Scarpe ‘made in… Brenta’

 

Chanel, Céline, Gucci, Prada, ma anche Givenchy, Scervino, Ferragamo e Vuitton. Calzature pronte a fare il giro dei 4 Continenti ma che vengono create, lavorate e rifinite in questo lembo di terra che si estende tra Padova e Venezia. Parliamo del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta, un luogo simbolo del made in Italy e di quella tradizione di tacchi e tomaie, suole e pelli che da oltre 50anni danno forma ai sogni di ogni donna grazie alle mani esperte dei maestri artigiani.

Infoiva ha deciso di fare tappa qui quest’oggi per raccontare una punta dell’eccellenza del nostro Paese, grazie alla voce di Siro Bardon, Presidente di Acrib, l’Associazione che raccoglie i calzaturifici del Brenta.

Crisi e nuovi mercati: l’Italia è ancora capace di “fare le scarpe” al mondo?
Sul piano quantitativo la risposta è “no”. Sono ormai diversi anni che la Cina produce oltre il 50% delle calzature esistenti sui mercati. Se guardiamo alla qualità, invece, l’Italia è e resta saldamente al primo posto.

Qual è la situazione delle imprese del vostro distretto? Soffrono, si sviluppano, sopravvivono…?
Il nostro distretto non è un “atollo” del Pacifico. Soffriamo come tutti, sicuramente meno di altri proprio per il posizionamento dei nostri prodotti sul segmento più alto del mercato.

Quante sono le imprese che operano nel vostro distretto? Che cifre muovono in termini di fatturato, indotto, occupati?
Le aziende sono 560; occupano 10.500 addetti; la produzione è di 20 milioni di paia l’anno, esportate al 91%, con un fatturato di 1,7 miliardi di euro.

Secondo lei, quali politiche dovrebbero essere adottate a livello nazionale per difendere l’eccellenza delle calzature italiane dalla concorrenza di bassa qualità?
A livello europeo è necessaria l’introduzione dell’etichettatura d’origine obbligatoria. In altri termini, il consumatore deve trovare sul prodotto il “Made in…”. In attesa di questa direttiva europea in Italia si potrebbero attuare politiche per favorire la tracciabilità dei prodotti. Poi, trattandosi di produzioni ad alta intensità di manodopera, bisognerebbe ridurre il carico fiscale che grava sul lavoro.

Domanda da un milione di euro: qual è il futuro dell’Industria calzaturiera italiana?
Io non ho la sfera di cristallo anche se ho una certezza: quando sarà – spero mai o più tardi possibile – l’ultimo paio di scarpe prodotto in Italia proverrà dalla Riviera del Brenta.

Davide PASSONI

Il settore tessile vicentino sfida la crisi

La tradizione tessile vicentina è oggi ancora molto forte e, soprattutto, sempre molto presente.

Alcuni autorevoli esempio sono quelli di Marzotto S.p.A, il primo gruppo italiano del tessile, l’innovazione di Diesel, che a Breganze ha inaugurato nel 2010 una vera e propria “cittadella” completa di asili e palestra, ma anche Bottega Veneta che, nonostante ora sia di proprietà del francese PPR, rimane solidamente radicata in territorio veneto, tanto da creare qui una scuola che tramandi il mestiere.

Non sono solo i grandi nomi a testimoniare l’importanza del comparto in terra veneta, ma anche la voce di Michele Bocchese, presidente della sezione Moda degli industriali veneti: “Qui si trova il “monte” della produzione, ovvero la tessitura, la filatura, le diverse fasi che nobilitano i tessuti, e anche la “valle”, l’industria della confezione e della maglieria. Due mondi diversi, ma collegati, a diverse intensità di capitale e lavoro“.

Nonostante ciò, la crisi si è fatta sentire nella zona, tanto da aver contato, in tre anni, la perdita di ben 100mila addetti, ma ancora oggi il comparto dà lavoro a 70mila famiglie.
A proposito di famiglia, lo stesso Bocchese arriva da una tradizione tessile familiare, che proprio negli ultimi anni ha ripreso la sua piena attività: “Noi vendiamo la seta ai cinesi: una seta reinterpretata, mescolata al cotone o a fibre sintetiche per effetti moderni, capace di reggere gli utilizzi più sportivi, trattata per essere anti-pioggia e anti-vento. Abbiamo recuperato i telai del passato, ma creato effetti e lavorazioni innovative“.

Alla base di ogni successo, oltre alla tradizione e alla qualità, c’è l’innovazione, e sono proprio questi valori che hanno portato in Veneto committenti del calibro di Vuitton, Gucci, Moncler, Dior e Chanel che, come conferma Stefano Stenta, presidente del Sistema Moda Vicenza di Confartigianato, “qui cercano, e trovano, qualità del prodotto, puntualità, creatività, innovazione”, ma anche lui riconosce che il periodo è difficile: “Negli anni Ottanta l’Europa ha annullato le protezioni a difesa del tessile, mentre altri Paesi alzavano le proprie barriere. E in questo contesto si sono susseguiti i diversi cicli economici, nei quali l’export del tessile e abbigliamento è sempre rimasto trainante per l’economia nazionale, dietro alle macchine utensili“.

Oggi i dati parlano di circa 700 aziende artigiane associate, il 65% delle quali ha un’età media di 30 anni, dunque con un passaggio generazionale ancora da affrontare.
Per questo, uno dei rischi maggiori è quello di non riuscire a “catturare” l’attenzione e l’interesse delle nuove generazioni, anche perché non possono beneficiare di una corretta formazione e un adeguato apprendistato.

Le altre sfide del tessile vicentino riguardano la concorrenza sleale, la politica del prezzo combattuta con la responsabilità sociale e la collaborazione stretta fra cliente e fornitore. I dati mettono in evidenza quello che viene definito “effetto sostituzione“: in Veneto nel 2002 gli imprenditori cinesi nella moda erano 624, nel 2012 sono diventati 2.155; nello stesso tempo gli italiani sono scesi da 5.547 a 3.023, una diminuzione di 2.524 unità.

A questo proposito, Manuela Miola, presidente della sezione Moda Industria di Confindustria Vicenza e nel cda di Forall Confezioni, azienda di Quinto Vicentino che produce Pal Zileri , ha dichiarato: “Questo sapere di prodotto è una delle caratteristiche del nostro distretto. Le nostre aziende hanno saputo creare e sviluppare prodotti con la sapienza artigiana e hanno saputo migliorarli nel tempo fino a farli diventare ricercati e sofisticati. Negli ultimi anni si è sviluppata una contaminazione internazionale con diversi Paesi e tra diversi settori: ci sono molti esempi di noti designer internazionali che hanno collaborato e collaborano tuttora con aziende del nostro territorio, portando nuove idee e l’entusiasmo di chi entra in contatto con una realtà dove in pochi chilometri trova una densità di esperienza, di artigianalità e di tradizione che in pochi altri contesti è possibile trovare“.

Vera MORETTI