Scudo fiscale nella legge di bilancio 2023: di cosa si tratta?

Negli ultimi giorni si ritorna a parlare dello scudo fiscale che potrebbe essere inserito all’interno della legge di Bilancio, ecco di cosa si tratta, chi può avvalersene e quali vantaggi porta.

Scudo fiscale: nuove entrate per 3-5 miliardi

In queste ore il Governo è al lavoro alla legge di bilancio, il valore dovrebbe essere di 30-32 miliardi che a loro volta dovrebbero essere distribuiti in buona parte (21 miliardi) a famiglie e imprese al fine di aiutarli a far fronte agli effetti dei rincari energetici. Naturalmente questi soldi devono essere recuperati e proprio per questo si sta studiando la possibilità di attivare lo scudo fiscale che secondo le prime stime dovrebbe far recuperare dai 3 ai 5 miliardi di euro.

Questa misura è anche denominata voluntary disclosure e consente a coloro che hanno patrimoni all’estero non dichiarati di farli rientrare attraverso un’autodenuncia e quindi il versamento dalle imposte dovute. Sia chiaro, lo scudo è solo di tipo fiscale, non penale quindi gli eventuali reati sono comunque perseguiti.

Come è stato applicato l’ultimo scudo fiscale

L’ultima volta che l’Italia ha applicato lo scudo fiscale risale al 2015 e fu il governo Renzi ad attuarlo. In quel caso portò nelle Casse dello Stato ben 2,5 miliardi di euro. Il contribuente per attivarlo dovette farne richiesta attraverso i servizi Entratel o Fisconline, se abilitati, mentre in caso contrario era possibile inoltrare la richiesta tramite soggetti abilitati come avvocati, commercialisti e iscritti nel registro dei revisori contabili. Il governo Renzi inoltre attivò  la voluntary disclosure non solo per i patrimoni detenuti all’estero e non dichiarati, ma anche per le altre imposte, come le imposte sui redditi e addizionali, Irap, Iva, imposte sostitutive.

Naturalmente non sappiamo come si procederà in questo caso e non è neanche certo che si procederà effettivamente a uno scudo fiscale, ma è una delle ipotesi insieme alla cancellazione dei debiti fiscali non riscuotibili, alla cancellazione dei debiti fino a 1.000 euro e dimezzamento di quelli tra 1000 e 3.000 euro.

Pronta una voluntary disclosure domestica

La legge di Bilancio 2017 sta ormai prendendo una forma definita e si fanno largo alcune ipotesi in merito a determinati aspetti che la comporranno. A tal proposito, si parla con sempre maggiore insistenza di una conferma della voluntary disclosure.

A sostegno dell’ipotesi, il recente intervento del viceministro dell’Economia Luigi Casero al Forum Tax di Milano, nel quale ha confermato l’idea di una voluntary disclosure indirizzata ai capitali interni.

L’ipotesi interna è rafforzata anche dal fatto che dal 2018 entrerà in vigore lo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei diversi Paesi che, se dovesse funzionare a dovere, escluderebbe una voluntary disclosure per il rientro dei capitali esteri.

Questa voluntary disclosure interna (estesa, si dice, a tutto il 2015) punterebbe a far emergere i capitali custoditi nei caveau delle banche e nelle cassette di sicurezza. Al netto di oro, preziosi e contanti, si parla di una cifra che oscillerebbe tra 1,5 e 2 miliardi. Cifre, quindi, potenzialmente per difetto.

Ciò che si obietta all’ipotesi di voluntary disclosure domestica è il fatto che i capitali interessati potrebbero derivare da operazioni di riciclaggio di denaro sporco, oltre alla identificazione dei titolari dei patrimoni custoditi nelle cassette di sicurezza.

Chi si occuperà di effettuare la certificazione di questa voluntary disclosure? Le ipotesi attuali parlano di un coinvolgimento di banche e fiduciarie solo per certificare la provenienza “fiscale” dei depositi; in alternativa si pensa alla Guardia di Finanza, che certificherebbe il “non provento da illecito”, ma che scoraggerebbe molti ad aderire, a differenza della prima ipotesi.

Voluntary disclosure ancora per un anno?

Dopo che nei mesi scorsi si era fatto un gran parlare del fiume di capitali che sarebbe rientrato in Italia dall’estero grazie a quanti avrebbero aderito alla voluntary disclosure, ora il governo sta valutando l’ipotesi di estendere la durata della stessa di 12 mesi.

La voluntary disclosure sarebbe estesa mantenendo le stesse regole, le stesse procedure e le stesse sanzioni previste nelle precedenti edizioni.

Il governo vuole fare in fretta, poiché dal 2018 diventerà operativo lo scambio automatico di informazioni tra le autorità fiscali dei Paesi cosa che renderà di fatto inutile la voluntary disclosure.

Oltre a questo fronte, il governo sta anche lavorando all’ipotesi di una voluntary disclosure domestica, che porterebbe all’emersione di capitali interni, depositati nelle cassette di sicurezza e nei caveau delle banche.

Un tesoretto che, secondo le stime, ammonterebbe a circa 2 miliardi e che salirebbe non di poco qualora vi fossero compresi preziosi e oro.

A ostacolare una pur promettente voluntary domestica, ci sarebbero due problemi:

  • l’identificazione degli effettivi titolari dei patrimoni custoditi nelle cassette di sicurezza;
  • la provenienza di valori, contenuti nelle cassette di sicurezza, che potrebbero essere frutto di operazioni di riciclaggio di denaro.

I commercialisti e i Panama Papers

I commercialisti italiani sono intervenuti nei giorni scorsi sul caso Panama Papers, condannando duramente gli evasori, o presunti tali, i cui nomi sono usciti dalle carte dello studio Mossack Fonseca e ricordando, invece, l’opportunità della voluntary disclosure.

Chi si è affidato a cinici consiglieri fraudolenti e, non avvalendosi della voluntary discolsure, ha spostato le proprie disponibilità da Ginevra a Panama è sciocco e volgare – ha infatti dichiarato il presidente dei commercialisti, Gerardo Longobardi, nel corso di un convegno sulla lotta all’evasione -. Dovrebbe essere consapevole che dal 30 settembre 2015 per schivare il reato di autoriciclaggio potrà sì utilizzare le disponibilità economiche non oggetto di voluntary a Panama, ma solo per pagarsi le vacanze in quello Stato caraibico, o per metterle dentro un pouf, seguendo un noto esempio di cronaca degli Anni ’90”.

La voluntary disclosure approvata dal Parlamento italiano e terminata nel dicembre dello scorso anno – ha proseguito il presidente dei commercialistiè stata l’ultima spiaggia per chi deteneva disponibilità finanziarie all’estero, e mal gliene incolse a chi non ha aderito, restando insensibile ai molti appelli che anche la nostra categoria ha lanciato nei mesi scorsi”.

Longobardi ha ricordato poi come “da qualche anno a questa parte la sensibilità internazionale ha cambiato atteggiamento verso l’occultamento di ricchezze nei paradisi fiscali. Questi ultimi sono divenuti di fatto una nuova categoria di Stati canaglia”.

Secondo il presidente dei commercialistiper evitare il ripetersi a livello nazionale e internazionale di fenomeni di occultamento di ricchezze non dichiarate, è evidente che, nell’immediato occorre proseguire e, semmai, rafforzare il percorso intrapreso già da qualche anno dall’Ocse circa gli standard sullo scambio automatico di informazioni tra Stati. A ciò va aggiunta un’azione incisiva sulla transparency bancaria, ossia sulle regole che impongono alle banche di verificare la trasparenza della titolarità e della provenienza dei fondi da loro gestiti”.

Questa maggiore trasparenza – ha proseguito Longobardisi tramuterebbe in una maggiore tutela del risparmio nonché dell’economia ‘pulita’. In tal modo si genererebbero dei circuiti finanziari trasparenti (di serie A) contrapposti ai residuali circuiti finanziari non trasparenti (di serie B), in cui potrebbero rafforzarsi le misure speciali di contrasto all’economia illecita”.

L’obiettivo a cui tendere, ha concluso il presidente dei commercialisti italiani, è “un sistema di piena libertà economica a condizione di una totale trasparenza, che premi i comportamenti fully compliant, vale a dire i comportamenti rispettosi delle regole”.

Voluntary disclosure, le Entrate: fasi istruttorie in ogni Direzione regionale

In un primo momento l’adesione dalla voluntary disclosure avrebbe richiesto che le fasi istruttorie si svolgessero nel Centro Operativo delle Entrate di Pescara. Ora, l’Agenzia delle Entrate, per cercare di rendere più semplici i passaggi dell’istruttoria ha deciso che chi vuole aderire alla voluntary disclosure può espletare i primi passaggi in qualunque Direzione regionale o alla Direzione provinciale di Trento.

La decisione delle Entrate è stata comunicata attraverso un apposito provvedimento emanato il 27 novembre che, di fatto, annulla quello del 6 novembre con il quale le Entrate indicavano proprio il Centro operativo di Pescara come la sede per l’istruttoria delle pratiche di voluntary disclosure.

Chi volesse aderire questa prima fase istruttoria della pratica di voluntary disclosure deve inviare un’apposita richiesta via mail attraverso posta certificata, all’indirizzo vd.cop@postacert.agenziaentrate.it, allegando la relazione e i documenti a integrazione delle istanze di adesione.

La richiesta di instaurazione delle fasi istruttorie del procedimento può essere inviata fino a 10 giorni prima della data fissata nell’invito al contraddittorio. Unitamente alla documentazione, il contribuente deve anche comunicare alle Entrate la propria disponibilità a comparire personalmente o tramite rappresentanti alla prima fase istruttoria di adesione alla procedura.

Confermato il termine per le domande di voluntary disclosure

Il tira e molla delle scorse settimane sulla voluntary disclosure, con proroghe prima negate poi confermate e con un clima di incertezza che è rimasto fino all’ultimo sui tempi e sulle modalità delle proroghe concesse, potrebbe diventare forse un ricordo.

A porre fine ai dubbi ha pensato la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, con un errata corrige inviata al Senato il 20 ottobre scorso ha spazzato via ogni ombra sull’efficacia della proroga dei termini per trasmettere agli Uffici la relazione accompagnatoria alla richiesta di ammissione alla procedura di voluntary disclosure e i relativi documenti.

Stando al documento della Presidenza del Consiglio, la proroga al 30 dicembre 2015 dei termini di trasmissione della voluntary disclosure vale sia per le domande presentate entro il 30 settembre, sia per quelle presentate entro il 30 novembre. Tale proroga, inoltre, non è più soggetta al termine di 30 giorni previsto dal provvedimento del direttore dell’agenzia delle Entrate del 30 gennaio 2015.

Che sia davvero la parola fine in fondo alla interminabile (e tutta italiana) vicenda della voluntary disclosure?

Ecco la proroga per la voluntary disclosure

Che ci sarebbe stata una proroga dei termini per aderire alla voluntary disclosure lo sapevano anche i sassi ma, come al solito, il Governo ha fatto il prezioso aspettando fino all’ultimo per dare ufficialità alla cosa.

Ebbene, ora è certo che il termine per l’adesione alla voluntary disclosure per regolarizzare i patrimoni detenuti all’estero viene prorogato per decreto dal 30 settembre 2015 al 30 novembre 2015. L’integrazione dell’istanza e la documentazione possono invece essere presentate entro il 30 dicembre 2015.

La proroga si è resa necessaria soprattutto a causa del numero molto elevato di richieste di adesione; in questo modo, il Governo dà agli aderenti più tempo per completare gli adempimenti previsti, viste le molte problematiche legate al recepimento della documentazione necessaria ad aderire alla voluntary disclosure.

La proroga dei termini al 30 dicembre 2015 per la presentazione della documentazione a supporto vale anche per i soggetti che hanno già presentato l’istanza entro la data di entrata in vigore del decreto.

Il decreto di proroga conferma che le norme sulla collaborazione volontaria non hanno impatti sull’applicazione dei presidi previsti dal dl 231 del 21 novembre 2007 in materia di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

Voluntary disclosure, stavolta il rinvio c’è (o quasi)

Quella della voluntary disclosure rischia di diventare una telenovela al pari di quella che, all’inizio di quest’anno, ha interessato l’Imu agricola, con un tira e molla su termini, proroghe e modalità che ha fatto perdere parecchi punti di popolarità a governo e Mef tra gli addetti ai lavori.

Dopo che nei giorni scorsi era stato prorogato di 30 giorni il termine per la presentazione delle relazioni a supporto dell’adesione alla voluntary disclosure e dopo che si erano susseguite voci e smentite su una possibile proroga dei termini di adesione ecco che, su questo punto, ci siamo di nuovo.

È stata infatti avanzata l’ipotesi di una nuova proroga del termine per aderire alla voluntary disclosure, non solo tecnica, come quella prevista dal provvedimento delle Entrate dello scorso 14 settembre relativo ai termini per la presentazione delle relazioni; si tratterebbe infatti di una vera e propria proroga di tre mesi del termine per l’adesione alla collaborazione volontaria, che vedrebbe così spostata la deadline per l’adesione alla voluntary disclosure al 31 dicembre.

Facile che, se così dovesse essere, la proroga arriverà con un decreto legge omnibus sulle scadenze fiscali, atteso per la fine di settembre. I bene informati, ancorché in via ufficiosa, sostengono che sarebbe questo l’orientamento del Governo per cercare di districare la matassa di norme e scadenze che ha via via avvolto all’operazione di rientro dei capitali illegittimamente detenuti all’estero. Prima di un ok definitivo a questa proroga della voluntary disclosure, il governo sta comunque esaminando i costi della procedura.

Voluntary disclosure, 30 giorni in più per le relazioni

Qualche giorno fa avevamo scritto della smentita da parte del Mef di uno slittamento dei termini per aderire alla cosiddetta voluntary disclosure, ossia l’adesione volontaria al programma di rientro in Italia dei capitali detenuti all’estero.

Ebbene, il termine della presentazione della prima o unica istanza rimane fissato al 30 settembre 2015 ma, con un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate emesso in data 14 settembre 2015, viene concesso più tempo trasmettere la relazione di accompagnamento e la documentazione a corredo della richiesta di adesione alla voluntary disclosure.

In base a quanto stabilito dal provvedimento in oggetto, la trasmissione della relazione di accompagnamento e della documentazione a supporto può essere effettuata fino a 30 giorni dalla data di presentazione della prima o unica istanza di adesione alla voluntary disclosure.

Per evitare la punibilità, coloro i quali hanno visto scadere il proprio accertamento devono evidenziare nella relazione di accompagnamento e nella documentazione a essa relativa gli imponibili, le imposte e le ritenute correlati alle attività dichiarate nell’ambito della procedura di voluntary disclosure.

Chi invece ha già presentato la propria relazione ha 30 giorni di tempo, a partire dal 14 settembre 2015 per effettuare le necessarie integrazioni con i documenti e le informazioni relativi agli imponibili, alle imposte e alle ritenute correlati alle attività dichiarate nell’ambito della procedura di voluntary disclosure, per i quali è scaduto il termine per l’accertamento.

I commercialisti sui termini della voluntary disclosure

La proroga dei termini per perfezionare la relazione di accompagnamento all’istanza di adesione alla voluntary disclosure, disposta dall’Agenzia delle Entrate, non basta, è necessario prorogare anche il termine stesso di adesione alla voluntary disclosure, fissato per il prossimo 30 settembre

È quanto chiedono i commercialisti italiani, in una lettera inviata dal presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Gerardo Longobardi, al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

Nella lettera sulla voluntary disclosure, Longobardi sostiene che la proroga dei termini “si rende anzitutto necessaria per non vanificare il lavoro che l’Amministrazione finanziaria e i professionisti hanno sin qui svolto per il buon esito della procedura, con tutti i conseguenti positivi effetti per il nostro Paese sia in termini di gettito, sia in termini di emersione di attività fino a ora sconosciute al Fisco“.

Una richiesta, quella dei commercialisti sulla voluntary disclosure, originata, secondo Longobardi, da una serie di motivazioni tecniche che rendono la proroga più che necessaria.

Innanzitutto – continua Longobardi nella missiva – solo lo scorso mese di agosto, e quindi in pieno periodo feriale, sono stati risolti alcuni rilevanti dubbi interpretativi sull’applicazione della disciplina da parte dell’Agenzia delle Entrate con le Circolari 30/E dell’11 agosto e 31/E del 28 agosto. Inoltre, soltanto il 27 agosto è stato finalmente reso disponibile sul sito dell’Agenzia il waiver svizzero, ossia l’autorizzazione che i contribuenti, i quali intendono continuare a detenere le proprie attività finanziarie in Svizzera, devono rilasciare agli intermediari finanziari elvetici per l’invio all’Agenzia delle Entrate di tutti i dati e le informazioni riguardanti le attività oggetto della procedura“.

Inoltre, scrive ancora Longobardi, “è del 2 settembre l’entrata in vigore della norma che sterilizza il raddoppio dei termini per l’accertamento – con le connesse certezze in ordine agli eventuali riflessi penali dell’adesione alla voluntary disclosure – con la conseguenza che solo a partire da tale data molti contribuenti si sono attivati per aderire alla procedura. Considerati anche i tempi tecnici di invio della documentazione da parte degli intermediari esteri, la scadenza del 30 settembre risulta impossibile da rispettare, costringendo i professionisti interessati a rinunciare, responsabilmente, all’accettazione dell’incarico“.

Senza contare il fatto che “la formazione del dossier documentale da consegnare all’Agenzia delle Entrate è adempimento oltremodo complesso, tenuto conto della necessità di ricostruzione analitica degli imponibili da regolarizzare. In particolar modo per le attività estere più datate si stanno riscontrando notevoli difficoltà nel reperimento dei documenti necessari”.

Staremo a vedere se queste obiezioni sui termini di adesione alla voluntary disclosure, così come quelli sottolineati da altre parti, porteranno a una modifica degli stessi.