinitaly International a San Francisco saranno tre seminari avanzati su Grignolino, le subzone del Chianti e l’Etna, mentre uno base realizzato in collaborazione con Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) sarà dedicato ai vini artigianali. Questi vini saranno disponibili in un wine bar allestito per la degustazione da parte dei buyer e pubblico.

A New York Vinitaly International porterà ancora alla scoperta del Grignolino e dei vini artigianali, ma si parlerà anche di tendenze di consumo di vino nei ristoranti italiani e di come queste potrebbero riproporsi negli Usa. A Miami, oltre che di Grignolino e di vini artigianali, un terzo Executive Wine Seminar VIA sarà dedicato al Carmignano.

Vino Dop e Igp, un po’ di chiarezza

Una delle eccellenze dell’agroalimentare italiano, il vino, è anche al centro di uno dei settori, quello enologico, maggiormente normato e, a tratti, poco chiaro proprio per l’eccessiva ricchezza di norme. Ora il ministero delle Politiche agricole, su sollecitazione di Coldiretti, ha emanato una circolare esplicativa con la quale sancisce che la regione o la provincia di produzione di un vino Dop o Igp potranno apparire “in chiaro” sull’etichetta.

In questo modo si semplifica l’uso dei nomi geografici del vino, a beneficio del lavoro delle aziende vitivinicole e dei consumatori. La circolare in questione, emanata sul finire del 2014 (esattamente il 31 dicembre) chiarisce che i disciplinari di produzione di un vino a Dop e Igp possano decidere a priori le condizioni per l’impiego di nomi geografici più ampi; però, qualora mancassero queste indicazioni puntuali, le cantine potranno aggiungere il territorio, la provincia o la regione di appartenenza del vino purché rimpiccioliscano i caratteri di stampa ed evitino “forme ingannevoli o descrittive enfatiche o evocative”.

Soddisfatta Coldiretti, che sottolinea come questa circolare riempia un vuoto normativo che in taluni casi aveva già generato dei casi di non conformità da parte di produttori che, sul loro vino, avevano applicato etichette giudicate non regolari, solo perché specificavano meglio la zona di produzione, senza danneggiare comunque la necessaria tutela della Dop o della Igp.

Vinoteca, il franchising delle enoteche

Un locale che non è un ristorante ma neanche un semplice bar: è quanto viene proposto da Vinoteca, franchising di enoteche e degustazione di vini ed accompagnamento di salumi e formaggi.

Si tratta ovviamente di un settore particolare, oltre che affascinante, e per questo motivo i nuovi franchisee vengono aiutati in tutte le fasi di avvio.

I requisiti richiesti per il locale sono:

  • Ubicazione ottimale: centro storico o zona di frequente passaggio pedonale; arteria che conduce al Centro Storico con parcheggio e passaggio pedonale; centro di quartieri nel caso di città con più di 100.000 abitanti.
  • Numero vetrine: una o due vetrine.
  • Bacino di utenza: minimo 15.000 abitanti
  • Superficie media (mq): 70
  • Addetti – incluso titolare: 2 persone
  • Diritti di entrata: € 2.500,00 oltre Iva
  • Canoni periodici (fissi 0%): non richiesti

Principali attività di Vinoteca a supporto dell’affiliato:

  • consigli nella scelta dei locali da adibire a punto vendita;
  • stage presso un punto vendita già avviato sull’uso e la manutenzione degli impianti, sulla gestione amministrativa, sulle tecniche di vendita, sulle caratteristiche dei prodotti posti in vendita e sulle tecniche di display;
  • consigli nell’evasione delle pratiche burocratiche;
  • consigli sulla realizzazione, arredamento e allestimento del punto vendita;
  • consigli nelle problematiche situazioni e nella gestione;
  • supporto telefonico.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito Vinoteca.

Cifre da record per l’export del cibo Made in Italy

Nessuna crisi per il cibo Made in Italy, che, soprattutto quando si tratta di esportazione, non conosce rivali.

Coldiretti, con un’indagine condotta da Istat, ha reso noto, infatti, che i prodotti agroalimentari italiani hanno raggiunto, nell’anno appena trascorso, la quota record di 33 miliardi di euro.

La maggior parte dei prodotti nostrani partono alla volta dei Paesi dell’Unione Europea, per un valore stimato di 22,5 miliardi (+5%), ma anche negli Stati Uniti le vendite sono andate benissimo, con 2,9 miliardi (+6 per cento), così come nei mercati asiatici (+8 per cento, 2,8 miliardi) e in quelli africani dove si è avuto un incremento del 12 per cento, arrivando a quota 1,1 miliardi.

I risultati migliori arrivano però dall’Oceania, dove, nonostante l’importo contenuto, le esportazioni sono aumentate del 13%.

Tra i settori che piacciono di più c’è il vino, con 5,1 miliardi, pari a +8%, seguito da ortofrutta fresca (4,5 miliardi di euro), che cresce del 6%, mentre l’olio che fa segnare un +10% che porta il valore complessivo a 1,3 miliardi.
Aumenta pure la pasta che rappresenta una voce importante del Made in Italy sulle tavole straniere con 2,2 miliardi (+4% ).

Per quanto riguarda il vino, piace anche ai principali concorrenti, come la Francia, dove gli acquisti sono cresciuti dell’11%, Stati Uniti (+8%), Australia (+21%) e nel Cile (+66%).
Lo spumante si afferma in Cina (+101%) ma anche in Gran Bretagna (+50%) e in Russia (+31%), mentre la birra ha registrato forti incrementi nei paesi nordici, a cominciare dalla Germania (+66%), la Svezia (+19%), e l’Olanda (+9%).

Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, ha dichiarato: “Il record fatto registrare dall’export è il frutto del lavoro di un tessuto produttivo ricco, capillare, che coinvolge milioni di uomini e che rende l’Italia competitiva anche all’interno dei processi di mondializzazione dell’economia e delle idee. Ora occorre che questo patrimonio sia difeso, portando sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e dando completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”.

Vera MORETTI

Tempo di vendemmia. Come stanno le imprese del vino?

di Davide SCHIOPPA

Autunno, tempo di tensioni sociali, manovre di stabilità, preparativi per il Natale e, soprattutto, tempo di vendemmia. Quello del vino è uno dei settori italiani a maggiore densità di piccole e medie imprese ed è un ambito nel quale, secondo una vulgata un po’ troppo ottimistica, la crisi si percepisce meno, mentre in realtà non sono poche le ombre che si allungano sull’enologia italiana.

C’è da dire, però, che a salvare nel complesso il settore dalle tempeste della crisi globale, nel mondo della vitivinicoltura contribuisce in maniera decisa quella regola propria dell’intero settore manifatturiero italiano secondo la quale le imprese maggiormente vocate all’export vedono salvaguardati in maniera più forte il loro business e i loro fatturati. E pochi prodotti come il vino, in Italia, hanno una fortissima proiezione sui mercati internazionali.

E, in effetti, nel 2012 l’export dei vini italiani è cresciuto del 6,5% in termini di fatturato, per un totale record di 4,7 miliardi di euro. Una cifra che vale il 50% del vino prodotto in Italia. Questo significa che la metà della produzione rimane sul mercato interno e, se i dati sono quelli dello scorso anno, ecco una delle ombre delle quali accennavamo all’inizio. Nel 2012, infatti, in Italia si sono versati 22,6 milioni di ettolitri in meno rispetto al 2011, pari a una flessione del 2%. Poca cosa, sembrerebbe. Ma nel Paese del vino, tanto poca non è.

Anche perché, come è tipico del tessuto produttivo italiano, la maggior parte delle cantine è costituita da realtà medio-piccole, capaci di darsi forza aggregandosi in consorzi e consorzietti ma incapaci di far valere il proprio peso in modo incisivo a livello nazionale e, soprattutto, incapaci di porsi sul mercato estero parlando una sola voce. Quando i nostri concorrenti più temibili, i francesi, sanno valorizzare e far passare come delle perle anche i vini più sfigati o, comunque, di minor pregio e qualità dei nostri. Basta parlare di “terroir” e tutto sembra un mondo magnifico…

Ecco perché vale la pena fare quattro passi tra botti e cantine per capire che aria tira e per capire, soprattutto, quanto rischiamo di perdere, come imprese, addetti e volumi, anche in un settore dove saremmo primi indiscussi al mondo. Alla faccia dei terroir.

Santi, navigatori e burocrati

All’ultima assemblea generale di Confartigianato il presidente Giorgio Merletti è stato chiaro: “Le imprese italiane corrono contromano e a occhi bendati e sembra si faccia di tutto per spingerci oltre confine per trovare condizioni normali per fare impresa: il fisco italiano tassa il 68,3% degli utili lordi d’impresa, in Svizzera appena il 30,2%“.

Un’accusa durissima e circonstanziata, basata su cifre reali. Secondo Merletti, chi dovrebbe determinare le sorti dell’Italia “non comprende che l’artigianato e le piccole imprese sono il cuore, le mani e l’intelligenza del made in Italy” e che tasse e burocrazia le stanno uccidendo.

Dall’inizio della legislatura tecnica a oggi, il Parlamento ha approvato ben 491 norme a contenuto fiscale, ciascuna corredata da decreti attuativi e circolari esplicative. Una zavorra che, secondo Merletti, “non possiamo più permetterci il lusso di indossare la maglia nera in Europa per la pressione fiscale e burocratica. Vorremmo cominciare a scalare la classifica. E non diteci che non ci sono risorse per cambiare le cose. Molti interventi si possono fare a costo zero. Però bisogna volerlo“.

Sul fronte della burocrazia, nell’ultimo anno le Pmi italiane hanno buttato in oneri amministrativi la bella cifra di 31 miliardi e l’ultimo anno e mezzo è stato particolarmente difficili per le imprese e per il Paese. Da metà novembre 2011 a giugno 2013 il numero delle aziende italiane è calato dell’1%, pari a circa 60mila imprese, 44mila delle quali artigiane per un calo pari al 3%. Un calo che, secondo Confartigianato, è legato a quello del Pil (-3,4%), del credito alle imprese (-6,4%) e inversamente proporzionale (guarda un po’…) all’incremento del debito pubblico (+6,4%).

Grandi alleate della burocrazia sono le tasse. Secondo un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato, nel 2013 gli italiani ne pagheranno 38 miliardi in più, vale a dire 639 euro di maggiori imposte pro capite, rispetto alla media dei cittadini dell’eurozona. Il divario tra Italia ed Europa è dato dall’aumento della pressione fiscale che quest’anno in Italia raggiungerà il 44,6% del Pil: 2,4 punti in più rispetto al 42,1% registrato nella media dei Paesi dell’eurozona. Ma c’è dell’altro. Secondo il rapporto, se si considera il mancato gettito dell’economia sommersa, la pressione fiscale effettiva sale al 53,4% del sempre peggio. Torniamo a dire: come si fa a fare impresa così?

La burocrazia si mangia 100 giorni di lavoro all’anno

In un mondo perfetto gli imprenditori dovrebbero lavorare, fare business, produrre ricchezza e benessere. Nel mondo e nel Paese imperfetto nel quale viviamo perdono tempo, un sacco di tempo, a sbrogliare pratiche burocratiche.

La conferma arriva da Coldiretti, che in un’analisi ha stimato come nelle aziende la burocrazia faccia perdere fino a 100 giorni di lavoro all’anno che vengono sottratte all’attività di impresa per l’innovazione e la ricerca di nuovi mercati, in un difficile momento di crisi.

Nell’analisi si evidenzia anche come la burocrazia rappresenti uno dei fattori indicati come principale ostacolo dai giovani che vogliono aprire una attività agricola. La situazione, secondo Coldiretti, è particolarmente grave, ad esempio, in uno dei settori simbolo del made in Italy come il vino dove, dalla produzione di uva fino all’imbottigliamento e vendita, le imprese devono assolvere a oltre 70 attività burocratiche e relazionarsi con 20 diversi soggetti: dal ministero delle Politiche agricole alle Regioni, dalle Province ai Comuni, fino ad Agea, Organismi pagatori regionali, Agenzia delle Dogane, Asl, Forestale, Ispettorato Centrale qualità e repressione frodi, Nac, Guardia di Finanza, Nas, Camere di Commercio, organismi di controllo, consorzi di tutela, laboratori di analisi. Giusto quattro gatti…

Secondo l’associazione, il peso della burocrazia è anche nella quantità di norme di settore del vino: sono oltre 1000, contenute in circa 4000 pagine di direttive, regolamenti, comunicazioni, note e decisioni del Consiglio e della Commissione europea, leggi, decreti, provvedimenti, note, circolari e delibere nazionali e regionali.

Il carico sovrumano rischia ora di gravare ancora di più sulle imprese, con la messa a regime del nuovo sistema di certificazione e controllo dei vini a Denominazione. Secondo Coldiretti, “dimezzare il tempo perso dalle imprese con la burocrazia, attuando misure per un rapido processo di digitalizzazione della PA, per il coordinamento delle competenze nazionali e regionali, per l’unificazione di tutti gli adempimenti burocratici nel fascicolo aziendale” è uno degli obiettivi principali da perseguire, come illustrato nel documento “L’Italia che vogliamo”, presentato a tutti i gruppi politici.

L’Italia del gusto verso la Russia

L’Oriente rappresenta ormai la meta preferita del Made in Italy, poiché, in tempi di crisi, sono i mercati emergenti a dare le maggiori soddisfazioni e le uniche opportunità di guadagno ed espansione.

Per questo GEA, Società di Direzione Aziendale, e Italia del Gusto hanno deciso di puntare, dopo la conquista del mercato cinese, verso la Russia.
A conferma di ciò, si chiama Russia Business Incubator il secondo appuntamento fra le Aziende italiane del settore food e i principali referenti commerciali del Paese, che si terrà nella Sala dei 300 delle Fiere di Parma oggi, 5 giugno, e domani.

Due giornate molto intense vedranno insieme Italia del Gusto, il consorzio privato che include le migliori aziende italiane nel settore alimentare e vinicolo, e GEA Consulenti di Direzione, società che fin dalla fondazione del consorzio ne cura le attività di sviluppo strategico e commerciale, e già si prevede un grosso successo.

Luigi Consiglio, presidente di GEA, ha dichiarato: “Lo scorso luglio abbiamo lanciato questa formula innovativa del Country Business Incubator, una manifestazione dal profilo concreto e funzionale riguardo allo sviluppo del business nel Paese oggetto: una sorta di Fiera al contrario, dove non sono le Aziende che si presentano alla ricerca di Clienti ma sono gli importatori e i distributori del Paese che si propongono come partner commerciali. A meno di un anno dalla nascita del Business Incubator, siamo già al secondo appuntamento e oggi il progetto punta al mercato russo”.

All’evento partecipano operatori commerciali ed istituzionali russi, che potranno incontrare le aziende italiane del settore aderenti all’associazione Italia del Gusto, per instaurare partnership commerciali importanti.

Continua Consiglio: “La Russia oggi è forse l’unico Paese dei BRIC che rappresenta un mercato veramente concreto e non solo un’ipotesi futura per il segmento food italiano. Il valore delle nostre esportazioni di prodotti agroalimentari in Russia supera i 620 milioni di euro, e rappresenta quasi il doppio del valore delle esportazioni italiane in Cina. Non solo: le vendite del food made in Italy in Russia lo scorso anno hanno registrato un incremento del 7%. Il Business Incubator di quest’anno sarà dedicato a due aspetti peculiari del mercato: le numerose sfaccettature che questo presenta ed il ruolo delle operazioni straordinarie come modalità di ingresso sul mercato. I consumer insights in nostro possesso mostrano infatti come il mercato russo rispecchi la realtà di un Paese articolato e complesso, dove approcci di marketing anche non convenzionali, mirati a target precisi, ottengono risultati significativi, spesso con investimenti limitati”.

L’interesse per questo Paese è dovuto anche al suo mercato, particolarmente dinamico, tanto che, nel 2011, ha segnato un volume d’affari stimato intorno ai 311,5-340 miliardi di dollari e si prevede che raggiunga i 338-355 miliardi di dollari nel 2012.

Dopo un calo nel 2009, le importazioni sono di nuovo in aumento, pari a 39 miliardi di dollari (+16% rispetto al 2010) nel 2011 e nei primi otto mesi del 2012 hanno raggiunto circa 25 miliardi di dollari.
Sono andate molto bene anche le esportazioni italiane in Russia, che nel 2012 sono state pari a 10 miliardi di Euro, il 7,5% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Il 2012 ha segnato il successo dei prodotti di agricoltura, pesca e silvicoltura, tanto da raggiungere un’esportazione pari a oltre 116 milioni di Euro (+11,6% rispetto al 2011). L‘esportazione dei prodotti alimentari in generale è stata pari a 354 milioni di Euro con un’incidenza del 3 5% sul totale export e un aumento rispetto al 2011 del 13,5%. L’esportazione di bevande ha subito invece una flessione del 9% con un totale di esportazione pari a circa 150 milioni di Euro.

Ma qual è il prodotto italiano più importato dai russi? Ad oggi, si conferma leader del mercato il vino fermo, tallonato però dallo spumante, che ha ormai superato di gran lunga quello francese, incidendo per oltre il 62% del totale delle esportazioni di questo prodotto verso la Russia.

L’Italia è protagonista anche quando si tratta di pasta e dal caffè tostato e un buon successo commerciale è inoltre riscontrato dall’olio di oliva, in cui siamo secondi dopo la Spagna.

Il vino regna anche nella fascia superiore, grazie ad una domanda sempre crescente di vino di qualità, che ha portato all’apertura di molti negozi specializzati, vere e proprie boutique del vino con un vasto assortimento di bottiglie di alta qualità.

Negli ultimi due anni ci sono stati significativi incrementi a valore delle esportazioni di frutta e verdura (33%), cacao (30%), derivati del latte (20%), pasta (14%), carne (11%), te e caffè (11%), olio (6%) e di bevande fermentate non distillate (6%).

A questo proposito, ha ancora dichiarato Luigi Consiglio: “Per incrementare l’export alimentare italiano, lo stimolo principale è quello di comprendere le ‘mille Russie’: il Paese infatti è enorme (conta ben 12 fusi orari), molto popolato, con tradizioni epopoli diversissimi. E’ inoltre un Paese con un mercato in crescita, in cui i posizionamenti praticabili (ovvero i cluster di clienti) sono molti, almeno 2-3 diversi per ogni azienda. Un altro stimolo importante è rappresentato invece dall’incrocio prodotti/canali: a Parma saranno presenti un numero consistente di retailer e di distributori che consentono di coprire tutte le opportunità. Canali diversi (retail, ma anche hotel e ristoranti) e prodotti diversi, dagli alimentari al vino, dal fresco all’ambiente”.

Vera MORETTI

Un “monitor” per il vino italiano

Le imprese italiane che operano nel settore vitivinicolo hanno nell’export il loro punto di forza e la loro ancora di salvezza. Spesso, però, le dimensioni limitate non permettono a tante di loro di poter tenere un occhio costante e continuo sul mercato del vino, che cambia velocemente ed è sempre più dipendente dall’export e quindi da mercati anche molto diversi fra loro. Proprio per dar loro una mano ad avere il polso di questo mondo in rapido mutamento, Nomisma ha lanciato Wine Monitor, un osservatorio che si propone di guidare i produttori nella ricerca dei mercati migliori per il vino italiano e per il loro sfruttamento.

Attraverso il sito dedicato www.winemonitor.it, le imprese potranno disporre di dati, informazioni e indicazioni strategiche in tempo reale sui consumi di vino nei vari mercati mondiali, comprese le caratteristiche e i fattori di successo che variano di importanza fra Paese e Paese: se, per esempio negli Usa c’è attenzione per il vitigno e per il brand, in Germania conta soprattutto l’origine.

Ogni mercato ha infatti le sue peculiarità in termini di gusti, consumo, canali distributivi, norme all’ingresso e vincoli tariffari che non sempre sono facili da decifrare e tradurre in scelte aziendali per imprese che, in molti casi, non vanno al di là della dimensione familiare. I produttori di vino con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro sono infatti meno di 30, cui si deve il 40% dell’export, mentre il 60% del vino esportato avviene a opera di piccole e medie imprese. Nel 2012 il mercato del vino prodotto in Italia, ha fatto segnare un record nelle esportazioni con 4,66 miliardi di euro di vini venduti oltreconfine (+6,6% sul 2011), per un quantitativo pari a 21 milioni di ettolitri.

Wine Monitor cerca di mettere a disposizione delle imprese il maggior numero di informazioni di mercato possibili, grazie all’apporto scientifico di analisti economici e di mercato, di esperti di comunicazione, promozione e internazionalizzazione del vino, oltre alla collaborazione con enti e istituti capaci di fornire informazioni di mercato utili alla comprensione delle tendenze in atto: tra questi figurano Symphony Iri, Demetra e Borsa Merci Telematica Italiana.

Italia, medaglia d’oro del vino

Se i consumi interni di vino calano in Italia, ci consoliamo con il boom dell’export. E questo lo abbiamo già scritto nei giorni scorsi. Ora consoliamoci con un’altra buona notizia, per le imprese del vino e per il sistema-Paese: nel 2012, l’Italia ha superato di nuovo la Francia nella sfida su chi dei due è il maggior produttore mondiale.

Un dualismo che data praticamente da sempre e che ancora una volta il nostro sistema produttivo ha vinto nonostante la crisi e il calo globale della produzione. Lo scorso anno il raccolto del nostro Paese si è assestato, secondo i dati di Coldiretti, intorno ai 41 milioni di ettolitri, con un calo del 3% rispetto al 2011 ma con un innalzamento della qualità media delle uve raccolte.

Non tragga in inganno il -3%. Secondo Coldiretti, infatti, nonostante questo i cugini francesi sono stati distaccati nella corsa, dal momento che oltralpe il raccolto ha subito un tracollo del 19%, che ha portato la raccolta a 40,5 milioni di ettolitri. Anche il loro cavallo di battaglia, lo champagne, secondo l’organizzazione mondiale della vigna e del vino ha subito cali importanti, con punte che hanno toccato il 26%.

Questi cali si sono comunque riflessi a livello mondiale, dove la quota di mercato di Italia+Francia, essendo preponderante, ha trascinato giù l’intera produzione globale. Coldiretti stima infatti una raccolta di 248,2 milioni di ettolitri, il livello minimo dal 1975, e un -6% rispetto alla raccolta 2011. Al calo delle due nazioni leader si è infatti sommato quello registrato in Spagna (-6%), che rimane comunque il come terzo produttore mondiale con 31,5 milioni di ettolitri.

Interessanti i dati che vengono dagli altri continenti: aumenta il raccolto negli Usa e tocca i 20,6 milioni di ettolitri (+7%), diminuisce l’Argentina a 11,8 milioni di ettolitri (-24%), sale l’Australia a 11,6 milioni di ettolitri (+4%), percentuale pari a quella del Sudafrica dove la raccolta è arrivata 10 milioni di ettolitri.

Un’ultima chicca che solletica l’orgoglio tricolore: sempre secondo Coldiretti, lo spumante italiano va a fare da maestro in casa del professore, dal momento che l’export delle nostre bollicine cresce del 35% in Francia. Adieu monsieur champagne…