Welfare aziendale, i vantaggi sono per tutti

Durante il XV Forum Lavoro e Fiscale organizzato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e dalla sua Fondazione Studi è stata fatta chiarezza riguardo il welfare aziendale, che obiettivamente necessitava di un chiarimenti per fugare ogni dubbio.

La questione emersa era relativa in particolare al welfare aziendale che rappresenta una grande opportunità per le aziende ma anche per i lavoratori. Il motivo è semplice: questo strumento permette di azzerare il cuneo fiscale, a prescindere se il datore sia in possesso, o meno, del Documento unico di regolarità contributiva, ovvero il Durc.
Questo era il dubbio che ancora non era stato chiarito e ci hanno dunque pensato i consulenti del lavoro durante il loro Forum annuale, giunto quest’anno alla sua quindicesima edizione.

Con questa spiegazione si può facilmente capire che i vantaggi economici, ma anche fiscali e contributivi, del welfare aziendale sono più immediati e facilmente fruibili, senza che vi debba per forza essere una correlazione con ee disposizioni di cui all’articolo 1, comma 1175, della legge 296 del 2006.
E sicuramente si tratta di una buona notizia per tutti.

Vera MORETTI

Inaz: progetto famiglia-lavoro

Se la competitività tra i sessi gioca un ruolo fondamentale sul luogo di lavoro, il rischio è che essa si traduca in una competizione fra uomo e donna anche sotto il tetto domestico. In Italia crescono le coppie in cui lavorano sia lui che lei, secondo le stime dell’ultimo Rapporto sulla coesione sociale presentato da Ministero del Lavoro, Istat e Inps nei giorni scorsi.

L’Italia è però ancora molto lontana dall’adottare una politica di welfare aziendale che testimoni una reale parità fra i sessi: la retribuzione media femminile è infatti ancora minore (in media del 20%) rispetto a quella maschile, mentre in tema di congedi parentali, in 9 casi su 10 tocca alla donna assentarsi dal posto di lavoro.

Un passo in avanti nel tentativo di uscire dagli stereotipi di genere è stato compiuto da Inaz, azienda di oltre 400 addetti con sede a Milano, con il progetto Famiglia-Lavoro: “”Usiamo gli strumenti della flessibilita’ e della formazione – spiega la presidente e AD di Inaz, Linda Gilli – per gestire al meglio le situazioni individuali e mantenere la professionalità di chi si assenta per il congedo parentale”. “L’obiettivo – continua la Gilli – è incentivare il rientro dopo tre mesi, su base volontaria, seguendo sempre il dipendente durante l’assenza e applicando dove possibile il part-time e il telelavoro”.

Il progetto Inaz famiglia-lavoro prevede poi una serie di focus group, composti da dipendenti e da un Comitato Famiglia-Lavoro, che hanno lo scopo di sensibilizzare i colleghi a non considerare l’assenza per maternità o paternità alla stregua di un aggravio di lavoro e responsabilità. Impresa non facile perché si tratta “di cambiare mentalità radicate – continua la Gilli. – Bisogna superare stereotipi che mortificano sia le donne, viste solo nel loro ruolo di ‘brave mamme’, sia gli uomini, ritenuti incapaci di curare e crescere i figli piccoli”.

Lo scopo del progetto promosso da Inaz è stimolare il management a proteggere le competenze professionali e settoriali acquisite da ciascun dipendente anche e soprattutto durante il periodo di congedo. Occorre poi valorizzare le persone al rientro, attraverso opportuni percorsi di formazione che ne permettano il reinserimento in azienda dopo un periodo di breve o protratta assenza.

“La questione del lavoro femminile non e’ un problema esclusivo delle donne – conclude Linda Gilli – ogni lavoratore deve essere messo in grado di organizzare il proprio tempo e dare il meglio in azienda. Se questo si verifica, l’impresa può solo crescere”.

I dipendenti chiedono più benefit ma le aziende non ascoltano

 

Quali sono le attività di welfare aziendale già attuate o in via di progettazione da parte delle imprese italiane? Quali sono gli obiettivi, le difficoltà, le prospettive per il futuro e le valutazioni? Questi e altri temi sono stati indagati dall’istituto AstraRicerche, che nel mese di luglio ha condotto una ricerca per conto di Edenred.

Dalla ricerca emerge che le aziende e i lavoratori sono assolutamente d’accordo in particolare su un aspetto: i piani di welfare aziendali sono di grande interesse ma attualmente non sono sufficientemente ampi (il 45% degli imprenditori/dirigenti non è ancora soddisfatto del proprio welfare aziendale) e secondo il 70% dei manager intervistati andranno sviluppati nei prossimi 2/3 anni.

Dopo aver intervistato più di 800 lavoratori sui bisogni legati al welfare aziendale, l’indagine si è concentrata su manager e imprenditori di circa 400 aziende, sia italiane che multinazionali, chiamati a rispondere sulla propria offerta di welfare aziendale, le potenzialità e gli ostacoli.

Tra i motivi per cui molte aziende non offrono piani di welfare ci sono i costi (effettivi e presunti: 55%) e le difficoltà connesse alla crisi economica che penalizza molti settori e porta inevitabilmente a sfoltire i budget destinati alla formazione e alla cura del personale.

Tuttavia, se viene confrontata l’offerta effettiva con i desideri dei lavoratori, è evidente che esiste un divario rilevante, in particolar modo per tutti i servizi non strettamente legati all’alimentazione.

Analizzando il panorama dei servizi attualmente offerti dalle aziende emerge che l’alimentazione la fa da padrona (il 79% del campione offre buoni pasto oppure una mensa interna); seguono i benefit legati alla flessibilità del lavoro come il telelavoro o l’orario ridotto (58%) e i servizi legati all’assistenza medica o burocratica (36%).

Intanto le imprese italiane hanno ben chiari gli obiettivi che sono allineati alla percezione dei dipendenti: migliorare il clima aziendale (86%) e accrescere la soddisfazione delle risorse umane (55%), segue il desiderio di dare una spinta alla produttività (51%), raccogliere vantaggi di immagine (50%) e di apprezzamento interno ed esterno sul terreno della corporate social responsibility (CSR).

I dipendenti intanto rimproverano alle proprie aziende l’incapacità d’individuare e soddisfare le reali esigenze e preferenze (lamentata dal 38% dei dipendenti e da un 22% degli dirigenti).

Marco Poggi